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La vita interiore di F. Pollien Parte I

LA VITA INTERIORE

semplificata e ricondotta al suo fondamento

Dom François Pollien

copertina libro

CAPITOLO II

IL MIO FINE

  1. Dio mi ha creato. – 31. Per la sua gloria. – 32. Questo è tutto l’uomo. – 33. Sulla terra. – 34. Nel cielo. – 35. Per la mia felicità. – 36. Unione dei due fini.

 

  1. Dio mi ha creato. – Tutto viene da Dio; io ven­go dunque da lui. Ci ha fatti lui, non ci siamo fatti da noi. Le sue mani mi hanno fatto e plasmato tutto quan­to (Gb 10, 8). Per la formazione del primo uomo Dio disse: « Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. Dio creò l’uomo a sua immagine » (Gn 1, 26-27). « Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vi­vente » (Gn 2, 7).

Capolavoro della creazione visibile, immagine di Dio, l’uomo è l’ultimo e supremo anello degli esseri terrestri, in lui termina l’opera creatrice. Possedendo un corpo materiale ed un’anima spirituale, egli partecipa del mon­do visibile e di quello invisibile. Portando nel suo cor­po la somiglianza degli esseri inferiori e nella sua ani­ma la somiglianza stessa di Dio, egli è posto tra la crea­tura e Dio come anello di congiunzione fra la materia e lo spirito, come legame fra la terra e il cielo.

 

  1. Per la sua gloria. – Perché Dio mi ha creato? Tutto è fatto per Dio; dunque anch’io sono fatto per lui, unicamente per lui. Egli solo è il mio fine ultimo e supremo. Io non ho altra ragione di essere all’infuori della sua gloria. Per lui io vivo; per lui muoio; per lui vivrò nei secoli eterni. Né la vita né la morte né l’eter­nità sono principalmente in vista di me. Non è per me che vivo, non è per me che muoio, poiché, infatti, « nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore » (Rm 14, 7-8).

Tutti coloro che invocano il mio nome, dice il Si­gnore, li ho creati, li ho formati e li ho fatti per la mia gloria (cf. Is 43, 7).

 

  1. Questo è tutto l’uomo. – La gloria di Dio, scopo della mia vita, è il mio tutto, è tutto me stesso, poiché se io non la procuro, non ho più ragione di essere, non servo a niente, sono niente. « Conclusione del discorso, dopo che si è ascoltato ogni cosa: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l’uomo è tutto » (Qo 12, 13). Tutto l’uomo è qui. « Come esprimere più brevemente una verità così salutare? – dice san­t’Agostino. – Temi Dio ed osserva i suoi comandamen­ti; questo è tutto l’uomo. Ogni uomo, infatti, chiunque sia, è il custode dei comandamenti di Dio; se non è que­sto, è nulla. Non si può infatti pervenire all’immagine della verità finché si rimane nella somiglianza della va­nità ».

Questo è tutto l’uomo sulla terra e in cielo; è tutta la sua vita mortale, tutta la sua vita eterna, poiché egli ha questa duplice destinazione, del tempo e dell’eter­nità, o meglio, quest’unica vita composta di due periodi, essendo il tempo una preparazione all’eternità. Sono fatto per vivere un po’ di tempo su questa terra, e cre­scervi, per vivere poi in eterno nella celeste dimora, possedendo, nell’immutabilità della sua pienezza, la grandezza che mi sarò procurata.

 

  1. Sulla terra. – Perché dunque debbo crescere sul­la terra? Per Dio e per la sua gloria. Le forze e le ri­sorse che ho ricevuto, i mezzi e gli aiuti che mi sono stati concessi, tutto è stato fatto in vista di questo ter­mine, superiore, assoluto, infinito: la glorificazione del­la Suprema Maestà. La mia anima e il mio corpo, la mia mente, il mio cuore e i miei sensi, i miei giorni e le mie notti, la mia attività e il mio riposo, la mia vita e la mia morte, tutto deve lodare Dio. Questo è tutto l’uomo, il compendio della sua vita, la pienezza della sua esisten­za. In seguito, vedrò meglio la portata immensa ed il profondo significato di questa espressione: questo è tutto l’uomo. In forza di questo, l’uomo è qualche cosa; in forza di questo, egli è. Fuori di lì, è niente. Per questo, egli si completa, la sua vita si perfeziona; senza di que­sto, egli si vuota e la sua vita si perde.

