Proseguono le domande del certosino giornalista a San Bruno in questa immaginaria intervista. Apprezziamo la domanda e la risposta esaustiva.
Cos’era per te la solitudine?
CG – Padre, per grazia di Dio condividiamo la tua vocazione al deserto. Sappiamo che, come te, anche noi dobbiamo santificarci nella solitudine. Ma poiché lo Spirito Santo ti ha illuminato, come Fondatore, sui misteri di quella solitudine, vuoi dirci qualcosa di cos’era per te la solitudine?
SB – Avrai già notato che nelle mie lettere quasi non mi soffermo sulla solitudine materiale, per quanto essa sia la base e la condizione della solitudine spirituale. Preferisco esaminare la solitudine spirituale di questo elemento così importante del nostro carisma vocazionale.
E la prima cosa che scopro è che la solitudine è un dono gratuito di Dio. Se ci ha chiamati perché l’ha voluto e ci ha portato nel deserto, la solitudine profonda e stabile è una grazia divina ordinata per la realizzazione dei disegni di Dio su di noi.
Perciò ora non posso dirti di meno di quanto dissi ai primi figli: “Rallegratevi della felice fortuna che vi è data e dell’abbondanza della grazia di Dio su di voi. Rallegratevi di aver raggiunto il tranquillo e sicuro rifugio di un porto nascosto” (Lettera ai monaci della Certosa).
Con questo voglio ricordarti ora quanto segue: se la solitudine è una grazia di Dio, dobbiamo esserne grati. Se è ordinata alla nostra vocazione, dobbiamo custodirla con amore preferenziale; essendo una grazia, è evidente che non possiamo conquistarla con le nostre forze; essendo un dono di Dio, è inutile impiegare tecniche umane; infine, essendo grazia vocazionale, è necessario coltivarla con la preghiera, per conservarla, vivificarla, per non lasciarla sprecare o lasciarla sterile a causa della vostra incuria.
Sì, “avete paura di perdere per colpa vostra quella fortuna inestimabile, quel desiderato bene, se non volete rimpiangerlo per tutta la vita» (ib.).
Durante la mia permanenza nel mondo, mi piaceva essere realistico perché la realtà è parte della verità. Ora che sono in paradiso, non voglio nasconderti una realtà che fa parte della solitudine, per quanto tu la sappia.
La solitudine, ti dicevo prima, vissuta con la pace, la gioia e il silenzio che le sono propri, ci permette di vivere con Dio, di stare con Lui senza vederlo, per quanto questo è possibile sulla terra.
Ma quella stessa solitudine ha anche le sue ore buie e dolorose, dure e austere. E che, come dice Guigo, che cito, “esige uno spirito che sia padrone di sé”, cioè uno spirito che sappia e voglia accettare le conseguenze di una scelta coraggiosa, che ha la sua origine nella chiamata di Dio e che è disposto ad accontentarsi di Dio.
Sì, a volte la solitudine è dura. Ma non siate sorpresi di questo: è la durezza della croce. Il deserto, l’esodo dalla sua vita, è stato duro anche per Gesù, e non parlo solo del deserto della Quarantena.
Ma se apprezzi l’essere “soldati di Cristo”, “atleti di Dio”, allarga il tuo cuore e accetta, con gioia, le dure ore della solitudine. Solo con questa generosa accoglienza si può ricevere la ricompensa promessa: «la pace che il mondo non conosce e la gioia nello Spirito Santo» (Lettera a Raul). È questa gioia e questa pace che fanno vivere appieno la vostra solitudine, sono loro che portano al compimento della vostra vocazione.
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