La “cella di rigore”

Portone accesso cella di rigore (Villeneuve les Avignon)
L’argomento di cui voglio parlarvi in questo articolo di oggi, lo avevo già trattato nel sito alcuni anni orsono. Vi parlerò della cosiddetta cella di rigore. Trattasi di un tema alquanto controverso, poiché non supportato da documenti che ne spieghino l’esatto funzionamento e le eventuali prescrizioni che lo regolavano.
Nella certosa francese di Villeneuve-les-Avignon, ed in quella di Scala Coeli ,ad Evora, in Portogallo vi sono rare tracce, testimonianza di quegli ambienti tipici delle fondazioni del Medio Evo destinati a celle di rigore o prigione. Di questa cella particolare, si sa, che era contraddistinta dagli spazi molto ridotti, circa 12 m² e costituita da un tavolo un camino ed un letto, inoltre su di una parete vi era un lucernario, che consentiva al penitente di poter osservare un altare posto in una stanza prospiciente, per poter seguire l’ufficio. Subivano l’onta di questo luogo, tutti quei religiosi che si concedevano qualche sbavatura alla severa regola certosina. Un sistema adoperato dal Priore per raddrizzare quei giovani monaci forti nella vocazione ma deboli nell’assimilare la disciplina.
Come sempre auspico, sarebbe interessante una interazione con chiunque abbia altre informazioni su questo argomento. Vi invito ad inviarmi ulteriori notizie per corroborare questo scarno articolo.

