Cari amici lettori, voglio oggi farvi conoscere un monaco certosino che è vissuto nel periodo tribolato della Rivoluzione Francese, e quindi al centro dei drammatici giorni che turbarono la vita monastica sua e di suoi tanti confratelli.
Emmanuel Ducreux, nacque a Parigi il 4 aprile 1738, emise la professione nella certosa di Bourbon les Gaillon il primo gennaio 1758. Fu nominato Vicario nel 1782, poi fu inviato come sacrista alla certosa di Rouen nel 1783, in seguito fu coadiutore a Val Saint Georges lo stesso anno, ed a seguire procuratore a Bourbon les Gaillon nel 1785, fu eletto infine priore di questa casa nel 1786. Optò per la vita comune nel 1790, poi rifiutò il giuramento ed emigrò con quattro suoi confratelli in Inghilterra. Rimpatriato dopo qualche anno, divenne cappellano dell’ospedale di Rouen. Nel 1816 Dom Ducruex fu il fulcro delle procedure amministrative per la rioccupazione della Grande Chartreuse. La sua morte è annunciata negli annali del 1826.
Egli nel corso della sua esistenza si distinse tra l’altro per avere scritto, un anno prima della rivoluzione. una Vita di San Bruno per la certosa di Bourbon les Gaillon ed alcuni opuscoli.
Voglio proporvi il contenuto di uno di essi, nel quale vi è un orazione funebre per Re Luigi XVI, ghigliottinato a Parigi, il 21 gennaio del 1793. Un testo lungo, ma che lascia trasparire la disperazione per la morte del sovrano cattolico e per i tempi che si sarebbe apprestata a vivere la Francia.
Preghiera Funebre per Luigi XVI
Nolite flère super me, sed super vos ipsos flete.
Non piangere su di me; ma piangete su voi stessi. In San Luca, cap. xxv, f. 28.
Francesi, Cristiani, Miei Fratelli
Un crimine, un grande crimine, un grandissimo crimine è stato commesso in Francia, e sotto i nostri occhi. Sudditi ribelli, fuorviati, credendosi qualcosa, sebbene non fossero niente, hanno osato, contro ogni ragione, contro ogni giustizia, giudicare, condannare e mettere a morte su un patibolo come un delinquente un innocente, che non avevano anche il diritto di giudicare, un innocente; ehi, che innocente! il migliore dei padri, il migliore dei re, il loro legittimo sovrano, il virtuoso Luigi XVI, che descrivevano come un tiranno, sebbene nulla gli si potesse rimproverare se non la sua eccessiva bontà. È questo crimine atroce, questo crimine orribile, che veniamo a espiare in questo giorno, un giorno per sempre memorabile, un giorno di lutto e afflizione, un giorno che non potremo mai piangere abbastanza, un giorno che sarebbe desiderare la felicità della Francia che non sarebbe mai esistita. Ma purtroppo esiste, ed è per punirci di questo delitto di cui Dio si è dichiarato vendicatore, che ha fatto cadere sulle nostre teste colpevoli questo diluvio di mali che, da vent’anni e più, ci ha travolti. Felice! se avessimo saputo trarne un santo profitto.
Ma sfortunatamente, devo dire; sì: e sarete d’accordo con me, siamo puniti, cristiani miei fratelli, e non siamo corretti. La nazione traviata aveva osato, nel delirio del suo orgoglio, rovesciare il trono e l’autorità, stendere una mano sacrilega sull’unto del Signore, sui suoi pontefici, sui suoi sacerdoti: aveva osato dichiarare ad alta voce in un’assemblea demoniaca che non ci fu Dio, sebbene gli stessi demoni credano il contrario, a profanare gli altari eretti in suo onore, offrendo su questi stessi altari, sui quali scorreva quotidianamente il sangue dell’Agnello immacolato, sacrifici impuri, vittime abominevoli di voluttà infami. Eravamo, in una parola, senza morale, senza leggi, senza re, senza fede. Questo è l’abisso scavato sotto i nostri piedi dalla presunta saggezza dell’epoca; filosofia, anarchia, abuso di potere e dove saremmo rimasti inghiottiti per sempre.
Ma Dio ama la Francia; ama questo regno ornato da tanti secoli di questo bel titolo di regno cristianissimo; e viste le preghiere e i meriti di tante anime sante che in questi tempi tempestosi gli sono rimaste fedeli, le preghiere e i meriti del santo Re-Martire che piangiamo, non ci ha abbandonato, sebbene lo meritiamo, come tante altre nazioni che hanno abiurato la fede, e che, da diversi secoli, sono sepolte in fitte tenebre, e dormono tranquille sulle rive dei fiumi di Babilonia, in mezzo alle ombre della morte.
