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Testimone di un’eruzione

11 tarfaglioni foto
Cari amici, il titolo dell’articolo odierno fa riferimento ad un’eruzione vulcanica, ma di quale vulcano si tratta? E chi è questo testimone?
Il vulcano in questione è il Vesuvio, ed il testimone un monaco certosino.
Il Vesuvio è noto soprattutto per la sua eruzione nel 79 d.C. che portò alla distruzione delle città romane di Pompei ed Ercolano. Il 16 dicembre 1631, dopo 492 anni, 6 mesi, e 17 giorni , scoppiò di nuovo rimanendo attivo fino al marzo 1632. L’eruzione del 1631 è la seconda eruzione più catastrofica dopo quella del 79, poiché seppellì molti paesi sotto flussi di lava e uccise almeno 4000 persone.
La terribile eruzione del Vesuvio, che avvenne il 16 dicembre del 1631 ebbe un testimone d’eccezione, ovvero un padre certosino della certosa di san Martino a Napoli. Egli da una posizione di osservazione privilegiata, come la sua cella che si affacciava sul golfo ed aveva di fronte il temibile vulcano, ebbe modo di registrare quanto accadde. Ma chi era questo certosino?
Dom Severo Tarfaglioni, nativo di Napoli, fece la professione solenne nella certosa della sua città, per questo motivo talvolta è conosciuto anche come Severo di Napoli. Egli trascorse la sua vita monastica dedicandosi allo studio della storia dell’Ordine, e per questo fu lodato da Dom Benedetto Tromby. Fu trasferito nella certosa francese di Port Sainte Marie, laddove terminò i suoi giorni nel gennaio del 1642.
Egli, come vi dicevo, su richiesta del suo Priore Dom Macario Monno stilò, in un manoscritto, una cronaca dettagliata del terribile evento della eruzione del Vesuvio, risultando essere uno dei testi più importanti ed analitici esistenti. Questo manoscritto è ora conservato tra le carte di Peiresc presso la Bibliothèque Inguimbertine di Carpentras in Francia, dove è incorporato in un volume di manoscritti intitolato “Osservazioni di varie meraviglie naturali. Invenzioni …Istruzioni per curiosità”.
Dom Severo, nella compilazione dimostra tutta la sua erudizione, frutto di studi e ricerche, egli divide il manoscritto in tre sezioni. Nella prima dimostrando la sua profonda conoscenza classica ci offre una storia dettagliata del vulcano e di tutte le sue precedenti eruzioni, richiamando testi antichi. Nella seconda parte vi è una cronaca minuziosa degli accadimenti, giorno per giorno, da martedi 16 dicembre 1631 data dell’eruzione a venerdi 2 gennaio 1632. Dom Severo annota tutto ciò che accade in città relazionando sui comportamenti della popolazione, e cita le processioni, le preghiere e la notoria esibizione del sangue di San Gennaro. Questo diario fornisce anche un resoconto dettagliato degli eventi geologici- terremoti, eruzioni, colate laviche e dei fenomeni meteorologici. L’autore riporta le testimonianze di numerosi testimoni, nonché le sue personali osservazioni dalla certosa di San Martino, da dove aveva una vista incomparabile sul Vesuvio.
Nella terza sezione, in conclusione, egli espose la sua idea sulla causa dell’eruzione, considerando il Vesuvio come una “bocca dell’inferno”. Questa teoria ereditata dal Medioevo, è in contrasto con le idee più moderne di altri studiosi del tempo, in particolare da Peiresc, possessore del manoscritto.
Dom Severo completò il manoscritto il 27 marzo del 1632.
Trasferitosi in Francia, Dom Tarfaglioni, prima di morire, ebbe cura di inviare tutti i suoi fogli manoscritti alla certosa di Napoli, dove aveva fatto la sua professione. Dopo la sua morte, per le sue brillanti doti, gli fu concessa una messa de Beata in tutto l’Ordine. La morte di questo illustre certosino è registrata nel Capitolo del 1643.
Ma che fine fece questo testo?
Nel catalogo della biblioteca di San Martino – dopo che la certosa fu trasformato in museo – non fu trovato nessun testo attribuibile a Dom Tarfaglioni. Il manoscritto, non sappiamo come, entrò in possesso di Nicolas-Claude Fabri, signore di Peiresc [1580–1637] e consigliere nel parlamento di Aix-en-Provence, Peiresc è considerato uno dei grandi studiosi degli inizi del XVII° secolo.
Ma ora voglio inserire in questo articolo, alcuni stralci significativi della cronaca di quei giorni:
14 dicembre 1631 Il preludio

