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Garegnano, la”Cappella Sistina di Milano”

CERTOSA DI GAREGNANO

la “Cappella Sistina di Milano”


A conclusione di quest’anno, è mia intenzione porre alla vostra attenzione le ricchezze artistiche della certosa di Garegnano, sita in Milano. All’interno della chiesa di questa splendida certosa, vi sono una serie di affreschi e dipinti di straordinaria bellezza, che le hanno fatto attribuire il titolo di “Cappella Sistina di Milano”. Oggi voglio proporvi, poche notizie ma tante immagini, ed una piccola sorpresa che meglio vi farà gustare le bellezze artistiche contenute in essa. Cominciamo col dire che sono essenzialmente tre i cicli pittorici presenti a Garegnano: nella navata gli affreschi di Daniele Crespi (1629), nel presbitero quelli di Simone Peterzano (1578 -1582) e nella sala capitolare e nella cappella a destra le opere di Biagio Bellotti. La chiesa ha una lunga navata unica, con volte a botte e con due cappelle laterali, nella parte terminale un coro ed un abside semicircolare. Il vano del presbitero è sormontato da un tiburio quadrato. Tutte le pareti sono decorate da affreschi, nella navata furono realizzati da Daniele Crespi nel 1629, nel presbiterio da Simone Peterzano alla fine del Cinquecento. Gli affreschi del Crespi, ricoprono le pareti e la volta e si armonizzano mirabilmente con le linee architettoniche. Nella volta tra fasce geometriche si affacciano angeli e figure di monaci certosini, ed entro medaglioni: il sacrificio di Abramo, la Maddalena portata in cielo dagli angeli, il Battista, l’Ascensione. Sulle pareti, scorgiamo entro delle nicchie, figure monumentali di santi e beati certosini, ed il ciclo con Storie della vita di San Bruno. Si narra che Lord Byron, affascinato dagli affreschi del Crespi, esclamò: “egli è un pittore che sa far parlare i morti“. Pare, infatti, che uno dei dipinti possa ipnotizzare chi lo guarda, trasmettendo il senso d’oppressione e d’incubo che il pittore provò dipingendolo. La leggenda narra che Crespi, per poter meglio raffigurare gli spasmi della morte,  abbia commesso un omicidio, e che per questa ragione si sia rifugiato nella Certosa di Milano.  Gli affreschi del presbiterio, invece, furono realizzati tra il 1578 ed il 1582 da Simone Peterzano, noto per essere stato allievo di Tiziano Vecellio e maestro del grande Caravaggio. I certosini dietro precise indicazioni gli commissionano l’Adorazione dei Magi, (parete destra) e La Natività (parete sinistra), nel catino dell’abside la Crocifissione, negli spicchi della cupola otto Angeli con simboli della Passione, e nei pennacchi otto Sibille, Profeti e gli Evangelisti. Le tre tele dell’abside, nella chiesa della certosa, sempre realizzate dal Peterzano rappresentano: la Resurrezione, la Madonna col Bambino ed i Santi Ugo, Ambrogio, Giovanni Battista e Bruno, e l’Ascensione. Ma come vi dicevo all’inizio ora largo alle immagini.

Un grazie particolare a Paolo Viviani, che ha realizzato queste  splendide foto.

VISITA VIRTUALE

Ed ora come promessovi, vi offro una gradita sorpresa. Un viaggio interattivo all’interno della “Cappella Sistina di Milano” con foto panoramiche a 360° per una visita virtuale della Navata e del Presbiterio. Buona visione e Felice anno nuovo a tutti!!!

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“La Preghiera” di A. Guillerand IX capitolo

La Preghiera

Dinanzi a Dio

di Dom Augustine Guillerand

CAPITOLO IX

Fiducia e perseveranza

L’uomo è sottoposto a una dura prova, dovuta alla sua stessa natura. Egli ha le tendenze degli spiriti, ma deve realizzarle in un corpo. Lo Spirito è agile, la materia è pesante. Lo spirito concepisce in un istante e nello stesso istante vuole ciò che vede; attraverso questo duplice atto raggiunge il proprio fine e vi si riposa. La materia non riceve che a poco a poco le azioni che si esercitano su di essa; queste debbono comunicarsi di molecola in molecola, dai muscoli ai nervi, dai nervi ai centri, poi, per mezzo del canale a malapena smaterializzato della sensibilità, mediante i sensi interni, debbono raggiungere le parti spirituali dell’essere dove divengono idee che, per le stesse vie, saranno trasmesse agli organi d’esecuzione.

Sono necessarie innumerevoli impressioni venute dal di fuori, contatti prolungati, ripetuti all’infinito, col mondo esterno per costituirsi. Sono necessari altrettanti contatti affinché questo essere così costituito realizzi la sua vita.

I nostri rapporti con Dio sono più o meno sottoposti a questa legge. Normalmente, le vedute della fede ci provengono dal di fuori ed è conformemente al movimento della nostra natura che esse si sviluppano. Lo Spirito Santo può aggiungervi degli interventi propri che obbediscono a leggi più alte; e lo fa spesso: allora, il cammino verso Dio acquista un andamento agevole, rapido, tutto speciale e soave. Questa però non è la via ordinaria… né si può far assegnamento su di essa. La strada comune è rappresentata dalla nostra attività nel suo modo rallentato che lo Spirito dirige e sostiene senza però sopprimerla né modificarla.

