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“Parole dal silenzio” Sant’Ugo di Lincoln

foto sigla

Cari amici voglio oggi proporvi la quarta puntata della trasmissione “Parole dal silenzio”, andata in onda lo scorso giovedi 25 febbraio in diretta streaming su vari canali socialmedia. Ormai è un appuntamento mensile, questa rubrica dedicata alla spiritualità certosina ed alle figure di Santi e Beati della famiglia monastica di San Bruno. In questa quarta puntata, la seconda del 2021, l’argomento che verrà trattato sarà: “S. Ugo vescovo di Lincoln“.
Un piacevole approfondimento, che ci porterà alla scoperta di questo grande personaggio dell’Ordine certosino, il quale è stato il primo santo certosino ad essere formalmente dichiarato tale. Biografia, aneddoti, miracoli attribuitigli ed interpretazione della sua caratteristica iconografia sono stati al centro di questa puntata.
Oltre al sottoscritto ed all’amico Marco Primerano, è stato presente anche Antonio Zaffino che ha gradevolmente condotto la diretta.
Per tutti coloro che non hanno visto la puntata in diretta streaming, ecco il video della quarta puntata.

Buona visione

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La preghiera per la sera di Dom Augustin Guillerand

cella_copia

Oggi voglio proporvi una sublime preghiera per la sera concepita da Dom Augustin Guillerand.

Parole provenienti dal profondo del cuore sulle quali vi invito a meditare.

“O Padre, quando scende la sera,

ho bisogno di pregare Te”

“Mi piace quello che ti piace. È la tua Vita Eterna, ma in me, accolta da me, vissuta da me. Quando cala la sera e la fine di una giornata, annunciandosi, mi fa pensare alla fine delle cose, a come devo chiederti di trattenermi questa vita che non passa: “Ascolta, in questo momento dove si avvicina l’oscurità della notte, le nostre preghiere accompagnate dalle nostre lacrime. Non permettere che la nostra anima, appesantita dal peso dei peccati, si allontani dalle cose eterne e lasci questa patria interiore dove Ti conosciamo, dove Ti amiamo ”. Il peccato ti insegue, fa notte, sostituisce la luce, che Te lo mostra nel tuo radioso Splendore di infinito, per l’inferiore e dubbia chiarezza che mi porta fuori strada verso la creatura. Non mi permette più di discernere chiaramente cosa sia verità e menzogna, vero bene e falso bene. Porta via questa oscurità da me. Al contrario, rendi la sera della mia vita sempre più la fine serena delle lunghe giornate estive, dove le nuvole possono essersi raccolte, il tuono che rimbomba, il sole che saetta un raggio troppo forte, ma che stanno volgendo al termine. nella calma raccolta e fiduciosa dove si annuncia un bellissimo domani. Dammi questo, o Tu per cui non c’è tempesta, nessuna nuvola minacciosa, nessun raggio ardente, nessuna tempesta devastante, nessun giorno che finisce. Dammi di conoscerti e di amarti come conosci te stesso e ami te stesso; dammi la tua vita eterna. Vivi in me, o Padre, nella mia anima che lo sforzo quotidiano, sorretto dalla tua Grazia, renderà sempre più evidente; genera come in uno specchio puro la tua Immagine che è tuo Figlio; incidi in me i tuoi tratti, o meglio fammi fare quello, che molto spesso il mio pensiero amorevole si rivolge a Te. Dammi per riconoscerti, per adorarti, in tutto ciò che fai. Dammi il tuo Spirito che così ti riconosce, ti adora e ti ama”.

Amen.