Domenica li 14 di Dicembre fù una gagliarda, e furiosa tramontana che appena si poteua per il claustro caminare facendoci venire le vesti in faccia il vento. La notte s’acquietò il vento. Lunedi li 15 fù il meglior tempo che si hauesse potuto desiderare in staggione d’inverno, tranquillo, e chiaro con lucido sole; et successe la notte simile con lucenti stelle aspettandosi giorno eguale, quando verso le quattr’hore della notte secondo l’horologio d’Italia incominciorno à sentirsi scosse della terra nelle terre, et casali intorno il monte, et in Somma doue sta la nostra Grangia furno numerati 36 terremoti insino alla matina da un’ nostro converso Fra Carlo che iui staua, quanti apunto hò trouati stampati dopò, et nell’ultimo che fù alle 12 hore et mezza fù uno più gagliardo con tre rimbombi quando scoppiò la terra nella falda del monte à basso verso il mare un miglio sopra Resina. Qui nel nostro monastero non si sentì cosa alcuna essendo stato io vegliante insino dopò le 11 hore, se bene in Napoli s’era inteso come un vento scorrere sotto terra, come in alcune relazioni ho letto.
16 dicembre 631 L’eruzione

Martedi dunque li 16 di Dicembre del 1631 s’aperse la prima bocca del fuoco nel luogo detto, dalla quale non vedendosi fuoco incominciò con gran violenza ad uscire fumo oscuro et denso come di pece, et solfo, il quale con gran impeto alzandosi in alto à globo, e globo veniua à formare un grande, et grosso pino apunto come fù descritto da Plinio giovane, et in breue tempo superò la sommità istessa del monte, fratanto uscì il sole, et essendo tempo chiaro et sereno riflettendo i raggi in quella gran mole fumosa faceva bella vista à riguardarsi. Uscivano dalla voragine col fumo di quando in quando tuoni, e saette che si vedeuano da qua sù come fauille scintillare in una gran fucina con rimbombo come d’Arteglierie, et per la concussione tutte le vitriate, e porte stauano in continuo tremore, che durò insino à notte…
Venuta la notte del martedi la quale sarà sempre memorabile et mai si scorderà da chi la vidde si vedeuano in horrida oscurità lampeggiare tuoni, et sfauillare saette dall’accesa voragine apunto quando cascano dal cielo nelle maggiori tempeste, et simili à lingue lunghe di fuoco come si sogliono pingere le saette che cascano dalle nubbi; ma erano si spesse che pareuano continue coruscationi et non hauendo cosa humana alla quale più viuamente le possi assimigliare, pareua più presto bocca d’inferno che altro…
Per tutta questa notte che fù oscurissima, et piena più d’ogn’altro d’horrore da qua sù non si sentiua altro per la città che suono di campane, strepiti et voci di litanie che si faceuano dalle processioni per ogni parte. Io facendomi forza di volere un poco dormire, ben che con timore che douesse essere l’ultima notte per me, essendomi quanto più meglio seppi raccomandato à Dio, e messomi in letto, non fù possibile per li frequenti terremoti che questi ad ogni quarto d’hora scoteuano la cella, et il letto à modo di culla, pigliar’ un poco di sonno, et dopò le quattr’hore e mezza per la stanchezza serrati un poco gli occhi, alle 5 hore fù un terribile, e lungo terremoto, che all’infretta mi constrinse saltar fuori dal letto, temendo all’hora all’hora mi cascasse adosso la cella, et così me ne andai subito in chiesa, doue mi posi con gl’altri che vi trouai e tra essi il Padre Dom Giuseppe Caudino Priore di Roma il giorno istesso qui arriuato, à fare oratione auanti il S.S.mo Sacramento. Nell’andare che feci alla chiesa si sentiva una puzza di solfo, et era gran vento, et erano cessati di vedersi quelli lampi, et corruscationi uscire dalla voragine del monte. Prima delle 7 hore si cominciò il matutino, il quale si disse con gran divotione, et grauità, che non mi ricordo essersi cantato un’altro simile con tanta compuntione (tanto fà la morte, ò afflizione presente). Dopò il quale ritornando in cella poco prima delle 9 hore si vidde per ogni banda insino alle porte delle celle una couerta di minuta, et quasi impalpabile cenere quanto può essere la grossezza d’un foglio di carta, et era cosi crassa, e tenace che s’attaccò per le colonne, et angoli dei marmi delle porte, che sino ad’hoggi vi stà attaccata, et dalle statue et marmi lauorati, ne per venti, ne per pioggia si è potuta staccare. Mentre si disse il matutino furno tre gagliardi terremoti.

