Le “Spezierie” delle certose
Come abbiamo appreso in un recente articolo, sulle origini del liquore la “chartreuse”, i monaci certosini avevano fama di essere eccellenti conoscitori dell’arte galenica. Erano infatti, note a tutte le “spezierie” delle certose, veri e propri laboratori, concepiti inizialmente, per garantire assistenza terapeutica ai monaci, ma che ben presto divennero dispensari farmaceutici degli abitanti limitrofi ai monasteri, di pellegrini e poveri. Le “spezierie” conventuali, di fatto rappresenteranno, nel corso dei secoli, il più alto riferimento della scienza medica e farmacologia. In ogni certosa la “spezieria”, occupava uno spazio considerevole, fatto di diversi ambienti per le varie fasi di trasformazione delle erbe officinali. Queste ultime provenienti dall’attiguo Hortus Simplicium, o giardino dei semplici, ovvero il luogo ove essi coltivavano erbe e piante medicinali allo stato grezzo. «Semplici» erano i principi curativi, ottenuti direttamente dalla natura, mentre «Compositi» erano i farmaci ottenuti miscelando e trattando sostanze diverse. Il monaco speziale ed i suoi assistenti erbolai, dopo una accurata selezione e classificazione delle erbe, provvedevano ad effettuare su di esse vari trattamenti. Principalmente i processi derivanti dalla farmacopea classica, che prevedevano, la pulitura, la macerazione, la spremitura, l’essiccazione e la decozione. A queste, talvolta, facevano seguito delicate e complesse tecniche estrattive, derivanti dalla medicina araba, come la distillazione e la porfirizzazione. Grazie all’alchimia ed alla chimica, gli speziali lavoravano e studiavano alacremente tra alambicchi e mortai, bilance e fornelli per ottenere tinture, distillati, decotti, unguenti, tisane, cataplasmi sciroppi ed elisir. Una volta ottenuti i prodotti finiti il problema era assicurare ai medicamenti ottenuti un ottima conservazione. Fu all’uopo concepito, un “Armarium Pigmentariorum”, ovvero un armadio dove erano gelosamente custoditi sottochiave, i principi medicinali, compresi i veleni. Ogni singolo preparato veniva collocato al suo interno in appositi contenitori, vasi, ampolle ed i più specifici albarelli, artisticamente decorati. Grazie a questa laboriosità, i certosini, ma più in generale tutti i monaci che si dedicarono a questa attività, sono da considerarsi gli antesignani della Farmacopea moderna. Adesso voglio offrirvi una serie di immagini, provenienti da alcune delle più belle spezierie certosine, rimaste in un buono stato di conservazione, che ci testimoniano a distanza di secoli il fascino che quegli ambienti ancora riescono ad emanare.
Spezieria della certosa di Calci
Spezieria della certosa del Galluzzo, Firenze
Spezieria della certosa di Valdemossa, Maiorca
Giardino dei Semplici, certosa di Trisulti
Spezieria certosa di Trisulti
Albarello raffigurante San Bruno
Affresco nella Spezieria della certosa di San Martino, Napoli
“San Bruno intercede presso la vergine per l’umanità sofferente”
Paolo De Matteis 1702
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Carissimi,
occasione ghiotta per ricordare, oggi, il certosino don Antonio (Le Cocq oppure Le Coq), nato nel 1390 ad Avigliana, ai piedi del monte Pirchiriano, che regge la Sacra di san Michele (985), rimasto celebre nella storia legata alla Certosa di Pesio, nonostante che la sua lunga vita certosina (48 anni) sia iniziata alla Grande Chartreuse.
In particolare, si ricorda la leggenda della “Croce del Frate” e, soprattutto, il suo libro delle Profezie, presentato (in originale! perché non c’era tempo di farne una copia, tanto che andò perso nella battaglia di Fornovo…) anche a Carlo VIII, di passaggio in Italia, perché vi potesse contemplare i suoi destini.
Don Antonio morì nel 1458, proprio il 22 marzo, come oggi.
Il beato e dotto certosino ci assista con la forza dello Spirito nella nostra vita quotidiana!
[…] (Certosa di Calci) […]