Celebrando sant’Ugo di Lincoln
Oggi in occasione della ricorrenza della celebrazione di Ugo di Lincoln, ho scelto per voi un estratto della biografia scritta da Adamo Scoto, di cui vi parlerò in un prossimo articolo e tratta dalle “Letture della preghiera notturna dei certosini”.
Dalla “Vita di sant’Ugo di Lincoln”, scritta da Adamo il Certosino.
Sancti Hugonis Vita, I,6.9; II,3;IV,11;V,7.8.22 PL 153,951‑952.956. 959.966.1024.1043‑1045.1047‑1048.1088‑1089
Ugo d’Avallon faceva parte dei canonici di Villard‑Bonnot, nel Delfinato, dove era entrato giovanissimo. Per opinione generale egli aveva raggiunto una gran perfezione nell’esercizio delle virtù, ben superiore alla sua giovane età.
Ma Ugo pensava di non essere neppure all’inizio della santità, ossia della conversione.
Venne a conoscenza dei monaci certosini e ne concepì somma stima, struggendosi senza posa per il desiderio di modellare la propria esistenza su quella forma di vita.
Sulle prime tenne nascosto l’ardore di siffatta aspirazione e s’ingegnò di incontrare quei monaci e di guadagnarsene l’affetto.
Difatti ci riuscì e allora esplose in lui un tale amore per quella vocazione, da non poter più soffocare l’incendio scoppiatogli in cuore.
In preda a quella fiamma beata, sperimentava quanto avesse ragione quell’amante infelice nel dire: “Il fuoco coperto tanto più avvampa quanto più è nascosto”.
Nel contemplare la Certosa, Ugo era colto da ammirazione: gli pareva che quel luogo si elevasse più alto delle nubi, fino a toccare il cielo, lontano com’era dalle inquietudini terrene.
Ugo era affascinato dal quadro di vita offerto in Certosa per attendere a Dio solo: come ausilio potente a questa divina attività c’era una gran ricchezza di libri, abbinata a copiosa possibilità di lettura e all’indisturbata quiete per l’orazione. Ma più che la disposizione del monastero, attiravano i monaci: il loro corpo austero, la mente serena, il cuore libero, la letizia del volto e la purezza del dire.
La regola invitava i monaci alla solitudine, ma non all’eccentricità; le celle erano separate, i cuori uniti. Ognuno abitava da solo, senza possedere nulla in proprio e nulla facendo per spirito d’indipendenza. Pur restando in solitudine, tutti costituivano una comunità: vivendo da solitario, ogni monaco non inciampava negli svantaggi del contesto sociale, benché una certa vita comune gli garantisse il conforto dei fratelli.
Questi e altri aspetti piacevano a Ugo, ma soprattutto egli apprezzava il sicuro baluardo dell’obbedienza (senza di cui molti eremiti sono lasciati a se stessi, esposti a eccessivi pericoli); perciò quella vita lo seduceva, anzi lo estasiava.
Vi erano in Certosa, allora come sempre, uomini egregi, sia padri sia fratelli, testimoni forti e veri del vangelo, giustamente stimati dai principi e dai prelati della Chiesa. Difficilmente si sarebbe potuto stabilire fra loro una graduatoria del fervore o dei meriti. L’ascesi corporale era rigorosa, ma non minore la discrezione; ognuno si teneva nel giusto mezzo, mai pago di uno sforzo inferiore alle sue possibilità, ma nemmeno andando oltre le proprie forze.
Negli Atti pontificali per la canonizzazione di sant’Ugo leggiamo: ”L’ordine certosino spicca sugli altri, perché ha imposto una misura alle voglie disordinate.”
Fin dai primi mesi Ugo progredì a grandi passi. La sua bella intelligenza si trovò favorita dall’agio che la cella offre per le attività dello spirito e stimolata dall’aiuto costante e fraterno della comunità. Cosi crebbe in lui l’amore di imparare dai libri e dai maestri. Giorno e notte attendeva con gioia agli studi e solo la brevità del tempo gli era un ostacolo. L’arco di un’intera giornata non gli bastava per applicarsi quanto avrebbe voluto a leggere, a meditare, a pregare.
Ugo trascorse cosi circa dieci anni entro la quiete del suo nido, nella totale amputazione dal mondo. Aveva messo ali vigorose ed era pronto per spiccare il volo.
Il priore lo nominò allora procuratore della casa, sebbene Ugo avesse tentato il possibile per esimersi da quella carica. Egli governò con maestria la famiglia che gli era stata affidata, formando con cura i fratelli. Aveva preso come massima un detto di sant’Onorato di Arles che amava citare spesso: “Sempre dovrai scuotere dal torpore gli indolenti e riportare alla quiete i troppo zelanti”.
Il Signore benedisse la casa, che prospero in ogni abbondanza di beni. Chi veniva da Ugo per affari temporali ripartiva infiammato per i beni eterni, e chi giungeva libero da preoccupazioni materiali, riceveva dal nostro Procuratore consigli cosi validi da meritare l’ammirazione dei sapienti del mondo.
Un bel giorno arrivarono dei messi del Re d’Inghilterra per condurre Ugo a Witham, a fondarvi la prima Certosa del regno. Davanti alla preghiere e alle insistenti ragioni degli inviati regi, la comunità vinta si arrese.
