L’ECCIDIO DI FARNETA
In occasione della celebrazione della “Giornata della memoria”, voglio narrarvi il sanguinoso episodio accorso ai monaci certosini. Durante la seconda guerra mondiale, la certosa di Farneta fu protagonista di una violenta rappresaglia condotta dall’esercito nazista. I monaci, avevano generosamente dato ospitalità all’interno del proprio eremo ad ebrei e perseguitati politici di ogni nazionalità e religione. Nonostante ciò riuscirono ad avere un buon rapporto anche con le truppe tedesche, le quali spesso si avvalevano del contributo da interprete del padre maestro del noviziato, don Pio Egger, svizzero-tedesco, anche al di fuori del monastero. Nei pressi della certosa si trovava un reparto di rifornimento della 16°divisione “Reichsführer SS”, e spesso dei soldati erano soliti bussare alla porta del convento per chiedere del cibo, ma si insospettirono per alcune presenze ritenute “non permesse dalle leggi germaniche”. Fu così che nella notte tra il 1° ed il 2 settembre del 1944, bussò al portone il sergente Edoardo Florin che essendo noto all’anziano fratello converso portinaio Michele Nota lo convinse facilmente ad aprire il convento. I certosini lo conoscono bene perché nei mesi precedenti aveva chiesto e ottenuto di poter ricevere, insieme da altri due compagni, assistenza spirituale dai monaci. Si era più volte confessato con il padre maestro e aveva persino ottenuto di poter assistere dalla tribuna ad alcune celebrazioni. Il sergente dice di avere grande fretta e di avere con sé un pacchetto per il padre maestro. Il povero fra Michele non ha ragione di sospettare alcunché – è puro come una colomba, ma gli manca l’astuzia del serpente – e apre il pesante portone della Certosa. A seguito di questo stratagemma, una pattuglia armata fece violentemente irruzione negli ambienti monastici, cominciando a rastrellare ogni angolo del convento e ad arrestare sia i religiosi, che i numerosi civili che si erano rifugiati presso di loro. Il sergente Florin e i suoi due camerati non erano, come i poveri monaci avevano ingenuamente creduto, persone alla ricerca di ristoro per le anime, ma spie tedesche incaricate di monitorare alcuni movimenti sospetti che avvenivano tra le mura di quel monastero. Da qualche tempo infatti il procuratore del convento, con la complicità del priore aveva cominciato a soccorrere famiglie di ebrei, di uomini vicini alla Resistenza, di nemici politici del regime, ma anche di semplici renitenti alla leva. Dapprima erano state messe a disposizione dei rifugiati case coloniche di proprietà della Certosa, successivamente i monaci cominciarono a ospitare tra le mura del convento i fuggitivi. La rete di assistenza del monastero arriva presto ad accogliere fino a duecento persone. Al momento dell’irruzione fra le mura del monastero ve n’erano un centinaio. Tutti i prigionieri furono tenuti in una stanza della portineria, poi l’indomani mattina un primo gruppo con il priore Dom Martino Binz e don Pio Egger furono trasferiti con un camion a Nocchi nel capannone di un vecchio frantoio, e furono poi raggiunti la sera stessa dai i restanti prigionieri provenienti dalla certosa. Per alcuni giorni quel luogo divenne teatro di efferate scene di violenza a carico dei reclusi, e solo la mattina del 6 settembre il gruppo dei monaci certosini venne diviso in due scaglioni. Un primo gruppo del quale facevano parte il padre priore Don Martino Binz, (65 anni) il procuratore don Gabriele Costa, il maestro dei novizi don Pio Egger, nonché il novizio Mons. Bernardo Montes de Oca (49 anni) già vescovo di Valencia in Venezuela, furono condotti a Massa Carrara in attesa di essere giustiziati. Il giorno seguente furono costretti ad affrontare un lungo percorso a piedi, di fronte al quale il priore Binz e Don Bernardo opposero resistenza ed a seguito di ciò furono uccisi a colpi di mitraglia. Il tragico destino del restante gruppo di sfortunati certosini si delineò, la domenica mattina del 10 settembre, allorquando la ferocia nazista si abbatté sui prigionieri che vennero uccisi con un colpo alla testa dopo essere stati impiccati con del filo spinato. In totale i certosini trucidati furono 12, ai due già citati se ne aggiunsero altri 10:
- padre Gabriele Maria Costa italiano, Procuratore (46 anni)
- padre Pio Maria Egger, svizzero, maestro dei Novizi (39 anni)
- padre Adriano Compagnon, francese (70 anni)
- padre Benedetto Lapuente, spagnolo (70 anni)
- fra Adriano Clerc, svizzero (74 anni)
- fra Alberto Rosbach, tedesco (74 anni)
- fra Giorgio Maritano, italiano (62 anni)
- fra Michele Nota, italiano (56 anni)
- fra Bruno D’Amico, italiano (60 anni)
- fra Raffaele Cantero, spagnolo (47 anni)
Ma il bilancio delle vittime del cosiddetto eccidio di Farneta, annovera anche 40 civili in maggioranza ebrei, che furono uccisi in quei terribili giorni. I restanti certosini che formavano la comunità monastica certosina, in parte furono rinchiusi nella caserma Dogali di Carrara, e oggetto di inaudite violenze fino a che le S.S. non abbandonarono il paese, e furono liberati. Altri conversi, ritenuti utili come manovalanza, furono deportati a Berlino in Germania, e liberati solamente nel febbraio del 1945. Dopo questi tristi eventi, lentamente i superstiti della comunità certosina si ricostituirono, ritrovandosi nella certosa di Farneta, dove la vita claustrale ricominciò a svolgersi regolarmente. A memoria dell’eccidio del 1944, dieci anni dopo, il comune di Lucca volle apporre una lapide sulla porta del convento con una breve iscrizione:
“Nei tristi giorni della servitù, vi fu chi cercò salvezza dalla incombente minaccia di morte fra queste mura, che solo conoscono la pietà e la vita dello spirito, ma ogni speranza fu travolta e alla cecità della violenza si aggiunse la beffa del lusinghevole inganno e del cinico tradimento”
Nel decennale della Liberazione il Comune di Lucca e il Comitato cittadino
Tutti i monaci certosini barbaramente uccisi, furono insigniti della medaglia d’oro al valor civile, con la sola eccezione di Padre Antonio Costa a cui fu conferita la medaglia d’oro al valor militare.
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