Oggi 1 novembre si celebra il giorno di tutti i Santi, noto popolarmente anche come Ognissanti. Per questa occasione vi propongo un lungo ma gradevole sermone di Dom Andrè Poisson dal titolo:
“Che sete nella mia anima per il Dio forte e vivente!” (Bruno a Raoul)
In questa festa di Ognissanti, in un anno più specialmente consacrato a metterci alla scuola di San Bruno, mi è parsa interessante l’idea di cercare ciò che il nostro stesso Beato Padre lascia cogliere della sua santità, soprattutto nella lettera a Raoul le Verd. Perché preferibilmente in questa lettera? Perché Bruno, desideroso di toccare il cuore del suo vecchio amico, vi lascia parlare il suo cuore. La lettera è composta sotto il segno di una sottile alternanza tra il richiamo alle esigenze spietate della giustizia dell’Onnipotente e l’esposizione di ciò che vi è di seducente, in una vita tutta consacrata a Dio. Quando si lancia su questo secondo tema è evidente che Bruno non fa della retorica: in termini appena velati egli dice ciò che ha vissuto, ciò che vive ancora nell’istante in cui scrive.
Anche se il desiderare di convincere Raoul può indurire alcune affermazioni di Bruno, non sembra imprudente cercare di ritrovare il movimento profondo e sincero della sua anima in ciò che dice con tanto ardore di fiamma, per la bellezza della vita che conduce.
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E’ facile ascoltare, così, Bruno confidarci il segreto della sua santità, poiché ciò è contenuto in tre paragrafi di una rimarchevole unità, ciascuno secondo una propria linea.
Il primo forma ciò che si può chiamare l’inno alla solitudine. Bruno, in termini non equivoci, ci racconta ciò che vive nel suo deserto della Calabria; a quattro riprese egli comincia la sua frase: Qui gli uomini ardenti … Qui si ricerca quest’occhio puro… Non è un’esposizione astratta che egli ci dona sui frutti spirituali della vita nel deserto. Sono considerazioni concrete, poi evocazioni rapide, quasi folgoranti, delle figure bibliche che sono per lui le illustrazioni più convincenti della luce che lo abita (cf. A Raoul 6).
Il secondo paragrafo – il più apertamente autobiografico – è il racconto della conversione di Bruno, nel giardino della casa d’Adam, in compagnia di Raoul e di Foulcoie le Borgne. I fatti sono ancora vivi nel cuore di Bruno come se li avesse appena vissuti. Egli ha ricevuto là un’impronta di Dio stesso che mai scomparirà (cf. 13).
Il terzo passaggio chiave, a nostro proposito, è quello in cui Bruno lascia intravedere la scottatura del suo cuore, fronte all’unico bene: “ Esiste un bene comparabile a Dio? Esiste un altro bene all’infuori di Dio?… Davanti allo splendore incomparabile di questo bene l’anima è accesa d’amore” (16). Come dubitare che Bruno, scrivendo queste parole, ci confidi qualche cosa del suo segreto?
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La prima impressione che si prova, leggendo questi testi, è quella di trovarsi alla presenza di un’anima ardente e traboccante di sensibilità spirituale. Già l’insieme della lettera ce lo mostra animato di una tenerezza inesauribile per l’amico dei vecchi tempi, a dispetto degli anni e delle distanze.
Ma quando incomincia a parlare delle cose di Dio, egli non può contenere la sua emozione.
Si è anche colpiti di vedere il vecchio monaco, formato dalla rude disciplina del deserto, utilizzare liberamente il vocabolario dell’amore umano: quando vuole dire “quanto la solitudine e il silenzio del deserto donano ai loro innamorati utilità e godimento divino “, “Qui, continua, si ricerca quest’occhio puro e limpido di cui il chiarore guarda ferito d’amore lo sposo.” (6).
E non sono che delle figure femminili piene di tenerezza che egli evoca per illustrare, dalla Bibbia, il suo entusiasmo: Rachele la preferita, anche se ha poco dell’innocenza infantile; Maria di Betania, appassionatamente silenziosa ai piedi di Gesù; la bella Sunammita, che ha saputo riaccendere il cuore di Davide. Sole queste immagini sembrano, a Bruno, capaci d’esprimere la profondità dell’incontro con il Signore che egli esperimenta in solitudine.
E’ lo stesso uomo che si ritrova nel giardino d’Adam. La grazia lo colpisce all’improvviso nel corso di una conversazione sulla futilità dell’esistenza mondana ed eccolo, in un sol colpo, stravolto per sempre. Egli si dona totalmente e mai tornerà indietro, a differenza dei suoi compagni.
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Pertanto Bruno non è un sentimentale che si lascia guidare da impressioni a fior di pelle. Altri hanno già notato quanto per lui la nozione di utilità sia importante. Non certo nel senso di un rendimento umano da conquistare, ma nel senso di una vita che deve portare autentici frutti divini.
Bruno è un uomo pratico. Per lui la via contemplativa non consiste nel nutrire flutti d’idee sublimi: si tratta di prendere i mezzi efficaci per giungere a Dio. Egli è perfettamente cosciente che la sua solitudine è il luogo dove “si abbandona ad un ozio assai occupato e ad una attività completamente rilassata. Qui, egli dice, in premio dello sforzo nella battaglia, Dio dona ai suoi valorosi la ricompensa attesa: la pace che il mondo ignora e la gioia nello Spirito Santo.”
