Fratello Francisco de Aranda
Donato di Porta Coeli

Prosegue il racconto della vita di Francisco de Aranda…
La condizione della donazione differisce in molti punti dallo stato di converso. In effetti, grazie alla loro professione, sono veri religiosi, mentre gli altri non lo saranno mai. Ne consegue che la formazione di quest’ultimo non richiede la stessa cura o la stessa profondità spirituale. Tuttavia, ogni candidato alla donazione è sottoposto a un esame di un anno
Durante questi dodici mesi, che possono essere estesi, per volontà del priore, il principiante donato sperimenta in qualche modo le sue forze psichiche e morali. Iniziato a poco a poco nella vita ordinaria, è presto in grado di vedere se questa esistenza risponde ai suoi gusti, i suoi bisogni e i superiori, dalla sua parte, sono chiamati a parlare con la conoscenza della causa a favore o contro la sua ammissione. Parallelamente a questo lavoro, il novizio ne sta perseguendo uno più importante. Fatto già maestro nelle scienze umane, deve imparare le basi del catechismo religioso, sapere che lo stato e l’abito non ci santificano affatto, se non ci applichiamo per acquisire una grande umiltà di spirito, un sincero amore per l’abiezione, una rinuncia perfetta alla nostra volontà propria, anche in azioni sante. Il nostro aspirante ha avuto la fortuna di cadere nelle mani di un uomo famoso: Dom Bonifácio Ferreri. Quando entrò anche in questa casa, all’età di quarantuno anni, aveva appena emesso i voti, quando il nostro futuro donato debuttò come postulante. Prima di assumere il governo di Porta Coeli, per trasferirsi da lì alla Grande Chartreuse il nuovo Priore fu incaricato, oltre alla gestione della certosa, di dirigere i Fratelli. Basti dire che, non appena è stato investito nell’abito, Francisco Aranda si è dato con tutto il cuore per lavorare, senza mai scendere a compromessi; a chi non piacevano i termini medi, né la lentezza. «Parla, mio venerabile Padre, dice, senza considerare chi sono o da dove vengo. Sono pronto a soffrire. Abituato a seguire i miei capricci e fare, un po ‘più o meno la mia volontà, vai da me, quindi penso che costerà molto, che la sofferenza conta per un’anima che pone la cura del suo futuro in Dio! Quindi ho chiesto tutto ciò che ti piace. Con l’aiuto della grazia, trovami docile da bambino. »Mantenne la parola. L’estrema purezza delle sue intenzioni, la delicatezza della sua coscienza, la cura con cui veglia su tutta la sua condotta, quel ricordo abituale e, così profondo che non riesce a distrarre senza sforzo il suo spirito dalla meditazione mattutina, quella costante generosità in presenza di sacrificio, questo amore di Dio che tende costantemente verso un’unione più intima, tali sono le caratteristiche di questa figura virile. Il tempo non farà altro che evidenziarlo. Un principiante non potrebbe offrire migliori garanzie. Quindi è stato ammesso alla donazione senza il minimo accenno di difficoltà. Da quel giorno, il buon Fratello attraversò una serie di incidenti molto curiosi, di cui avremmo il diritto di essere sorpresi, se non sapessimo che non si è mai allontanato, dal controllo dell’obbedienza. Ecco, inoltre, le linee principali del programma, che ha dovuto presentare, e questo secondo le istruzioni formali inviate dal reverendo padre generale, Guillaume de Raynaud e che sono state rapidamente confermate, in seguito da Dom Bonifácio Ferreri. Sebbene donato, occupava una cella nel chiostro, con la facoltà di uscire, di volta in volta, per aiutare i conversi. Seguì i religiosi del coro e cantò la prima lezione nei giorni festivi. Per poter seguire esattamente le cerimonie, era stato montato un cappuccio nella sua tuta – un’appendice che non esisteva allora per i conversi. Nella mensa, dove si mescolava ai religiosi. a sua volta leggeva. Ammesso alle deliberazioni del capitolo, aveva il diritto di voto. Infine, non è stato escluso dalle ricreazioni o dallo spaziamento. Questo insieme, come si può vedere, costituiva una specie di vita mista, in relazione alla vita del coro religioso e a quella dei conversi: esistenza singolare, è necessario confessare, ma cara e regolata, nei minimi dettagli, dall’autorità superiore. In ogni caso, per quanto ampi siano i suoi privilegi, il caro Fratello non era religioso.
