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Un omelia per la Quaresima

copertina Palavras do silencio

In occasione del giorno in cui inizia la Quaresima, cari amici voglio donarvi una magnifica omelia, di “un certosino”. Essa fu realizzata in occasione della Quaresima del1993, e destinata alla propria comunità monastica, nella certosa brasiliana di Medianeira ed ora da me estratta dal libro “Palavras do Deserto”. Io la trovo davvero stupenda.

Quaresima 1993

Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione” (Mt 26,41)

Carissimi fratelli:

All’inizio della Quaresima, la Sacra Liturgia – tradizionalmente – ci invita al percorso che conduce alla Santa Pasqua attraverso il deserto, il deserto della preghiera e della tentazione. Tutti gli uomini sono infatti impegnati in questo brano del Vangelo che ci offre la visione di Gesù di fronte alla tentazione; ma chi può negare che il monaco solitario sia particolarmente interessato per l’insegnamento di questo brano evangelico?

La nostra vocazione, in modo efficace, è una sequela di Gesù nel deserto, dopo Abramo, Mosè, Elia, Giovanni Battista, Antonio, Pacomio, Giovanni Cassiano, Benedetto e molti altri. Per tutti loro, la solitudine è stata una risposta ad una chiamata di Dio. Tale cammino, “a secco ed arido” (1.4), non è un desiderio spontaneo della natura. Questo è molto chiaro nel brano del Vangelo che ci dice: “Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo” (Lc 4,1-2). È lo Spirito che invita al deserto. Solo Gesù fu battezzato nell’acqua e nello Spirito. Lo stesso Spirito Santo, prendendo possesso di Lui in un modo speciale, lo conduce al deserto. Deserto: pienezza di intimità con il suo Padre celeste. Solitudine: luogo d’incontro intimo. I grandi solitari del passato si ritirarono, come Gesù, per mettersi davanti al Padre e trovare il Padre e la propria identità filiale, ed anche la sua missione: scoprire e ammirare l’infinito amore del Padre. Ma il Vangelo aggiunge una parola sorprendente che, nella tradizione monastica, non è passato inosservato. Il testo di San Matteo: “Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo” (Mt 4,1). Una verità sconcertante che dobbiamo accettare così com’è, misteriosa com’è. Subito dopo il suo battesimo, il Padre manda il Figlio al deserto pieno dello Spirito Santo per combattere il diavolo.

Qui il Vangelo ci mostra un altro aspetto del deserto, luogo privilegiato del combattimento, della tentazione, come è anche un luogo di preghiera, d’incontro intimo con il Padre e di comunione con Dio. I nostri Statuti non lasciano questa verità senza sottolinearla: il solitario “passerà per la prova di una dura lotta (…) e sarà provato come oro nel fuoco” (1.3.2). Qui la tradizione monastica riceve la verità del Vangelo e la conferma per la vita e per l’esperienza. Sappiamo che ci sono molte prove e tentazioni nel deserto; e quello che dicono i Vangeli e la Tradizione, a tal scopo, siamo in grado di confermarlo con la nostra povera esperienza quotidiana. In un altro luogo dello Statuto, possiamo leggere una lunga citazione da San Giovanni Cassiano, in cui spiega il mistero che dobbiamo imitare: “Gesù, Figlio di Dio, si è degnato di offrire a noi nella sua persona l’esempio vivente della nostra vocazione quando, da solo nel deserto, si consegnò alla preghiera e vinceva il tentatore con le armi dello Spirito” (1.2.10 San Giovanni Cassiano, col 10 n.6).

Tutto questo cari fratelli, per farci ricordare e farci rendere sempre più consapevoli della dimensione della nostra solitudine. Il diavolo non è il frutto di una fertile e illusoria immaginazione dei tempi passati che l’uomo moderno potrebbe trascurare. È sempre il tentatore ed il bugiardo che cerca di allontanarci dell’amore del Padre, della croce di Gesù e delle ispirazioni dello Spirito Santo. Si tratta di um combattimento invisibile, ma molto reale. Nel Vangelo, uno degli aspetti più essenziali del mistero della nostra Redenzione è il combattimento personale di Gesù contro il nemico di ogni bene. È questa lotta che il monaco riceve e vive nel cuore. Dobbiamo essere attenti a questo aspetto della nostra vita. L’unica forza che può permetterci di trionfare è la vita stessa di Gesù risorto, la sua preghiera in noi e per noi, la partecipazione dello Spirito Santo, la grazia divina.

Si deve imparare a svelare la presenza e la tentazione del diavolo. Sapere anche rispondergli. È già stato notato che questo è il più grande insegnamento che Gesù ci lascia nella narrazione delle sue tentazioni. Secondo la tradizione spirituale, non si discute con il tentatore. Il dialogo che ci dice Luca è un modello. Gesù non discute. Dà risposte brevi, che sono parole di Dio, portatori dello Spirito Santo. Il nemico è sconfitto dalla Parola di verità, che ci spinge alla fiducia nel Padre celeste e all’obbedienza filiale. Se, pertanto, ci capita di trovarci in disturbo interiore, in insinuazione allettante, quando entrare nel nostro cuore la richiesta per il  male o la considerazione di un bene inferiore e fuorviante, sosteniamoci nella Parola di Dio e rifiutiamo ogni dialogo con quello che vuole sedurci attraverso un dialogo inutile e ambiguo, come l’ha fatto con Eva nel paradiso terrestre. Il dialogo con il diavolo è sempre pericoloso e l’inizio del consenso è l’inizio della piacevole accettazione, ma peccaminosa.

