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Come cresce la fede nel nostro cuore?

Dom Jean Baptiste Porion

Oggi, vi propongo un testo di Dom Jean Baptiste Porion. Egli illustra in maniera eccellente come far crescere in noi la fede.

«Come cresce la fede nel nostro cuore? La luce della fede, dunque, ti fa sin da oggi entrare nella vita eterna e soltanto essa può farlo. Tutto il resto rimane al di qua di ciò che Dio ci offre dal giorno in cui Gesù è risorto. Tutte le altre luci dell’intelligenza, tutte le altre esperienze spirituali sulle quali ci piacerebbe talvolta appoggiarci, sono rispettabili, degne di stima, ma, in fin dei conti, sono sorgente di vita soltanto nella misura in cui sono portatrici di fede. La fede ci è stata data da Dio sin dal Battesimo, ma è un dono che egli moltiplica in noi nella misura del nostro desiderio di riceverlo, nella misura della nostra volontà di farlo fruttificare. Se lasciamo la nostra fede inattiva per ignoranza o per negligenza, essa si arrugginisce, si sclerotizza mentre noi sperperiamo le nostre forze in esercizi spirituali che ci piacciono di più, ma senza portarci frutto. Se vuoi vivere la fede, è necessario che tu sviluppi quella che lo Spirito Santo ha già posto in te: Dio s’aspetta che tu gli chieda, con insistenza e con perseveranza, un aumento della tua fede. E’ una preghiera di cui puoi essere certo che Dio vuol sempre esaudire più di ogni altra preghiera, perché desidera infinitamente più di te vederti progredire sulle strade della vita eterna. Questo non impedisce che, soprattutto agli inizi, tu abbia l’impressione che il Signore non si affretti a far progredire la tua fede. Questo prova che la tua era ancora ben debole e che bisogna, anzitutto, darle delle radici nascoste prima che lo stelo incominci a svilupparsi. Non ti scoraggiare, dunque, se le tue preghiere sembrano vane; certamente non lo sono. Metti in opera la fede di cui sei già portatore credendo fermamente che il Padre tuo dei cieli ti ha già esaudito. Allora potrai incominciare a vivere man mano sempre più nella fede. Nella liturgia, durante i tempi di orazione, nel lavoro, il tuo cuore si metterà più facilmente a contatto col Signore se tu ricevi da lui l’amore oscuro, spesso poco gratificante, ma quanto divino, l’amore che egli ti dona se gli offri la tua fede e non delle belle idee o i giochi della tua sensibilità.

Non ho trucchi da insegnarti. Bisogna chiedere a Dio, nella fede viva, che sia lui stesso a insegnarti a pregare. E’ lui che occuperà il tuo cuore, la tua attenzione, anche se tu non hai una immagine precisa sulla quale fissarti. E’ vivo il Signore alla presenza del quale tu stai»

La Grangia di Carpiano

Grangia castello

Torno oggi a parlarvi di una grangia, etimologicamente deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).

Furono vere e proprie fattorie, in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un magister grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio).

Oggi, in questo articolo, vi parlerò della Grangia di Carpiano.

La storia

Nel 1300 Carpiano era uno dei feudi della famiglia Pusterla di Milano, giustiziata interamente dai Visconti in seguito ad una sentenza emessa per una fallita congiura. I possedimenti, tra cui il Castello di Carpiano, andarono, nel 1395, a Gian Galeazzo Visconti, Duca di Milano, Conte di Pavia e Duca di Lombardia. La costruzione della Certosa di Pavia fu voluta da Gian Galeazzo Visconti, che inaugurò i lavori il 27 agosto 1396, ponendo la prima pietra del cantiere. Proprio in questo periodo Gian Galeazzo Visconti cedeva definitivamente i territori di Carpiano e la chiesa di Torre del Mangano ai Padri certosini, da lui chiamati ad erigere la certosa dove voleva essere sepolto.

Inizialmente, durante la prima fase dei lavori dell’imponente complesso monastico, i primi monaci guidati da Dom Pietro da Montevito già priore di Asti e Dom Bartolomeo Serafini risiedettero nell’antico castello di Torre del Mangano e nel Castello di Carpiano, per poi occupare gradualmente i primi ambienti conventuali, che furono edificati. Agli inizi del 400 i possedimenti certosini a Carpiano si estendevano ormai fino ad assorbire la totalità delle strutture del borgo, comprese case e botteghe di piccoli artigiani. Avviene la trasformazione in Grangia Castello, così era chiamata, di proprietà della Certosa di Pavia. Questa struttura divenne il centro di tutta l’attività rurale del paese, essendo adibita a cascina e granaio. I certosini, come era loro consuetudine, bonificarono queste terre rendendole fertili grazie a nuove tecniche irrigue e al miglioramento del sistema d’irrigazione, introducendo la tecnica della marcite.