Cancello ingresso cella di rigore (Scala Coeli) foto di Paulo Falcao Tavares

Grata recinzione (Scala Coeli) foto di Paulo Falcao Tavares
La certezza della reale esistenza di questa cella di rigore è testimoniata anche da una lettera che santa Caterina da Siena, amica dei certosini, scrisse ad un monaco recluso in una di essa,in una imprecisata certosa. Vi allego il testo:
Ad un Monaco della Certosa essendo in carcere
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
A voi, dilettissimo e carissimo fratello in Cristo Gesù, io Catarina, serva e schiava de’ servi di Dio, scrivo, e confortovi nel prezioso sangue del Figliuolo suo; con desiderio di vedere il cuore e l’anima vostra unito e trasformato nel consumato amore del Figliuolo di Dio. Perocchè senza questo vero amore non possiamo avere la vita della Grazia, nè portare i pesi con buona e perfetta pazienzia. E questa vera carità non veggo, carissimo fratello, che possiamo avere, se l’anima non ragguarda lo inestimabile amore che Dio ha avuto a lui; e singolarmente vederlo svenato in sul legno della santissima croce, dove solo l’amore l’ha tenuto confitto e chiavellato.
Dicovi, carissimo fratello, che non sarà veruna amaritudine che non diventi dolce, nè si gran peso che non diventi leggiero. Ho inteso la molta fadiga e tribulazioni, le quali voi avete; cioè reputiamo noi, che siano tribulazìoni, ma se noi apriremo l’occhio del cognoscimento di noi medesimi, e della bontà di Dio, ci paranno grandi consolazioni. Del cognoscimento di noi, dico; cioè, che noi vediamo, noi non essere; e come siamo sempre stati operatori d’ogni peccato e iniquità. Perocchè quando l’anima ragguarda sè avere offeso il suo Creatore, sommo ed eterno bene, cresce in uno odio di sè medesima, intanto che ne vuole fare vendetta e giustizia; ed è contenta di sostenere ogni pena e fadiga per satisfare all’offesa che ha fatta al suo Creatore. Onde, grandissima grazia reputa che Dio gli abbia fatta, che egli il punisca in questa vita, e non abbia riservato a punire nell’altra, dove sono pene infinite. O carissimo fratello in Cristo Gesù, se noi consideriamo la grande utilità a sostenere pene in questa vita, mentre che siamo peregrini, che sempre corriamo verso il termine della morte, non le fuggiremo. Egli ora ne segue molti beni dallo stare tribolato. L’uno si è, che si conforma con Cristo crocifisso nelle pene e obbrobri suoi. Or che può avere maggiore tesoro l’anima che essere vestita dagli obbrobri e pene sue? L’altro si è, che egli punisce l’anima sua, scontando i peccati e i difetti suoi, fa crescere la grazia, e porta il tesoro nella vita durabile, per le sue fadighe, che Dio gli dà, volendola remunerare delle pene e fadighe sue.
Non temete, carissimo fratello mio, perchè vedeste o vediate che il dimonio, per impedire la pace e la pazienzia del cuore e dell’anima vostra, mandi tedi e tenebre nell’anima vostra, mettendovi le molte cogitazioni e pensieri. Ed eziandio parrà che ‘l corpo vostro voglia essere ribello allo spirito. Alcuna volta, ancora, lo spirito della bestemmia vorrà contaminare il cuore in altre diverse battaglie; non perchè creda che l’anima caggia in quelle tentazioni e battaglie, perocchè già sa che egli ha deliberato d’eleggere la morte innanzi che offendere Dio mortalmente con la volontà sua; ma fàllo per farlo venire a tanta tristizia, parendogli offendere colà dove non offende che lasserà ogni esercizio. Ma non voglio che facciate cosi; perocchè non debba l’anima mai venire a tristizia per neuna battaglia che abbia, nè lassare mai veruno esercizio, o officio, o altra cosa. E se non dovesse fare altro, almeno stare dinanzi alla croce, e dire: Gesù, Gesù! Io mi confido in domino nostro Jesu Christo. Sapete bene: perchè vengano le cogitazioni, e la volontà non consente, anco vorrebbe innanzi morire, non è peccato: ma solo la volontà è quella cosa che offende.
Adunque vi confortate nella santa e buona volontà, e non curate le cogitazioni: e pensate, che la bontà di Dio permette alle dimonia che molestino l’anima vostra per farci umiliare e ricognoscere la sua bontà, e ricorrere dentro a lui nelle dolcissime piaghe sue, come il fanciullo ricorre alla madre. Perocchè noi benignamente saremo ricevuti dalla dolce madre della Carità. Pensate che egli non vuole la morte del peccatore; ma vuole che si converta e viva. é tanto smisurato amore, che ‘l muove a dare le tribolazioni, e permettere le tentazioni quanto le consolazioni; perocchè la sua volontà non vuole altro che la nostra santificazione. E per darci la nostra santificazione, diè sè medesimo a tanta pena, e all’obbrobriosa morte della santissima croce. Permanete dunque nelle piaghe dolci di Gesù Cristo, e nella santa dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.
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Riguardo alla cella di rigore, ricordo che nella certosa di Calci ne esiste una, la visitai, accompagnato da uno degli ultimi monaci residenti in quella casa, all’inizio degli anni settanta. Rimasi molto colpito dell’esistenza di tale “carcere”. L’ingresso sembrava quello di una comune cella come tutte le altre nel chiostro grande. Si salì una scala e arrivammo al primo piano, c’era una piccola stanza con una finestra dalla quale si vedeva solo il cielo, affianco un’ altra stanza, quasi un corridoio, che per mezzo di una finestrella comunicava con la cella, alla parte una croce o, non ricordo bene, un piccolo altare.Mi fu detto che li veniva celebrata la Messa per il recluso. Tutto era disadorno e abbandonato. Chiesi se recentemente fosse stata “abitata”, il monaco mi rispose che l’ultimo ospite risaliva alla metà del milleottocento e la colpa per meritarsi tale trattamento era quella di aver mangiato carne durante un viaggio.
Grazie caro Giulio del tuo contributo, davvero utile.
Volevo sapere, se la reclusione in questa cella di rigore, era per sempre o per un breve periodo da scontare!!
Grazie Daniela
Cara Daniela, grazie per aver posto il quesito. La singolare “detenzione” era uno strumento non propriamente coercitivo, ma educativo, correttivo e pertanto era di breve durata. Probabilmente a discrezione del Priore!
Intéressant à connaître. En tant qu’ancien moine trappiste, je sais que nous avions également des pénitences publiques à faire à la salle du chapitre pour des manquements graves à la Règle. Je sais également que nous avions une chambre à l’infirmerie avec barreaux à la fenêtre mais c’était pour des moines malades atteints d’Alzheimer. Comment les Chartreux s’occupaient-ils de leurs propres malades ainsi atteints …?? Les pères infirmiers pourraient seuls répondre à cette question.