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Maria proteggimi

Nell’articolo odierno, a conclusione di questo mese mariano, voglio offrirvi una struggente e deliziosa preghiera di Dom Giovanni Giusto Lanspergio dedicata a Maria protettrice dei certosini.

Maria proteggimi

Oh la più pura, la più nobile e la più bella di tutte le Vergini, molto degna Madre di Dio, Maria io ti supplico per la tua immensa profonda umiltà, la tua grande santità, e la tua enorme casta purezza, per la tua fervente carità, e per tutti i doni grazie e virtù di cui Dio ti ha adornato per essere la sua degna madre ricevi me come un figlio sotto la tua protezione e l’amore del tuo cuore materno, malgrado il mio essere indegno, ed ottienimi di amarti molto santamente e molto castamente. Ottienimi la più perfetta umiltà, la più perfetta castità, la più perfetta carità e tutte le altre virtù per le quali Tu hai fatto piacere a Dio. Implora lo stesso per me, che per una particolare misericordia di Tuo figlio, per i meriti della sua Passione e per una inesauribile contrizione dei miei peccati, io possa meritare in questa vita di essere purificato da tutti i miei vizi ed i miei peccati, perchè dopo questa vita terrena io possa ricevere senza ritardo la vita eterna. E’ per questo, dolcissima sovrana di misericordia, ottienimi di sopportare sempre il più pazientemente possibile e ringraziando, tutte le avversità che possano

sopraggiungere, e di spendere secondo il Tuo buon piacere tutte le forze del mio corpo e della mia anima, tutti gli istanti della mia vita per la lode e la gloria di Tuo Figlio

Amen

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Un indimenticabile anniversario

certosa antica cartolina

Cari amici, oggi ricorre l’anniversario della traslazione delle reliquie del nostro amato San Bruno, dalla chiesa Matrice di Serra alla Certosa avvenuta il 30 maggio 1857.

Dopo il terremoto del 1783 vi fu  un fallito tentativo di ripristino della Certosa nel periodo 1840-1844, la comunità certosina si era poi finalmente nuovamente insediata nel complesso monastico di Serra il 4 ottobre del 1856. Il successivo 30 maggio, le reliquie di San Bruno, conservate dopo il sisma nella Chiesa Matrice, rientrarono solennemente nella Certosa.

Attraverso il testo di un documento ex manuscripto trovato negli archivi della certosa di Trisulti, vi riporterò fedelmente quanto avvenne.