I certosini continuarono ad amministrare in contemporanea il castello ed il paese, tanto che nel 1649 vennero investiti anche dei diritti feudali inerenti alla parrocchia di Carpiano, la chiesa di S.Martino Vescovo, già fondata nel 1518. Anche se poi cominciarono ad abbandonare gradualmente la gestione diretta dei fondi agricoli e in generale dei loro possedimenti, nonchè la cura delle anime, che cominciarono a delegarla ad un parroco di loro nomina. Il castello diventava così superfluo per le esigenze conventuali e nel 1590 fu concesso in affitto alla famiglia De Castellatiis. I certosini di Pavia mantennero comunque il feudo sino al 1784, anno in cui l’Imperatore Giuseppe II d’Austria soppresse gli ordini monastici. Da quel momento vi si sono avvicendati vari possessori e la struttura si è deteriorata nel tempo Dal gennaio 2010 l’intero complesso è disabitato, è stato infatti abbandonato dall’ultimo conduttore agricolo e zootecnico. Si pensa di ristrutturare l’intero complesso ma nel frattempo diverse opere d’arte e decorazioni in marmo sono andate perdute. Negli ultimi tempi la Pro Loco di Carpiano assieme ad altre associazioni carpianesi si sono messe in moto in collaborazione con l’associazione Italia Nostra per salvaguardare l’antica Grangia Castello.

La struttura

La modifica del Castello di Carpiano iniziò nel 1549 allorquando, i Padri certosini, ricostruirono la struttura, che nella forma originaria risaliva al XIV secolo. Essi chiesero l’autorizzazione a Ferdinando Gonzaga di ricostruire il Castello nella sua forma antica (“rehedificari facere castrum, servata forma veteri” dal documento del 26 giugno 1549). Successivamente nel 1575 i certosini ottennero dal Vicario della Curia Arcivescovile, Carlo Borromeo, il permesso di celebrare la Messa nell’oratorio da loro fatto costruire secondo i dettami dell’Ordine nella Grangia Castello, esso venne ufficialmente benedetto nel giugno del 1641.

Con la ristrutturazione promossa dai monaci, il castello fortificato di Carpiano divenne una Grangia-Castello, dalla forma rettangolare con quattro torri angolari (oggi ne sono visibili tre), e la bassa torre d’ingresso.

Sul fianco della torre di sud-ovest si trova una loggetta creata con piccole colonne tortili in marmo di Candoglia (lo stesso del Duomo di Milano ) provenienti dalla certosa e pareti affrescate con dipinti della seconda metà del XVI secolo ancora oggi visibili. L’entrata al castello, è una pseudotorre più bassa delle altre torri, un tempo dotata di ponte levatoio sul fossato che circondava il castello. una volta era completamente affrescata con la figura della Vergine, della Certosa di Pavia, di rose del Carmelo e di gigli della convalle. La Vergine, protettrice dell’Ordine Certosino, era raffigurata con una scritta che diceva: “MARIAVIRGO-ORA-PRO-NOBIS“. Sull’entrata si trovava la porta che conduceva alla foresteria, da un lato, e dall’altro le scale che conducevano alle sale del piano superiore. Opposte alle sale si trovavano le stalle. Sul lato corto si trovavano le sale del refettorio, il chiostro, il passaggio a volta e l’oratorio dedicato a San Bruno (affreschi del 1544) consacrato nel 1645, ambienti un tempo riccamente affrescati. Tutte le decorazioni in marmo (provenienti dalla certosa ) e gli affreschi (che portano la data del 1577) presentano la scritta GRA-CAR (visibile anche nella chiesa) che significa GRAtiarum CARtusia. Ancora oggi sono visibili e ben conservate delle sale particolari al piano terreno come la ghiacciaia, già refettorio, con copertura a cupola, si innalza con volte a crociera. Le sale del piano superiore del prospetto sud, sono dipinte con colori bianco e rosa e tutte dotate di grandi camini visibili anche all’esterno, grazie ai comignoli di gusto quattrocentesco. Due mulini vennero costruiti nel 1726 (questa data è incisa sui supporti delle pale, assieme alla solita sigla GRA.CAR) ed ancora oggi si possono ammirarne i resti.

A seguire potrete vedere lacune immagini di quella che era una importante ed imponente grangia certosina. Speriamo, che possa presto essere restaurata e poter ritornare al suo antico splendore.

Preghiere di Fratelli conversi

 

Fratello converso e silenzio

In questo blog, spesso vi ho narrato vicende dei Fratelli conversi, proponendovi un ciclo di articoli dal titolo “vite esemplari“, nei quali si lodavano le loro esistenze speciali. I Fratelli conversi sono chiamati a cercare Dio nella solitudine e nel silenzio, ma la loro vita è meno rinchiusa nell’interno di una cella, perché devono assicurare lo svolgimento di compiti pratici che sono necessari per il buon andamento del monastero. Essi sono impegnati nei vari tipi di lavoro che, come saprete, sono detti “obbedienze”. Ciononostante, qualcuno di loro ha composto delle preghiere che vengono dal cuore, ho il piacere di offrirvene alcune, naturalmente in forma anonima come da tradizione.

Sii vuoto e distaccato

Sii vuoto e distaccato, spogliato di tutto. Lascia andare le preoccupazioni della terra e sii al sicuro in Dio. Niente dovrebbe legarci qui.

Il vuoto è la porta che porterà sicuramente alla libertà ed alla pace.

La serenità ti rende libero trasforma ogni nuova, divina passione, poichè non siamo più attaccati a nulla. Se Dio ci vede liberi e vuoti, si riversa dal suo mare di amore e gioia per sempre, già oggi!

La cripta di Dio

Gli umani sognano spesso grandi salite, spettacoli di Dio ed aria di montagna, ma poi affondano nella discesa e scivolano in una cripta buia.

Eccolo in una grande solitudine nella sua crisi, la tomba lo divora come un gigante attraverso tribolazione, notte abbandono.