 

  1. Nel cielo. – Questo è tutto l’uomo nel cielo. In­fatti, che cosa fanno i santi negli splendori della glo­ria? Una cosa sola, la stessa che hanno iniziato nella loro vita terrena: lodare Dio. Il cielo risuona del canto delle lodi sacre che riempie tutto. Questo canto è suf­ficiente agli angeli e agli uomini; da solo riempie l’eter­nità. Nell’unità del Corpo di Gesù Cristo, gli eletti sono uniti per esaltare, in un concerto eterno, il nome della Trinità tre volte Santa. Ciascuno, in questo concerto universale, ha la sua parte, secondo le qualità della sua vita e della sua vocazione; ciascuno ha il suo posto se­gnato nel gran Corpo. E tutti insieme, armonicamente ordinati, corrispondendosi in una meravigliosa intesa, che è l’eterna comunione dei santi, riassumono la loro vita nell’inno supremo che rallegra il cuore di Dio. Ecco la vita eterna. Oh! come allora l’espressione del testo sacro avrà la sua pienezza: Questo è tutto l’uomo!

 

  1. Per la mia felicità. – Creandomi per sé, Dio mi ha manifestato l’amore essenziale che egli ha verso se stesso. « Dio è amore » (1Gv 4, 8) e ha creato per amo­re, prima di tutto verso se stesso; per questo ha fatto tutto per la sua gloria. Ma egli ha pure creato queste cose per mio amore, per la mia felicità. Qui si rivela, nel suo disegno, un nuovo aspetto del mio destino, poiché la mia felicità è, con la gloria divina, parte integrante del piano della mia creazione. Non sono chiamato sol­tanto a dedicarmi all’Amore Eterno, glorificandolo. Egli vuole anche darsi a me beatificandomi: rientra nell’or­dine del mio fine. Tutto in me aspira alla felicità; tutto in me desidera, reclama la felicità; è un bisogno irresi­stibile della mia natura. Volente o nolente, deliberata­mente o per istinto cerco sempre la mia felicità, avendo Dio così disposto il mio essere. Felicità in questo mon­do e nell’eternità. Questa aspirazione è cosí profonda che solo l’infinito può appagarla. Sensi, anima, cuore, men­te, tutto in me è creato per l’infinito. Dio ha voluto che, già in questo mondo, io trovassi molte soddisfazioni nell’avanzamento della mia vita verso di lui e nell’acqui­sto di quell’essere che costituisce la mia esistenza temporale; ed ha anche voluto che nell’eternità io trovassi quel godimento unico, infinito, quell’ultimo completo riposo del mio essere, che si chiama beatitudine. Felicità in questo mondo e felicità nell’altro; anche questo è il mio fine.

 

  1. Unione dei due fini. – Sono dunque due i fini assegnati alla mia esistenza? Sì e no. Si, perché vi è nella mia vita la parte di Dio e la parte mia, i diritti della sua gloria e la parte di felicità che mi spetta. No, perché questi due fini, secondo l’idea di Dio, non si debbono mai separare.

Dio si compiacque unire la mia vita alla sua, il mio essere al suo, la mia felicità alla sua gloria, e la mia con­dotta gli sarà grata soltanto se saprò non disgiungere ciò che lui ha unito. Egli desidera glorificarsi in me e beatificarmi in lui. Ciò che egli ha fatto dal principio e continua ad operare ad ogni istante, mira sempre a con­durmi verso questo termine supremo, in cui sarò consu­mato del tutto nell’unità in lui (cf. Gv 17, 23). Dovrò dunque, da parte mia, studiare le condizioni di questo vincolo e i mezzi per condurlo alla sua perfezione. Ora, secondo quanto ho già trattato (n. 12), vi è una prima condizione fondamentale di questa unità, e cioè la su­bordinazione dell’uomo a Dio; ad essa soprattutto si fermeranno le mie riflessioni.

 

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