Ed il Vangelo di Luca, dopo aver narrato il triplice episodio della tentazione, conclude così: “il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato”; alcune traduzioni dicono: “Fino ad un altro momento” (Lc 4,13). Si tratta, secondo alcuni Santi Padri, dell’agonia di Gesù nell’orto del Getsemani, agonia nella quale Gesù ci lascia un altro insegnamento sulla tentazione e come superarla. Ascoltiamo Matteo: “E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me» E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: «Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (26, 37-41). Qui abbiamo un altro insegnamento che la tradizione monastica non ha mai mancato di trasmettere: il monaco è esposto in modo permanente alla tentazione; la sua ascesi di debolezza, una debolezza che solo la perseverante preghiera può prendere umilmente nella lotta invisibile. “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione”. La mancanza di vigilanza e la negligenza nella preghiera, fa si che i discepoli non possano affrontare la tentazione né la propria debolezza; lasciano Gesù da solo nel suo combattimento.

Il capitolo della tentazione di Gesù nel deserto, anche se il deserto è considerato nella tradizione profetica come un luogo ideale d’incontro con Dio (cfr Dt 32, 10 e Os 2,16) e di intimità filiale con il Padre, offre con l’agonia di Gesù nel Getsemani, un unico insegnamento che è come una teologia riassunta della vita di Gesù e della sua opera redentrice attraverso la sofferenza e la preghiera: la battaglia invisibile. È anche l’immagine della nostra vita: Dio non garantisce una vita facile, né pane invece di pietre. È attraverso la prova e la preghiera che il monaco deve capire il senso della sua nuova vita in Cristo, della sequela di Cristo e la sua unione nell’opera redentrice del Signore.

Le tre tentazioni di Gesù, ed anche la sua agonia pasquale, hanno come punto finale l’accettazione umile, luminosa ed amorevole della volontà del Padre, anche della sofferenza e dell’umiliazione, l’accettazione filiale e fiduciosa ottenuta attraverso la preghiera.

Tutto questo non si riduce alle categorie del sforzo umano. Anche ci esige la vigilianza e la preghiera. È la nostra umile corrispondenza alla grazia divina. La Certosa non è il luogo dei grandi lampi spirituali. Mai è stata. Sappiamo anche che l’Ordine ha una avversione contro ogni manifestazione di singolarismo nella vita spirituale. La ragione è semplice: fin dai tempi più antichi, molti sono stati ingannati dalla loro immaginazione e dal loro desiderio indiscreto di si diventare visibilmente devoti. Direi che è il luogo della perseveranza nella vigilanza e nella preghiera. Il monaco è continuamente esposto alla tentazione, soprattutto se lascia la preghiera indebolire o la vigilanza addormentare. È attribuito al grande Abate Poemen questo apoftegma: “La grande prodezza dell’uomo spirituale consiste nel contare sulla tentazione fino alla morte”; e, d’altro canto, Antonio Abate diceva: “Sopprimi la tentazione e nessuno sarà salvato”. La tentazione è un aspetto della pedagogia divina: contribuisce a radicare l’anima nel bene, per farla crescere in amore – frutto della volontà e non della sensibilità. Frutto anche di una umile perseveranza nel bene e della sfiducia in noi stessi. Dio la permette per renderci più consapevoli della nostra debolezza di peccatori, per distaccarci della propria volontà, farci perdere la fiducia in noi stessi e farci contare solo sulla grazia divina. Ciò è essenziale nella vita spirituale. È così che il cuore si purifica e si unisce a Dio. Altro cammino è la costruzione sulla sabbia della immaginazione e dell’irreale. Dio vuole da noi questa accettazione della sua pedagogia, il frutto del suo amore. Accettazione umile, che è espressione autentica e non illusoria del nostro desiderio di Lui, della nostra preghiera, autentica espressione del nostro desiderio di crescere secondo la sua volontà e non la nostra. Lui sa di cosa abbiamo bisogno.

Vegliare e pregare per non cadere in tentazione.

Vegliare e pregare per crescere nella fiducia in Dio.

Vegliare e pregare affinché Egli cresca in noi e ci possieda totalmente.

Ricorda il cammino che ti ha fatto compiere il Signore tuo Dio in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti, per provarti, per conoscere ciò ch’è nel tuo cuore” (Dt 8,2).

Ricordati del Signore tuo Dio, poiché lui ti ha dato la forza (Dt 8,18).

Vegliamo, dunque, e preghiamo per non cadere in tentazione; ma, al contrario, percepiamo e conosciamo la pedagogia dell’amore divino nella prova.

Amen.

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