Fermati in questa stanza buia, presto troverai una ragione, e dalla grande miseria Dio chiude il patto d’amore con te.

Perchè quando arrivi in fondo, vedi stupito la cripta di Dio, poi guardi Dio, non solo sfocato, respiri pura aria d’amore.

Versa il tuo amore

versa il tuo amore, O Maria, sole; perchè con il tuo amore possiamo bruciare per sempre per Gesù.

Il tuo amore è così lontano; Spirito di Dio, l’eternità è profondamente racchiusa in esso, mai fredda.

Il tuo amore è così caldo, è pieno di poesia e fascino; Possa il tuo più puro amore inondarci completamente!

Versa il tuo amore, in una casa per noi, attraverso di essa saremo esaltati per amare e lodare Dio.

“Parole dal silenzio” beato Lanuino

foto sigla

Cari amici voglio oggi proporvi la seconda puntata della trasmissione “Parole dal silenzio”, andata in onda lo scorso 17 novembre in diretta streaming su vari canali socialmedia. Ormai è un appuntamento mensile, questa rubrica dedicata alla spiritualità certosina ed alle figure di Santi e Beati della famiglia monastica di San Bruno. Questa seconda puntata, idealmente segue la precedente, ed è stata imperniata sulla figura del beato Lanuino, il primo successore di Bruno, “Socius Fidelis”, alla guida dell’eremo di Santa Maria del Bosco. Oltre al sottoscritto ed all’amico Marco Primerano, è stato presente anche l’amico Antonio Zaffino.

Per tutti coloro che non hanno visto la puntata in diretta streaming, ecco il video della seconda puntata.

Buona visione

Conosciamo Dom Josep M. Canals Lamiel

Dom Canals nella cella priorale

Cari amici nell’articolo dello scorso 4 novembre, vi ho annunciato l’elezione di Dom Antao Lopes, ultimo priore di Scala Coeli, a nuovo Piore della certosa di Montalegre. Egli ha sostituito Dom Josep M. Canals Lamiel, a sua volta in carica dal 31 maggio del 2017. E’ mia intenzione presentarvelo.

Dom Canals, nato a Corbera de Llobregat nel 1930, ha studiato presso il Seminario minore della Conreria dal 1943 al 1945. Ordinato sacerdote diocesano nel 1954, ha attraversato diverse parrocchie di Sabadell, Sant Andreu, Poble Nou e Pomar de Badalona, fino a quando la sua vocazione monastica, che aveva sempre sentito, lo ha portato a scegliere l’Ordine certosino. Nel 1985, egli entrò nel noviziato della Grande Chartreuse dove rimase fino al maggio del 1993, allorquando giunse nella certosa di Montalegre.

Qui per 24 anni è stato uno dei monaci più apprezzati, grande promotore della diffusione del carisma e della spiritualità certosina, nonché promotore di studi storici sulla certosa. E’ per queste sue virtù, che fu eletto Priore il 31 maggio del 2017, sostituendo Dom José Manuel Rodríguez, priore da quattro anni, tornato alla Certosa di Portacoeli.

Dal mese scorso Dom Josep M. Canals Lamiel, a causa della veneranda età, ormai 90 anni ha lasciato il suo incarico di Priore a Dom Antão Lopes.

Voglio offrirvi una intervista che Dom Canals, rilasciò poco dopo essere eletto Priore di Montalegre (agosto 2017) alla rivista Catalunya Cristiana, che ci consentirà di conoscerlo meglio.

Dom Josep M. Canals Lamiel

“Solidali e solitari”

All’età di 87 anni, immaginava che avreste dovuto ricoprire questo incarico nell’Ordine certosino?

Devo ringraziare molto Dio perché mi dà molta salute, molta resistenza e una grande illusione per continuare nella Certosa. Potevo vederlo arrivare; Ho capito che l’altro priore era malato e ho sentito che gli avrebbero concesso “misericordia”

Questa offerta che ho fatto 33 anni fà la rinnovo costantemente: «Mio Dio, salva e rinnova Montalegre. » Di tanto che mi sembrava che Dio mi stesse portando qui. Sono molto felice di disegnare vai avanti e salva Montalegre e, inoltre, per farlo rinnovare e vengono nuove vocazioni altrimenti ci sarà chiusura.

L’11 luglio 1954 lei fu ordinato sacerdote nel monastero di Montserrat. Come vede questa lunga tappa, prima come prete diocesano e poi come certosino?

La considero una fase molto positiva. Vivevamo negli anni Cinquanta con una grande preoccupazione per l’apprezzamento del clero diocesano. All’inizio del mio ministero fui assegnato al quartiere di Gràcia de Sabadell. C’era un fantastico centro giovanile lì, con un centinaio di ragazzi. In questo ambiente, l’Opus Dei ha cercato di catturare molte persone e anche io lo seguivo. Allo stesso tempo, volevo diventare un monaco di Poblet, ma il dottor Jubany lo rifiutò categoricamente. Tra queste due preoccupazioni, Opus e Poblet, ho scoperto l’Unione dei Sacerdoti e mi sono praticamente legato ad essa fino a diventare certosino.

Quale impronta le ha lasciato il dottor Tarrés?

