Fratello Giorgio Vedrina
Professo della certosa di Bologna
Ancora una narrazione di vite esemplari di fratelli certosini, stavolta di un giovane italiano.
Originario di Reggio, un paese della Emilia Romagna, Giorgio Vedrina ha lavorato a lungo come muratore nella certosa di Bologna. Di solito in contatto con i buoni fratelli, di cui era in grado di osservare i più piccoli movimenti, cominciò a riflettere. Considerando da un lato, i vantaggi della vita del chiostro, e altri pericoli che si corrono senza numero nella virtù nel mondo, ha dunque deciso di chiedere al Padre Priore di poter diventare fratello converso. Questi, totalmente felice di questa conquista della grazia, lo accolse a braccia aperte. L’atteggiamento, finora solido e così cristiano, dell’aspirante era, indubbiamente, indicativo di una vocazione più nobile. Dopo aver passato le prove del noviziato, emise la professione il 26 luglio 1594. Gli fu affidata l’obbedienza della cucina, dove aveva fatto il suo debutto come aiutante, durante il suo postulato. Pieno di auto-disprezzo, si considerava sinceramente l’ultimo di tutti loro. Riferendosi alla casa paterna, dove prevaleva la più rigorosa frugalità, era considerato un ricco proprietario, ospitato come un principe, felice come un re. Pieno di rispetto per i superiori, corrispondeva ai suoi ordini con scrupolosa precisione. Con una parola da parte loro, si sarebbe gettato a capofitto nel fuoco o nell’acqua. Con un balzo, l’uomo santo era giunto all’obbedienza nel terzo grado. L’obbedienza che cerca la causa di un ordine è troppo curiosa. Non gli è permesso di avere occhi, se non di capire cosa gli manca. Nel mezzo di questo andirivieni, che causa l’obbedienza della cucina, il caro fratello ha mantenuto il controllo totale di se stesso. Modesto, sempre sorridente, unito visibilmente Dio in ogni cosa e tutto era pieno di attenzione ai suoi subordinati, nascondendo le loro false manovre quando non causato alcun danno alla comunità, scuotendo l’apatia per la sua attività costante, aggiungendo alla loro ordini, o una buona parola, o un pio riflesso, una preghiera giaculatoria: tutto ciò che è giusto per far applicare i principianti al duro lavoro delle mani. Giorgio Vedrina, ha testimoniato la stessa gentilezza con gli operai che lo aiuteranno in seguito nella vigna e nelle fattorie. Aveva il dono di istruirli e costruirli, senza stancarli. Non sapendo leggere o scrivere, gli piaceva sentire la vita dei santi. La sua ricca memoria gli fornì un certo numero di tratti edificanti, con i quali temperò le sue conversazioni con una nota di notevole pietà. Una di queste fattorie era situata a otto miglia dal monastero. Ogni sabato, sia in estate che in inverno, il fratello Giorgio andava, secondo la consuetudine, alla casa alta carica di frutta, uova, formaggio, vino, ecc … La domenica sera scese le loro piccole forniture per l’intera settimana. La sua faccia, splendente di sudore, brillava
la felicità. Dedicarsi al servizio della comunità, dare ai suoi fratelli, aiutare il prossimo, era tutta la sua vita, era tutta la sua felicità. Arrivò il momento in cui l’intrepido lavoratore dovette fermarsi, rovinato dall’età e dalle malattie. La comunità abituata a vederlo trionfare sempre sui suoi malanni, grazie alla sua indomabile energia, non voleva credere in una fine vicina. Lui stesso non pensava di essere così vicino al termine. L’illusione presto non fu più possibile. Non si può fare a meno di ammirare la calma e la forza dell’anima del morente. Nel mezzo dei dolori più acuti, né una lamentela né un movimento di impazienza persino involontaria. Ricevette i sacramenti e rispose alle preghiere con tale unzione, che mormorò l’assistenza alle lacrime. Finalmente, il tredici marzo dell’anno 1628, il servo di Dio entra in questa felice dimora dove il peccato non dimora: dimora della felicità infinita e della pace eterna.
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