Dom Silvio Badolato

18 Dom Silvio Badolato

Il personaggio che oggi voglio farvi conoscere è un monaco certosino originario di una nobile famiglia. Egli nacque in una data imprecisata, intorno ai primi anni del 1500, a Monteleone, l’attuale Vibo Valentia. Egli fu battezzato con il nome di Scipione, e sin da piccolo si dedicò allo studio nella terra natìa, per poi da ragazzo trasferirsi a Roma per studiare il diritto civile e canonico. Il giovane Scipione, sembrava avviato verso una brillante carriera forense, ma poiché in diverse occasioni era solito fare visita ai suoi conterranei Dom Antonio e Dom Giovanni Mazza, gli illustri fratelli certosini ospiti della certosa napoletana di San Martino.
La frequentazione con questi due religiosi, fece nascere in Scipione l’ispirazione a diventare anch’egli monaco certosino. Fu così che la Provvidenza cambiò il corso della sua esistenza. Nel 1529, entrò nella certosa napoletana prendendo il nome di Silvio. Fin dal principio di questo nuovo percorso, egli si distinse per lo zelo e molteplici virtù, che non passarono inosservate ai suoi superiori. Ben presto egli divenne procuratore della certosa napoletana, per poi essere scelto come priore della certosa di Padula prima e poi di quella di Capri. A seguire divenne priore di Trisulti per ben due volte, di nuovo guidò la certosa di Padula, e due volte a capo della certosa di Serra, poi ancora a Roma, ed infine fu priore della certosa di Firenze e nominato Visitatore della provincia della Tuscia e del Regno.
In questa lunga e variegata “carriera” da priore, fu sempre ben voluto e tenuto in gran stima dalle comunità che diresse, sempre dedito all’osservanza della regola con notevole zelo. Fu dedito nei suoi mandati a dedicarsi con semplicità e rigore alla vita claustrale, mostrandosi sempre come esempio per tutti i confratelli.
Dom Silvio Badolato, nel suo secondo mandato da priore nella certosa di Serra San Bruno, che si svolse dal 1573 al 1577, fece costruire la sala capitolare ed il coro, nonché fece completare il chiostro. In quel periodo ebbe alcune controversie locali, che lo videro prevalere nel rivendicare giusti diritti per il proprio monastero. Ciò gli fece riscuotere enormi consensi tra il popolo, ma soprattutto dal Capitolo Generale dell’Ordine. Dom Silvio Badolato, con la sua saggezza dovette affrontare nel 1576 i pericoli derivanti da una tremenda epidemia di peste sviluppatasi a Messina, la quale arrecava rischio ai territori circostanti la Calabria e quindi della certosa. Ordinò pubbliche preghiere e processioni, per scongiurare il pericoloso morbo, inoltre realizzò una sorta di cordone sanitario sulle spiagge di sua pertinenza per arginare il pericolo. L’anno successivo, nel 1577 fu nuovamente inviato a Padula laddove si dedicò allo studio ed agli scritti, ormai convinto di aver completato il suo percorso e nel 1579 chiese misericordia e ritornò semplicemente a svolgere la vita monastica senza incarichi. Ma nel 1583, i Superiori dell’Ordine lo invitarono a recarsi alla certosa di Roma ad occuparsi come Visitatore della provincia certosina della Tuscia.
Durante questo periodo romano, l’allora pontefice Gregorio XIII, lo tenne in grande considerazione e spesso voleva essere in sua compagnia chiedendogli pareri e consigli. Trascorsero alcuni anni, e Dom Silvio ormai in età avanzata era intenzionato ad abbandonare definitivamente tutti gli incarichi per dedicarsi esclusivamente alla vita contemplativa da semplice monaco e di fare ritorno alla sua casa di professione.
Fu così, che fece ritorno a Napoli, dove in certosa potè dedicarsi esclusivamente alla preghiera ed agli studi. Scrisse alcuni opuscoli ed alcuni commenti sulle Epistole dell’Apostolo Paolo, che per sua estrema umiltà non volle fare stampare. Trascorrendo gli ultimi anni in una quiete assoluta, lentamente come una candela, la sua vita terrena si spense. Ho voluto celebrarlo oggi, poiché morì il 18 febbraio del 1587 dopo cinquantotto anni di vita monastica, ed il giorno 20 fu sepolto nel cimitero della sua certosa. Il Capitolo Generale dell’Ordine gli attribuì il titolo onorifico di “Laudabiliter Vixit” (vissuto lodevolmente /vita esemplare). Senza essere una sorta di canonizzazione, questo titolo è concesso dal Capitolo Generale, all’unanimità dei suoi partecipanti, ai religiosi e alle religiose che si sono particolarmente distinti per le loro virtù e la loro influenza.

Alla sua memoria vadano le nostre preghiere.