Documento 6

Traslazione reliquie di San Bruno 1857

ex Manuscripto Trisulti

Il giorno 30 maggio in Serra 1857 La storia dei nostri giorni, la quale registra tanti e si svariati avvenimenti, onde raccomandarli alla memoria dei posteri, non deve passar sotto silenzio, una cronica religiosa, i di cui fatti accaduti nel giorno 30 Maggio in una città della Calabria offrono senza dubbio un vero interesse per coloro che in tanto smarrimento di uomini e cose, prendono di mira segnatamente i gloriosi progressi della Santa Religione nostra. Quel giorno festa civile di tutto il popolo delle due Sicilie per l’onomastica solennità del più magnanimo e munificente dei Monarchi il glorioso Ferdinando II, fu doppiamente festività per i cittadini di Serra, per la ricorrenza della solenne traslazione delle Reliquie del loro principale patrono S. Brunone, nell’antica e tanto celebrata Certosa dei Santi Stefano e Bruno del bosco, testé ripristinata dell’inesauribile pietà del nostro Sovrano. Erano scorsi 90 anni da che le sacre ossa di quel gloriosissimo Eroe del Cristianesimo fondatore dell’illustre Ordine monastico dei Certosini, non formavano più il sacro deposito in quel venerando Santuario, eretto vivendo il Santo, or sono otto secoli da Ruggiero il Normanno, prima conte di Sicilia e di Calabria. L’ire sacrileghe della straniera invasione, l’avevano scacciate dalla loro sede, che restò vedova dei suoi abitatori; ed abbandonata al furore del saccheggio e delle rapine. I Serresi raccolsero in Ospizio il simulacro del Santo, coll’urna delle sue reliquie, e ne difesero con ingegnose premure il possesso contro gli attentati di una genía depredatrice. Ripristinata la Certosa con Reale rescritto del 22 giugno 1856, mercé l’infaticabile sollecitudine del tanto benemerito Padre Priore D. Vittore Felicissimo Francesco Nabantino. Questi solerte sempre più nel volere conseguire la sua santa impresa, dopo di aver preso possesso della casa nel dì 4 ottobre ultimo, sotto gli auspici di S.M.R. Duca di Calabria Principe Ereditario, rivolse tutte le sue cure a ripristinare in mezzo ai ruderi della Certosa delle abitazioni per prendervi stanza la famiglia certosina; ed edificare insieme una cappella ove potessero essere collocate decentemente le Sacre Reliquie del Santo Patriarca. Nessun altro giorno potea esser prescelto per la solenne cerimonia della traslazione delle Reliquie, che il giorno onomastico dell’augusto e pio Monarca, il quale mercé il suo provvido decreto della ripristinazione della Certosa, restituiva nella sua vetusta e gloriosa dimora, l’Esule illustre che era stato bandito in tempi calamitosi. Nulla si è trascurato perché la cerimonia riuscisse degna del Santo al di cui culto era destinata, e per la volontà del giorno in cui doveva celebrarsi. Il fasto e la pompa dei riti religiosi accompagnati dalle manifestazioni di giubilo d’un popolo immenso formavano un concorso di quelle circostanze felici che rappresentano la vera idea di una festa nel più alto senso della parola, in tutto il suo apparato brillante, in tutta la corrispondenza degli affetti che destano le più care e tenere commozioni del cuore, ed alleviano lo spirito con la seducente prospettiva dei più sublimi pensieri. Alcune copie del programma concernente la festa, sparse per dintorni, incitavano gran numero di forestieri ad assistervi, e nel mattino del giorno memorando le piazze e le strade di Serra riboccavano di una folla innumerevole di devoti, tra cui molti infermi venuti appositamente ad acquistare la guarigione. Accresceva la pompa della festa la presenza di Monsignor Vescovo di Squillace l’illustre fu Concezio Pasquini, il quale non dissimile di quel suo antico predecessore, tanto largo di riverenza e di affetto verso S. Brunone mentre viveva lasciò la sua Sede Vescovile, seguito da Reverendi Canonici, e da numeroso clero, per compiere anch’esso un tributo della sua speciale ed ereditata venerazione per il Santo Anacoreta, con quella esuberanza di cuore che tanto caratterizza il Venerando prelato. Altri distinti personaggi e soprattutto gli ufficiali della Colonia Militare di Mongiana, con alla testa l’egregio Comandante Tenente Colonnello Cav. Raffaele Malograni, accompagnato dalle Reali truppe di presidio di quel Opificio metallurgico vollero anch’essi decorare la festa con la loro dignitosa presenza e nello sfarzo delle splendide divise, far palese il comune entusiasmo di sentimenti religiosi e civili, così potentemente ispirati dalla nobile circostanza. Dopo un solenne triduo celebrato con luminarie per tutta la città con sparo di mortaletti, concerti musicali e suoni prolungati di campane, spuntava l’alba di quel giorno salutata da Salve, dall’acclamazioni e dalle grida di plausa di un popolo immenso che riempiva la navata della Chiesa Madre, già sontuosamente addobbata e risplendente di mille ceri accesi in bella mostra dinanzi al simulacro del Santo, con l’urna delle Reliquie adorna di rabeschi ricamati in oro e di ghirlande come ancora dinanzi all’augusta effige del Re esposta tra ricchi fregi e festoni. Non tardava a sopraggiungere Monsignor Vescovo in compagnia della famiglia certosina, di numeroso clero e di tutte le autorità amministrative, giudiziarie e militari, che presero luogo nei posti appositamente preparati. Tosto la cerimonia incomincia. La Messa pontificata dal Vescovo, con accompagnamento di canto e di concerti musicali e immediatamente seguita da un’orazione panegirica pronunziata dal molto R.do P.dre F. Geremia da Rocca Scalogna. Quest’orazione ricca di tutti i pregi della Sacra eloquenza e profondamente sublime in quel valentissimo Oratore, e molto più toccante per le peculiari circostanze di cui era scopo, destava un entusiasmo indicibile nell’uditorio che non tardò a manifestarla armonizzando ad una voce le note di un solenne Te Deum cantato con tutta la religiosa esultanza dai tanti cuori intimamente commossi dai più vivi sensi di amore e di gratitudine. Già si apprestava l’istante della Processione che era disposta in questo modo. Un plotone di soldati doveva aprire la marcia, dietro a cui venivano a lunga e doppia fila le tre Confraternite della città con i loro stendardi spiegati e vestiti in abito da cerimonia, e con ceri accesi in mano. In seguito gli Ufficiali di Mongiana in uniforme, quindi una banda musicale dietro di cui seguivano il Clero con la Croce inalberata, vestiti dei più ricchi paramenti sacri, in compagnia di Monsignor Vescovo in abiti pontificali. Immediatamente l’urna delle Reliquie sostenuta dai PP. Certosini sotto ricco baldacchino portato da quattro decurioni, e fiancheggiato da doppia fila di soldati, seguiva pure la statua in argento di S. Bruno sostenuta da fratelli Certosini. Procedeva dietro alla statua il Padre Priore D. Vittore Nabantino vestito con la cocolla ecclesiastica, portando egli in mano una Reliquia di S. Stefano, ed un’altra di S. Brunone, incastonata in ricca teca d’argento. Dopo di lui le Autorità Amministrative e giudiziarie ed altre distinte persone, e quindi un’altra banda musicale ed un plotone di Gendarmi e di soldati chiudevano la marcia. Un popolo immenso accompagnava il corteo. Le prolungate salve dei mortaletti, le campane suonanti a distesa, i concerti musicali annunziavano il momento in cui il Santo abbandonava il suo domicilio provvisorio, ritornava nella pompa del trionfo nella sua casa prediletta e santificata delle sue virtù: risuonavano i canti religiosi, ed il corteo incominciava a procedere in mezzo alle vie stipate di gente, adorne di archi trionfali, e con le pareti delle case fiancheggianti adorne anch’esse di fiocchi di seta e di rabeschi di diversi colori ed iscrizioni allusive alla circostanza. Già il simulacro del Santo appariva fuori il vestibolo del tempio. Fu un istante in cui la folla alla vista del Santo trasportato dai figli suoi esultanti di tanta gioia per aver avuta la sorte avventurosa di sostenere quel caro peso cessò dai suoi canti per dare sfogo ad un irresistibile sentimento di tenerezza che costringeva a versare stille di dolce pianto. Era quello uno spettacolo sublime, la Religione nostra solamente poteva effettuarlo! Un temuto incidente interruppe la cerimonia, la pioggia incominciò a cadere a rovescio ed ostinatamente durava fin dopo le tre p.m. Ma la folla non si era dispersa per questo, quantunque fu fatta arrestare la processione. Nel frattempo che si stava aspettando che la pioggia cessava, ebbero luogo trattenimenti, furono tirati a sorte diversi maritaggi per povere donzelle e fatte copiose largizioni ai poveri ed ai carcerati. Finalmente parve che le nubi si diradassero e la processione si pose in marcia. Dopo poco giunse alle mura della Certosa, ed era uno spettacolo meraviglioso ed importante il contemplare quella calca di popolo immenso che copriva il lungo viale che da Serra mena al Cenobio. Altre salve ed appositi concerti in musica salutavano l’arrivo e l’ingresso del Santo nella sua propria casa, la quale sebbene coperta di rovine e frantumi, pure sembrava sorridere alla presenza del Santo Patriarca il di cui simulacro attraversava i chiostri e le volte infrante, quasi che presentasse l’influenza benefica di un più felice destino per il ritorno del suo fondatore le cui gloriose Reliquie sono novellamente il palladio di quella solitudine. Un ultimo salve ed il canto di un altro Te Deum annunciava che S. Brunone prendeva possesso della sua Certosa, e che la sua urna veniva collocata nel luogo destinato per il suo deposito. Era compiuta la cerimonia, ma la folla non si dissipava ancora, si voleva vedere un’altra volta le venerate sembianze del Santo Protettore. Il Padre Priore Nabantino commosso nel più profondo del cuore, cercò di soddisfare subito questo desiderio mostrando il simulacro del Santo dall’alto di una loggia ed aggiungendo la benedizione con la Reliquia. Questa benedizione fu accolta da tutti genuflessi tra lacrime di gioia e di tenerezza e grida fragorose di plausa in onore del Santo e dell’augusto Monarca, e queste grida festive risuonavano lungamente intorno, accresciute dall’eco delle rovine e dei silenzi delle selve circostanti. Il giorno terminava infine con una solenne Accademia poetica tenuta in un vasto salone all’uopo apparecchiato con l’intervento di nobili e con molte persone che tributarono ben meritati applausi di lodi a quella eletta schiera di giovani che caldi di generosi sentimenti fecero pompa con le loro ispirate poesie di quel nobile entusiasmo di cui riboccavano i loro cuori nella solennità di un giorno sacro al trionfo di S. Brunone ed al nome glorioso dell’immortale Ferdinando II. Oh qual giorno sarà scritto in bianca pietra dai cittadini di Serra ed incancellabilmente stampato sul frontespizio del libro dei fasti della ripristinata Certosa dei Santi, di quel Santuario che è tuttora il primo monumento religioso della Calabria.