Mancava ciò senza il quale l’anima non può diventare, la “cosa” del Signore, la sua proprietà autentica; assoluta; mancava il sigillo della professione. Questo inaspettato favore arrivò a porre fine, non solo alle sue intime ispirazioni, ma a ciò che avrebbe voluto, se avesse sognato qualcosa di diverso dalla pura e semplice donazione. La cerimonia si è svolta, come di consueto, durante la messa conventuale. Nonostante tutto, nulla è cambiato, né il suo nome né il suo titolo. Solo, era designato più che da questa denominazione generale: il donato, come se fosse l’unico in casa. Ovunque, veniva chiamata il donato di Porta Coeli; perché, – ci siamo affrettati a dirlo, ha acquisito, in breve tempo, una grande notorietà nelle province dell’ordine. Com’è stato? Diciamolo il più brevemente possibile. I tempi furono difficili nei primi anni del XV secolo. La Chiesa divisa dallo scisma stava attraversando una delle crisi più acute della sua storia. C’erano poi due papi, ognuno con i suoi sostenitori, quello di Roma e quello di Avignone. Gli ordini religiosi non potevano non seguire il Pontefice riconosciuto dalla sua nazionalità. I certosini gettati nella corrente erano anche raggruppati sotto l’obbedienza dell’uno o dell’altro, a seconda che fossero francesi o spagnoli, tedeschi o italiani. Bonifácio Ferrer, assolutamente devoto a Benedetto XIII, ancor prima di entrare in Porta Coeli, gli rimase fedele dopo la sua elevazione al Priorato della Grande Chartreuse. Il sovrano Pontefice, che lo conosceva come abile giurista e religioso come marchio, lo chiamò vicino a lui e lo fece suo intimo consigliere, lasciandolo solo di tanto in tanto per tornare al suo posto.
Il reverendo padre avrebbe sacrificato tutto per riprendere il cammino nel deserto, ma era obbligato a obbedire e prolungare la sua permanenza ad Avignone. Non contento di avere di persona il Padre Generale nel suo palazzo, Benedetto XIII gli ordinò di mandare immediatamente il famoso Aranda, aggiungiamo che quest’ultimo era personalmente noto al papa. All’epoca in cui viveva nella corte di Aragona, era stato mandato in missione straordinaria al vicario di Gesù Cristo. Aveva manifestato, in questa circostanza, tanta scienza giuridica e un tal talento premuroso, che Benedetto voleva averlo sotto mano, soprattutto da quando aveva appreso, da Bonifácio Ferreri, i dettagli più edificanti sugli inizi del caro Fratello in carriera monastica. Quest’ultimo, dopo aver ricevuto il messaggio pontificio, ebbe un movimento di sorpresa. «Come, ha detto, il Santo Padre si degna ancora di ricordare il suo povero servitore! E, ora che mi conosce rinchiuso in una certosa, non ha paura di lanciarmi di nuovo nel mare politico, dove, ahimè! Ho sperimentato più di un naufragio. “Basta con le recriminazioni, mio buon fratello” disse il priore. In presenza di un ordine così elevato, oggi devi inchinarti e prendere la strada per la Francia. Dio sia con te! Ti benedico”Il Fratello si ritirò dalla culla della sua vita religiosa, con un cuore oppresso, pronto comunque a tutti i sacrifici, persino a morire lontano dalla cella. Appena arrivati al palazzo dei papi. fu portato negli alloggi di Benedetto XIII, il che lo rese l’ospite migliore e con grande sforzo nascose un sorriso alla vista di quella strana abitudine. Fu stabilita una vera intimità tra loro, molto presto il nuovo diplomatico fu iniziato per molto tempo nei più piccoli segreti del conflitto aperto. L’umile donato, uomo della sua parola, si comportò in quelle circostanze con l’ammirevole abilità che lo distingueva: interamente consegnato a Dio, durante gli esercizi spirituali, tutto consegnato, quando