Faceva parte dell’Unione Sacerdotale e sono andato a confessarmi con lui per molti anni. Ha vissuto la povertà evangelica in modo radicale; in seminario ci ha consigliato che il prete deve essere povero. Lì ho realizzato tutta la mia vita alla lettera e mi ha dato una libertà di spirito, la gioia spirituale e pace interiore straordinaria. Distacco dai soldi mi sembra che Dio mi ha premiato portandomi alla Certosa, che è una rinuncia radicale a tutto.

Povertà e sentimento operaio

La povertà ha modellato il tuo stile pastorale?

Sì, è per questo che ho sempre voluto esserlo nei quartieri popolari, accanto alla classe lavoratrice e prendi la sua lotta come qualcosa di personale. Spiritualmente mi sono sentito povero e lavoratore, perché si per lavorava guadagnarsi da vivere. Cosi quando ero curato a San José Oriol, che era una parrocchia borghese, io ero scomodo. Ho chiesto al vescovo di assegnarmi ai quartieri popolari per aiutare gli emigranti, perché la mia famiglia materna veniva dall’Aragona (Teruel) e me lo hanno spiegato, quando sono giunti in Catalogna hanno sofferto molto.

A parte il dottor Tarrés, quali sono stati i suoi riferimenti?

Guillem Rovirosa e anche Monsignor Francesc Llopart. Quest’ultimo mi disse: «La soluzione della Spagna è la sinistra, solo la sinistra può cambiare le cose » e che la nostra mentalità nella Chiesa doveva essere a sinistra, perché se no, tutto rimarrà lo stesso. Ha detto che non è un criterio valido per dire che le cose sono sempre stati fatti in quel modo; dovere partire dalla realtà, giudicare il fatto e essere coerente [revisione della vita]. Il la mistica della JOC e dell’ACO mi ha lasciato molto bene. Questo atteggiamento di sinistra l’ho sempre tenuto dentro l’ordine della Certosa.

Suo padre è morto quando lei aveva solo un anno in un incidente di lavoro ed è stato sacerdote in diversi quartieri della classe operaia.

Come vede la situazione dei lavoratori oggi?

Vedo male la situazione oggi. Vi è una terribile crisi lavorativa che affligge i giovani e li spersonalizza, portandoli alla droga, al sesso ed al fare cose senza senso. Non avendo un contratto ed un lavoro fisso, quindi un futuro che li incoraggia e da loro speranza, questo li annulla totalmente.

Dom Canals

Salto sicuro nel vuoto

Nel 1985, in età matura, decide di entrare nella Grande Chartreuse. Questo fatto colpisce molti. Cosa la porta a fare questo passo?

In alcuni esercizi che ho fatto l’anno precedente Ho sentito la forte chiamata di entrare nella Certosa. Ho deciso di andare alla Grande Chartreuse per parlare con il Reverendo Padre, feci un pellegrinaggio alla cella di San Bruno e ho pregato davanti alla sua tomba, dove il santo finì i suoi giorni terreni. In Calabria, nella Certosa di Serra San Bruno,  dove vi sono le spoglie del santo che ha fondato l’Ordine certosino, c’era un avvocato che era catalano come me, e mi disse che stavano chiudendo Montalegre. Questa notizia mi ha causato un shock così forte che quando me ne sono andato nella cella che mi ospitava sono andato in un inginocchiatoio che aveva l’immagine della Vergine di Lourdes, in quel momento ho deciso di offrire la mia vita nella speranza che Montalegre non chiudesse.

Come ha vissuto la transizione tra il trambusto della vita fuori e la vita contemplativa?

Per tutta la vita ho sentito un’inclinazione alla vita contemplativa, quindi non mi è costato troppo. Avevo effettuato diversi ritiri; il contrappeso mi si adattava molto bene dei momenti di silenzio e solitudine di fronte ad un attivismo sproporzionato.

L’ora dell’adorazione che avevano anche i fratellini Foucauld mi ha attratto, mi ha portato serenità e pace, mi aiuta a superare lo stress. La mistica di Foucauld, della contemplazione incarnata nel mondo, l’ho vissuta sempre ed, in un certo senso, ciò ha contribuito a farmi approdare in Certosa.

Dall’isolamento in Certosa, come si connette con il mondo?

Mi sento molto legato spiritualmente alla classe operaia, ai gruppi ed ai movimenti che avevo animato spiritualmente; è la comunione dei santi e questo mi dà molta forza. La vocazione dei certosini “solitari” è spesso accompagnato dalla parola «Solidarietà», ci sentiamo solidali con il mondo, con l’umanità e con la Chiesa. La mia vita, la mia penitenza, il mio lavoro, tutto quello che faccio qui, offerto per la Chiesa ed al mondo. Non ho tempo per amare me stesso di sentirsi frustrati o perdere il il tempo, al contrario: questa è la mistica dalla certosa.

clausura

Montalegre, un monastero da 600 anni

Ce lo aveva detto il precedente Priore che il chiostro di Montalegre era il suo spazio preferito. Qual è il suo?

Sono due gli spazi che vivo appieno: la solitudine della cella e l’altare, la messa di ogni giorno, sia quella conventuale che quella solitaria. Sono i due poli che uniscono la vita del monaco. In tutta la mia vita nella quale ho sentito una grande devozione di dire messa.

Il benedettino Notker Wolf ha spiegato che nei monasteri

la cura tra confratelli é trascurata. Com’è nel suo caso?