Il Canonico Don Bruno M. Tedeschi

di Serra in Calabria alla Certosa di S. Stefano e Bruno del bosco

30 ottobre 1857

Le ricette dei certosini (1)

ricettario cartusia

Cari amici, come vi avevo annunciato, in un precedente articolo, ecco per voi le prime tre ricette, scelte per voi da un antico ricettario certosino.

Consideriamo sempre che il pranzo, solitario o comunitario nei giorni festivi, è vissuto dai monaci certosini come un vero e proprio momento liturgico.

«Io consumo il mio pasto molto lentamente. Mangiare non è solo una necessità fisiologica. Nutrirsi è anche un atto quasi liturgico. E’ il momento consacrato alla cura del corpo che è tempio dello Spirito Santo. Personalmente dedico a questo momento tutto il tempo necessario, gusto il cibo fino in fondo nella piena coscienza che nutrirsi nella gratitudine è un atto eucaristico direttamente collegato al cibo spirituale che si assume nella celebrazione della messa.» Un certosino

Zuppa di riso con cipolla

Ingredienti:

Una cipolla
50 gr di burro
1 Cucchiaio di farina o amido di mais
1 Cucchiaino di Sale
1 Pizzico di Pepe nero
150 gr di riso
1 litro d’acqua

Svolgimento:

Tritate la cipolla molto finemente e fatela soffriggere nel burro. Prima che imbiondisca aggiungete una manciata di farina o amido di mais che va anche fritto un po’, mescolando con una spatola; aggiungere abbastanza acqua per il brodo; condire con sale e pepe e far bollire.
Dopo che il brodo è passato attraverso il colino, si aggiunge il riso e quando è pronto si toglie e si serve.

Sardine al forno

Ingredienti:

1 Kgr di Sardine

1 cipolla media
100 Gr. pangrattato
1 Rametto di Prezzemolo
6 spicchi d’aglio
1Pizzico di Pepe Bianco
Olio, sale a piacimento


Svolgimento:
Mondate e aprite bene le sardine, eliminando la spina centrale salarle a piacimento. In una ciotola o contenitore singolo, coprire il fondo con un soffritto di cipolla dorata e pangrattato preparato in precedenza; disporre uno strato di sardine; sopra di loro un altro strato, coprirle con lo stesso condimento fino all’ultimo strato. Sopra a quest’ultimo adagiate la cipolla cruda tritata finemente, allo stesso modo il prezzemolo, un po ‘di aglio tritato e un pizzico di pepe bianco; il tutto sarà ricoperto da pangrattato, ben distribuito sopra le sardine; il tutto viene ricoperto con olio o in alternativa fiocchetti di burro, in modo che possa sciogliersi una volta infornato e si rosoli. Sale qb.

Piselli al burro nero (manteca negro)

Ingredienti:

1/2 Kg di piselli
1 Cucchiaio di Burro
1 foglia di Alloro
1 scalogno
2 spicchi di aglio
1 Cucchiaino di Sale
1 pizzico di pepe
1 Cucchiaio di aceto.

Svolgimento:

Cuocere i piselli in acqua bollente salata. Scolateli tutti e ben caldi, metteteli in una padella con un cucchiaio abbondante di burro nero caldo, che deve rosolare un po’, con un cucchiaio di aceto bollito, alloro, aglio e pepe. Servire caldo.

converso in cucina

Il canto dei certosini IX

korea

Prosegue oggi l’approfondimento sul canto certosino, estratto dal testo scritto da Dom Benoit du Moustier Lambres, quindi fonte fedele, ed esplicativo sul canto dei certosini.

Ecco a voi il nono capitolo….

LE CHANT DES CHARTREUX

Dom BENOIT-M. LAMBRES, O. Cart. (certosa di La Valsainte)