La cella per un certosino

lo studio nella cella

lo studio nella cella

Nell’articolo di oggi ecco per voi un testo scritto da un certosino, sul luogo che rappresenta il fulcro della vita monastica certosina. Una descrizione a dir poco deliziosa.

“Fuggirò lontano e abiterò nel deserto” (Sal 54: 8).

Di tutte le ricchezze in certosa, le prime settimane in cella non ti riveleranno molto, forse niente. Bisognerà accontentarsi umilmente di annoiarsi e girare. Il tuo cuore è a pezzi per tutto ciò che ti hai appena lasciato, e sui muri imbiancati non è disegnato nulla, ma solo un Crocifisso e una Vergine. C’è ancora troppo scompiglio nella tua immaginazione e nella tua sensibilità per essere affascinato dall’Invisibile.

Avevi sognato questa casetta che la tua fantasia dipingeva tua sorella dall’autore dell’Imitazione di Cristo. In essa sei … e ti dà i brividi. Vuoi scappare. Devi pazientare. Pregare. Organizza “incontinenti” un ciclo di occupazioni, letture, un piccolo lavoro sulla Bibbia o qualsiasi altro argomento spirituale di tua scelta. A poco a poco scoprirai e assaporerai la mistica della cella. Coloro che l’hanno cantata in termini emotivi che hanno attraversato i secoli non erano novizi, puoi crederci, e proprio come te, hanno dimostrato, subito, la sua austerità.

La cella dell’eremita è una dimora unica nel suo genere. Non è l’ufficio di un ecclesiastico, né la stanza di un gesuita o di un mendicante. L’uomo solo dorme, lavora, mangia e si crogiola nella sua cella.

Ma il suo carattere distintivo è che lei è il suo intero universo.

A parte le tue visite in chiesa, non dovresti guardare fuori. Gli viene dato tutto lì, nella sua minuscola riserva. Tutti i tesori del deserto, del Monte e del Tempio sono talmente legati ad esso che l’eremita che lo abbandona senza motivo di peso controllato dall’obbedienza, li perde per il momento. Fuori non trova niente, non trae vantaggio. L’eremita è sottoposto alla cella per la sussistenza dell’anima.

È un rifugio dai miasmi del mondo; luogo santo in cui il Signore si fa coraggio, tiene segreti colloqui con l’anima che, per suo amore, si raccoglie in essa, dando mano a tutto il resto. È quella “cantina” (Ct 2,4) dove l’Amato presenta la sua amata per inebriarla con la sua presenza e con i suoi doni: abbandonarsi alle futilità sarebbe dissacrarla. Nella cella, Dio dà udienza all’anima solitaria. Giunto ai confini della vita terrena, distaccato dalle contingenze che fanno gemere per Dio tante anime assetate, attaccate come sono alle dure condizioni dell’esistenza, l’eremita inizia la sua eternità nella gioia del Signore. Se sei generoso, vedrai emergere dall’ombra, a poco a poco, quel mondo divino in mezzo al quale hai vissuto senza accorgertene, perché il lampo e il clamore dell’altro gli hanno impedito di manifestarsi. A tua volta, sperimenterai, estasiato, che non sei mai meno solo di quando sei solo.

Un certosino

Beatrice d’Ornacieux, un fiore umile

beata Beatrice d'Ornacieux

Oggi 13 febbario l’Ordine certosino celebra la beata Beatrice d’Ornacieux, da questo blog vi ho già narrato la sua biografia ed alcuni episodi prodigiosi accorsi nella sua santa esistenza. Questi episodi sono giunti a noi, grazie alla sua maestra Novizia, la beata Margherita d’Oingt che ne scrisse una biografia in lingua francoprovenzale “Li via Seiti Biatrix Virgina de Ornaciu”. Da questa opera, vi offro un breve estratto che ci delinea il carattere della beata Beatrice.

Un fiore umile

Per l’onore di Dio e la gloria del suo santo nome, in riconoscimento della sua grande misericordia e in gratitudine per il dono glorioso della sua bontà, e per servire il nostro Signore Gesù Cristo e la sua gloriosa Vergine Madre con più fervore, voglio scrivere umilmente e devotamente per la vostra edificazione qualcosa della vita pura, santa e umile che questa sposa di Gesù Cristo ha condotto sulla terra tra le sorelle del suo monastero.