Spinto ad acconsentire, Ugo ricorse all’unica possibilità: rimettere al priore la decisione. Sapeva bene che molto a stento il superiore avrebbe imposto un tale ordine, poiché lo amava come la pupilla dei suoi occhi e per nessun motivo avrebbe voluto allontanarlo da se.
Al dire di chi fu presente, il priore, sotto il fuoco dei moniti del vescovo di Grenoble e delle preghiere accorate di tutti, avrebbe risposto: “Dio m’è testimone: non uscirà mai dalla mia bocca il comando che Ugo abbandoni la mia vecchiaia e immerga nel lutto la Certosa, privandola della sua presenza necessaria e amatissima”.
Ma tutti incalzarono talmente che alla fine il priore non ebbe più via di scampo. Si rivolse al vescovo, dicendogli: “Confermo quello che ho detto. La mia parola o la mia volontà non potranno mai allontanare Ugo da me. Veditela tu: sei il nostro vescovo, il nostro padre e il nostro fratello. Se gli ingiungi l’ordine di partire, non opporrò resistenza”.
Alcuni anni più tardi, Ugo divenne vescovo di Lincoln. Quando, dopo un lungo viaggio, poteva ritornare al suo amato deserto della certosa di Witham, appena entrava inquella regione tanto solitaria, si trasfigurava. Il suo volto acquistava un insolito roseo colorito, al punto da accordarsi con la tinta purpurea delle sue vesti episcopali. Come molte volte confessò agli amici, appena scorgeva all’orizzonte la Certosa, si sentiva pervadere nell’intimo da un ineffabile gaudio spirituale.
Finché poteva trattenersi a Witham, riceveva dal Signore la grazia di un rinnovamento profondo di tutto l’essere. Si notava in lui una repentina trasformazione, interna ed esterna, come aquila che rinnova la sua giovinezza.
Svestiva allora il pallio che soleva indossare in pubblico, fatto di panno violaceo, foderato di candida pelliccia d’agnello, e indossava una tunica e una pelle di montone, priva di lana; sulla carne portava il cilicio. L’arredo del letto consisteva in un panno grossolano, un guanciale e delle pelli di montone.
Nell’assemblea generale di Oxford, sant’Ugo osò energicamente rifiutare gli aiuti bellici richiesti dal re Riccardo. “lo non ignoro egli disse che il vescovo di Lincoln è tenuto a fornire al suo re e signore un contingente di uomini armati, ma soltanto sul nostro territorio; fuori dell’Inghilterra tu non puoi chiedermi nulla”.
Il re, ottenendo sempre lo stesso diniego dopo rinnovate ambascerie, fu colto da ira violenta e ordinò l’immediata confisca di tutti i beni del vescovo renitente. Ma non si trovò chi avesse il coraggio di eseguire il mandato; temevano tutti di offendere il vescovo e d’incorrere nella scomunica, che li atterriva peggio del supplizio capitale.
Sant’Ugo si presentò allora al re e in brevi perentorie parole difese la sua causa: di fronte alla collera ingiustificata di Riccardo, addusse evidenti ragioni in ordine alla propria ineccepibile condotta. Al re non rimase possibilità di replica; anzi elogio pubblicamente davanti alla corte la forza d’animo dell’uomo di Dio con queste parole: “Se tutti i vescovi fossero come Ugo di Lincoln nessun principe o re oserebbe alzare la testa contro di loro”.
Mentre era in viaggio per le Gallie il vescovo di Lincoln si recò a visitare quattro Case del suo Ordine: la Gran Certosa, Arvières, Lugny e Val San Pietro. Arvières, situata fra i monti, era di accesso difficile e piuttosto staccata dall’itinerario dell’uomo di Dio. Ma Ugo vi si recò per un motivo speciale.
Colui (Artoldo) che un tempo era stato vescovo di Belley e priore di quella casa, aveva ormai abbandonato l’onere della cura pastorale, ed era ritornato semplice monaco in cella, per dedicarsi con maggiore libertà a desideri di cielo.
Da molto bramava rivedere il vescovo di Lincoln, per trovare conforto dalle sue parole e dalla sua presenza e glielo aveva fatto sapere più volte. Infatti quel santo monaco, di età avanzata e al tramonto dei giorni mortali, sospirava il giorno che non ha fine. Analoghe aspirazioni portava in cuore il nostro Vescovo, benché non analoga fosse l’età. Le realtà effimere,che fin da giovanissimo Ugo aveva sdegnato, ora gli erano quasi insopportabili. Eccoli entrambi intrattenersi finalmente nell’auspicato colloquio. Si svelano entrambi i sentimenti più intimi e alla luce della santità dell’altro, ciascuno riesce a cogliere meglio il fondo del proprio cuore.
Preghiera
Signore nostro Dio,
in Ugo di Lincoln, monaco e vescovo vediamo riflesso il tuo amore e la tua compassione per gli uomini, specie i più disagiati e colpiti da mali; egli è stato uno splendido monaco e un grande vescovo. Dona anche a noi un cuore di carità e compassione, così saremo come lui, fedeli tuoi amici. Per Cristo, nostro Signore.
Amen.
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Um abraço em cristo,
Ave Maria,
Jose