
Cari amici nell’articolo dello scorso 4 novembre, vi ho annunciato l’elezione di Dom Antao Lopes, ultimo priore di Scala Coeli, a nuovo Piore della certosa di Montalegre. Egli ha sostituito Dom Josep M. Canals Lamiel, a sua volta in carica dal 31 maggio del 2017. E’ mia intenzione presentarvelo.
Dom Canals, nato a Corbera de Llobregat nel 1930, ha studiato presso il Seminario minore della Conreria dal 1943 al 1945. Ordinato sacerdote diocesano nel 1954, ha attraversato diverse parrocchie di Sabadell, Sant Andreu, Poble Nou e Pomar de Badalona, fino a quando la sua vocazione monastica, che aveva sempre sentito, lo ha portato a scegliere l’Ordine certosino. Nel 1985, egli entrò nel noviziato della Grande Chartreuse dove rimase fino al maggio del 1993, allorquando giunse nella certosa di Montalegre.
Qui per 24 anni è stato uno dei monaci più apprezzati, grande promotore della diffusione del carisma e della spiritualità certosina, nonché promotore di studi storici sulla certosa. E’ per queste sue virtù, che fu eletto Priore il 31 maggio del 2017, sostituendo Dom José Manuel Rodríguez, priore da quattro anni, tornato alla Certosa di Portacoeli.
Dal mese scorso Dom Josep M. Canals Lamiel, a causa della veneranda età, ormai 90 anni ha lasciato il suo incarico di Priore a Dom Antão Lopes.
Voglio offrirvi una intervista che Dom Canals, rilasciò poco dopo essere eletto Priore di Montalegre (agosto 2017) alla rivista Catalunya Cristiana, che ci consentirà di conoscerlo meglio.

“Solidali e solitari”
All’età di 87 anni, immaginava che avreste dovuto ricoprire questo incarico nell’Ordine certosino?
Devo ringraziare molto Dio perché mi dà molta salute, molta resistenza e una grande illusione per continuare nella Certosa. Potevo vederlo arrivare; Ho capito che l’altro priore era malato e ho sentito che gli avrebbero concesso “misericordia”
Questa offerta che ho fatto 33 anni fà la rinnovo costantemente: «Mio Dio, salva e rinnova Montalegre. » Di tanto che mi sembrava che Dio mi stesse portando qui. Sono molto felice di disegnare vai avanti e salva Montalegre e, inoltre, per farlo rinnovare e vengono nuove vocazioni altrimenti ci sarà chiusura.
L’11 luglio 1954 lei fu ordinato sacerdote nel monastero di Montserrat. Come vede questa lunga tappa, prima come prete diocesano e poi come certosino?
La considero una fase molto positiva. Vivevamo negli anni Cinquanta con una grande preoccupazione per l’apprezzamento del clero diocesano. All’inizio del mio ministero fui assegnato al quartiere di Gràcia de Sabadell. C’era un fantastico centro giovanile lì, con un centinaio di ragazzi. In questo ambiente, l’Opus Dei ha cercato di catturare molte persone e anche io lo seguivo. Allo stesso tempo, volevo diventare un monaco di Poblet, ma il dottor Jubany lo rifiutò categoricamente. Tra queste due preoccupazioni, Opus e Poblet, ho scoperto l’Unione dei Sacerdoti e mi sono praticamente legato ad essa fino a diventare certosino.
Quale impronta le ha lasciato il dottor Tarrés?
Faceva parte dell’Unione Sacerdotale e sono andato a confessarmi con lui per molti anni. Ha vissuto la povertà evangelica in modo radicale; in seminario ci ha consigliato che il prete deve essere povero. Lì ho realizzato tutta la mia vita alla lettera e mi ha dato una libertà di spirito, la gioia spirituale e pace interiore straordinaria. Distacco dai soldi mi sembra che Dio mi ha premiato portandomi alla Certosa, che è una rinuncia radicale a tutto.
Povertà e sentimento operaio
La povertà ha modellato il tuo stile pastorale?
Sì, è per questo che ho sempre voluto esserlo nei quartieri popolari, accanto alla classe lavoratrice e prendi la sua lotta come qualcosa di personale. Spiritualmente mi sono sentito povero e lavoratore, perché si per lavorava guadagnarsi da vivere. Cosi quando ero curato a San José Oriol, che era una parrocchia borghese, io ero scomodo. Ho chiesto al vescovo di assegnarmi ai quartieri popolari per aiutare gli emigranti, perché la mia famiglia materna veniva dall’Aragona (Teruel) e me lo hanno spiegato, quando sono giunti in Catalogna hanno sofferto molto.
A parte il dottor Tarrés, quali sono stati i suoi riferimenti?
Guillem Rovirosa e anche Monsignor Francesc Llopart. Quest’ultimo mi disse: «La soluzione della Spagna è la sinistra, solo la sinistra può cambiare le cose » e che la nostra mentalità nella Chiesa doveva essere a sinistra, perché se no, tutto rimarrà lo stesso. Ha detto che non è un criterio valido per dire che le cose sono sempre stati fatti in quel modo; dovere partire dalla realtà, giudicare il fatto e essere coerente [revisione della vita]. Il la mistica della JOC e dell’ACO mi ha lasciato molto bene. Questo atteggiamento di sinistra l’ho sempre tenuto dentro l’ordine della Certosa.
Suo padre è morto quando lei aveva solo un anno in un incidente di lavoro ed è stato sacerdote in diversi quartieri della classe operaia.
Come vede la situazione dei lavoratori oggi?
Vedo male la situazione oggi. Vi è una terribile crisi lavorativa che affligge i giovani e li spersonalizza, portandoli alla droga, al sesso ed al fare cose senza senso. Non avendo un contratto ed un lavoro fisso, quindi un futuro che li incoraggia e da loro speranza, questo li annulla totalmente.