Noi, dunque, dobbiamo andare a Dio con la natura che conquista la scienza umana e le virtù naturali, e seguire, per raggiungere Dio, la strada che conduce allo sviluppo di questa natura. Nel perseguire questo sviluppo noi siamo sostenuti – più o meno! – dalla necessità di farci un posto al sole e di assicurarci l’esistenza contro l’indigenza, mediante il desiderio del successo, di risultati tangibili. Ma anche con questo sprone come sono rari gli entusiasmi e frequenti gli scoraggiamenti! Si fa appena lo stretto necessario… se pur lo si fa!

La ricerca di Dio non è sostenuta – almeno allo stesso livello – da questi risultati. Quaggiù Dio non si rifiuta mai, ma si nasconde spesso. Egli ama che lo si insegua, che lo si sappia attendere, che si abbia fiducia in lui, che gli si chieda senza ricevere, che si ricomincino sempre degli sforzi che sembrano non ottenere nulla. Dio ama la perseveranza nella preghiera.

La perseveranza è il frutto della fiducia. La fiducia, nei nostri rapporti con Dio, è la forma più autentica dell’amore ed è figlia della fede. La fiducia suppone una giusta idea di Dio. L’anima fíduciosa ha dovuto sviluppare in sé la conoscenza delle perfezioni divine che, praticamente, si confondono con l’essere divino, ma che noi scorgiamo come i raggi smorzati attraverso il prisma delle creature. Quante meditazioni e letture sono necessarie affinché queste perfezioni divengano in noi delle idee presenti, viventi, attive, pronte a sorgere quando se ne ha bisogno, nelle tenebre più fitte, per illuminare una strada difficile! Solo coloro che amano – coloro che sono presi e sostenuti dallo Spirito d’Amore – hanno il coraggio di compiere questo studio continuamente ripreso e continuamente da riprendere. Da ciò dipende tutto. Esso è la sorgente feconda che fluisce nell’anima, e che nelle aridità prepara la fioritura della primavera e le raccolte dell’autunno: ” Abbiate fiducia ” ripete infinitamente il divino Maestro nel suo Evangelo, e cosi infinitamente al cuore dell’anima che ama. ” La salvezza è di colui che avrà perseverato fino alla fine ” (Cfr. Mt 10,22 e 24,13).

Perché l’Amore si fa attendere? Perché è l’Amore e vuole l’amore. L’amore che non sa attendere non è amore. Amare è donarsi; ma non solo per un momento della vita, né parzialmente. L’Amore è dono di sé totale e vuole il dono di sé totale.

L’Amore si basa sulla stima; non si ama se non ciò che si apprezza e ammira; non si ama che il bene. Ciò che si ottiene troppo facilmente e troppo velocemente non attira le anime profonde. Esse intuiscono quando si tratta di un bene superficiale che non può saziare la ricca capacità della loro natura. E hanno ragione. Delle leggi regolano gli esseri e i loro rapporti, leggi che tutti intuiscono senza riuscire sempre a formulare. E una legge che i veri tesori sono sotterrati profondamente, nascosti con cura; e che le acquisizioni serie esigono degli sforzi proporzionati. Le eccezioni non infirmano questa legge.

Dio è il tesoro che non ha prezzo. La facilità nel donarsi allontanerebbe da Lui i migliori. San Giovanni Climaco dà una ragione che si avvicina a ciò, ma con una sfumatura interessante. La preghiera – osserva – è un’attività che sviluppa e arricchisce enormemente, sorgente di meriti, di soddisfazioni, di progressi spirituali di ogni specie. Il buon Dio ce ne impone la ripetizione e la continuazione per accrescere le nostre ricchezze. 1 ritardi nell’unione non sono tempo perduto, tutt’altro. Dio vede molto lontano e utilizza meravigliosamente – senza tuttavia desiderarlo né volerlo – ciò che noi chiamiamo il male, i traviamenti, gli arresti, i ripiegamenti. Soprattutto in queste ore sono necessarie fiducia e perseveranza. Che si tratti di noi, o di altri, la preghiera che non si scoraggia, che insiste, che fa violenza, vince il cuore di Dio. Per questo Dio insiste nel domandarci di pregare con fiducia e perseveranza.

La fiducia in Dio in generale, la fiducia nella preghiera in particolare, è una disposizione d’anima di cui è difficile parlare, poiché è difficile concepirla esattamente. Noi siamo privi di paragoni, di punti di riferimento nel creato.

Essa riposa su perfezioni di cui il mondo non può fornire l’equivalente. Vi sono, è vero, degli uomini dotati di bontà vera, di benevolenza, di carità, di tenerezza reale per noi, che non pensano che a farci del bene, che si spingono sempre fino agli estremi delle loro possibilità per rendersi a noi graditi … ; ma queste possibilità sono inadeguate, estremamente inadeguate… e le loro stesse disposizioni possono pure variare. ” Al suo figliuolo che gli chiede del pane, un padre non dà delle pietre “(cfr Lc 11,2ss), ma in un padre il sentimento paterno non è sempre puro, perché in un uomo il male è sempre possibile. ” Nel vostro Padre celeste non vi è che il bene, e non può che volere e fare il vostro bene … ; e se voi domandate il suo Spirito filiale che è il bene per eccellenza, oh come ve lo accorderà necessariamente e in tutta la sua perfezione! “. Ce ne ha dato la prova: ” Ha consegnato il suo Figlio unico per noi “. Dopo ciò, anche il solo pensiero di un rifiuto opposto alle nostre preghiere è impossibile: ” Domandate e riceverete; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto ” (cfr Lc,9).

