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Dialogo con San Bruno 12

6 dialogo

Proseguono le domande del certosino giornalista a San Bruno in questa immaginaria intervista. Apprezziamo la domanda e la risposta esaustiva sul tema dell’obbedienza.

“Sull’obbedienza”

CG – Padre S. Bruno, la nostra vita certosina, come lo sai, è costruita sull’obbedienza di Gesù. Pertanto, deve essere eseguita in obbedienza. Accade, però, che in questi tempi in cui devo vivere si parla e si scrive molto sull’obbedienza – e non sempre a suo favore. Vorrei sapere la tua opinione su questo argomento. Vuoi dirmi qualcosa su questo?

SB – Se ricordi bene, nella mia Lettera ai monaci certosini ho spiegato il mio pensiero sull’obbedienza a tutti voi e non ho nascosto la mia soddisfazione e la mia gioia nel conoscere la perfezione con cui era vissuta dai Fratelli di quella prima Comunità, alcuni dei quali ho conosciuto. Attualmente, come cittadino del Regno di coloro che con la loro obbedienza cantano la vittoria, continuo a pensare la stessa cosa. Non ignoro come, proprio perché così “flagellata”, l’obbedienza sia trattata dal vostro mondo attuale e nè ignoro la svolta spettacolare avvenuta nella concezione dell’obbedienza.

È vero, figlio, qui siamo informati che quel modo di sentire, pensare e agire secondo il quale la legge era espressione della volontà di Dio, è per molti inaccettabile e impraticabile. E sappiamo anche che si menzionano tanti fattori interni ed esterni all’ambito ecclesiale e religioso, fattori preconciliari, conciliari e postconciliari, con i quali si vuole giustificare la “rottura” di quella mentalità sull’obbedienza.

E affinché tu veda che ne siamo consapevoli – e lo siamo perché noi che siamo stati Fondatori in questo mondo, seguiamo con interesse tutto ciò che riguarda la vita religiosa, poiché resta nostro compito assicurarne la conservazione e la purezza –, so che siamo stati opportunamente informati sul tema delle rivoluzioni sociali che hanno modificato i rapporti umani; e sulla discesa delle gerarchie e l’ascesa dell’uguaglianza umana nei diritti e nei doveri; e sulle scienze antropologiche, psicologiche e sociali che rendono più viva la coscienza del valore dell’uomo; e sulle nuove chiavi ermeneutiche per vivere i tuoi voti; e sul passaggio dal sistema oligarchico a quello democratico, dall’extero-tipizzazione (modelli esterni) alla rilevanza della soggettività, e dall’eteronomia all’autonomia…

Come vedi, anche in Paradiso siamo informati delle cose della terra: tanti cambiamenti, tante alterazioni, tante nuove parole…; ma «la parola del Signore è per sempre» (Sal 118,89).

E, come puoi immaginare, il tuo Padre e Fondatore continua a pensare all’obbedienza alla luce di quel “Verbo” “per mezzo del quale tutto è stato fatto” e che, nonostante ciò, “si è fatto obbediente fino alla morte, fino alla morte di croce”. E se sei in grado di ricevere la confidenza di un padre, ti dirò che non desidero altro che i miei figli continuino a vivere l’obbedienza nello stesso modo in cui gli ho insegnati e che non prestino attenzione a nessuna delle nuove dottrine sull’obbedienza, se non sono conformi all’obbedienza di Cristo e della Chiesa.

Tornando dunque al punto di partenza, ti ho detto che ero profondamente contento dell’obbedienza dei miei monaci, perché vedevo in essa una manifestazione gentile della misericordia di Dio sulle loro anime. Infatti l’obbedienza, come perfetta imitazione di Cristo obbediente, come sua continuazione nel mondo, non è solo opera dell’uomo; è soprattutto opera di Dio nel cuore di quell’uomo che si è donato al suo amore; è una grazia concessa a coloro che sinceramente lo amano, lo servono e lo cercano.

Sì, un’opera di Dio. Perciò vi ho detto: “L’anima mia esalta il Signore, perché ha visto la grandezza della sua misericordia verso di voi…Mi rallegro che, essendo privi della conoscenza delle lettere, il potente Dio incide con la sua mano sui vostri cuori non solo l’amore, ma anche la conoscenza della sua santa legge. Con le vostre opere dimostrate ciò che amate e ciò che conoscete, quando praticate con ogni diligenza e cura la vera obbedienza, che consiste nell’eseguire i precetti di Dio ed è la chiave e il sigillo di ogni disciplina spirituale…È chiaro così che raccogliete il frutto l’infinitamente dolce e vitale di ciò che Dio scrive in voi” (Lettera ai monaci).

