La Preghiera
Dinanzi a Dio
di Dom Augustine Guillerand
CAPITOLO XVII
Quando conviene pregare?
La preghiera si colloca in ogni momento del tempo; è il respiro dell’anima; bisogna pregare senza sosta così come si respira incessantemente.
Ma questo è il movimento profondo dell’anima di cui si ha appena coscienza. Prenderne coscienza il più possibile è un tesoro. Vivere nella coscienza attuale di questo movimento, di Colui che ne è il Principio e il Termine, è la grazia delle grazie; il cielo in terra.
Ma su questo movimento profondo, la cui continuità non è purtroppo percepita che da un piccolissimo numero di persone, debbono inserirsi delle preghiere speciali, più coscienti e più volute. Sono queste che noi chiamiamo più propriamente ” preghiere “, e che richiedono delle ore determinate. La determinazione per i preti e i religiosi è così precisa che queste preghiere si chiamano ” ore “, cioè delle preghiere legate a certe ore del giorno e della notte. Esse sono fissate in modo tale che il corso delle giornate ne viene impregnato. La loro recita rivolge verso Dio il nostro spirito fragile, che la distrazione distoglie incessantemente. Nel momento nel quale il pensiero potrebbe essere ripreso dal movimento superficiale delle cose, l’Ufficio arriva, lo strappa alla vanità che lo allettava e lo rituffa in Dio.
Il semplice cristiano non è sostenuto da questo vincolo preciso. La preghiera regolare, che riempie la giornata per canalizzarla verso Dio, non costituisce per lui il dovere, il lavoro quotidiano. Ma ciò che egli non è obbligato a fare per dovere, può farlo per amore, per un amore che è sostenuto da un interesse comprensibile. Ma anche per lui vi sono delle ore in cui è conveniente che si rivolga verso Dio e riprenda il divino contatto. ” Al mattino – diceva già tremila anni fa il Salmista – io mi metterò alla tua presenza e tu mi donerai di vederti” (Sal 5,45). E, circa nello stesso tempo, un’altra grande anima esclamava: ” Fin dal mattino mi sveglierò per cercarti” (Is 26,9), come se per essa non vi fosse più stato altro risveglio che quello, e come se il tempo in cui essa non era orientata verso Dio altro non fosse che notte e letargo. Ed ecco ancora quest’altra parola dell’Ecclesiastico, più distesa, meno nervosa, che si spande come una rugiada: ” Il giusto all’aurora eleva la sua anima al Signore affinché essa vigili davanti a Lui che l’ha fatta (e che la rifà incessantemente con le sue divine comunicazioni), e la sua preghiera sale fino alla presenza dell’Altissimo ” (Sir 39,5).
La notte rifà: è il senso stesso della parola ” riposo “. La notte dà riposo se si lascia completamente tutto ciò che è stato causa di agitazione durante il giorno: se infatti il sogno persegue ancora gli oggetti che ci attraggono durante la giornata, il sonno ci affatica anziché riposarci. La notte è come una creazione nuova; essa dà elasticità alle membra, agilità allo spirito, freschezza all’anima, rinnovamento a tutto l’essere. Perché, in definitiva? Poiché al posto di correre fuori di noi stessi, trascinati dal mondo esteriore col quale la luce del giorno ci mette in contatto, noi ci ripieghiamo verso l’Essere che ci comunica dal di dentro tutto ciò che noi siamo. Non ci si riposa che in Lui, poiché Egli è il Principio dal quale partono le nostre attività.
Ma queste ore di distensione sono delle ore d’incoscienza. Questo contatto profondo e riparatore con la Sorgente noi non lo viviamo. Si produce nella parte inferiore.
L’anima non lo percepisce. Essa lo vuole, lo realizza; ma non lo sente. Essa non presenta, in tali ore, a Colui che resta il suo tutto gli omaggi di tutto l’essere umano che essa informa. Vi è come un arresto nei nostri divini rapporti: poiché l’anima – bisogna riconoscerlo -, malgrado il primo posto che occupa, non basta per se stessa a costituirci.