La fiducia non è la presunzione. L’anima fiduciosa non dimentica che la preghiera è un rapporto, e che se uno dei termini è infinitamente potente e buono, l’altro è estremamente debole e miserabile. La conoscenza di questi due termini crea nell’anima un senso giusto della disposizione appropriata che deve regolare le sue divine relazioni. Essa sente continuamente risuonare nelle sue orecchie la raccomandazione pressante: ” Bisogna sempre pregare “; e non dimentica che Nostro Signore l’accompagna con quest’altra: ” Vegliate! “.


Natale 2010, un regalo per tutti voi

Natale 2010,

un regalo per tutti voi

da Cartusialover

Approfitto, dell’occasione dell’approssimarsi delle festività natalizie, per esprimere il mio profondo ringraziamento a tutti i visitatori di questo blog,   sia a quelli sporadici sia ai frequentatori abituali.

Grazie a voi ed al vostro impegno per la sua diffusione, i contatti negli ultimi mesi hanno avuto una crescita smisurata, contribuendo alla riuscita del mio obiettivo: “Diffondere la passione per l’ordine certosino”. E’ per questo motivo che intendo farvi un regalo, nella speranza che  possa essere di vostro gradimento. Voglio difatti, offrirvi la possibilità di poter vedere, qualora non lo aveste già fatto, il film capolavoroIl Grande Silenziorealizzato dal regista tedesco Philip Gröning, nel 2005 all’interno della Grande Chartreuse, per documentare la vita all’interno di una certosa.  Personalmente considero questa opera cinematografica, una  autentica pietra miliare per noi amanti della vita certosina, ed ho ragione di credere, che attraverso la proposizione di questa testimonianza reale, Cartusialover riesca a coinvolgere ulteriormente quanti ancora conoscono poco questo tipo di vita monastica.

Ho ritenuto di proporvi varie opportunità per consentirvene la visione. Da oggi è stata inserita in maniera permanente nella colonna (sidebar) di sinistra, la locandina con il collegamento diretto al link per la visione diretta online (consigliata). In questa pagina, inoltre vi segnalo le altre varie opportunità per poterlo scaricare o visionare, come meglio preferiate. Rinnovandovi gli auguri di un Buon Natale ed un felice anno nuovo, vi auspico inoltre una buona visione!!!

 


 

Il fratello di San“Hermano Rafael”

Il fratello di

San “Hermano Rafael”

In questo articolo odierno, voglio parlarvi di come in una famiglia spagnola del XX° secolo, siano nati e cresciuti nell’insegnamento cristiano due fratelli dediti per diversi motivi a Dio.

Rafael Arnáiz Barón nasce il 9 aprile 1911, e suo fratello Luis Fernando Arnáiz Barón due anni dopo il 29 maggio del 1913 entrambi a Burgos, da una famiglia di noti ingegneri. Rafael aiutato nella sua crescita cristiana dallo zio Leopoldo, duca di Maqueda frequentò l’istituto dei Gesuiti, iniziando poi la Scuola Superiore di Architettura di Madrid. Egli era un giovane intelligente e brillante negli studi, ed avviato ad una promettente carriera, ma con un forte desiderio di interiorità segno di una profonda religiosità. Ciò lo porterà nel 1932, a realizzare degli esercizi spirituali, in una Trappa, durante i quali scoprì di essere votato a Dio per una vita monastica. Nel 1933 svolse il servizio militare, e l’anno seguente, a soli 23 anni, venne accettato come monaco trappista nel monastero di San Isidro di Dueñas (Palencia), egli raggiante, comincia questa nuova avventura con un grande entusiasmo. Nel frattempo suo fratello Fernando, dopo aver svolto brillantemente i suoi studi  di architettura a Lovanio, in Belgio torna in Spagna dove presta il servizio militare durante la sanguinosa Guerra Civile (1936-1939), come capitano di artiglieria. Storie di due fratelli apparentemente con destini molto diversi, ma la Provvidenza ci ha abituato a stupirci e quindi, proseguiamo nel racconto. Rafael è un bel ragazzo con un gran fisico, ma improvvisamente una grave forma di diabete mellito fa crollare la sua salute ed in appena otto giorni arriva a perdere 24 chili di peso!!! A causa di una forte febbre è costretto ad abbandonare il convento, e con il cuore spezzato dal dolore, a ritornare a casa dai genitori. Incredibilmente ed inaspettatamente nel momento in cui egli si sente realizzato Rafael si ammala. Ristabilitosi viene accolto nuovamente nel monastero trappista, ma stavolta come “oblato”, poiché ormai le sue condizioni di salute erano divenute incompatibili con la vita monastica. Rafael seppe però accettare docilmente e serenamente i misteriosi disegni di Dio che lo costrinsero ad uscire ed entrare nella trappa ben tre volte fino al 1937. Non rinunciando alla vocazione monastica Rafael visse tra tante sofferenze ma confidando sempre in Dio, e dilaniato dalla febbre morì il 26 aprile del 1938, a soli 27 anni dopo appena 19 mesi e 12 giorni vissuti nel monastero di San Isidro di Dueñas. Fernando, che al termine della guerra era dedito alla vita mondana, scosso e turbato dalla precoce dipartita del fratello, dopo pochi anni dalla sua morte subì una conversione che dette una svolta alla sua esistenza. Si narra che una sera di ritorno da una corrida, Fernando a bordo della sua lussuosa autovettura guidata dal suo autista, improvvisamente ordinò di farsi accompagnare alla certosa di Miraflores. Giunti all’ingresso del convento certosino, regalò l’ automobile e tutto ciò  che possedeva all’ incredulo autista, pregandolo di non cercarlo mai più!!!