IX Elenco dei principali manoscritti dei canti cartusiani

N.B .: Il mss. preceduti da un asterisco (*) sono stati oggetto di un avviso in LE GRADUEL ROMAIN, edizione critica dei monaci di Solesmes, t. II, LE FONTI.
Graduali:
* Parkminster A33, prima della II4I, con aggiunte del XIII secolo.
* Selignac, senza dimensione, della metà del XII secolo, con aggiunte del XIII secolo.
* Milano, Ambros. M. 70 sup., Intorno i 6o.
* Marsiglia I50 (Eb. 316), intorno al II70, con aggiunte del XIII secolo.
* Grenoble 84, inizio XII secolo, adattato all’uso certosino verso la fine del XII secolo.
* Avignone 181, XII / XIII sec.
* Londra, Brit. Mus. Inserisci. I7303 e 3I384, entrambi del primo
metà del XIII sec.
* Napoli, Bibl. Naz. VI, E II, del XIII secolo.* Grande Chartreuse 801, del XIII secolo. (cartusiano solo dal foglio 55)
Loches i6, del XIII sec.
Monaco I2I0I, del XIV sec.
Toledo, Bibl. Capit. 33.24, del XIV sec.
Grande Chartreuse, senza dimensione, da Portes, XIV sec.
Beaune 44, del XIV sec.
Grenoble 85, 86 e 87/88, tre graduali del XV secolo.
Trisulti, Certosa 258, del XV sec.
Parkminster A6 e A7, due graduali del XV secolo.
Antifonari:
Dal 12 ° secolo, solo le due foglie in-4?: Grande Chartreuse ms.
828, i due fogli dello stesso antifonario, recentemente scoperti al
Certosa di Calabria (cfr. Nota * sopra), e le note incipit degli Uffizi
dei Morti e della Beata dal ms. Grande Chartreuse 824.
Grenoble 91, 92 e 95, tre antifonari del III / XIV sec.
La Valsainte ms. P (incompleto), dal I3 / I4th c.
Londra, Brit. Mus. Inserisci. 17302, del I3 / I4th sec.
Trisulti, Certosa 2616, del XIII / XIV sec.
Grande Chartreuse 808, del XIV sec.
Grenoble 93, del XIV sec.
Lione, Bibl. Pubblica. Coll. Lugd. 509 (427), prima della I318.
Loches 3, del XIV sec.
Beaune 34 e 41, due antifonari del XIV secolo.
Milano, Bibl. Trivulz. N 546 D I09, del XV o forse del XIV secolo.La denominazione  difettosa “Antiphonale Romanum” è stata corretta in “Antiphonale Cartusiense”.
Grande Chartreuse 83I, del XV secolo.
Avignone, Grand Seminaire, Antiphonaire de Bonpas, del XV secolo.
Grenoble 94 e 96, due antifonari del XV secolo.
Monaco di Baviera 12102, XV sec .; articolo 12122.
Berlino 702, del XV secolo.
Beaune 27, del XV sec.
Grande Chartreuse 817, antifonario diurno, risale al 1537.
Inni:
Collezioni più o meno complete di inni possono essere trovate nel mss. a seguire:
Parkminster A33.
Berlino 712
Grande Chartreuse 824.
Brit. Mus. Inserisci. 3I384.
Loches 3.

1578 – Graduale, Parigi.
1588 – Inno, Lione.
1612 – Antifonario, Pavia.
I629 – Vesperal-Hymnaire, Siviglia.
I630 – Graduel, Siviglia.
I630 – Petit Antiphonaire abrege, Lione.
1673 – Salterio, Lione.
I674 – Graduel, Lione.
1689 – Vesperal, alla Correrie de la Grande Chartreuse.
1700 – Antiphonaire, Villeneuve.
I70I – Vesperal, alla Correrie.
170I – Hymnary, a la Correrie.
I70I – Salterio, a la Correrie.
1756 – Graduale, Castres.
1789 – Vesperal, Grenoble.
1789 – Inno, Grenoble.
I868 – Metodo del canto semplice secondo il rito e gli usi certosini, Avignone.
Dal I876 al. Alla fine del secolo si susseguirono le edizioni della tipografia della Certosa di Notre-Dame des Pres, Montreuil-sur-Mer:
1876 Antifonario.
1876 Hymnal.
1878 – Antifonario diurno, detto anche Vesperal.
1878 – Graduale.
I878 – Manuel (specie di Processionale).
1881 – Breve antifonario, recante le melodie del salmo invitante, i versi dei Repons, le intonazioni, ecc., In vista della preparazione individuale.
I896 – Hymnal.
I897 – Graduale.
I898 – Antifonario diurno.
I900 – Antifonario.
1900 – Manuale.
Tutte le edizioni di Montreuil sono in notazione senza distinzione di neumi.
Recentemente è stato messo in uso un Hymnal ad codicum fidem et ad instar manuscripti, datato 1959 “Sumptibus Majoris Cartusiae“. Segna il ritorno alla notazione neumatica attualmente in uso ovunque.

Dom Ludolfo di Sassonia sulla Pentecoste

Ludolfo sax Calci

Per celebrare con voi la festa della Pentecoste, quest’anno ho scelto per voi una meditazione estratta da “Vita Christi” di Dom Ludolfo di Sassonia. Una elencazione di “cose necessarie per servire Dio nella vita spirituale“. Che lo spirito Santo scenda su tutti noi. Vi auguro una felice domenica di Pentecoste!

Lo Spirito è la suprema guida dell’uomo, la luce dello spirito umano. (Papa Giovanni Paolo II)

Molte cose sono necessarie all’uomo che vuole godere e servire Dio nella vita spirituale: 1)La chiara e perfetta notizia dei suoi difetti e delle sue debolezze; 2) rabbia grande e fervente contro le sue inclinazioni naturali e la sua cattiva volontà; 3) grande paura che devi avere per le offese fatte fino ad ora contro Dio, perché non è certo se abbia soddisfatto e fatto pace con Dio; 4) grande paura e tremore che deve avere per non cadere di nuovo a causa della sua fragilità in peccati simili o maggiori; 5) forte disciplina, dura correzione del corpo per governare i cinque sensi corporei e sottomettere tutto il tuo corpo al servizio di Gesù Cristo; 6) evitare virtuosamente ogni persona e ogni creatura che lo inciti non solo al peccato, ma anche a qualche imperfezione della vita spirituale, come ad un demone infernale; 7) dolce e continuo ricordo dei benefici di Dio, che ha ricevuto fino ad ora e ogni giorno riceve da Gesù Cristo, il Signore, con ringraziamento; 8) per rimanere in preghiera notte e giorno; 9) portare la croce di Cristo, che ha quattro braccia: la prima delle quali è la mortificazione dei vizi mortali; il secondo, l’oblio di tutti i beni temporali; la terza l’eliminazione di tutti gli affetti carnali degli amici e la quarta l’abominio e l’annientamento di se stessi. Manteniamo sempre la nostra mente nei cieli e tendiamo con tutto il cuore al Signore che ci chiama in molti modi. Come dice sant’Agostino: “Vedendo Cristo e trattenendo sempre il nostro cuore, combattiamo per la battaglia è breve e il premio è eterno. E non cessiamo mai di lottare, solo; perché tutta questa vita presente è milizia, conflitto, lotta. E come non ci manca mai un avversario che ci intrappoli, a cui il nostro spirito è sempre pronto a resistere, perché il nostro è perché non importa quanto vinciamo, comunque c’è sempre qualcosa da vincere.