Nell’ordine certosino ci sono due categorie nella comunità: i tanti che, in un certo senso spersonalizzano un po’ al monaco, perché non c’è interrelazione tra le persone e i piccoli, come la nostra, con un’interrelazione più diretto che crea uno spirito di famiglia molto buona. A Montalegre siamo più vecchi e, inoltre, ce abbiamo un cieco e un invalido. E come questo, poco o molto, a causa della nostra età abbiamo tutti qualche limitazione, questa ci fa sempre essere molto attenti nel  servizio ai fratelli.

La solitudine è la pietra angolar edella nostra vita“, ci aveva detto il precedente priore, P. José Manuel Rodriguez. La solitudine e il silenzio hanno dei pericoli?

Nel silenzio certosino il monaco non si sente mai solo. Il monaco certosino è solitario, ma allo stesso tempo lo è in solidarietà, a livello mondiale, nel campo del corpo mistico e nel campo della comunione dei santi. Dunque non siamo totalmente disconnessi: il priore riceve La Vanguardia e Catalunya Cristiana raccoglie le notizie e la domenica le commentiamo; e quando c’è qualche fatto urgente o serio, raccoglie la notizia e la passa attraverso le celle.

Perché sono necessari i monaci contemplativi oggi?

In un mondo impazzito violenza, consumismo, rumore, stress e fretta, offriamo un altro stile vita che dona serenità, pace, gioia e allegria. Con il nostro ritmo di vita e mistica della solitudine e del silenzio, di preghiera e penitenza ne offriamo un’altra alternativa: cosa è incontrare di nuovo se stessi e riscoprire Dio in uno stesso. Ripensando che non sei solo, ma che la Trinità è con te, questo dà una dimensione di amore, di abbandono e di gioia e di straordinaria felicità.

dOM laMEL

S.Ugo, il “collezionista di ossa”

copertina Vita Ugo

Oggi 17 novembre si celebra la memoria liturgica di S. Ugo vescovo di Lincoln, di questo celebre certosino vi ho ampiamente parlato nel corso degli anni. L’articolo odierno vuole raccontare, altri particolari sul vescovo certosino, attraverso qualche aneddoto estratto da “La vita di Ugo”, scritto e composto dal suo cappellano Adamo di Eynsham, un monaco benedettino suo costante collaboratore, che è oggi conservata in forma manoscritta nella Bodleian Library di Oxford.

Ugo Lincoln certosa Paviadi Vermiglio Giuseppe (1587 post 1635)

Sulla personalità:

Un aneddoto ci illustra il rapporto di Ugo con la preghiera e la politica. Un giorno di festa in cui Ugo, vescovo di Lincoln, e un altro Ugo, vescovo di Coventry, erano attesi in udienza con il re Enrico II, i fratelli vescovi si ritrovarono insieme in coro a una messa conventuale. Il vescovo di Coventry omise i toni solenni propri del giorno e cominciò a salmodiare l’Introito. Il santo vescovo di Lincoln lo interruppe, cantando fin dall’inizio l’Introito con la debita solennità. Quando il vescovo di Coventry lo ha contestato: “Dobbiamo affrettarci, perché il re ci aspetterà, e ha molta fretta”, il vescovo certosino ha ribattuto: “Non posso farci niente; dobbiamo prima rendere omaggio al Re dei re. Nessun lavoro secolare può dispensarci da ciò che Gli dobbiamo; e il nostro servizio oggi dovrebbe essere festoso, non irrequieto “.

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Sui lebbrosi:

Come molti santi prima di lui, Ugo lavava, puliva, asciugava e poi baciava i piedi dei lebbrosi e degli emarginati. A quei tempi si credeva che il “bacio di San Martino” (il bacio di un re o di un sant’uomo) curasse la lebbra, quindi questo servizio era popolare, ma Ugo ha il merito di aver detto “Con me è il contrario, i baci dei lebbrosi guariscono la mia anima malata “. Egli amava particolarmente gli emarginati e gli oppressi. Da vescovo ha rivolto la sua azione caritatevole ai malati di lebbra, ai malati e ai poveri. Ugo lavava e asciugava i piedi ai lebbrosi, si sedeva con loro li confortava e li abbracciava e li baciava uno per uno.

Miracolo di S. Ugo di Lincoln

Sugli ebrei

Quando il re Enrico morì e il famoso Riccardo Cuor di Leone salì al trono, ci fu un’ondata di rivolte antisemite, una a Lincoln. Un mercante di Lincoln di nome Aaron aveva prestato denaro all’Abbazia di St. Alban e quando lo voleva indietro una folla si ribellò e lo inseguì nella chiesa, intenzionata a bruciarlo. Ugo rimase fermo davanti all’altare e “mise il timore di Dio” nei rivoltosi in un senso molto letterale. Impauriti ed irretiti dal monito autorevole di Ugo fuggirono senza la loro vittima. In molte altre occasioni Ugo affrontò da solo una folla armata e arrabbiata e riuscì sempre a persuadere i rivoltosi che risparmiarono le loro vittime.

s. Ugo trisulti (BALBI)

Il collezionista di ossa

Vi svelo ora il significato del titolo bizzarro che ho dato a questo articolo. Sempre il biografo, fedele cronista degli episodi e dei comportamenti del nostro amato S. Ugo, ci riporta moltissimi aneddoti riguardanti le reliquie. Ci narra che Ugo era un cultore delle reliquie in genere ed un “collezionista di ossa”. Il vescovo certosino si fece costruire uno speciale anello su quale fece incastonare un piccolo reliquiario contenente una trentina di frammenti ossei!