Così, quei monaci della prima Certosa manifestarono il compimento della parola del Signore: «Metterò la mia legge nei loro animo e la scriverò nei loro cuori» (Ger 31,33).

Ho voluto accennarvi non solo la legge ma anche la forza della legge, l’amore: “Amore e conoscenza della sua santa Legge”, che lo Spirito Santo ha scritto nel cuore di coloro che non sapevano né leggere né scrivere.

CG – Cosa gli volevi dire con quello?

SB – Semplicemente, per comunicarvi la mia intima persuasione che la vera obbedienza, manifestata attraverso le opere, può scaturire solo da un cuore formato, animato dall’amore di Dio e da esso guidato.

Perché è opera del Dio che abita nei cuori, “il frutto dell’obbedienza è infinitamente dolce e vitale”. Dolce perché l’amore rende dolce tutto ciò che si fa per amore; Vitale perché l’amore infonde vigore e vita in tutto ciò che fa, in tutto ciò che tocca. “Mettete amore dove non c’è amore e attingerete amore da tutto”, vi ha detto Giovanni della Croce.

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“And They Kept Silence” (E Tacquero)

tr

Nell’articolo odierno, voglio proporvi un breve video dal titolo “And They Kept Silence” (E Tacquero), riguardante la certosa statunitense della Trasfigurazione, di cui già vi parlai in un precedente articolo. 

Il documentario prodotto da Sandi Switzer di Video Unlimited in collaborazione con Scott Switzer, Robert Gershon e Marquis Walsh presenta il primo filmato mai girato all’interno dell’unico monastero certosino in Nord America ed esplora questo mondo di silenzio e solitudine. Oltre alle inedite e splendide immagini girate all’interno della certosa americana, potremo ascoltare l’intervento di monsignor Stephen Joseph Rossetti di New York, autore, di molti importanti testi per i sacerdoti cattolici.

La priorità del documento video è data agli ambienti monastici, ai canti ed al silenzio.

Di seguito il video e la traduzione del testo in esso contenuto.

Msgr. Stephen Rossetti: “I certosini sono monaci ma sono anche Eremiti, silenzio e solitudine sono le due chiavi della loro vita quindi vivono essenzialmente da soli in una comunità vagamente connessa pregano la maggior parte del tempo nelle loro celle. Questa solitudine ha lo scopo di favorire una vita contemplativa per mettersi davvero in contatto con Dio. San Bruno fondò i certosini, era un famoso sacerdote che andò in montagna in Francia con alcuni compagni e iniziò la prima vita certosina Amava la solitudine e che poi racconta di aver trovato il Signore nel silenzio della solitudine… la prima Certosa era ancora nelle montagne francesi. Ed eccoci di nuovo qui (Vermont) in montagna ci sono certose che non sono in montagna ma le montagne avevano un aspetto particolare tipo di aspra bellezza isolamento e solitudine che sono molto favorevoli alla vita certosina Ancora una volta la vita contemplativa certosina è difficile da capire per le persone.. per esempio i monaci conducono una vita molto austera non mangiano mai carne essenzialmente consumano un solo pasto al giorno ed i monaci del coro hanno cilici si alzano nel cuore della notte, a mezzanotte, pregano l’ufficio notturno per due o tre ore ogni notte ed è una vita molto austera e quindi penseresti che sarebbe un’esistenza molto negativa ma uno dei segni di un vero certosino e un segno di gioia. infatti quando tu incontri i monaci certosini vedi un grande sorriso sul loro volto i loro occhi brillano e poi puoi dire che sono più che semplicemente felici anche in mezzo alla storicità c’è un vero senso di gioia.

Padre Priore ad un novizio: Cari fratelli in Cristo Sì è bello vivere la nostra vita come conclusioni Perché siamo amati ed è l’amico dello sposo con il suo dito indica la verità che ci dice questo.