Allo stesso modo, dall’istante in cui la grazia della conversione ha trafitto la sua anima, egli non tergiversa. Le decisioni concrete seguono immediatamente: lasciare il mondo, prendere l’abito monastico, mettersi alla ricerca delle verità eterne. La scelta è fatta: egli si lega con un voto.
Non è un eco di questo movimento radicale verso l’assoluto che si trova nel crescendo così rapido del suo esposto sul desiderio dell’unico bene? Presentarsi davanti al volto di Dio, non vi è che quello di veramente utile (cf.16).
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Un’altra dominante del movimento interiore di Bruno è l’evidenza che lo abita della vanità di tutte le ricchezze terrestri, di tutti gli effetti in cui il successo umano fronteggia la pienezza traboccante che si trova in Dio. La sua vocazione, egli dice, consiste nel “ lasciare il secolo fugace per mettersi alla ricerca delle realtà eterne” (13).
Tutta la lettera indirizzata a Raoul è costruita secondo questo schema di pensiero. Spontaneamente Bruno vi è ritornato, non solamente poiché considera l’argomento adatto a convincere il suo interlocutore, ma molto più, forse, poiché egli non vive che di ciò, dal giorno in cui egli stesso ha ricevuto la chiamata. Questo stesso itinerario è da lui descritto quando evoca le sue occupazioni in solitudine: “Qui agli uomini ardenti è permesso, tanto quanto desiderino, di rientrare in sé stessi, di dimorarvi, di coltivare senza riposo i germogli delle virtù e di nutrirsi con gioia dei frutti del paradiso” (6). Bruno è stato definitivamente sedotto dalla bellezza, dalla bontà divina nella quale egli trova grande pace e non può comprendere la situazione di lacerazione interiore del suo amico: “Non è una pena orribile e inutile essere tormentati dai propri desideri, straziarsi d’affanni e d’angoscia senza posa, nel timore e nel dolore che generano questi desideri?…Fuggi dunque, o mio fratello, fuggi tutti questi turbamenti e queste inquietudini e passa dalla tempesta di questo mondo al riposo e alla sicurezza del porto” (9). Anche tenuto conto dell’esagerazione letteraria di queste affermazioni, è certo che Bruno si considera come privilegiato d’aver trovato il suo riposo nel segreto del volto di Dio.
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Fermiamoci, infine, ad un ultimo aspetto dell’attitudine interiore di Bruno. Di fronte alla realtà incomparabile di Dio egli non pensa più a se stesso. Per tutto il corso della sua lettera, egli rimane preoccupato per i pericoli spirituali incorsi dal suo amico, ma lascia sgorgare il suo entusiasmo di fronte alla pienezza infinita dell’Onnipotente. Ad eccezione di una corta frase per deplorare le sue miserie interiori, sembra che Bruno si sia totalmente dimenticato (cf.3). Egli non è più in nulla centrato su sé stesso.
La contemplazione di Bruno è pura; essa è rivolta verso la realtà di Dio e non sulle opere, pur le più meravigliose che egli potrebbe compiere nella sua anima. Troppo sovente, in noi goffi debuttanti, la preghiera è un modo distratto di occuparci di noi stessi: sotto il pretesto di essere attenti a progredire verso la perfezione, Dio rischia di essere soprattutto il benefico fattore che plasmerà la nostra santità personale. Non vi è traccia di questa debolezza in Bruno.
Per lui non vi è niente di così giusto e di così utile che d’amar il bene, l’unico Bene (cf.16).
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Possiamo, al termine di questa breve lettura della lettera a Raoul, farci un’idea della fisionomia di San Bruno? E’ un uomo “afferrato dall’Unico”, come dirà uno dei suoi amici dopo la sua morte. Con tutta la fiamma del suo cuore egli vuole fare opera utile, vale a dire cercare il volto di Dio, acquisire lo sguardo puro e semplice al quale si rivela l’Altissimo. Egli lo fa in un movimento di grande amore per i suoi fratelli, ma nel desiderio vigoroso di liberarsi di tutte le costrizioni di questa terra che non sono ordinate a questo scopo.
Anche se questi tratti ci permettono di abbozzare un volto molto caratteristico del nostro Padre, riconosciamo pure che grandi zone della sua fisionomia restano evanescenti. Che sappiamo, per esempio, del posto di Cristo, della sua morte e della sua Pasqua nella preghiera di Bruno?
Molte altre questioni analoghe potrebbero sorgere, alle quali, gli scritti lasciati da San Bruno stesso, non recano risposta.
E’ dunque una sorta d’icona stilizzata del nostro Beato Padre che la Provvidenza ha voluto esporre al nostro amore e alla nostra devozione. Tutto il resto lo si attinge nel patrimonio generale e non costituisce parte essenziale dell’apporto di Bruno, figlio obbedientissimo della Chiesa. Lasciamoci, dunque, semplicemente modellare da questa icona che è portatrice del senso perpetuo del nostro posto nel Corpo di Cristo.
Amen.
Ognissanti 1983
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