Un pranzo frugalissimo

5 ottobre 1984
Dopo aver ricevuto una richiesta esplicita di una amica lettrice del blog, sono riuscito ad esaudire la sua richiesta circa il pranzo a cui volle partecipare S.S. Giovanni Paolo II recatosi in visita alla certosa di Serra san Bruno. Grazie al contributo di alcuni testimoni di quell’evento si è potuto ricostruire quanto accadde trenta anni fa. Venerdi 5 ottobre 1984. il Pontefice, dopo essere stato accolto dalla comunità monastica certosina, al momento del pranzo fu fatto accomodare nel Refettorio. Per l’occasione, ritenuta un giorno di festa, la comunità mangiò assieme, seguendo la prassi comune della regola. Ma seguiamo ora la preziosa testimonianza: Tra i presenti, invitato dal Padre Priore quale parroco di Spinetto, nel cui territorio è Santa Maria, è don Vincenzo Regio, protagonista di un piccolo episodio quanto mai edificante. A lui dobbiamo il resoconto di quel che è avvenuto nella Certosa.
“Usciti dalla Chiesa s’è udito il Papa mormorare: “Quanto vorrei ritornare in questo luogo!” Dalla Chiesa al refettorio. Dice Don Regio: “La mensa era preparata: per i padri e i fratelli, come al solito, nei giorni festivi: non piatti, ma i bricchi d’alluminio; per gli ospiti invece i piatti. All’inizio del pranzo, il lettore Dom Elia Catellani accennava a leggere come al solito, dall’ambone del refettorio, ma il Papa batté con la posata sulla bottiglia e disse: “Vediamo se questi monaci hanno perduto l’uso della parola”. Allora Dom Elia scese dal pulpito, e si sedette a tavola unendosi ai confratelli, nell’unica volta in 50 anni di vita monastica in cui fu dispensato dal silenzio. Si poteva dunque parlare, ma s’è notato che i padri e i fratelli, non abituati a tanto, non osavano scambiarsi tra loro e con noi ospiti molte parole. Il pranzo è servito da due fratelli.
Un menù frugalissimo:
- un antipasto a base di pesce,
- funghetti, spicchi di uova sode e sottaceti;
- per primo piatto una minestrina, (“..buona ma un pò piccante!”esclamò Woytila)
- per secondo pesce (offerto dai pescatori di Vibo Marina)
- infine formaggio certosino,
- un pezzetto di dolce (crostata fatta in certosa)
- frutta e vino.
Un particolare momento viene ricordato dal priore Dom Anquez, il quale a questo punto della lieta giornata si venne a trovare in forte disagio, come colto in fallo, per un imprevisto di scarso valore, ma che in quel momento sembrò avere il peso di un macigno: aveva notato il Papa stare come in attesa di qualcosa, consultava con rapide occhiate l’orologio, poi finalmente, con un sorrisetto di divertimento, esprimere il desiderio di avere una cosa che tardava ad arrivare sull’orario previsto per la partenza, e che addirittura non sarebbe arrivato per niente: “Qualcuno mi farebbe la carità di portarmi una tazzina di caffè?“. Oh, Madonna! E adesso, che si fa, visto che della bevanda, deliziosa specie dopo il pranzo, in Certosa non si fa uso? Negarla anche all’illustre ospite? Un inserviente venne gentilmente inviato con tutta urgenza a chiedere alla famiglia abitante a un centinaio di metri di là della strada l’occorrente e Papa Giovanni Paolo II, senza nemmeno sospettare il dramma che aveva provocato con l’innocente richiesta, pochi minuti dopo ebbe la sospirata tazzina ‘e caffè. Il pranzo è durato 40 minuti.
“Don Vincenzino” – gli chiediamo- qual è stato per voi il momento bello ed esaltante?”
“Che cosa io personalmente ho provato in questa esperienza non è facile comunicarlo. Mi sembrava di sognare! Vicino a me il Papa! Quando ho avuto modo di rivolgermi a lui e gli ho detto: “Santità, siamo coetanei e siamo stati ordinati nel medesimo anno, 1946″ egli mi ha guardato negli occhi e poi mi ha baciato in fronte. Quanta gioia! Che stupenda esperienza!”
Alle ore 15,30 il portone della Certosa si riapre: la papamobile “Land-Rover” bianca riporta Papa Giovanni Paolo II al campo sportivo fra due ali di folla osannanti. Dieci minuti dopo sul cielo di Serra San Bruno volteggiava l’elicottero che subito si rivolge verso il, Nord, dov’è Paola, terza tappa del viaggio pastorale pontificio in Calabria.
La grande giornata del popolo serrese è conclusa, ma nel chiuso della propria anima resta in ognuno la riflessione e la valutazione del significato di questa visita sia sul piano personale che su quello più generale, che investe la Calabria tutta.
A noi pare che una frase del Pontefice pronunciata a Serra San Bruno possa essere fatta propria non solo dalla Chiesa, ma anche e soprattutto dalla classe politica: “Non avrei dovuto far passare tanto tempo per venire in Calabria!” il che equivale ad un invito a svegliarsi del torpore, a passare dal dolce, passivo ozio all’azione fattiva e costruttrice,sia sul piano dello spirito che sul piano della realtà sociale così drammaticamente triste.
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