Msgr. Stephen Rossetti: I monaci del coro sono sempre sacerdoti ed anche i loro fratelli hanno una luce molto simile ma ci sono alcune differenze i fratelli lavorano ancora fuori le celle sono quelli che svolgono tutti i tipi di lavoro manuale mentre i monaci del chiostro, i Padri, hanno molto più tempo per studiare e pregare trascorrendo tutto il tempo nella loro cella. Sono due diverse chiamate all’interno della stessa comunità.. Non vogliamo ammetterlo, ma Dio fa sapere che se è il tuo momento sai che ti darà un colpetto sulla spalla non vorremmo che non se ne fosse un modo certosino che non è chiamato ed è una vocazione rara come sai Ci sono solo circa 16-17 monaci qui nel Vermont, quindi se il Signore ha bisogno di pochi ne vuole solo alcuni. Quando cammini lungo il corridoio senti questo senso di solidità e radicamento.. il motto del certosino è che la croce sta ferma mentre il mondo gira (Stat crux dum volvitur orbis) quindi l’idea è che la croce è il fondamento della salvezza di Dio per noi attraverso il fondamento della vita umana è questo fondamento che qui rivela, praticamente, lo stesso radicamento. Quando un monaco muore viene seppellito, abbastanza velocemente, ovviamente secondo le loro abituduni (Statuti) il cappuccio viene tirato giù sui loro volti e sono vegliati e ovviamente pregano e dicono una messa poi il defunto è sepolto nel cimitero all’interno della certosa, e quindi la sepoltura contrassegnata soltanto da una croce di legno anonima.

I monaci certosini vivono davvero una vita solitaria anonima quindi sono destinati a vivere una vita di separazione del mondo e ciò che rende possibili tutto ciò è una fonte o uno strumento di quella Grazia e la preghiera e la vita spirituale, quindi i monaci sono visti specialmente come fonti di grazia e che attraverso di loro la grazia di Dio diventa più presente e viva nel mondo. Mentre pregano pregano per persone che fanno parte del loro Ministero e pregano per il mondo e la chiesa.

I certosini credono che la loro preghiera sia importante e che è finalizzata verso l’unione con Dio. Ecco questo è lo scopo della vita contemplativa Lo scopo della vita certosino essere uniti a colui che ami che è Dio, alcuni potrebbero chiedersi bene a cosa serve questa vita monastica Io dico che è essenziale! Un bene È proprio quello per cui siamo destinati siamo destinati, a essere uniti a Dio nell’amore e quindi è quello che loro hanno perseguito.

Dialogo con San Bruno 11

6 dialogo

Proseguono le domande del certosino giornalista a San Bruno in questa immaginaria intervista. Apprezziamo la acuta domanda e la risposta esaustiva.

Influenze negative: come uscirne incolumi?

CG – Padre, tu sai che durante il nostro pellegrinaggio siamo soggetti ad infinite influenze negative, nonostante la nostra buona volontà. Cosa dobbiamo fare per uscirne incolumi?

SB – Figlio, non ignoro che il tuo esodo attraverso il deserto è pieno di pericoli, come fu dei primi certosini e sarà di quelli che verranno. Tali pericoli e contingenze fanno parte della spiritualità del deserto e devono essere considerati. Per contrastarli, ovviamente, e farli competere a nostro vantaggio. Quello che non deve mai fare è prenderli come pretesto per sminuire la tua generosità e fedeltà all’amore di Dio. Sai bene che Dio aspetta da te la totalità del tuo amore e non altri servizi che ti separino da quella totalità. “Ad altri spetta servire Dio. Il tuo ufficio è unirti a Lui, “adderere Deo”, ti ha ricordato il nostro amico Guglielmo di S. Thierrcheio. A quale fortuna più grande puoi aspirare? Questa adesione non merita tutti gli sforzi? Come ti ho ricordato prima, con parole ho scritto a Raul: “Non c’è niente di più giusto e di più utile che amare il Bene, l’unico Bene, Dio”. Ecco la “parte della nostra eredità”, ecco il nostro posto, il nostro compito vocazionale, il nostro ufficio. Ecco perché ti sbagli completamente quando cerchi di cercarlo altrove, di metterlo in un altro posto, in un’altra occupazione, in un’altra attività, per quanto santa possa essere, se questo ti separa dalla tua totale resa e dedizione a Dio. È vero, «Dio ci ha scelti per unirci a Lui, attraverso un intimo amore, nella solitudine» In questa “scelta” sta la sorgente iniziale del nostro amore; corrispondere a lui è la meta di questo amore. Per raggiungere questo, non dimenticate mai questo: Dio è l’unico Bene, la somma Bontà, senza mescolanza di alcun genere, senza limiti da nessuna parte, senza errori di alcun genere; e solo in quel Bene e Bontà infinita il nostro cuore troverà il suo riposo e la sua felicità, la sua tranquillità e la sua felicità, poiché fu creato per esso.