Abbiamo appreso che, fin dall’adolescenza, è decisa a lasciare risolutamente e con tutto il cuore le cose del mondo, per amore del dolce Gesù, e ha mantenuto fedelmente il suo scopo. Era molto umile e modesta, molto caritatevole e pia, sempre disponibile a servire umilmente tutte le necessità dei suoi confratelli. Praticava severi digiuni e astinenza, per quanto la sua fragile salute glielo consentiva; Era molto obbediente in tutto, così devota e con un così grande spirito di preghiera che spesso rischiava gli occhi per le tante lacrime che versava in preghiera. Nella sua conversazione era dolce, umile ed edificante, molto attenta e diligente nel mettere tutta la sua applicazione nel fare, nel dire, nel vedere e nell’ascoltare tutto ciò che sembrava poter cambiare nell’edificazione della sua anima e di quella del prossimo.

Margarita D’Oyngt. “Li via Seiti Biatrix, virgina de Ornaciu”

Preghiera

Santa Beatrice, hai tanto amato Gesù che il tuo compito era seguirlo nel deserto e nella povertà.

Donaci il tuo amore per Gesù e per la povertà.

Amen

Statua di Beatrice nella chappelle a Eymeux

La “casa rifugio” di Burdinne

Burdinne castello

Oggi voglio raccontarvi la travagliata storia della comunità monastica femminile della certosa francese di Notre Dame du Gard, fondata nel 1870 nei pressi di Amiens. Purtroppo, a seguito di nuove leggi anticlericali le consorelle certosine furono espulse e costrette ad abbandonare la certosa. Nel 1903, Dom Dosithée Baudechon, direttore della tipografia situata nella certosa di Tournai aveva acquistato nel 1903, per l’Ordine, un castello di proprietà della famiglia Douxchamps-Zoude, situato nella piazza pubblica nel centro del paese. Fu così che il 12 ottobre del 1906, la comunità di trentatrè religiose, composta da 22 monache, 9 sorelle converse e due sorelle donate, partirono da Le Gard per giungere a Burdinne, in Belgio, dove ricevettero asilo. Qui ripresero la loro vita claustrale nella nuova struttura che conservava il nome di “Notre Dame du Gard”, ma venne però tecnicamente considerata una “casa rifugio”. Dopo qualche anno, nel 1909 fu deciso di aprire un noviziato, mentre il Capitolo Generale del 3 ottobre del 1919, prese la decisione di trasferire le monache da Burdinne a Zepperen nella casa di rifugio della certosa di Glandier, poi fu invece annunciato che le consorelle sarebbero rimaste ancora a Burdinne. Soltanto nel 1920 la nuova priora Madre Marguerite Gouzien, espresse il desiderio di lasciare Burdinne e di fondare una nuova certosa autonoma. A metà giugno del 1927, il Priore Generale Dom Giacomo Maria Mayaud, chiese alla priora di visitare un edificio nell’Aveyron. La struttura parve abbastanza idonea alle esigenze delle monache, e dunque fu deciso di acquistarla. I lavori per la nuova certosa iniziarono immediatamente, pertanto il 3 aprile del 1928, le certosine di Burdinne partirono per insediarsi a Nonenque. Questa era una antica abbazia cistercense riadattata agli usi certosini, le consorelle provenienti da Burdinne si trasferirono ed intitolarono la nuova certosa a “Notre Dame del Precieux Sang”. Il peregrinare di questa comunità monastica era finalmente terminato, ancora oggi Nonenque è una delle due certose femminili francesi dove la vita monastica si svolge nella più assoluta quiete.

Ma che ne fu del castello di Burdinne per anni casa rifugio? Ebbene esso fu venduto e dopo aver avuto diversi proprietari è stato di recente oggetto di restauro.