Inoltre riuscì ad ottenere un dente di san Benedetto che mise a contatto con delle pecette che distribuiva ai monaci che ne apprezzarono il valore di reliquia. La sua smodata passione per collezionare frammenti ossei, spinse Ugo a episodi che appaiono alquanto macabri a quanto ci riferisce il biografo Adamo di Eynsham. A Fècamp, staccò con i propri denti due frammenti dal braccio del corpo di Maria Maddalena, dopo aver provato invano a staccarlo con le dita, ciò avvenne sotto lo sguardo sorpreso e terrorizzato di alcuni monaci.

bruno ugo e1600 scuola tedesca

Preghiera:

Sii la nostra luce nelle tenebre, o Signore, e nella tua grande misericordia difendici da tutti i pericoli ed insidie di questa notte; per l’amore del tuo unico Figlio, il nostro Salvatore Gesù Cristo.

Santo Dio, il nostro più grande tesoro, hai benedetto Ugo, vescovo di Lincoln, con saggia e gioiosa audacia per l’annuncio della tua Parola a ricchi e poveri allo stesso modo: concedi che tutti coloro che ministrano nel tuo nome possano servire con diligenza, disciplina e umiltà, non temendo altro che la tua perdita e attirando tutti a te per mezzo di Gesù Cristo nostro Salvatore; che vive e regna con te nella comunione dello Spirito Santo, un solo Dio, ora e sempre.

Amen.

Il canto dei certosini III

Monaci negli stalli del coro per il Mattutino

Prosegue oggi l’approfondimento sul canto certosino, estratto dal testo scritto da Dom Benoit du Moustier Lambres, quindi fonte fedele, ed esplicativo sul canto dei certosini.

Ecco a voi il terzo capitolo….

LE CHANT DES CHARTREUX

Dom BENOIT-M. LAMBRES, O. Cart. (certosa di La Valsainte)

MA DA DOVE PROVIENE IL CANTO DEI CERTOSINI

Dal tempo prima di Guigo, che fu priore dal1109 al 1136, sono rimasti solo pochi manoscritti che possono raccontarci cosa si cantava alla Chartreuse. C’è il Sacramentario 751 della Grande Chartreuse, che contiene i canti dell’Ordinario della Messa; il Tonale della Messa e dell’Ufficio il ms. I24 di Grenoble, dove si può ancora vedere il quilisma nella salmodia introita del 7 ° modo; il ms. 824 della Grande Chartreuse, che nella sua prima parte contiene l’Office des Morts e quello de Beata, entrambi con le loro note incipit in neumes in campo aperto (notazione lionese?) E che a volte sembrano suggerire leggere variazioni se sono si confronta con le melodie del tardo Antiphonaire; e forse i due fogli antifonari, ms. 828 della Grande Chartreuse, gli unici antifonari certosini rimasti del XII secolo.

Da dove provenivano i testi liturgici e le melodie dei primi certosini?

San Bruno veniva da Reims, dove era stato educato; due dei suoi primi compagni erano stati canonici di San Rufo; un terzo, il cappellano Ugo, era un prete; prima di giungere alla Certosa, san Bruno era stato eremita a Seche-Fontaine, sotto la protezione di san Roberto di Molesmes; infine, la sua fondazione definitiva nella regione della Chartreuse ebbe rapporti con l’abbazia benedettina di Chaise-Dieu e con il suo priorato di Mont-Cornillon. Qui ci sono molte possibilità di provenienza per i loro primi libri liturgici; per non parlare del loro nuovo protettore, il vescovo Sannt’Ugo di Grenoble, che avrebbe potuto provvedere. Tutto questo terreno è ancora insufficientemente esplorato. Nel XVII secolo, il certosino Petrus Sutor, riporta un’antica tradizione secondo la quale i certosini prendevano in prestito i loro libri liturgici principalmente dalla chiesa primaziale di Lione. Per quanto riguarda il canto, il confronto dettagliato del Graduel cartusien con quello di Lione – un ottimo esempio di questo è ancora il folio stampato a Lione nel 1738, ci ha mostrato che i Certosini hanno molte delle loro varianti in comune con Lione, ma ancora più spesso le abbiamo trovate nei mss. derivante dalla metropoli rivale di Vienne: 8o0, che nella sua parte non certosina è di Valence, il ms. Vai e la graduale JVi. Molto spesso, le varianti del graduale certosino corrispondono a quelle del graduale ms. U 866 (I33) di Grenoble, scritto tra I450 e I460, l’unico Grenoblois graduale che ci è rimasto.