necessario, alla domanda in sospeso. Finché le sessioni del consiglio non lo richiedevano, lo abbandonava alla preghiera e allo studio. Diremo quanto Bonifácio Ferreri e lui erano felici di riunirsi? Che non è stato, ahimè! in solitudine! Quali ore deliziose il padre e il figlio hanno trascorso insieme, parlando sia dei vantaggi della vita contemplativa che di Porta Coeli, sia della tristezza del momento, del disordine della loro esistenza, hanno deciso tuttavia di rispettare fino in fondo la volontà del rappresentante di Gesù Cristo nella persona di Benedetto XIII. Era il 1407. I negoziati, sebbene condotti con entusiasmo da entrambe le parti, non raggiunsero il sindacato così impazientemente atteso da tutto il mondo cattolico. Aranda era ad Avignone da alcuni anni, sospirando per la cella, chiedendosi se non avrebbe dovuto rinunciare a tutto per sempre, quando fu improvvisamente chiamato in Spagna. Il re d’Aragona avanza a grandi passi e morirà senza figli. Ansioso di tagliare gli intrighi degli ambiziosi che stanno già contestando la corona, ignorando gli interessi della nazione, pensa a designare l’uomo di sua scelta, un successore che risponde allo stesso tempo alle speranze del paese. Ma, per paura, per scrupolo, d’altra parte, avendo domande più serie da esaminare, raccolse attorno al letto di morte i suoi migliori consiglieri, tra i quali si rammarica fortemente di non contare il suo fedele Aranda. Non è a Porta Coeli! Dovrebbe chiedere al papa di separarsi da lui? È improbabile che il papa lo permetta. Viene effettuato almeno un tentativo e pochi giorni dopo arriva il Fratello a Barcellona, giusto in tempo per porre una semplice domanda al paziente e prepararlo a lasciare il mondo. «Signore, dice, Vostra Maestà capisce, voglio credervi, tagliare la difficoltà nella giustizia buona e rigorosa o, in altre parole, segnalare all’attenzione degli elettori il candidato più vicino per sangue, della famiglia reale. – Tale è il mio pensiero, tale è la mia volontà, risponde l’uomo morente. – Ti rispetteremo, Signore; puoi credere nel tuo servitore dedicato. ”Successivamente, l’umile religioso si rivolge al campo della coscienza. Senza essere qualificato per esercitare questo tipo di ministero, parla al re del nulla della vita presente e delle meraviglie dell’altro mondo, con un accento di fede che fa scorrere molte lacrime. È il linguaggio autorizzato di un uomo che una volta possedeva le fortune più invidiabili e morì, dodici anni fa, di tutte le cose quaggiù. La persona morente ascolta attentamente queste considerazioni serie e, dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti con piena conoscenza, si addormenta con fiducia sul cuore del Re dei re. Non appena i confidenti del defunto tornarono dal funerale, si ritrovarono obbligati a soddisfare i loro ultimi desideri. Riunirono i tre parlamenti di Aragona, Valencia e Catalogna, composti da arcivescovi, vescovi e dei grandi di ogni regno. Questi, dopo lunghi dibattiti, nominano, a scrutinio segreto, nove deputati che investono con pieni poteri con l’effetto di proclamare il successore al trono. Fare la storia di questo atto solenne ci porterebbe troppo lontano. Basti pensare che tra questi nove commissari vi sono Don Bonifácio Ferreri per il regno di Valencia e Francisco de Aranda per l’Aragona. Nelle notizie precedenti era stato detto che il reverendo padre, con l’accordo di Benedetto XIII, si era ritirato in Spagna e che il capitolo generale era stato presieduto da lui a Valle de Cristo. Ora, leggiamo nella lettera di questo capitolo una nota più o meno simile a questa: “In considerazione dello zelo che Dom (sic) Francisco de