Volle cominciare anch’egli la vita monastica, scegliendo la severa regola certosina, ed entrando nella certosa di Miraflores il 6 dicembre 1941. Successivamente fece la solenne professione il 7 dicembre del 1941 e fu ordinato sacerdote il 5 aprile 1947, ma le sue doti e capacità lo portarono brevemente il 15 giugno ad essere nominato procuratore della certosa di Porta Coeli. Dom Fernando è poi diventato priore nel 1959 e nuovamente procuratore nel 1963, figura di elevato spessore, sovente, si incontrava con Juan de Borbone (il padre dell’attuale re di Spagna) che si recava spesso in certosa per poter colloquiare con lui. Dopo quasi quaranta anni vissuti tra le mura certosine, trascorsi tra vita claustrale, ed impegni come architetto per la restaurazione di diverse certose in Europa, Fernando chiese ed ottenne un indulto, che gli permise di trasferirsi alla Trappa di San Isidro di Dueñas, dove suo fratello visse e morì. Dal 24 giugno 1980 iniziò la vita trappista, che però svolse con rigore “certosino” tanto da farsi attribuire l’appellativo di “trapujo (trapista-cartujo) dedicandosi e, riuscendovi, alla causa di beatificazione di suo fratello Rafael. Questi infatti fu  beatificato il 27 settembre 1992 da papa Giovanni Paolo II,  che lo definì come il più grande mistico dei nostri tempi proponendolo alla gioventù come modello da seguire ed esortandoli a leggere i tanti scritti spirituali che egli ci ha lasciato. La solenne messa di beatificazione, si svolse a Roma in piazza San Pietro e, fu concelebrata dal pontefice e da Dom Fernando Arnáiz Barón visibilmente commosso per il riconoscimento ricevuto da suo fratello. Purtroppo egli non potè assistere alla successiva canonizzazione avvenuta l’11 ottobre 2009 ad opera di S.S. Benedetto XVI. Difatti il 17 dicembre del 1999,  nel monastero di San Isidro di Dueñas, la sua esistenza terminò dopo aver contribuito alla conoscenza della figura di suo fratello con molteplici testimonianze rilasciate al processo di beatificazione. Tra le sue deposizioni ricordiamo che a proposito di Rafael ebbe a dire:”La sua carità verso le persone di servizio fu la sua nota predominante. Non si adirò mai con nessuno”.

Rafael amava dire: “Per me, questa vita che a molti sembra monotona ha così tante attrattive che non mi stanco neanche un momento. Ogni ora è diversa perché anche se esteriormente è tutto uguale interiormente non lo è, come non solo uguali tutte le Messe”. La sua semplicità e gioia di vivere erano contagiose, quando scrivendo ai suoi familiari si esprimeva così: “Le lenticchie saranno sempre lenticchie durante la mia vita nel monastero, ma nonostante tutto le mangio con gusto, perché le insaporisco con due cose: la fame e l’amore di Dio”.

Ho voluto ricordarli entrambi, ma soprattutto Luis Fernando Arnáiz Barón per dare il giusto riconoscimento e risalto altrimenti oscurato dalla santità e dalla fama di suo fratello Rafael Arnáiz Barón, ampiamente celebrato come “Hermano Rafael”. Entrambi elevata espressione della volontà Divina.

Video canonizzazione

video 2

Il patrono dei conversi: il beato Guglielmo da Fenoglio

Il patrono dei conversi:

il beato Guglielmo da Fenoglio


In occasione della ricorrenza della sua celebrazione, oggi vi narro un aneddoto miracoloso compiuto dal beato Guglielmo da Fenoglio. Di lui vi ho gìà descritto la biografia, ed il noto miracolo che lo ha reso “famoso”, come il santo del prosciutto. Ma di colui che, per le sue gesta miracolose è diventato di esempio per i conversi, al punto di diventarne il patrono, va ricordata la sua dedizione alla vita monastica come fratello converso. Il luogo dove si svolse il fatto leggendario che sto per descrivervi, avvenne nei pressi della certosa di Casotto. Il vescovo di Asti, aveva donato alla comunità certosina, un lascito per un diritto di pascolo tra Montaldo e Roburent, territori che insieme alla Grangia sita a Torre Mondovì, rappresentavano i possedimenti che avevano ricevuto come dono dai vescovi, in questo caso, o come dono dai feudatari, per grazia ricevuta o appoggio politico. Nell’ambito territoriale la Grangia, contribuiva in maniera fondamentale per lo sviluppo rurale della zona, attraverso diverse attività: il mantenimento della pulizia dei pascoli, la raccolta della legna nei boschi, la lavorazione del latte, tutte attività che i monaci che vi risiedevano svolgevano quotidianamente. In questo ambito il beato Guglielmo da Fenoglio, in qualità di fratello converso era solito, avventurarsi in frequenti spostamenti tra la certosa e la Grangia, e quindi costretto ad attraversare il “Bosconero”, e spesso sfinito per le avverse condizioni climatiche ed i perigli a Torre trovava ristoro, potendosi riposare la notte, per poi ripartire il giorno successivo. Il beato Guglielmo, in questi suoi andirivieni si trovava spesso a dover guadare il torrente Rio Roburentello, ed un antica leggenda racconta che un giorno egli si imbattè nel diavolo. Questi propose per agevolargli il cammino, di costruirgli un ponte in cambio dell’anima del primo essere che avesse attraversato il viadotto. Il maligno, dopo aver persuaso il povero certosino era ingolosito al pensiero di poter disporre dell’anima del beato, ma rimase beffato quando vide che Guglielmo fece attraversare il ponte, per primo, al suo fidato compagno di viaggio, il suo mulo!!! Da allora il ponte che si trova salendo a Roburent , appena passato il bivio per Montaldo è chiamato “ponte dell’Asino”, in ricordo di questo episodio leggendario accorso tanti secoli orsono, e che testimonia l’immutata devozione al beato certosino in questi territori.

“La Preghiera” di A. Guillerand VIII capitolo

La Preghiera

Dinanzi a Dio

di Dom Augustine Guillerand

CAPITOLO VIII

L’attenzione nella preghiera

Questi pensieri nati dall’amore ci protendono verso Colui al quale noi ci rivolgiamo: è l’attenzione. Un’anima attenta è un’anima tesa verso l’oggetto che l’attrae. Un’anima distratta è un’anima che si lascia adescare da altri oggetti.

L’attenzione dipende dall’importanza che riconosciamo all’oggetto che la sollecita, dall’attrattiva che esso esercita. Se lo reputiamo grande e bello, buono e forte, se lo riconosciamo perfetto, ricco di tutto ciò che può saziarci, l’attenzione è estrema.

L’attenzione a Dio è rara poiché rare sono le anime che lo conoscono. Il peccato ci ha distolti da Lui; noi viviamo dinanzi al creato; le immagini delle creature ci riempiono l’anima, ci trattengono e rendono l’attenzione a Dio difficile. Bisogna rigirarsi; è questo il senso della parola ” conversione “. La conversione ha molti gradi. Solo i santi sono dei veri convertiti; solo i santi vanno fino al termine ultimo del loro movimento. Questo termine è uno sguardo che non vuole fare più attenzione che a Dio… e a poco a poco, in seguito a esercizi più o meno prolungati e con l’aiuto della grazia, si fissa in Lui.

Le creature – e il demonio che ne usa – non si lasciano soppiantare senza combattimento. La vita d’orazione esige delle battaglie continue: è il grande sforzo – e il più lungo – di una esistenza che si vota a Dio. Questo sforzo ha un bel nome: si chiama la custodia del cuore. Il cuore umano è una città; dovrebbe essere una fortezza. Il peccato l’ha venduta. Da allora è una città indifesa di cui occorre rialzare le mura. Il nemico pone continuamente ostacoli. E lo fa con tutta la sua abilità e la sua forza, con astuzia e con ardore. Presenta dei pensieri così indovinati, talvolta così utili, delle immagini cosi affascinanti o così temibili, avvolge il tutto di ragioni così pressanti, che riesce in ogni momento a distrarci, a farci uscire dalla divina presenza. Bisogna continuamente rimettercisi. Queste riprese perpetue, questo infinito ricominciare, più ancora della lotta propriamente detta, ci scoraggia e ci prostra. Noi preferiremmo una violenta battaglia… violenta ma definitiva. Generalmente il buon Dio non lo vuole. Egli preferisce questo stato di guerra, queste imboscate e questi agguati, queste precauzioni e queste vigilanze. Egli è l’Amore e una lunga guerra richiede più amore e lo fa crescere di più.

D’altronde Dio è là; dirige lui stesso il combattimento. Fa fronte al nemico; sorveglia e sventa le sue manovre; se ne serve. Lo lascia avanzare per meglio colpirlo e abbatterlo. Prepara dei trionfi magnifici attraverso insuccessi passeggeri, perfino attraverso dei disastri.

La ripetizione quotidiana – e spesso più che quotidiana – degli stessi atti e delle stesse formule è un pericolo. L’abitudine diviene facilmente ” routine “. La preghiera diventa un movimento meccanico che nessun intervento dello spirito e del cuore anima più. Le labbra sole sono dinanzi a Dio, che è spirito e che ci vuole comunicare la sua vita spirituale. Mentre le labbra si muovono senza pensiero, l’immaginazione ci trascina su mille strade… ed è con ogni sorta di persone e di cose… è soprattutto con noi stessi che noi conversiamo. L’attenzione viene meno perché l’amore manca… e la preghiera che dovrebbe farci avvampare non fa che ingrandire il fossato che la negligenza scava lentamente tra Dio e noi.

Disattenzione nata dalla freddezza, freddezza generata dall’ignoranza, così noi scivoliamo – più rapidamente purtroppo di quanto si pensi – sulla china della tiepidezza, in fondo alla quale può trovarsi la morte.