Pregando la Vergine Maria

Fratelli in preghiera alla vergine

In questo blog, spesso vi ho narrato vicende dei Fratelli conversi, proponendovi un ciclo di articoli dal titolo “vite esemplari“, nei quali si lodavano le loro esistenze speciali. I Fratelli conversi sono chiamati a cercare Dio nella solitudine e nel silenzio, ma la loro vita è meno rinchiusa nell’interno di una cella, perché devono assicurare lo svolgimento di compiti pratici che sono necessari per il buon andamento del monastero. Essi sono impegnati nei vari tipi di lavoro che, come saprete, sono detti “obbedienze”. Ciononostante, qualcuno di loro ha composto delle preghiere che vengono dal cuore, ho il piacere di offrirvene alcune, naturalmente in forma anonima come da tradizione. Per questo mese di maggio ecco per voi due orazioni dedicate alla Vergine Maria.

* * * * * * * 

O Maria il tuo amore

O Maria, il tuo amore circola nel profondo di me; tutto oscuro, tutto nuvoloso si trasforma in ornamento di Dio! O Maria, amore, amore, amore sei tu, Regina; fammi praticare in lei che l’amore è il mio significato nella vita. O Maria, dammi amore per Dio e il suo Spirito; per favore, Dio mi guidi e mi nutra con l’amore più puro. O Maria, immergimi profondamente nel tuo amore, così che con te penso sempre e solo alla Trinità.

* * * * * * *

A Maria

Maria, costruisco il tuo povero bambino interamente su di te. Non sto guardando me stesso. Mi fido ciecamente di te. Sono tuo per sempre. Sei la mia protezione e il mio scudo nell’afflizione e nel dolore. Sei così dolce e gentile, consolazione della solitudine. Guardo spesso la tua immagine. Quando la tentazione sogghigna nella notte profonda dell’anima, quando tutto in me geme dal profondo pozzo della morte, il mio cuore si appoggia a te. O vergine, madre mia, tu conosci l’angoscia dell’anima. Sai che solo noi siamo dediti alla morte. Solo Dio è luce ed essere. A Dio guidaci nella luce, a Gesù, tuo Figlio, affinché la sua grazia irrompa nel cuore dal trono della croce. Mostraci il suo volto!

Amen

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La “casa rifugio” a Zepperen

Zepperen 1

Oggi vi parlerò della “casa rifugio” a Zepperen, della comunità certosina di Glandier, la quale svolse attività monastica in certosa fino al 1901, anno in cui una nuova legge impose la spoliazione, obbligando così i monaci ad abbandonarla.

Al 1 ° luglio 1901 a Glandier c’erano 37 religiosi, di cui 21 padri e 16 fratelli. Dom Pierre Ligeon, il priore ricevette il 22 agosto un invito dalla Grande Chartreuse per discutere con gli altri priori sulle misure da adottare contro quella odiosa legge.

Fu deciso che la comunità di Glandier doveva trovare un nuovo luogo dove recarsi, al di fuori dei confini francesi. Furono fatti vari tentativi, in Belgio, nei Paesi Bassi, in Spagna ed in Italia. Vano fu anche il tentativo di insediarsi nella antica certosa olandese di Roermond.

Alcune settimane dopo, Dom Albert Courtray, che era stato nominato il 2 novembre 1900. procuratore di Glandier individuò in Belgio, e precisamente in prossimità della cittadina di Sint-Truiden, nella provincia del Limburgo, in Belgio un castello da poter acquistare. Dopo una prima missione esplorativa di due monaci sul luogo, avvenuta il 19 settembre del 1901, fece seguito, poichè sollecitati ad abbandonare la certosa, un primo gruppo di confratelli, composto da Dom Mansuetus Bretoneiche, antiquior e responsabile del gruppo, Dom Auguste Hastraffer, Dom Alexis Sirois, Dom Ephrem Bruneel, Dom Pierre Anthouard e del fratello converso Jacques Marti, il 23 settembre raggiunse Zepperen. Con la partenza di questo primo gruppo terminò l’attività monastica a Le Glandier! Il 25 settembre giunse un nuovo scaglione che comprendeva altri dieci religiosi. Il vicario, Dom Hilaire Legrand, Dom Jean de la Croix Dufaître, Dom Félix Charvot, Dom Jean-Baptiste Lefebvre, Dom Léonce Choquette, Dom Basile Romans, Dom Grégoire Boutiron, Dom Gervais Gatineau, ed i fratelli conversi Georges Nora e Placide Scholastic.

Il giorno successsivo, giovedi 26 settembre un terzo gruppo guidato da Dom Joël Girandier, coadiutore, e composto da Dom Joseph de Cussé, Dom Hilaire Aurit, e dai Fratelli Michel Michel, Julien Lopez, Martin Rougemaître e Bernardin Escot si aggregò a Zepperen.

I fratelli del noviziato, Joseph Casnelnaud, Irénée Petit e Bruno Zurbach, erano stati promessi alla certosa di Montalègre in Spagna, pertanto lasciarono Glandier il 27 settembre in abiti civili.

Rimase l’ultimo gruppo, composto dal Padre priore, dal sacrestano Dom François d’Assise Marechal, dal Procuratore, Dom Albert Courtray e dai fratelli Alphonse Allen, Emmanuel Bélenguer, Victor Léonard, Hubert Bleylevens e Jean-Marie Raset, partì il 30 settembre da Le Glandier, lasciando definitivamente vuota la certosa.