Possiamo quindi concludere che, ancor più della versione di Lione, quella di Vienne ha influenzato il canto certosino. Questa influenza fu esercitata soprattutto attraverso Grenoble, la città episcopale più vicina alla Certosa, di cui Sant’Ugo fu cofondatore e per tutta la vita protettore. Anche l’elenco certosino dei Repons-graduels e dell’Alleluia dopo Pentecoste è quasi identico a quello del manoscritto di Grenoble . Le notazioni usate nei mss più antichi cartusiani puntano nella stessa direzione. Dei due graduali A33 e S, che sono entrambi quasi contemporanei di Guigo, il primo ha una notazione in cui le influenze lionesi si intersecano con le influenze di Metz, mentre il secondo è nella vecchia notazione Aquitania. Le Tonale de la Grande Chartreuse ms. 75I, dell’inizio del XII secolo, è anche nella vecchia notazione Aquitania, come lo sono anche i 4 fogli rimanenti dell’antifonario cartusiano del XII secolo. I neumi in campo aperto des incipit dell’Ufficio dei Morti e quello de Beata del ms. 824 contemporanei di Guigo, sono probabilmente lionesi. Se non vogliamo precisare altro, dobbiamo almeno ricordare che la tradizione musicale dei Certosini si colloca, insomma, nel ramo aquitanico della grande tradizione gregoriana. Sull’origine dell’Antifonario certosino, i confronti con i principali antifonari dei secoli Ioe, Ie e I2e: quelli di Hartker (Paleogr. Music., 2e serie, t. I), di Mont-Renaud (Pal. Mus. ., t. XVI), da Lucca (Pal. Mus., t. IX), da Lione ms. 537, non ha rivelato un vero parente. Tutto ciò che si può dire è che il contenuto dell’Antiphonaire des Carttreux del tempo di Guigo è certamente romano, con alcune peculiarità gallicane. Le riconciliazioni con i rari documenti di Lione sono troppo poco caratteristiche e le differenze troppo numerose (DAL I049). Ci mancano termini di paragone dell’origine di Grenoble. Le altre possibilità indicate all’inizio di questa terza parte sono ancora da esplorare.

La mancanza di documenti da Grenoble è molto deplorevole, poiché il risultato della nostra ricerca sull’origine del Graduel cartusien sembra suggerire che, per l’Antifonaire, dovremmo guardare nella stessa direzione; soprattutto perché, come vedremo, Sant’Ugo di Grenoble fu coinvolto nella compilazione finale dell’Antifonario dei Certosini

“GRA-CAR” l’elisir perduto

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In questo articolo, voglio svelarvi una storia poco conosciuta.

Lo sapevate che è esistito un liquore uguale alla famigerata “Chartreuse” prodotto dai monaci certosini?

Ebbene ecco per voi questa vicenda.

Necessita conoscere la storia del noto liquore monastico, e per questo vi rimando alla lettura di questo precedente articolo.

Dopodichè può iniziare il racconto ma… contestualizzando gli avvenimenti.

Premetto che con la legge 3036 del 7 luglio 1866, la certosa di Pavia fu dichiarata monumento nazionale italiano e i beni ecclesiastici diventarono proprietà del Regno d’Italia, anche se fino al 1879 alcuni certosini continuarono ad abitare il complesso monastico.

In questo periodo fortemente tormentato per le comunità certosine, si innesca la storia che segue.

Siamo nel 1892, allorquando Ignazio Giraud, un garibaldino di Genova che combatté nelle guerre del Risorgimento, ebbe in concessione dal Demanio della Foresteria della Certosa di Pavia gli antichi locali della Spezieria. Si narra che un monaco certosino della certosa di Grenoble, avrebbe rivelato la ricetta segreta del rinomato elisir monastico, al Giraud. Egli decise dunque di avviarne la produzione, ma non potendo utilizzare il nome “Chartreuse”, decise di distribuire il “Liquore Speciale della Certosa di Pavia” con il nome “Gra-Car” (acronimo di Gratiarum Cartusia, Certosa delle Grazie).

bottiglia

Negli anni seguenti gli si affiancò il genero Enrico Maddalena che diede il nome alla ditta la quale ebbe momenti di massima espansione commerciale, il prodotto, fu presente all’Esposizione Universale di Milano del 1906. Durante il proibizionismo, l’azienda ha iniziato a esportare il “Gra Car” in tutto il mondo, da New York all’Argentina, conservando la sede unica nell’antica spezieria della Certosa di Pavia, dove veniva prodotto. Ma Enrico Maddalena fu anche l’artefice di una bizzarra ma geniale iniziativa, ovvero la messa in funzione, nel 1913, della tranvia a cavalli, che per 30 anni ha fatto da navetta di collegamento fra la stazione ferroviaria di Pavia ed il Piazzale della monumentale certosa. Dapprima trainato da cavalli bianchi, poi da un motore elettrico. Il vagone faceva un tragitto intorno alle mura esterne del monastero, che era compiuto in cinque minuti e si effettuavano dalle tre alle quattro coppie di corse al giorno, per la gioia dei turisti. Dopo avervi riferito di questo altro aneddoto, continuo la storia di questo liquore prodotto da una azienda esclusivamente a conduzione familiare. Trascorrono gli anni e fin da bambina, Alma, ha seguito il proprio padre Enrico e, anno dopo anno, ha imparato tutti i segreti legati alla produzione di questo liquore, ella è colei che fino al 2013, dopo 121 anni di attività, è stata l’ultima titolare dell’azienda pavese, che all’epoca ultranovantenne, decise di sospendere la produzione dell’elisir.

La signora Alma, nata nel 1918 e morta centenaria due anni fa, aveva coraggiosamente portato avanti l’azienda di famiglia, con immensi sacrifici. Ella affermava: «Il liquore dei frati è nato a Certosa e deve rimanere a Certosa»

La produzione fino all’ultimo prevedeva due diversi tipi di infuso del liquore originale: “Verde”, più forte e secco, adatto come digestivo, ed un altro “Giallo” di 40°, più dolce, adatto come liquore da dessert, da aggiungere eventualmente sulla macedonia o sul gelato; il colore viene dato da stimmi di zafferano. A questi si aggiunse, successivamente, un terzo liquore che è un infuso di chicchi macinati di caffè messi in infusione nell’alcool con altre erbe, con una gradazione di 40°.