La vita a Burdinne

Sicuramente non fu facile adattarsi a vivere la vita monastica certosina in un castello situato nella piazza principale del paese e di conseguenza luogo di ritrovo e di chiasso in occasione di sagre e feste. Ciononostante i sacrifici delle certosine furono notevoli, e riuscirono tra tante difficoltà a trascorrere ventidue anni in un luogo poco consono al raccoglimento ed al silenzio certosino. In questo periodo, la comunità che visse questo esilio a Burdinne aveva un’età media di 54 anni, quindi fu un gruppo alquanto giovane. Esse dettero un notevole contributo anche alla popolazione locale, infatti si narra che aiutavano famiglie numerose, davano cibo ai poveri, cucivano, rammendavano calze, riparavano gli abiti a coloro che li introducevano attraverso una “ruota” posta in un locale annesso alla portineria nel cortile del castello. Tutto ciò, non compromise mai lo svolgimento della vita claustrale. Come in ogni comunità femminile vi fu una piccola rappresentanza maschile composta da due padri e e due fratelli conversi. Il padre vicario e il padre coadiutore erano al servizio delle monache per la loro formazione, la loro direzione spirituale e per i sacramenti. I due fratelli laici avevano la funzione di dare un aiuto materiale. Le cronache locali ricordano ancora che un fratello era specializzato nel riparare orologi e l’altro si dedicava con zelo a fare la spesa comprando latte ed uova dai contadini locali.

In questo ventennio le certosine dovettero affrontare anche i patimenti e le turbolenze della prima guerra mondiale. Si narra di un episodio nel quale l’intervento di una di loro risparmiò la distruzione dell’intero paese. Alcuni soldati tedeschi erano stati uccisi in un imboscata in una fattoria, pertanto fu ordinato che per rappresaglia l’intero paese doveva essere dato alle fiamme. Ma grazie ad una monaca presente in certosa di nazionalità tedesca e pare forse conoscente di un soldato germanico, la quale mediò grazie alla conoscenza della lingua e riuscì a dissuadere e rabbonire i militari, che risparmiarono il paese ed i suoi abitanti. La Provvidenza aveva trovato il modo di evitare inutili spargimenti di sangue!

Anche se per soli ventidue anni, la presenza delle certosine fu apprezzata ed ancora ricordata nel piccolo paesino belga.

Il canto dei certosini VI

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Prosegue oggi l’approfondimento sul canto certosino, estratto dal testo scritto da Dom Benoit du Moustier Lambres, quindi fonte fedele, ed esplicativo sul canto dei certosini.

Ecco a voi il sesto capitolo….

LE CHANT DES CHARTREUX

Dom BENOIT-M. LAMBRES, O. Cart. (certosa di La Valsainte)

VI.LA SITUAZIONE MODALE

Alla fine del II secolo, all’epoca delle origini dell’Ordine dei Certosini, la modalità primitiva di canto gregoriano aveva subito a lungo alterazioni, più radicali in alcune regioni che in altre.

Il mss. Aquitania che rappresentano più o meno gli immediati antenati della versione certosina, come Va e Ji, la parte non cartusiana dell’80 ° e il graduale di Saint-Yrieix (Pal. Mus. T. XIII), testimoniano che l’accordo recitativo del 3 ° e l’ottavo modo è stato decisamente cambiato da Si a Do, e il Mi del quarto tono è stato spesso trasformato in Fa. Così è comunemente anche nella versione certosina.