Purtroppo, il frettoloso trasferimento non aveva consentito l’idonea trasformazione del castello di Zepperen alle necessità della vita monastica certosina. Dopo le pratiche burocratiche di acquisizione, non si era riusciti a rendere agevole la quiete monastica.

Il solerte Padre priore, riuscì già dal2 ottobre a recitare l’ufficio notturno in una cappella improvvisata, mentre i confratelli risiedevano in stanze che nulla avevano a che vedere con le loro amate celle. Piano piano, con grande pazienza e sacrificio, i monaci tutti dovettero adattarsi a quella difficile situazione, che non garantiva loro l’ideale isolamento e solitudine per svolgere la vita claustrale a cui erano abituati.

Zepperen interno

Breve fu la durata di quel soggiorno forzato, difatti il Capitolo generale del 1905 fu deciso di sopprimere Zepperen che rimase soltanto “una casa rifugio”, poichè non riuscì mai a garantire il silenzio e la solitudine cercata. Tra il maggio e l’agosto del 1905, i religiosi partirono per le certose a cui erano stati destinati, abbandonando per sempre il castello di Zepperen. Ma che ne fu di questa casa rifugio? Dopo un tentativo di insediarvi la comunità certosina femminile di Gard, come vi ho descritto in un precedente articolo, questa proprietà certosina fu venduta il 24 luglio del 1920 ai Padri Assunzionisti. Oggi, l’antico castello ospita l’Istituto Sint-Aloysius, ovvero un campus universitario.

Ho voluto narrarvi le vicissitudini di questi confratelli certosini alle prese con i trambusti derivanti da odiose leggi anticlericali, che videro turbata la serenità della loro vita eremitica.

Zepperen aerea

-Zepperen oggi

Dal libro di Dom Dysmas de Lassus 5

Ecco per voi il quinto paragrafo del capitolo “Piccola radiografia della bugia” sulla menzogna, e tratto dal libro “Risques et dérives de la vie religieuse”, di Dom Dysmas de Lassus.

Mentire distrugge la relazione

Supponiamo una società in cui tutti mentono.
La vita sarebbe ancora possibile? Impossibile fidarsi di nessuno, sapere a che ora partirà un treno, sapere se il contenuto di una lattina di fagioli non contiene patate, inviare una lettera (che ci dice che arriverà?).
L’impiegato ti dice che ha registrato il tuo biglietto aereo, come fai a sapere se è vero? La società diventerebbe il caos totale anche nelle cose più piccole.
Più vicini alla nostra realtà quotidiana: se un giorno scopriamo che una persona ci ha mentito, possiamo perdonarla, ma qualcosa si rompe nella fiducia perché ora che certezza posso avere che abbia torto mentirmi di nuovo? Spesso giustifichiamo la menzogna con la carità. Per non ferire, racconterò una piccola bugia. Forse l’intenzione è caritatevole, ma il rischio è formidabile. Supponiamo che un amico ti abbia dato un libro e dopo aver letto tre pagine quel libro ti abbia annoiato e tu lo abbia chiuso. Poco dopo, incontri questo amico che ti chiede se ti è piaciuto il suo libro.
La tentazione è di spiegare che è stato trovato molto interessante per non ferirlo. Ma se in seguito quell’amico scopre che in realtà non hai letto il suo libro, proverà un dolore molto più profondo. Perché ti mancava così tanto la fiducia in lui che l’hai tradito? Dici che è tuo amico, ma è proprio vero? Adesso può avere dei dubbi. È certamente più esigente, ma tanto più fecondo per essere semplicemente vero: Io ti ringrazio, sono stato davvero toccato da questo dono e dalla cura che mi hai mostrato. L’ho visto e, perdonami, non voglio ferirti, ma è un argomento che non mi interessa e non sono andato molto lontano. E possiamo aggiungere che non importa, poiché, come si suol dire, è il gesto che conta. Ovviamente sarà un po’ spiacevole per l’amico, ma se ne andrà con la soddisfazione molto più profonda di una vera relazione e una maggiore fiducia di poter contare su ciò che gli dici perché è solido.
E credimi, questo vale oro.

Un sermone per l’Ascensione

Cari amici, oggi si celebra la festività dell’Ascensione, ed ho deciso di offrirvi uno splendido sermone del Reverendo Padre Dom Andrè Poisson, concepito per commemorare questa festa liturgica del 1984. Il testo è alquanto lungo, gradevolissimo e vi consiglio di leggerlo e meditarlo!

Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto ritornerò e vi prenderò con me” (Gv 14,3)

La promessa di Gesù, che annuncia ai discepoli che Lui stesso s’impegna a preparare il posto che essi occuperanno vicino a Lui nei secoli a venire, trova eco nella nostra orazione propria di San Bruno. Rileggiamola attentamente, poiché essa apre delle prospettive molto ricche sullo svolgimento della nostra vita monastica, in piena consonanza con le proposte di Bruno stesso nelle sue lettere. Ecco questa orazione: Dio onnipotente ed eterno, Tu prepari nel cielo un posto per coloro che rinunciano al mondo; nel tuo immenso amore accogli la nostra umile preghiera: per l’intercessione del nostro padre San Bruno donaci di essere fedeli ai nostri impegni e di raggiungere attraverso una via sicura il termine che hai promesso a coloro che ti saranno restati uniti fino alla fine. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