Il patrimonio di questa gloriosa azienda familiare, è andato in parte disperso.

Le medaglie, le onorificenze, la ricetta e il marchio, le bottiglie pregiate e l’attività che per oltre un secolo aveva reso celebre il “Gra Car”, tutto dimenticato. Con la scomparsa di Alma, due anni fa, non restano che i ricordi. E una storia gloriosa affidata ai registri che la vecchia signora aveva gelosamente conservato con le dediche di sovrani, artisti, scrittori, il poeta Cesare Angelini, ad esempio, in compagnia della poetessa Ada Negri erano clienti abituali, ed anche uno zar assiduo degustatore.

I discendenti della titolare non hanno avuto interesse a proseguire la produzione di questa specialità che su Ebay si trova ancora in vendita a cifre stratosferiche!

Una storia molto triste, quella del “GRA-CAR” l’elisir perduto che ho voluto raccontarvi per renderla nota a tutti coloro che non la conoscevano.

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la signora Alma

Novena a Sant’Ugo di Lincoln

 

Novena a S. Ugo

Novena a
Sant’ Ugo di Lincoln
(Vescovo, Patrono dei Bambini Malati)

Oggi a nove giorni dal 17 novembre, giorno di celebrazione di S. Ugo di Lincoln voglio proporvi il testo di una novena da recitare in suo onore. Delle preghiere semplici, da ripetere ogni giorno per nove giorni consecutivi. Chiunque voglia invocare S. Ugo di Lincoln che interceda e ci aiuti in questo terribile periodo di emergenza sanitaria, egli che è anche riconosciuto come patrono dei bambini malati.

Ripeti le seguenti preghiere della Novena ogni giorno per 9 giorni consecutivi.

O Dio, che hai dotato il tuo servitore Ugo
di un’audacia saggia e allegra
e gli ha insegnato a raccomandare ai governanti terreni
la disciplina di una vita santa:
donaci la grazia come lui per essere audaci
nel servizio del Vangelo,
riponendo la nostra fiducia in Cristo solo ,
che è vivo e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
un solo Dio, ora e sempre.

Amen.

 

Caro sant’Ugo di Lincoln, in
qualità di vescovo e pastore dei fedeli, le
tue virtù risplendevano luminosamente mentre cercavi
con notevole zelo apostolico di
lavorare per l’onore di Dio
e la salvezza delle anime.
Per ottenere l’aiuto divino nelle tante necessità,
Ti sei rifugiato nella preghiera, nel digiuno e in altre penitenze.
Quando sei stato tentato, hai invocato la Beata Vergine,
ottenendo una tale forza da poter resistere alle tentazioni.
Il sacrificio della Santa Messa lo avete eseguito con tale devozione,
che più volte avete ricevuto la grazia di vedere il Signore
nella forma di un adorabile bambino, nella Santa Eucaristia.
San Ugo, difensore della fede,
preferiresti morire piuttosto che rinunciare alla tua chiamata a servire.
Ti chiedo oggi sant’Ugo di
intercedere davanti a Dio in mio favore,
affinché possa ottenere il favore che cerco.
[Menziona qui le tue necessità …]

Amen.

Padre nostro …

Santo Ugo,
prega per me / noi.

Ave Maria …

San Ugo,
prega per me / noi.

Gloria al Padre …

Santo Ugo,
prega per me / noi.

 

“Disconnessioni. Nell’ascolto del silenzio”

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Cari amici di Cartusialover, voglio con questo articolo rendervi partecipe di un’iniziativa che sono riuscito a realizzare nella “mia” certosa, oggi museo: la certosa di San Martino a Napoli.

Come vi ho spiegato da sempre, chi vi scrive ha avuto il privilegio di coniugare la propria passione con il proprio lavoro avendo la fortuna di lavorare in una certosa, ciò ha sviluppato la mia smodata passione per le tematiche certosine. Nel corso degli anni mi sono sempre impegnato per dare valenza e risalto alla natura primigenia del luogo in cui lavoro, che dal 1867 ospita il Museo Nazionale di San Martino. La doppia anima di questo splendido luogo, pregno di ricchezze architettoniche ed artistiche talvolta sfugge ai visitatori più distratti. Con l’obiettivo di dare risalto all’aspetto spirituale dei residui ambienti monastici, e con la necessità di voler dare risalto all’ascolto del silenzio, in un mondo che si muove a ritmi elevati ed ossessionato dalla connessione al mondo virtuale ed ai frastuoni, ho concepito una visita speciale. Essa si è svolta lo scorso 26 settembre in occasione delle “Giornate Europee del Patrimonio (European Heritage Days), la più estesa e partecipata manifestazione culturale d’Europa. Grazie ad una narrazione, intervallata dall’ascolto del silenzio e di letture di testi antichi e contemporanei di autori certosini, e di testimonianze di giovani aspiranti, io ed i miei colleghi abbiamo condotto il pubblico alla scoperta dei luoghi e dei simboli del complesso monastico, supportati da un talentuoso performer in abito monastico. Ciascun partecipante è stato chiamato a lasciare il mondo fuori ed a connettersi con se stesso.

Ecco a voi le immagini della visita “Disconnessioni. Nell’ascolto del silenzio”, con l’auspicio che possa coinvolgervi emotivamente.