Per quanto riguarda la bemolizzazione, i dettagli sono difficili. Da prima della data che ci riguarda, cantavamo bemolli che non erano indicati nella notazione, e anche alcuni di essi ora mettono in imbarazzo le teorie dei puristi. Nella prima e nella quarta modalità, questa pratica sembra esser stata abbastanza comune. Tuttavia, la formula re-la-si, che in Hucbald (t 930) era già cantata in bemolle, si nota nel graduale di Saint-Yrieix con la virga “storta” che include il si naturale. La parte non certosina del graduale 801 sembra indicare che, nella regione dell’Aquitania, questa formula era ancora generalmente cantata in modo così naturale all’inizio del XII secolo. Quando si cominciò a scrivere i bemolli (furono per molto tempo abbastanza irregolari), la stessa formula si trova nello stesso ms. a volte con bemolli, a volte senza. Ed è solo in modo molto approssimativo che si può determinare da quale periodo risale la notazione di questo o quel bemolle in un manoscritto. Alcuni mss. hanno appartamenti di due, tre o quattro mani diverse. Tutto quello che possiamo ottenere da mss. Certosini su questo tema si ha l’impressione che, nel corso dei secoli XII e XIII, la bemolizzazione sia stata introdotta su scala sempre più ampia, fino a giungere, intorno alla metà del XIII secolo, la misura che ha ancora nelle edizioni alla fine del XIX. Nel XIV secolo ci fu una vera infatuazione per questo genere dolce, come testimonia ad esempio il Cantuagium del certosino Heinrich Eger von Kalkar, a cui piaceva addolcire tutta la pianura. Intorno a questo stesso periodo, tuttavia, l’anonimo monaco certosino di cui sopra sembra aver voluto reagire contro l’introduzione arbitraria di bemolle eufoniche, fissando alcune regole. Ma il mss. Certosini del XV sec. dimostrano che il suo tentativo non ha avuto successo Fino alle edizioni di Montreuil del secolo scorso, non c’era uniformità nell’Ordine in termini di bemolizzazione. La pratica è variata di volta in volta, nazione e persino casa. Gli Inni del 1588 e del I701, ad esempio, non hanno bemolle, anche se è certo che furono cantati in diversi inni. Ma, date le preferenze regionali divergenti, non sembra che avessimo voluto legiferare in materia. Il “Metodo del canto semplice secondo il rito e gli usi certosini ” del 1868, indica un certo numero di passaggi dell’Innario dove (secondo i gusti dell’autore) l’appartamento “è imperiosamente richiesto dall’orecchio”.

A volte non possiamo difenderci dall’impressione che certe purificazioni recentemente tentate altrove siano state premature, o che tali teorie a prioritarie non siano sempre d’accordo con i fatti paleografici, né con ciò che sempre più ammettiamo la facilità con cui i compositori della grande epoca “gregoriana” sono passati da un modo all’altro. Dom Sunol, O. S. B., è arrivato al punto di dire che il modo di una composizione gregoriana semplicemente non esisteva. Dom Boer, 0. SB, nei nove volumi del suo grande commento olandese sui canti della Messa e dell’Ufficio (Confessio e Pulchritudo, Rotterdam I952-1954), solleva in rapida successione esempi di passaggio da un modo all’altro. Tuttavia, queste modulazioni includono spesso trasposizioni, e dalle, bemolizzazioni di SI che prendono il posto di FA. Nel Graduale dei certosini, ci sono casi in cui la variante melodica sembra aver provocato un’alterazione modale.

Dom Boer giustifica il SI naturale che troviamo in Roman, dall’intonazione e finale in Sol di vobis e Dies come ottavo modo; ma questo SI naturale è molto difficile da cantare. I due MI che il romano porta a un un vobis e ad un hic, dimostrano che, per la versione romana, non possiamo ammettere un II° tono; potremmo benissimo ammetterlo al contrario per la versione cartusiana, che invece del MI di vobis, porta FA e che abbassa l’intero passaggio hic dies. Chi ha cantato così dà l’impressione di aver ascoltato un II ° modo trasposto e una melodia relativa alla Comunione Omnes che è in Christo da sabato in albis; con ovviamente il SI bemolle che prende il posto del FA. Dom Boer ha ammesso un caso simile per l’inizio della Comunione Video caelos apertos de la St.-Etienne.

Qui, ora la testimonianza della Mss.: S, che alla Messa del venerdì dopo Pasqua in appendice – l’introduzione delle Messe dei tre ultimi giorni della settimana di Pasqua in Chartreuse risalenti a prima del I220 – reca in vobis un bemolle contemporaneo (o quasi) della notazione e del testo, che per questa appendice risalgono all’inizio del XIII secolo. Stessa osservazione per A33 e Mi. I due mss. del britannico. I mus., Nn. 17 e 31, di cui il primo ha questa Messa già al suo posto, mentre il secondo l’ha in appendice, hanno entrambi cambiato il nostro passaggio, e i bemolli sembrano essere buoni di prima mano. Gr, anche se del XII secolo, ha al loro posto le messe degli ultimi tre giorni della settimana di Pasqua, il ms. essendo stato inizialmente non certosino. Ma la versione è quella dei Certosini e di prima mano. Non ci sono svantaggi qui. Ma il rovescio della medaglia è così raro in questo ms. e di solito di seconda mano, si deve credere che spesso veniva cantato senza accorgersene. Ma contiene questa messa in un’appendice dell’inizio del XIII sec. E il passo in questione è difettoso. È quindi molto probabile che la variante, da prima del suo adattamento da parte dei Certosini, fosse intesa come di II° modo e che sia sempre stata cantata con il bemolle. Nell’Offertorio del Domin exaudi del mercoledì della Settimana Santa, i primi certosini sembrano aver intuito anche una seconda modalità.

