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La vita interiore di F. Pollien Capitolo VI

La vita interiore di F. Pollien Capitolo VI

LA VITA INTERIORE

semplificata e ricondotta al suo fondamento

Dom François Pollien

copertina libro

CAPITOLO VI

L’USO DELLE CREATURE

  1. Le creature. – 54. L’uso. – 55. Gli strumenti. – 56. Modo di servirsene. – 57. Per Dio. – 58. Per me. – 59. Quaggiù e lassù.

  1. Le creature. – Ho considerato, nelle loro nozioni, prime e fondamentali, le mie relazioni con Dio: la sua gloria come fine essenziale; la mia felicità in lui, come fine annesso al primo; la subordinazione dell’una all’altra e le conseguenze che ne derivano. Bisogna ora che veda, nei loro princìpi generali, i miei rapporti essenziali con gli esseri creati.

L’esistenza che Dio mi ha data, non posso conservarla da me stesso. Venuto dal nulla, vi ricado per il mio proprio peso; Dio solo ha la vita in se stesso (cf. 1Tm 6, 16; Gv 5, 26). Io non ho la vita in me stesso. Né il mio corpo, né la mia anima trovano in se stessi i mezzi della loro sussistenza, ma devono cercarli fuori di essi e chiederli alle altre creature messe per questo a mio servizio. Che cosa sono dunque per me le creature? qual è l’uso che di esse debbo fare? Specifichiamo meglio il significato di queste parole.

Per creature o creato, termini che verranno usati indistintamente, bisogna intendere non soltanto gli esseri creati da Dio nel mondo spirituale e corporeo, con le loro qualità, potenze e ordinamento, ma anche tutto ciò che è prodotto da questi esseri nei loro movimenti, azioni e reazioni, ossia tutto ciò che, fuori di Dio, riguarda l’essere e le sue operazioni; per conseguenza, ogni cosa naturale e soprannaturale nella sua essenza e nella sua azione. Cielo e terra, angeli e uomini, chiesa e società, grazie e sacramenti, animali e piante, ecc. ecc., attività e forza degli esseri, avvenimenti cosmici, umani e divini, tutto, senza eccezione è espresso da queste parole generiche: creature, creato, che, qui, non saranno mai ristretti al significato usuale, secondo il quale esse designano solo gli esseri materiali. Ciò è assai importante da ritenersi.

 

  1. L’uso. – Ora, che cosa si intende per uso? Essendo i termini creature, creato, universali, bisogna che io dia al termine uso un significato altrettanto esteso. Volendo infatti definire la vita, le sue relazioni e i suoi doveri, mediante i principi più generali, ho bisogno di trovare una legge che, al disopra di tutte le regole speciali, che domina e illustra, mi dica il loro perché, il loro valore, il loro senso, e mi risparmi di discendere a molteplici e dettagliate spiegazioni. Se esiste veramente una legge universale, assoluta, uniforme, costante; una legge che, quale principio primo, formuli per la vita e per tutto ciò che la riguarda, l’ufficio di quella in rapporto a questo e di questo in rapporto a quella; una legge che, come il sole, rischiari ogni situazione e ogni relazione; se essa esiste, perché privarmi della sua luce? Questa legge esiste veramente; un solo principio basta a tutto, e a questo principio basterà mettere come titolo: l’uso del creato.

Che cos’è dunque l’uso? È mettere a profitto della vita e del suo fine tutto ciò che viene o può venire a contatto con esso. Una volta stabilita la regola unica di questo uso, non sono più costretto a perdermi in tanti piccoli sentieri, per determinare minutamente in quale maniera devo usarne con gli uomini, le cose, gli avvenimenti, la grazia, ecc. Il principio superiore non sopprimerà certo le regole inferiori, ma apporterà ad esse la luce necessaria per precisarle e connetterle; ed esse troveranno in questo, verità, unità e vita.

 

  1. Gli strumenti. – L’uso dunque del creato non può essere determinato se non in quanto lo sarà l’ufficio di esso in rapporto con la vita e il compito di questa in rapporto col creato. Qual è dunque questo ufficio? Una parola lo definisce totalmente e, definendolo, esprime e riassume tutta la legge dell’uso. Questa parola, la cui portata è immensa, è la seguente: il creato è strumento e nient’altro che strumento. La legge, dunque, dell’uso esige di adoperarlo solo come tale. Strumento di che? Di vita per me e per gli altri. Nessun contatto col creato può e deve avere altro fine o altro compito che di servire ad un accrescimento di vita. Tutto è stato fatto per la vita; niente per la morte, opera del peccato. Io stesso, creatura fra le creature, devo essere strumento di vita per altri, come altri lo sono per me.