17 dicembre 1631
La processione delle reliquie e la apparizione prodigiosa di san Gennaro

Fatto il giorno di mercoledi li 17 dicembre…. Alle 21 hore si ordinò la Generale processione, la quale uscendo dall’Arciuescouado, e stando per uscire la testa et sangue del glorioso protettore S. Gennaro, essendo il tempo oscuro, et caliginoso, si vidde in un’ subito apparire un’ non sperato, et insolito splendore da quelli che stauano dentro la chiesa, quali rallegrati e molti alzando gl’occhi sopra al soffitto, verso la vitriata sopra la porta maggiore donde spiccaua la luce, viddero corporalmente il Santo martire in habito pontificale che con la destra benediceua il suo deuoto popolo, onde incominciorno à gran voce a gridare miracolo miracolo. Quest’apparitione li hanno testificata molte persone graui, e degne di fede, et alcune con lacrime all’occhi, e stanno disposte à deponerla con giuram[en]to in giuditio sempre che ne saranno richieste. S’inuiò la processione fuora la porta capuana, doue arriuate le sante reliquie à vista aperta del monte, l’Eminentissimo Arciuescouo prese in mano le carrafine del pretioso sangue, et con esse fè più volte il segno della S. Croce verso l’incendio, e quell’infocate nubbi che veniuano sopra la città, et qui si vidde, come molti scriueno, nuouo miracolo che alla vista del sangue, et al segno della croce si squarciorno, et dispersero le nubbi dense et oscure, et comparue il sole che diede con la sua luce dopò tante tenebre consolatione, et allegrezza à tutti; et rischiarandosi appresso il tempo comparue l’arco celeste, ò iride, che haveva un’estremo del mezzo circolo verso la porta Capuana, et l’altro verso il monte, et quando io il viddi mi ricordai di quell’altro che fù dopò il generale diluvio dato in segno di Pace, pigliai gran fiducia che s’era placata l’ira di Dio sopra noi per i meriti del glorioso protettore S. Gennaro.

Potrei continuare nel raccontarvi la affascinante cronistoria di quei tragici giorni, ma ora vi propongo la fine del manoscritto, con le considerazioni ed i ringraziamenti del nostro certosino, che ho voluto ricordare in questa sua splendida opera, caduta nell’oblio.

Ho fatto quanto ho possuto, et saputo in descriuere se bene rozzamente quello che Vostra Paternita m’ha imposto, dove se non trouà quell’eloquenza, et doctrina, che desidera, mi tenghi per scusato, che io volentieri mi sarrei ritirato da tal impresa che eccedeua il mio ingegno, ma per non saper venire meno alle supplicate sue instanze mi son posto à scrivere queste cassature. Mi perdoni se non sono come s’aspettaua, et facendoli riuerenza, et pregandoli dal cielo ogni suo vero consenso, con la buona futura Pasca finisco.
Da San Martino, li 27 di marzo 1632.
Di V. P. M. V( “Vostra Paternità Molto Venerabile”).
Affettuosissimo servo nel Signore
Dom Severo di Napoli Certosino

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3 Risposte

  1. Ma è davvero uno scritto straordinario ! E si legge benissimo ! È avvincente ! …Sembra davvero di guardare dalla finestra ! E sento il timore del monaco, misto a sonno, poi i confratelli già in chiesa, il canto, l’apprensione …Come sempre Grazie

  2. Dom Tromby e anche un protettore di questo strepitoso blog

  3. Grand merci pour ce document très intéressant surtout au niveau de la foi populaire des Napolitains du temps.

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