Dal libro di Dom Dysmas de Lassus 2

Ecco per voi il secondo paragrafo del capitolo “Piccola radiografia della bugia” sulla menzogna, e tratto dal libro “Risques et dérives de la vie religieuse”, di Dom Dysmas de Lassus.

Il più pernicioso è il più nascosto

Nota la gradazione:

1. La sorella N. fu mandata in un’altra casa. Bugia a parole, chiaramente visibili, ma le meno serie. Noi possiamo correggere facilmente, richiede solo un po’di coraggio e soprattutto il senso della verità.

2. Lo dico per non disturbare la comunità. In testi, è solo una mezza bugia, ma questa volta è proprio il senso della verità che è sotto attacco.

3. Il terzo grado è il più nascosto perché non è espresso più a parole ma in un modo di essere, o piuttosto per apparire. E quando ci siamo abituati ad apparire ciò che non siamo, sia personalmente che a livello di comunità o istituto, non camminiamo più nella verità, ci siamo abituati a vivere nella menzogna.

La contro testimonianza è impressionante quando si afferma di essere discepoli di Colui che è morto perché ha detto la verità. I giovani non si sbagliano: molti che hanno lasciato gli istituti che erano stati segnati da questa colpa se ne sono andati “per colpa delle bugie “.

Quando hanno visto che venivano ingannati, si sono sentiti traditi.

Una meditazione per la Candelora

Flaminio Torelli 1(Presentazione di gesù al tempio) certosa di san Martino

Oggi 2 febbraio ricorre la “Candelora” cioè la festività che celebra la Presentazione al Tempio di Gesù, raccontata nel Vangelo secondo Luca. Quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, dunque il 2 febbraio, Giuseppe e Maria portarono il Bambino al Tempio di Gerusalemme. Durante questa visita, Giuseppe e Maria incontrarono Simeone, che predisse loro che Gesù sarebbe stato la “luce per illuminare le genti”. Durante la festività i credenti, prendendo ispirazione da queste parole di Simeone, portano in chiesa delle candele per farle benedire.

Ho scelto per voi, miei cari amici lettori, una meditazione ed una preghiera concepite da Dom Ludolfo di Sassonia per questa festa liturgica, ed estratte dal suo libro “Vita Christi”.

Cristo fu portato a Gerusalemme e in Egitto. Questo ci insegna che a volte dobbiamo elevare la nostra intelligenza per la contemplazione delle cose eterne, simboleggiate da Gerusalemme, una visione di pace, e talvolta abbassarle alla considerazione dei difetti stessi, rappresentati dall’Egitto, che significa oscurità.

Cristo viene portato in cinque diversi luoghi: a Gerusalemme, in Egitto, nel deserto, su un’alta montagna, in cima al tempio, che sono simboli dei cinque stati in cui troviamo Cristo: Gerusalemme, visione di pace, simboleggia la vita contemplativa; Egitto, la vita attiva, con la tristezza della tribolazione; il deserto, la vita religiosa, in cui si insiste il digiuno; l’alta montagna, l’importanza delle posizioni di governo; la parte superiore del tempio, i pali dei maestri. In questi stati possiamo trovare Gesù …

Preghiera

Amato Gesù, che ti ha consegnato al giusto Simeone per abbracciarti, come voleva. Vieni dolcissimo Gesù, donati a me, perché ti desidero con tutta l’anima. Getta via le impurità che trovi in me con la tua grazia purificatrice. Ho convertito il mio cuore al tuo tempio. Abitateci. Possa io abbracciarti e stringerti con le braccia del desiderio. Possa sempre augurarti, sorgente di luce, di essere con il Padre. Che io non lasci questa vita prima di vederti con gli occhi del cuore, perché sei amore e desiderio, vita e premio, per coloro che ti desiderano.

Amen.