Aranda sviluppa al servizio del papato e del nostro ordine, i celebranti diranno della loro intenzione una Messa dello Spirito Santo con la preghiera pretende; le non celebrità reciteranno i sette salmi penitenziali e convertiranno trenta volte Pater noster e Ave Maria. I delegati del parlamento, giustamente orgogliosi del proprio mandato, si sono dotati di tutte le garanzie necessarie per rimuovere, all’ombra, ogni sospetto. Sarebbe quasi un conclave. Aggiungiamo, in tuo onore, che la preghiera ha avuto un ruolo importante durante queste deliberazioni. Dopo otto giorni, il bambino di Castiglia, Don Fernando, fu nominato re d’Aragona, con l’unanimità dei suffragi. C’erano cinque pretendenti. nel paese fu riconosciuto che l’onore di questa soluzione davvero inaspettata proveniva in gran parte dal povero monaco, il cui talento diplomatico era proverbiale. L’Infante di Castiglia si congratulò con lui e, a testimonianza della sua simpatia, lo portò a Saragozza il giorno in cui fece il suo solenne ingresso in questa città (1413). Quasi immediatamente, il re ed il donato andarono a Morella, dove Benedetto XIII li stava aspettando, venendo espressamente a incontrare il sovrano sulle misure da prendere al fine di porre fine allo scisma. A seguito di questa intima conferenza, il papa è andato a presiedere il consiglio di Perpignan, accompagnato dal suo instancabile segretario. Da lì tornarono nel regno di Sicilia, dove rimasero fino all’inizio del 1417. È allora che il caro donato osa, un’ultima volta, chiedere riposo. L’età avanzata circa, settantadue anni, l’austerità dell’ordine praticata con perseverante rigore, varie malattie incurabili hanno reso difficile il suo lavoro, i suoi viaggi ancora più dolorosi. Benedetto XIII, accetta queste ragioni gli consente di tornare alla solitudine, imponendo così, in nome dell’obbedienza, l’obbligo di usare cibi grassi. Per comprendere la felicità degli umili religiosi, si deve aver vissuto quella vita frenetica, diametralmente opposta a quella del chiostro. Lasciamolo nelle gioie della cella e aggiungiamo che quest’anno il 1417 ha visto ristabilire l’unione con l’elezione di Martino VIII e promulgata dal concilio di Costanza. Non appena il Fratello fu consapevole della fine di queste dispendiose controversie, si sottomise rapidamente al legittimo Papa. Non ci si aspettava di meno da lui. Molto di più, scrisse al pontefice una lettera molto ferma, in cui lo esortava a rinunciare e riconoscere il nuovo vescovo di Roma. Benedetto, non volendo sentire nulla, insistette il vecchio donato. Ragioni, preghiere, lacrime, tutto era inutile. Il venerabile settuagenario non ha mai lasciato la casa per gli ultimi vent’anni della sua vita. Ottima preparazione per questa morte! Che felicità per tutti coloro che sono andati a cercarla, che si tratti di un consiglio, che si tratti di una parola di incoraggiamento! Con instancabile bontà, sempre accessibile, rispose ai secolari che si scusavano per aver disturbato i suoi esercizi: “Ma, no, non mi interrompi più del solito; Non smetto mai di pregare ”. In effetti, la carità, costringendolo a disperdersi, non interruppe la sua unione con Dio. Senza essere un regista qualificato, poiché non ha mai voluto ricevere ordini sacri, ha letto molto e la sua memoria è rimasta fedele fino alla fine, ha aggiunto un vero tesoro che, nonostante la sua umiltà, ha arricchito la sua conversazione. Durante il suo prolungato riposo scrisse un buon numero di trattati spirituali, tutti impregnati di unzione e significato pratico. Egli morì l’11 novembre del 1438, terminando una vita esemplare.
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