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Ciò che più colpisce in questa preghiera è il modo accentuato in cui essa è rivolta all’avvenire. Essa considera la nostra vocazione non sotto l’aspetto di una pienezza appagante del momento presente, ma nella prospettiva della durata, in cui il senso profondo non si manifesta che una volta ultimata la corsa. Ciò è vero per ogni vita cristiana, ma in modo assoluto nel caso di una vita monastica nel deserto: non riconoscere ad essa altra giustificazione soddisfacente che il termine che la disorienta. Sotto questa prospettiva diciamo che la nostra vocazione è innanzitutto escatologica: il mondo presente è una via che ci conduce al di là di esso. Viviamo senza aver da costruire nulla di stabile quaggiù. Ma, alla stessa maniera dei compagni di cui ci parla San Bruno in Calabria, noi dobbiamo prendere alla lettera la consegna donata da Gesù stesso: vivere in stato di veglia continuo, nell’attesa ininterrotta del ritorno delle nozze del nostro Maestro (A Raoul 4). Qualunque sia la solidità dei monasteri di pietra nei quali viviamo, alla fine “ non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb 13,14). Non è il senso primo della vocazione di San Bruno, quando nel giardino della casa d’Adamo egli fu travolto dallo Spirito Santo? “Infiammato di divino amore, scrive egli molto tempo dopo,… abbiamo deciso di lasciare senza indugio il secolo fugace per metterci alla ricerca delle verità eterne” (A Raoul 13). Una ferita si è formata nel cuore del Maestro di Università di Reims, improvvisamente divenuto ardente d’amore per Dio. Eccolo scavalcare tutte le tappe transitorie di questo mondo mutevole, per partire alla ricerca dell’eternità, il solo dono che potrà fargli il Signore, divenuto ormai l’Unico che conta ai suoi occhi. Tale è la logica alla quale non si può sfuggire se ci si mette alla scuola di Bruno: desiderare d’incontrare Dio è lasciarsi divorare dalla sete d’eternità. Gli Statuti Rinnovati, al seguito del Concilio, sviluppano fino alla fine la portata di questa dimensione escatologica della nostra vocazione: “La nostra vita, essi dicono, mostra che i beni del cielo sono già presenti quaggiù; essa è un segno precursore della resurrezione e come un’anticipazione dell’universo rinnovato” (SR 34.3). Noi abbiamo fatto la scelta, in maniera irrevocabile, d’orientare la nostra vita verso la resurrezione, là dove noi saremo appagati dalla sola pienezza che valga: la contemplazione di Dio stesso. Tutta la nostra esistenza terrestre si trova, così, segnata dal sigillo della contemplazione diretta dal solo Bene e a causa di ciò noi diveniamo testimoni per il mondo a venire, portatori nella nostra esistenza di una realtà che è già un pregustare lo stato di resurrezione. Dio voglia che la testimonianza che ci chiede di dare al mondo, trasformi innanzitutto i nostri propri cuori!

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L’orazione di San Bruno mette in evidenza una seconda dominante della nostra vita: la fedeltà. E’ una grazia che noi imploriamo umilmente, perfettamente coscienti del fatto di non potervi far fronte con le sole nostre forze. Il testo dell’orazione parla di “fedeltà ai nostri impegni”. Bisognerebbe dare a queste parole un significato giuridico rigoroso e vedervi il pensiero stretto di non mancare alla lettera alla nostra formula di professione o di donazione? Ciò sarebbe, mi sembra, restringere in maniera indebita il senso di una preghiera di cui l’orientamento è tutto spirituale. L’impegno fondamentale che abbiamo preso è quello di seguire San Bruno nella sua scelta di “lasciare il secolo fugace” e di “mettersi alla ricerca delle realtà eterne” ( A Raoul 13). Bruno stesso ci orienta in questa direzione nella lettera ai suoi fratelli della Certosa. Anche se non bisogna forzare il senso dei consigli che a loro dona, mi sembra che egli attiri chiaramente la loro attenzione sulla sollecitudine con la quale essi devono vegliare, al fine di non far decadere la qualità della loro vita religiosa, raggiunta per grazia di Dio e per la loro generosità. La sua intenzione è assai chiara quando egli s’indirizza ai conversi. Egli conclude il paragrafo che è loro destinato con questo avvertimento: “Restate, miei fratelli, là dove siete pervenuti e fuggite come la peste la schiera malsana dei laici incostanti” (Ai suoi figli della Certosa 2.4), i quali potrebbero nuocervi molto se voi vi lasciaste influenzare dai loro esempi. Questi sono, punto per punto, la negazione di ciò che fa la qualità eccezionale dell’obbedienza contemplativa dei conversi della Certosa: un’obbedienza ammirabile, ma portatrice di vero frutto solamente se si renderà capace di essere fedele a sé stessa nel corso degli anni. Diversamente, essa non condurrà i fratelli al luogo che Dio ha loro preparato nel cielo. Si scopre un orientamento analogo alla fine del canto d’azione di grazie indirizzato da Bruno ai suoi figli, avendo raggiunto la tranquillità del porto più nascosto. Che bisogno ha lui di ricordare loro che “nessuno che abbia goduto di questa buona sorte così desiderabile e l’abbia persa… non ne abbia provata una pena continua…” (id.1.4) se non perché li vede esposti al pericolo? La nostra vita nel deserto è bella, è attraente, ma mette a nudo le fragilità del nostro cuore, nella misura in cui mette alla prova le inclinazioni legittime della nostra natura. Gli Statuti lo ricordano: “La santa vocazione che ci hanno trasmesso i nostri Padri ci impegna su una via molto alta: il rischio di mancare è tanto più grande per noi, non tanto forse per errori manifesti, quanto per l’inclinazione naturale dell’abitudine” (SR 33.1). Riconoscere che noi siamo continuamente esposti è una forma di saggezza. Senza di essa ci mancherebbe una visione realista della vita nella quale ci siamo impegnati. Non per crearci delle vane inquietudini, ma per ricevere da Dio, nella fiducia, la fedeltà di cui noi abbiamo bisogno. E perché non considerare questo dono, ininterrottamente rinnovato dal Padre dei cieli, come un anticipo di ciò che ci donerà in cielo?