Oh mio padre! Oh mio Re! Oh Luigi! ottienici dalla bontà divina che essa riaccenda e conservi in Francia la fiaccola della fede che ha sempre brillato da Clodoveo fino ad oggi, quando perdendoti abbiamo perso tutto. O vittima innocente immolata da noi e per noi, dall’alto del cielo dove regni, getta uno sguardo di benevolenza su tutti i Francesi, che tutti, in questo momento, proni, annichiliti ai tuoi piedi, ti chiedono perdono per l’orribile attentato commesso contro la tua sacra persona, e ti prego di ottenere da essa il perdono per tutti i delitti che ne furono la conseguenza. No; non c’è un solo francese che non sia pronto a versare l’ultima goccia del suo sangue per espiare il suo crimine, se con la sua morte potesse restituirti ai nostri desideri, alla vita. Ma non c’è bisogno, fratelli miei cristiani, che Luigi XVI scenda dal cielo dove non cessa mai di intercedere per noi. Un miracolo non meno clamoroso che dobbiamo alla misericordia divina, che guarda sempre con benevolenza la Francia, nonostante gli orribili delitti di cui si è macchiata; miracolo che dobbiamo ai meriti e alle preghiere del nostro buon Re, Luigi XVI, di San Luigi, di tanti santi nostri compatrioti, e più in particolare ancora della Santissima Vergine, sotto la cui protezione Luigi XIII, di pia memoria, ebbe mettere il suo regno ei suoi sudditi; miracolo confessato e riconosciuto come tale dagli stessi miscredenti (nessuno se non un Dio può operare questo prodigio di cui tutti siamo stati testimoni); questo miracolo è il ritorno di Luigi XVII, fratello di Luigi XVI, in questo regno, dopo vent’anni di assenza.
Da tempo lo desideriamo, lo chiediamo, e sempre invano. Giunge finalmente il momento fissato dalla divina Provvidenza: e quando meno ce lo aspettavamo, Luigi XVIII tornò ai nostri desideri. Egli viene per asciugare le nostre lacrime, per porre fine ai nostri mali. Appare in mezzo al suo popolo come un sole splendente dopo una notte profonda. Viene, come un inviato dal cielo, guidato dalla religione, accompagnato da tutte le virtù, portando con sé pace e felicità.
Appena ha fatto qualche passo nella capitale dei suoi Stati, va al tempio per ringraziare Dio della grazia che fa alla Francia di restituirgli il suo legittimo sovrano, per protestargli che non vuole regnare solo da lui e per lui, e chiedergli i favori di cui ha bisogno per riparare i mali che vent’anni di anarchia e di empietà hanno fatto alla Francia. Sollecita preghiere pubbliche e chiede che il formidabile sacrificio sia offerto in espiazione e riparazione dell’ingiuria arrecata alla maestà reale nella persona del suo augusto fratello Luigi XVI, nostro legittimo sovrano. Ma questa riparazione e questa espiazione, fratelli miei cristiani, è tutta per noi. Luigi XVI è in paradiso; tutto ci dà il diritto di presumerlo. È vissuto da santo, è morto da santo. Infatti, questa calma, questa tranquillità con cui Luigi XVI si disponeva alla morte, ed era alla morte; calma e tranquillità che rendono abbastanza chiaro che era sicuro del suo destino, e che ha lasciato questa valle di lacrime solo per andare a godere della vera felicità nel seno di Dio stesso, che ha lasciato la terra solo per andare in paradiso. Calma e tranquillità molto al di sopra delle nostre idee volgari, che solo lui può definire bene, perché solo lui poteva sentirla e assaporarla. Fermiamoci qui per un momento, cristiani miei fratelli; ascoltiamo lo stesso parlare. La semplice lettura del suo Testamento, che fa anche l’elogio della sua pietà, del suo spirito, del suo cuore, lo dipinge molto meglio di quanto potremmo fare noi: sarà difficile per me leggerlo a voi, e voi, Fratelli miei, difficile ascoltarlo, senza versare tenere lacrime.
Qui le ultime parole pronunciate da Luigi XVI, sul patibolo:
“Io perdono i miei nemici; Desidero che la mia morte porti alla salvezza della Francia; “Muoio innocente”.
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