Cammina, dunque, con decisione verso questa meta della tua vocazione contemplativa. E, poiché questa è una “vocazione d’amore”, “camminate nell’amore”, nella purezza del vostro amore, aiutandovi amorosamente in tutte le vostre prove, tentazioni, fatiche e gioie. Tutto è grazia e ogni grazia è amore; e quando questa grazia è ricambiata, fa crescere l’amore. «Dio è Amore», ci ha detto San Giovanni, e questa è stata la sua più grande rivelazione. Davanti a questo Dio d’Amore, nulla può sopravvivere se non è rivestito d’amore, se non lo porta con sé, se non è amore. Infatti qui, nel Regno dell’Amore, non si può entrare se non somigliandoci, trasfigurandoci, identificandoci e trasformandoci in Dio mediante l’amore. E Dio è così buono che, affinché potessimo raggiungere questo obiettivo, «l’amore di Dio è stato versato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato» (Rm 5,5). E Lui si dona a noi proprio perché lo possediamo e lo amiamo con lo stesso amore con cui lui ama se stesso. Questo Amore, che è il “Bacio” e il “Legame” tra il Padre e il Figlio, è anche quello che ci unisce, ci assomiglia e ci trasforma in Dio; ci rende “Dio” per partecipazione e “figli dell’Altissimo” (Sal 81,6). Sant’Agostino, e prima di lui san Leone, ci avevano assicurato: «Il Figlio di Dio si è fatto uomo, per fare l’uomo Dio» (Sermone della Natività). Quindi, l’amore deve modellare tutto ciò che fai, sopportare le tue sofferenze e ravvivare tutte le tue virtù. Senza amore nulla ha valore. Per questo «la santità è amore». Perché questa santità sopravviva nell’eternità, scompariranno la fede e la speranza, ma resterà intatta la carità, l’amore che ci ha aperto le porte del Regno e ci ha resi simili a Dio. È la suprema manifestazione della Bontà di Dio.

Dialogo con San Bruno 10

6 dialogo

Continuano le domande del GC (il giornalista certosino) poste al nostro amato San Bruno, in questa fantasiosa intervista edita nel libro “Dialogo con San Bruno

Gli ostacoli ed i vantaggi della conversione.

CG – Padre, in Dio tu sai, con assoluta certezza, tutto ciò che riguarda i tuoi figli. Quindi, vorresti indicarmi alcuni di questi ostacoli?

SB – Ogni anima ha i suoi ostacoli personali; tuttavia, ecco alcuni di quelli che tendono ad essere comuni: un amor proprio nascosto che ti acceca e ti fa vedere tutto dal tuo punto di vista; questo ostacolo genera un attaccamento disorganizzato al proprio punto di vista ed è causa di innumerevoli discussioni. E poi anche un certo attaccamento alle creature e l’eccessiva attenzione ad esse riservata. Tutti questi ostacoli si oppongono all’amore del Padre; a quell’amore totale e sincero che Dio esige dal tuo cuore consacrato. È quindi necessario rinunciare a tutto per poter diventare discepolo della Divina Sapienza. Perché solo lei può farti vedere i tuoi errori, scoprire il tuo egoismo e darti la forza per vincere la tua codardia. Sì, sono tante le volte in cui conti sulle tue luci, quando ti affidi alle tue risorse, quando pensi di poter camminare con le tue forze, quando vuoi volare con le tue ali, quando già capisci cosa è la perfezione… Ma La Divina Sapienza dice il contrario: “Devi rinunciare a tutto ciò che credi di avere se vuoi rimanere alla sua scuola per imparare, sotto la guida dello Spirito, la filosofia di Dio, l’unica che dà la vera felicità” (Lettera a Raul). E questa Sapienza richiede, da parte tua, un cuore che si lascia istruire, che vuole ascoltare, che gli sta vicino. Così, il lavoro che presuppone lo sforzo, la rinuncia, la sofferenza, l’abnegazione accettata per la conversione all’amore, diventa fonte di utilità e di dolcezza, di bellezza e di fiducia.

Perciò, caro figlio, è necessario che tu ricominci ogni giorno; che ravvivi quel fuoco iniziale che ti ha spinto nel deserto all’inizio della tua conversione vocazionale. Non stupitevi della mia insistenza, perché è assolutamente necessario riattivare la forza di quegli impegni contratti con Dio, come se ogni giorno fosse il primo e l’ultimo che offri a Dio. Gli anni trascorsi devono essere come una preparazione al nunc coepi, da adesso comincio, perché ogni giorno diventi urgente per camminare verso il Signore e rimanere intimamente uniti a Lui nell’amore.

CG – Che vantaggio ha questo modo di vivere la nostra conversione?