Al mattino, quando il corpo si sveglia, quando l’anima riprende coscienza di questa vita umana completa che essa esercita nel corpo, quando ridiviene attraverso il corpo l’intermediaria e l’interprete del mondo creato, l’anima ha il bisogno di rinnovare il contatto con il Creatore. Ecco la ragione dei Salmi delle Lodi e degli inviti a tutta la terra perché riprenda l’inno interrotto: ” Testimoniate, cantate, lodate, benedite, uscite in grida di giubilo “, dice l’anima a tutti questi esseri che ritrova; tali esseri sono delle rappresentazioni di Colui che essa ama; e glielo esprimono; da tutti una voce si eleva: ” Noi siamo perché Egli è; noi siamo perché Egli ci dona di essere e siamo ciò che Egli ci dona di essere “. Tale voce, nella notte, aveva continuato il suo inno, l’anima aveva proseguito il suo canto, ma il corpo, che univa l’anima a questi esseri e le trasmetteva queste armonie, non adempiva più il suo ruolo di intermediario. Al primo risveglio, queste armonie bussano a grandi colpi calmi alla porta dei sensi; l’anima le intende di nuovo e il grande cantico – se l’uomo sta al suo posto – ricomincia. Quanti uomini stanno al loro posto, hanno coscienza del loro ruolo, l’eseguono con amore! Quanti, dopo essersi riposati, si alzano rifatti, si mettono in comunione con l’immensa fonte di energie che Dio offre loro! Energie fisiche di luce rinnovata e così ricca di risorse anche corporali; energie dell’aria rinfrescata, purificata; energie della vegetazione che l’ha rinnovata asportandone tutte le ” tossine ” che la respirazione animale aveva accumulato. Energie spirituali soprattutto! Il linguaggio della creazione è come ringiovanito, tutto si anima, sorride, parla, invita, domanda dei rapporti, vuol essere guardato, compreso, interpretato. Si produce, tra questo mondo rifatto e l’uomo riposato, un’armonia, un accordo perfetto che diviene una pienezza se lo si unisce alla Sorgente donde procede. La preghiera fa questa unione. Essa completa il riposo; prelude e prepara l’uomo al movimento del giorno. L’umanità si strugge di non essere più in grado di comprenderlo.
Rituffato così in questo grande Tutto, fatto da Colui che è, e da tutti gli esseri ai quali Egli si è comunicato, l’uomo può riprendere il suo lavoro. L’uomo non è solo per compierlo, poiché si appoggia a Colui che è, e attinge in Lui luce e forza. Al di là di ciò che fa, vede Colui per il quale e grazie al quale lo fa; si unisce a Lui. Ogni atto prende un andamento immenso, sorpassa la breve ora nella quale si compie e va ad iscriversi nella durata eterna. Un giorno non è più un giorno, ma una preparazione; è già quasi una partecipazione all’eternità.
Su queste altezze l’uomo può affrontare le difficoltà della vita passeggera; non è abbattuto dalla prova; non è spaventato dalla tentazione. Quando la prova e la tentazione si presentano, l’uomo rinnova con un volo d’anima, con un colpo d’ala rapido, la sua salita in Dio, il contatto con la Sorgente di vita, e vi fa fronte.
Ma per avere tali effetti, la preghiera deve essere veramente preghiera, elevazione, ascensione verso Dio, distacco dal creato, dall’umano. Bisogna liberarsi di ciò che sta in basso. La semplice recitazione meccanica non basta; la distrazione seguita volontariamente paralizza; le occupazioni ricercate sono un ostacolo. Non si fanno parti con Dio. Nulla Gli si dà se non Gli si dona tutta l’attenzione di cui si è capaci. Quanti lavori, quanti affanni, quante preoccupazioni vane alle quali diamo un’importanza eccessiva e da cui non sappiamo allontanare il pensiero nelle nostre preghiere! Noi crediamo di cercarvi unicamente il regno di Dio e la sua gloria… e ricerchiamo noi stessi. Tutte queste cose hanno per principio la natura e non lo Spirito Santo. E il demonio è lì per dirci la loro utilità estrema, ci eccita, ci aiuta, compie questo lavoro con noi, poiché tutte queste cose fanno allontanare l’unione divina e il dolce contatto del cuore.
Un Padre del deserto scava una roccia resistente; in ciò pone tutto il suo cuore e tutte le sue forze; a causa di ciò dimentica la preghiera, perde la pace dell’anima; tale lavoro lo assorbe, è tutto per lui. Un anziano lo guarda in questo accanimento appassionato; al suo fianco, e che scava con lui, l’anziano vede un demonio che lo eccita; delle fiamme si innalzano dalla sua figura agitata e nera, che sembrano passare nel povero frate travolto e, così, moltiplicare il suo ardore. Infine il povero frate si arresta, all’estremo delle forze; l’anziano gli si avvicina: ” Cosa stai facendo, mio caro fratello? “. ” Noi abbiamo lavorato duro contro questa roccia che è di una resistenza incredibile “. ” Noi abbiamo lavorato, dici. E disgraziatamente è proprio giusto; poiché tu non eri solo. Un altro era lì che scavava con te, senza essere da te visto “.
Per l’anima pacificata e libera, che custodisce il proprio cuore distaccato e lo rivolge verso Dio, ogni occupazione è preghiera. Per l’anima che si dà tutta ai suoi lavori e così dimentica Dio, la preghiera stessa è sterile e il tempo a essa dedicato è tempo perduto
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