 

  1. Modo di servirsene. – Poiché il creato può servire alla mia vita solo come strumento, non debbo usare di esso se non come si adoperano gli strumenti. Come si adoperano questi? Si adoperano per il lavoro al quale sono stati destinati. Così si prende un coltello per tagliare, una lente per vedere, una carrozza per essere tra-sportati da un posto ad un altro. Chi sognerebbe di richiedere al coltello il servizio della lente, o a questa il servizio della carrozza? Nessun uomo ragionevole adopera un utensile per un uso diverso da quello al quale è destinato; soltanto i bambini o i dementi si divertono in usi ridicoli o pericolosi. Inoltre, ci serviamo dello strumento solo in quanto è utile. Ciò è nella natura dello strumento e nel modo di servirsene.

 

  1. Per Dio. – Il creato, però, in che cosa è utile alla mia vita? E’ utile in vista del fine da raggiungere: la gloria di Dio, alla quale è annessa la mia felicità.

La mia vita dev’essere come una cetra accordata per cantare, assieme a tutte le vite, l’inno di lode al nome del Creatore. E i rapporti con le creature, qualunque essi siano, sia quelli che scelgo come quelli che subisco, gli incontri voluti da me o imposti dagli avvenimenti, le relazioni con le cose, i movimenti attorno, sopra e sotto di me, interni ed esterni, naturali e soprannaturali, devono essere come tanti tocchi successivi che fanno vibrare le corde dell’anima e del corpo, della mente, del cuore e dei sensi, in armonia con la volontà e il desiderio del loro autore. E non solo per farle vibrare, ma anche per formarle e adattarle alla divina armonia. Dio se ne serve a questo scopo, e ciò ch’egli ha stabilito per me, me lo dà, come ha offerto ad Israele la terra delle genti e il possesso del lavoro di quei popoli, quale mezze per custodire i suoi precetti e osservare le sue leggi (cf. Sal 104, 45). Se la mia vita fosse pienamente conforme al piano divino, niente la disturberebbe ed essa non toccherebbe nulla che non riproduca, come in cielo, una nota di sacro concerto.

 

  1. Per me. – Accanto all’utilità principale della sua gloria, Dio ha posto nelle creature un’altra utilità: la mia felicità. Egli non ha voluto essere solo a godere della sua gloria; il suo amore volle farmi partecipe dei suoi beni. Per questo ha avuto quel meraviglioso ritrovato di tenerezza per cui le creature, strumenti della sua gloria, diventano, nel medesimo tempo, strumenti della mia felicità. Ogni creatura dice prima di tutto: Gloria a Dio; indi: Pace al suo servo (cf. Sal 34, 27). Così io divento socio di Dio, partecipe dei benefici dell’immensa opera della creazione.

Che dico, partecipe di benefici? Ho tutti i benefici, poiché, al dire di san Francesco di Sales, questa è la porzione della stessa divina bontà con noi. Dio ci lascia il frutto dei suoi benefici riservandosi l’onore e la lode. Egli non ha bisogno che noi siamo suoi servi, dice sant’Agostino, ma noi abbiamo bisogno che egli sia il nostro padrone, per operare in noi e possederci. Ed anche per questo è l’unico vero Signore e padrone, perché noi lo serviamo senza utilità da parte sua, ma tutta l’utilità ridonda a noi ed a nostra salute. Se Dio avesse bisogno di noi, non sarebbe più totalmente padrone, poiché lui stesso sarebbe schiavo di una necessità che troverebbe la sua soddisfazione in noie. Ecco il prodigio del suo amore per me. Egli ha fatto tutto per la sua gloria e per il mio vantaggio.

 

  1. Quaggiù e lassù. – Dio vuole che su questa terra io cresca, che aumenti per l’eternità la capacità del mio essere per glorificarlo. Le creature sono incaricate di apportarmi questo aumento. Ora, ogni progresso è per me una gioia, poiché l’essere gode nella misura con cui si completa. Ogni creatura, completando il mio essere per Dio e secondo Dio, mi arreca nello stesso tempo una parte proporzionata di felicità, la quale dà alle mie aspirazioni una parte più o meno larga di soddisfazione e di riposo. Nella dilatazione del mio essere in vista di Dio, per mezzo delle creature, ho delle gioie vere, profonde e sostanziali. Queste gioie, pur venendo dalle creature, non sono delle creature, ma di Dio e debbono considerarsi in relazione a Dio e al mio progresso in lui; esse sono parziali poiché la mia elevazione divina non avviene che per gradi. Ma verrà l’immensa gioia, l’eterna felicità, alla quale mi prepara il lavoro fatto in me per mezzo delle creature. Queste dunque mi portano sulla terra un po’ della vera felicità e mi preparano all’infinita gioia della salute eterna. O bontà del mio Dio! se vi conoscessi!… o amore! se vi amassi!…
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