Salto sicuro nel vuoto
Nel 1985, in età matura, decide di entrare nella Grande Chartreuse. Questo fatto colpisce molti. Cosa la porta a fare questo passo?
In alcuni esercizi che ho fatto l’anno precedente Ho sentito la forte chiamata di entrare nella Certosa. Ho deciso di andare alla Grande Chartreuse per parlare con il Reverendo Padre, feci un pellegrinaggio alla cella di San Bruno e ho pregato davanti alla sua tomba, dove il santo finì i suoi giorni terreni. In Calabria, nella Certosa di Serra San Bruno, dove vi sono le spoglie del santo che ha fondato l’Ordine certosino, c’era un avvocato che era catalano come me, e mi disse che stavano chiudendo Montalegre. Questa notizia mi ha causato un shock così forte che quando me ne sono andato nella cella che mi ospitava sono andato in un inginocchiatoio che aveva l’immagine della Vergine di Lourdes, in quel momento ho deciso di offrire la mia vita nella speranza che Montalegre non chiudesse.
Come ha vissuto la transizione tra il trambusto della vita fuori e la vita contemplativa?
Per tutta la vita ho sentito un’inclinazione alla vita contemplativa, quindi non mi è costato troppo. Avevo effettuato diversi ritiri; il contrappeso mi si adattava molto bene dei momenti di silenzio e solitudine di fronte ad un attivismo sproporzionato.
L’ora dell’adorazione che avevano anche i fratellini Foucauld mi ha attratto, mi ha portato serenità e pace, mi aiuta a superare lo stress. La mistica di Foucauld, della contemplazione incarnata nel mondo, l’ho vissuta sempre ed, in un certo senso, ciò ha contribuito a farmi approdare in Certosa.
Dall’isolamento in Certosa, come si connette con il mondo?
Mi sento molto legato spiritualmente alla classe operaia, ai gruppi ed ai movimenti che avevo animato spiritualmente; è la comunione dei santi e questo mi dà molta forza. La vocazione dei certosini “solitari” è spesso accompagnato dalla parola «Solidarietà», ci sentiamo solidali con il mondo, con l’umanità e con la Chiesa. La mia vita, la mia penitenza, il mio lavoro, tutto quello che faccio qui, offerto per la Chiesa ed al mondo. Non ho tempo per amare me stesso di sentirsi frustrati o perdere il il tempo, al contrario: questa è la mistica dalla certosa.

Montalegre, un monastero da 600 anni
Ce lo aveva detto il precedente Priore che il chiostro di Montalegre era il suo spazio preferito. Qual è il suo?
Sono due gli spazi che vivo appieno: la solitudine della cella e l’altare, la messa di ogni giorno, sia quella conventuale che quella solitaria. Sono i due poli che uniscono la vita del monaco. In tutta la mia vita nella quale ho sentito una grande devozione di dire messa.
Il benedettino Notker Wolf ha spiegato che nei monasteri
la cura tra confratelli é trascurata. Com’è nel suo caso?
Nell’ordine certosino ci sono due categorie nella comunità: i tanti che, in un certo senso spersonalizzano un po’ al monaco, perché non c’è interrelazione tra le persone e i piccoli, come la nostra, con un’interrelazione più diretto che crea uno spirito di famiglia molto buona. A Montalegre siamo più vecchi e, inoltre, ce abbiamo un cieco e un invalido. E come questo, poco o molto, a causa della nostra età abbiamo tutti qualche limitazione, questa ci fa sempre essere molto attenti nel servizio ai fratelli.
“La solitudine è la pietra angolar edella nostra vita“, ci aveva detto il precedente priore, P. José Manuel Rodriguez. La solitudine e il silenzio hanno dei pericoli?
Nel silenzio certosino il monaco non si sente mai solo. Il monaco certosino è solitario, ma allo stesso tempo lo è in solidarietà, a livello mondiale, nel campo del corpo mistico e nel campo della comunione dei santi. Dunque non siamo totalmente disconnessi: il priore riceve La Vanguardia e Catalunya Cristiana raccoglie le notizie e la domenica le commentiamo; e quando c’è qualche fatto urgente o serio, raccoglie la notizia e la passa attraverso le celle.
Perché sono necessari i monaci contemplativi oggi?
In un mondo impazzito violenza, consumismo, rumore, stress e fretta, offriamo un altro stile vita che dona serenità, pace, gioia e allegria. Con il nostro ritmo di vita e mistica della solitudine e del silenzio, di preghiera e penitenza ne offriamo un’altra alternativa: cosa è incontrare di nuovo se stessi e riscoprire Dio in uno stesso. Ripensando che non sei solo, ma che la Trinità è con te, questo dà una dimensione di amore, di abbandono e di gioia e di straordinaria felicità.

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