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Rimane, da considerare, un’ultima dimensione della nostra vita. L’orazione di San Bruno la evoca in maniera abbastanza discreta, ma mi sembra utile soffermarci, poiché essa rappresenta una componente importante del nostro equilibrio. L’orazione termina con questa richiesta: “Donaci di raggiungere il premio che Tu hai promesso a coloro che ti saranno rimasti fedeli fino alla fine”. La realtà evocata qui è vicina alla fedeltà di cui abbiamo appena parlato, ma differisce da essa : è la perseveranza, in altre parole, la capacità d’assumere un ritmo di vita umanamente abbastanza piatto, per lunghi periodi, in cui la monotonia della cella e del deserto non è spezzata da nulla d’importante. Generalmente, la vita certosina si dispiega con una cadenza lenta nel corso degli anni, i quali si accumulano senza fare rumore. E’ questa durata che diviene strumento d’incontro con Dio. Il testo latino dell’orazione impiega una formula quasi intraducibile, ma tuttavia eloquente: “perseverantibus in te”: “coloro che restano in te”. Rimanere in Dio senza fare rumore, “rientrare in sé stessi e lì dimorarvi”, dice San Bruno, “la pace che ignora il mondo”, egli riprende un po’ più in là (A Raoul 6). Percepiamo una dimensione preziosa della nostra esistenza e, tuttavia, ci fa male parlarne. Le permanenze nel deserto degli amici che Dio si riserva e di cui la Bibbia ci parla sono solitamente contraddistinte dal numero simbolico 40. Israele dimora 40 anni nel deserto; Mosè 40 giorni nella nuvola sul Sinai; la marcia di Elia nel deserto verso l’Oreb dura 40 giorni. Allo stesso modo Gesù, prima di essere tentato, rimane 40 giorni in preghiera nel deserto. Ciò rappresenta sempre l’idea di una permanenza molto lunga, utile, in cui Dio è l’unico sostegno di colui che egli attira a Sé. Queste lunghe permanenze sono apparentemente vuote. La durata si giustifica da sé stessa: non è importante ciò che si fa, ma ciò che si diviene, la disponibilità che si acquisisce ad incontrare l’Altissimo. Quest’interminabile durata non è, in fondo, la maniera più vera, più radicale di mettere in pratica il progetto di Bruno: “lasciare il secolo fugace”? Lasciarlo, non solamente nei suoi segni esteriori, ma là dove è più solidamente radicato, cioè in noi stessi? Lasciarlo, passando al vaglio del tempo, senza pietà, tutta la sostanza del nostro cuore che, alla fine, si trova sradicata fin nella sua più intima profondità. Potrebbe essere diverso per dei servitori che attendono il ritorno del loro Maestro senza saper né il giorno né l’ora? Essi divengono, poco a poco, pura attesa: essi non son più che “ricerca delle realtà eterne”, ricerca ardente e, tuttavia, certa di non approdar mai a nulla di veramente valido quaggiù, ma sicura d’essere appagata un giorno dall’unico raggio di luce che risplenderà nell’istante in cui il Maestro svelerà il suo volto. Amen.

(Ascensione 1984)

In cucina con i monaci certosini

il pasto certosino

Il tema del cibo è da sempre oggetto di curiosa attenzione, il sottoscritto ne aveva già delineato il profilo sul sito Cartusialover, descrivendone la simbologia ed anche alcune antiche ricette. I monaci certosini come sappiamo non mangiano mai la carne. In Avvento e Quaresima fanno anche a meno dei latticini e delle uova, ed una volta alla settimana, di solito il venerdì, si nutrono di solo pane e acqua.

Da oggi vi annuncio che partirà una rubrica, con cadenza mensile, nella quale vi proporrò delle ricette in uso nelle certose.

In un pomeriggio del 1983, negli archivi della certosa dell’Aula Dei fu ritrovato un antico libro manoscritto che conteneva un enorme elenco di ricette tramandate nel tempo. In esso inoltre vi erano anche dei consigli scritti dai monaci cuochi esperti rivolti ai novelli monaci che si sarebbero avvicinati alla cucina. Una preziosa testimonianza che ci porterà alla scoperta delle ricette certosine.

ricettario cartusia

Su questo argomento, per ora, vi lascio alle parole di un vecchio monaco certosino di Aula Dei, mentre in un prossimo articolo troverete le prime tre ricette che ho scelto per voi.

Queste le parole di un certosino di Aula Dei

…noi certosini proviamo una sorta di vergogna a discutere di questi temi, anche tra di noi. Tanto che, nei momenti di svago comuni, questo problema non viene mai sollevato nella conversazione. La ragione di ciò deriva sicuramente dal disinteresse che proviamo per quell’atto naturale del nostro organismo, che riconosciamo come necessario alla vita del corpo, ma indifferente alla vita dello spirito, che è proprio quello che più ci sta a cuore. .
Non siamo venuti in certosa per mangiare bene; lo sapevamo molto bene che non avremmo trovato un ristorante con molte stelle. L’Ordine ha sette stelle sul suo scudo ma non nella sua cucina. Vero che né siamo spinti ad entrare in monastero per praticare la mortificazione con l’astinenza e il digiuno, perché lo consideriamo un mezzo: non un fine a se stesso. La vera ragione del nostro ingresso nell’Ordine dei certosini è stata, e lo affermiamo chiaramente, la dolce ma ferma attrazione per una vita consacrata totalmente al servizio di Dio, per conoscerlo sempre di più e, quindi, lasciarlo in tutto l’essere, come richiesto dal primo comandamento della sua legge.
Cosa dire? Ah ecco…

Mi viene in mente di lodare queste ricette, in base all’esperienza che, dal suo utilizzo, abbiamo nell’Ordine. In effetti, per più di nove secoli, la longevità dei monaci certosini, è evidente anche nei secoli in cui le persone dei paesi europei, hanno raggiunto a malapena una vita media di cinquant’anni; mentre i certosini avevano per qualcosa di abituale e naturale raggiungere gli ottanta ed i novanta anni. È vero che non si può attribuire una vita così lunga solo alla corretta alimentazione. Qualcosa deve influenzare anche la regolarità delle loro ore, la pace e la serenità dell’esistenza di questi monaci, isolati nei monasteri, lontani dalla pazza folla, ma non c’è dubbio che riceviamo un grande aiuto dalla nostra dieta semplice ed equilibrata.
Oggi, grazie ai progressi della scienza medica, la vita media per gli abitanti dei paesi sviluppati, raggiunge gli oltre settant’anni. E poiché in tutto ciò che vediamo espressa la volontà divina, viviamo felici, aspettando il giorno splendente in cui godremo la visione di Dio per tutta l’eternità.
Un vecchio monaco.