GLI ALTRI MARTIRI CERTOSINI INGLESI
La persecuzione condotta da Enrico VIII nei confronti dei monaci certosini, cominciata come abbiamo precedentemente visto, nel 1535 continuò fino al 1537. Un ultimo gruppo di dieci religiosi, formato da sei Fratelli conversi e quattro Padri, a seguito del loro ennesimo rifiuto a sottostare all’Atto di Supremazia, furono prelevati con la forza dalla certosa londinese e condotti in prigione il 20 maggio del 1537. Il carcere prescelto fu quello di Newgate, a Londra, famigerato per le disumane condizioni in cui i carcerati erano costretti a sopravvivere, tra parassiti, sporcizia ed umidità, definito il simbolo dell’inferno. Ogni singola cella era di dimensioni ridotte, priva di bagno e sovrappopolata, tanto da contenere fino a venti prigionieri, i quali erano costretti ad accalcarsi ed avvicendarsi sui luridi pagliericci e tra i loro escrementi. Dopo essere stati arrestati ed imprigionati i monaci certosini, furono ammassati tutti all’interno di un’unica cella, incatenati ai piedi e con i polsi legati dietro la schiena da pesanti catene, immobilizzati, con il chiaro intento di lasciarli morire di fame e stenti. Ebbene ciò avvenne, ma non tanto celermente poiché occorre in questa sede ricordare la caritatevole opera svolta da una pia donna inglese, che tentò di alleviare le atroci sofferenze dei poveri religiosi. Questa donna, di nome Margareth Giggs Clement, figlia adottiva di Thomas More, amico dei certosini, e pertanto educata alla devozione dei seguaci di San Bruno, coraggiosamente corruppe un carceriere di Newgate, per poter avere libero accesso ai detenuti. Essa spacciandosi per lattaia, celava all’interno del grande secchio che portava sulla testa, colmo di latte, alcuni pezzi di carne che utilizzava per nutrire i poveri certosini imprigionati, che amorevolmente imboccava. Grazie a questo stratagemma Margareth Giggs Clement, riuscì a nutrire ed a detergere dallo sterco i certosini per alcuni giorni, donando loro un minimo sollievo agli atroci patimenti. Tale buona azione si interruppe allorquando il carceriere compiacente, cessò di esserlo, poiché impaurito dalla meraviglia che ebbe il re alla notizia della sopravvivenza dei monaci da lui fatti recludere in condizioni di patimento e fame. Tuttavia, la devota donna non si arrese, ed escogitò un altro sistema per lenire gli stenti ai dieci religiosi, ella infatti riuscì a recarsi sul tetto della cella e quotidianamente calava con un canestro legato ad una corda del cibo attraverso una feritoia, tentando di avvicinare la cesta alle bocche dei prigionieri con la speranza di sfamarli. Anche questo tentativo, durò pochi giorni, poiché Margareth Giggs Clement fu scoperta, cosicché lentamente ad uno ad uno i poveri monaci cominciarono a morire di fame. Il primo a morire fu Guglielmo Greenwood il 6 giugno 1537, poi fu la volta di Giovanni Davy l’8 giugno, mentre Robert Sale cessò di vivere il 9, ed il giorno successivo il 10 perirono Walter Pierson e Thomas Green, mentre spirarono rispettivamente il 15 ed il 16 Tommaso Scryven e Tommaso Redyng. Sopravvissero, forse perché strategicamente nutriti dai loro aguzzini, Richard Bere e Tommaso Johnson per alcuni mesi, ed addirittura per altri tre anni Guglielmo Horne. Anche questi dieci martiri come abbiamo già detto furono beatificati dal pontefice Leone XIII il 9 dicembre del 1886. Essi vengono ricordati singolarmente a Londra ognuno in occasione del giorno della propria dipartita.
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Vivo la possibilità di ricevere tutte queste notizie sul mondo certosino come una sovrabbondanza di grazia. Si tratta di un nutrimento ricco per la vita quotidiana, un vero aiuto per viverla nel raccoglimento. La parola che sintetizza tutto questo è: gratitudine. C’è anche un senso di prossimità invisibile, e tuttavia concreto.