Tuttavia ciò che importa è l’attenzione del volere più che quella dello spirito. Quest’ultima ci è spesso impossibile. Vi sono delle preghiere distratte che rapiscono il cuore di Dio. Quando ci facciamo violenza per metterci e mantenerci dinanzi a Dio mentre le disposizioni del corpo o dell’anima continuamente ci strappano, nostro malgrado, allo sguardo e al ricordo di questa presenza amata, quando questa impotenza tortura il nostro desiderio di Lui e noi accettiamo umilmente tale tortura, allora la distrazione diventa un mezzo d’unione eccezionalmente prezioso e forte. Poiché tutto, nei nostri rapporti con Dio, si misura sull’amore; e ogni allontanamento dell’anima nei confronti del creato per unirsi all’Increato è amore.

L’attenzione alle parole che si pronunciano, ai gesti che si compiono, è buona, e quasi sempre da consigliare. L’attenzione a Dio basta sempre, è spesso preferibile; talvolta è la sola possibile. L’essenziale è che la definizione della preghiera sia realizzata, che l’anima, distaccata da ciò che passa, si volga e tenda verso il Padre celeste, con qualunque mezzo e per qualunque strada. Dal momento in cui si stabilisce il contatto, si prega. Se il contatto è ardente, si prega in modo eccellente.

“La Preghiera” di A. Guillerand VII capitolo

La Preghiera

Dinanzi a Dio

di Dom Augustine Guillerand

CAPITOLO VII

Il timore riverenziale nella preghiera

L’amore e il timore non si oppongono; l’amore genera il timore, il quale custodisce e sviluppa l’amore. Chi ama ha paura. Ha paura di perdere ciò che ama; ha paura di dispiacergli, di vederlo allontanarsi, o raffreddarsi a suo riguardo. Il timore misura l’amore che, a sua volta, è misura del timore. Essi si bilanciano reciprocamente e producono l’equilibrio armonioso dei nostri rapporti con la maestà infinita che è tenerezza senza limiti. Noi ci sentiamo piccoli e indegni davanti alla grandezza che si offre; noi dimentichiamo l’eccellenza delle perfezioni, che ci inabisserebbero per lo spavento, davanti alla tenera bontà che accarezza e apre le braccia; noi siamo preservati dalla noncuranza e dall’irriverenza grazie alla grandezza, e siamo fiduciosi e attratti grazie alla bontà. E la nostra preghiera trova, sotto la direzione dello Spirito Santo, quasi naturalmente il giusto centro tra il terrore e la presunzione.

L’irriverenza nella preghiera è infinitamente frequente. E’ essa a paralizzare la maggior parte delle anime; essa è la piaga dei rapporti tra Dio e i suoi figliuoli. L’idea di ” padre ” viene falsata. Un padre è diventato un ” compagno “, un amico, un confidente che si tratta da pari a pari. Un padre è tutt’altra cosa. Colui dal quale si riceve tutto, al quale non si dona se non ciò che egli stesso dona. Davanti a lui il figliuolo resta e deve restare colui che procede da Lui; il padre è il Principio, l’autore, senza il quale il figliuolo non è che nulla e non può nulla; questi non può agire che per lui, dipendendone in tutto e sempre, e dunque vivendo nei confronti del padre in una sottomissione totale e continua. L’amore non cambia nulla a tutto ciò. Colora di tenerezza confidente la sottomissione, ma non la sopprime né la diminuisce.

Oh, come gli angeli comprendono tutto ciò… e le anime veramente sante! Per loro, Dio resta Dio. Circondano il suo trono; una forza irresistibile li lega a Lui, li attira, li trattiene; li precipiterebbe, per inabissarvisi, nel focolare d’amore che è il suo Essere; strappa loro inni di lode, di adorazione ardente; ma la stessa forza li fa prostrare davanti a Lui, vela loro la faccia e dona a tutto il loro essere un fremito che non è mai di terrore e che resta sempre un sovrano rispetto.

Per il suo figliuolo della terra, Dio è per di più un giudice, un padre offeso. L’anima che prega non può dimenticarlo. Il divino Volto è Verità e Vita; essa se ne è distolta e gli ha preferito la menzogna e la morte. Dio l’ha ripresa con Sé; ha cancellato queste macchie, ma restano in essa delle tendenze e delle possibilità di ricaduta che le ricordano ciò che ha fatto e può ritornare a fare. La fisionomia divina ne reca l’impronta. Dei dolori vi appaiono impressi, prezzo delle colpe dell’anima e ricordo degli insegnamenti compiuti dall’Amore sui passi dei suoi traviamenti. L’amore ha dovuto farsi, per lei, Misericordia, cuore che si china verso la miseria per sollevarla. L’anima ha rifiutato quelle braccia che si aprono. Ma qualunque sia la forma con cui se Lo rappresenta, Egli resta sempre l’Essere più misconosciuto e più respinto che sia mai esistito. Quando si prega, bisogna essere dinanzi a Lui, al suo livello; bisogna comprendere questa sofferenza così come si scorge la sua grandezza, così come ci si rappresenta la sua tenerezza.

Bisogna anche tener presente che questa sofferenza, questa grandezza e questa tenerezza un giorno ci giudicheranno. Noi saremo posti sulla bilancia come contrappeso di esse, e se saremo più sotto del piatto che esse sollevano o se saremo trovati troppo leggeri, Dio ci dirà: ” Allontanatevi da me, andate altrove, andate con coloro che hanno rifiutato la mia compagnia “.

Il beato Stefano Maconi, e la fondazione della certosa di Pavia

Il beato Stefano Maconi, e la

fondazione della certosa di Pavia

Di Stefano Maconi, abbiamo già parlato in questo blog più volte, vogliamo oggi ricordarlo, nel giorno della sua celebrazione, come colui che intercesse per la costruzione della certosa di Pavia.

Subito dopo la morte di Santa Caterina da Siena, di cui Maconi era discepolo, egli volle esaudire il desiderio della patrona d’Italia che voleva per lui un futuro tra i monaci certosini. Maconi, convintosi, entrò il 19 maggio 1381nella certosa di Pontignano, a pochi chilometri da Siena, nel luogo che era già stato meta di visita e ritiro spirituale per Caterina. Il seguace della santa, distintosi per le sue qualità, dopo qualche anno, ricoprì l’incarico di Priore dal 1383 al 1389. La sua fama e le sue virtù attirarono l’attenzione di Gian Galeazzo Visconti duca di Milano, il quale nel 1389 esortò il trasferimento di Maconi, da Pontignano a Milano, dove divenne nel 1390 Priore della certosa di Garegnano. Gian Galeazzo, scrisse ai governanti della Repubblica senese nel cui territorio sorgevano Maggiano, Belriguardo e Pontignano dicendo che “Siena aveva più certose di qualunque altra città del Cristianesimo” esse erano floride e ben dirette, pertanto auspicava per Milano la stessa sorte. I rapporti tra Maconi e Gian Galeazzo furono eccellenti, si strinse difatti tra loro un forte legame, che portò il Priore certosino a diventare il consigliere personale di Caterina Visconti,  cugina e seconda moglie di Gian Galeazzo. Stefano diffuse nel Milanese la devozione alla Madonna delle Grazie, importata dall’Oriente nel 1378 e sostenuta da papa Urbano VI per impetrare l’aiuto della Vergine nella risoluzione dello scisma della Chiesa occidentale. Maconi sostenne Caterina, la quale non riuscendo ad avere figli, (una figlia era nata e morta nel giugno 1385), convincendola  di fare voto alla Madonna delle Grazie, e di mettere ad ogni eventuale figlio come secondo nome Maria. La Duchessa, seppur confortata dal certosino, continuava ad avere gravidanze a rischio, e l’8 gennaio 1390, all’approssimarsi di un nuovo parto, su suggerimento di Maconi fece voto di costruire una Certosa presso Pavia se fosse sopravvissuta: “Et giunto l’anno mille trecento novanta a punto, a otto di gennaio, Caterina mogliera di Giovan Galeazzo, Conte di Virtù, votandosi sotto forma di testamento ordinò che in una villa del Pavese, dove spesse volte andava, si dovesse fabricare un monasterio di Certosini con dodici monaci, et in caso di parto morendo, pregò il marito che volesse adempiere tali ordinationi raccomandandogli la sua famiglia specialmente i fratelli e le sue sorelle.” Il bambino morì, ma Caterina si salvò e mantenne il voto. Pertanto furono così iniziati i lavori per la costruzione della certosa di Pavia, la cui prima pietra fu posta il 27 agosto 1396, e fu  dedicata alla Madonna delle Grazie (Gratiarum Carthusia). Possiamo quindi affermare, che se Caterina, fu fundatrix et fautrix, il beato Maconi ne fu l’ispiratore, contribuendo alla realizzazione della meravigliosa certosa pavese ed istituendone la particolare devozione a Maria. La  forte personalità di Maconi gli permise, di diventare Priore Generale (1398-1410) in un periodo particolarmente lacerante per la Chiesa occidentale, egli si impegnò fortemente per eliminare le divisioni derivanti dal Grande Scisma d’Occidente. Dopo aver dato le dimissioni da Priore Generale (1410) egli ritornò alla sua amata Pontignano, e poi giunse a Pavia, ricoprendo l’incarico di Priore. Morirà il 7 agosto 1424, nella certosa di Pavia, come semplice monaco, poichè egli già da tre anni aveva smesso di ricoprire l’incarico di massima autorità della comunità monastica. È venerato come beato dall’ordine certosino, che lo commemora l’8 dicembre. In conclusione, va detto che  Santa Caterina aveva intuito con estrema lungimiranza le capacità di quel giovane senese, che le fu discepolo per tanti anni, esortandolo alla vita monastica certosina, e che risultò essere una figura fondamentale per lo sviluppo dell’ordine di san Bruno.


“La preghiera” di A. Guillerand VI° capitolo

La Preghiera

Dinanzi a Dio

di Dom Augustine Guillerand

CAPITOLO  VI

Le qualità della preghiera:
L’incendio d’amore

È abbastanza evidente che questa prima condizione è capitale; essa implica tutte le altre, e a poco a poco le realizza… se ancora non lo sono.

Dio è braciere d’amore; la preghiera ci avvicina a Lui; avvicinandovisi ci si infiamma. Il fuoco ardente comunica la sua forma. La preghiera ne dipende. L’anima si eleva sotto l’azione di questo fuoco che è soffio, spirito, che spiritualizza e trasporta. Essa si libera da tutto ciò che la rende pesante e attaccata alla pesante terra.

Il Salmista la paragona all’incenso (Cfr. Sal 140,2 Volg.). L’incenso ha un simbolismo universalmente conosciuto, eccezionalmente ricco. Ma da ogni sostanza penetrata dal fuoco, sotto forma di fiamma e di calore, si sprigiona un movimento che la fa uscire da se stessa e la ingrandisce, comunicandola a ciò che la circonda. Il movimento dell’anima che prega ha qualcosa di particolare. Esso la espande da se stessa in se stessa. Essa esce da se stessa senza abbandonarsi. L’anima va dal suo essere naturale al suo essere soprannaturale, da se stessa in se stessa, a se stessa in Dio.

Queste espressioni, a prima vista, sono misteriose. Il mistero non è in esse, ma nel nostro spirito che non è abituato a questa realtà. Esso deve abituarsi. La nostra anima è una dimora composta da parecchi appartamenti. Nel primo, essa è lì con il corpo: si tratta della regione della sensibilità. Essa vede quando l’occhio vede, sente quando l’orecchio sente, si muove con i muscoli, ricorda, immagina e misura le distanze quando noi ci diamo a tutte queste attività che sono il terreno della sua comune azione con il corpo. Nel secondo appartamento essa è sola e agisce da sola; il corpo è qui – vi è sempre – ma non agisce più, non prende alcuna parte in questa azione; solo l’anima pensa e ama; il corpo e i sensi preparano i materiali, gli elementi, le condizioni di questa attività spirituale, ma non intervengono per produrla. Questa camera è chiusa; l’anima vi è sola, vi vive da sola.

In questa camera spirituale vi è una parte ancora più remota: è il luogo dell’essere che si comunica e ci fa essere. La nostra abitudine di vivere rivolti verso l’esterno e il sensibile ci tiene distolti da essa. Non ne apriamo quasi mai la porta e non vi gettiamo che raramente uno sguardo. Quanti uomini muoiono senza neppure sospettarne l’esistenza!

Noi non siamo l’Essere che è e che dona a ogni essere d’essere. Noi riceviamo l’essere; noi ne riceviamo una certa parte che non dipende da noi. La riceviamo per un certo tempo, sotto certe forme… e inoltre noi non interveniamo in questa distribuzione.

Da dove ci viene esso? Dagli esseri che ci circondano, dall’aria che respiriamo, dal sole che ci illumina e ci riscalda, dagli alimenti che assimiliamo, da tutto ciò che entra in noi attraverso le porte dei sensi? Sì, senza dubbio, ma alla condizione che tutti questi esseri trovino in noi un essere al quale si uniscono e che li fa propri.

Questo essere presente in noi e grazie al quale tutto ciò che entra in noi diviene il nostro essere occupa l’appartamento interiore e profondo dell’anima. E’ da qui che esso si comunica all’anima e attraverso questa al corpo. E’ il centro essenziale dal quale tutto parte.

Gli uomini si chiedono dov’è Dio, che cosa è Dio: Egli, è là, ed è questo. Egli è nel fondo del loro essere, ed è il fondo del loro essere. E di là li fa essere. Essi non sono che grazie a Lui; e non sono se non ciò che Lui dona d’essere. Dio è al principio di ogni loro attività; e qualunque sia la loro volontà di continuarle, ne sono incapaci quando Lui non è più là. Ma bisogna riflettere per comprendere questo, e la riflessione, che è l’atto umano per eccellenza, ha ceduto il posto all’attività esteriore e al movimento locale, che ci sono comuni con le bestie e la materia.

L’anima che prega entra in questa camera superiore; si mette dinanzi a questo Essere che è causa del suo essere e che si dona; ed entra in comunione con Lui.

” Comunicare ” è avere qualcosa in comune ed è unirsi per mezzo di questo qualcosa che è comune ai due. Ci si tocca, ci si parla, ci si effonde l’uno nell’altro. Senza questo qualcosa si rimane a distanza, non si comunica.

Dio è Amore. Si entra in comunione con Lui se si ama, e nella misura con cui si ama. L’anima che ama e che l’amore ha introdotto nella dimora in cui risiede l’Amore stesso, può parlargli; la preghiera è questo colloquio. Dio non resiste all’amore che domanda: ” Egli fa la volontà di coloro che fanno la sua volontà “( Sal 144,19 Volg.), dice il Salmista. E’ all’amore che sono dovute queste comunicazioni divine che hanno strappato ai loro felici beneficiari tali esclamazioni stupefacenti: ” Signore, te ne supplico, arresta il flusso del tuo amore… non ne posso più “. L’anima sommersa e rapita cadeva sotto il peso delle grandi acque e domandava di poter respirare un istante per meglio accoglierlo in seguito. L’anacoreta del deserto doveva, quando pregava, vietarsi di stendere le braccia per non essere trasportato via. Santa Maria Egiziaca, san Francesco d’Assisi erano sollevati da terra e vi rimanevano sostenuti da una forza più forte della pesantezza dei loro corpi. Il corpo di santa Cristina si liquefaceva sotto l’azione del fuoco interiore che consumava la sua anima, e come un globo infiammato veniva trasportato nello spazio. Nel fondo della sua grotta solitaria, santa Maria Maddalena non era più che ardore d’amore, e ogni giorno s’innalzava sulla sommità che domina il Santo Balsamo, trasportata dagli angeli e condividendo le loro lodi e la loro agilità.