SB – Ecco la principale: porsi in un atteggiamento permanente di dialogo intimo ed esperienziale con Dio. Infatti, ti ha chiamato e ti chiama, e tu rispondi; Egli si è impegnato con te e tu con lui; Lui ti illumina e tu vivi in quella luce; Ti dà la forza, e con essa cammini verso la conversione; Egli ti assiste, e tu progredisci nella purezza del cuore e fai fruttificare il primo dono. È una dipendenza totale che ha voluto instaurare con i suoi figli.

CG – Qual è il ruolo dell’amore in questo compito?

SB – Se qualche volta il motore dell’amore non funziona correttamente, allora devi far funzionare il motore del santo timore di Dio. È stato questo avvertimento che ho rivolto anche al mio amico Raul. Perché, vivendo da figli di Dio ed essendo a Lui consacrato per tutta la vita, la distanza infinita che intercorre tra Lui e te, tra la donazione che gli ha fato e ciò che per indolenza o per incoscienza non riesci a fare, devi muoverti e entrare in te stesso e incoraggiarti ad essere più fedele all’amore promesso. Sì, essere amato da Dio ed essere a Lui consacrato e contare per tutto sulla sua provvidenza deve essere per te uno stimolo potente ad essere generoso nell’amore. Sì, l’amore è la cosa più preziosa che l’uomo abbia. Agli occhi di Dio, questo amore è un tesoro di valore infinito, perché è la risposta che l’Amore infinito dà a se stesso in ognuno di noi. Solo alla luce dell’eternità possiamo comprendere tutta la grandezza di questo amore. Tuttavia, è già lì, nel mondo, che inizia questa comprensione. E il primo grado di questa comprensione è ammettere che vivere d’amore è darsi senza misura e che l’amore esige contraccambio, poiché il miglior corrispettivo dell’amore consiste nel poter amare l’Infinito, il Bene supremo. “Io stesso sarò la tua ricompensa, più grande di quanto si possa calcolare” (Genesi 15,1), disse il Signore ad Abramo.

Dialogo con San Bruno 9

6 dialogo

Ancora domanda e risposta tra GC (il giornalista certosino) ed il nostro amato San Bruno (SB), nella originale intervista edita nel libro “Dialogo con San Bruno

Riferimento all’amore che ci incombe.

CG – Padre, vuoi indicarmi dei punti di riferimento di questo amore personale che ci incombe?

SB – Non è raro che, all’inizio della nostra conversione, sentiamo il nostro cuore ardere di un fuoco insolito e sconosciuto, che ci spinge a prendere sul serio la chiamata di Dio, la nostra rinuncia al mondo e il nostro ingresso in monastero per donarci interamente al Signore. Ma capita anche spesso che l’ideale contemplato come meta della vita e verso la cui conquista il monaco si gettò con tutto l’ardore di un nuovo amore si offuschi, si nasconda e ci sembri lontanissimo. Questo è causato dalla realtà di ogni giorno, così uguale, così monotona, così poco importante per i sensi che sono sempre desiderosi di “novità”, di stimoli. È chiaro che, di fronte a questa realtà concreta e ordinaria della vita monastica, può sorgere sulla superficie dell’anima un certo disordine, che prima i recessi profondi del cuore nascondevano sotto forma di amore per il mondo, di attaccamento a certe creature su cui abbiamo fatto affidamento, di inquietudine, insoddisfazione, stanchezza…

È la prova, figlio mio, che l’amore per il Padre non regna ancora in te con dominio indiscutibile e indisturbato; è una manifestazione di uno spirito fuorviato o di uno stato di spirito degenerato; è segno che il tuo amore non è completamente purificato dalle creature; è una dimostrazione che la radice del male non è stata estirpata, in quanto non è stata ancora individuata. Non ignoro che questa situazione può darti tensioni, dolore, sofferenza, scoraggiamento. Cosa fare? Ti dico ciò che ho detto anche a Raul, e con maggior ragione che a lui: «Seguite il consiglio divino, credete nella verità che non può ingannare e che manda a tutti questo salutare invito: «”Venite a Me, voi tutti che siete stanchi e oppressi ed io vi darò riposo”» (Mt 11. 26. Lettera a Raul).

Sì, figlio caro, questa è la migliore risposta e il miglior consiglio per quando ti senti “stanco di lottare durante la notte” della tua conversione e non ne vedi i frutti immediati, senti la fatica del compito e, di fronte a esso, hai l’esperienza della tua impotenza o della tua debolezza. Perché, di fronte alle esigenze della tua conversione, non si tratta più di ogni persona che si purifichi, ma di andare a Gesù, sorgente di ogni purezza, perché ci ama, perché ha promesso di aiutarci e vuole rendere il nostro lavoro più leggero. Se il tuo fardello è pesante per te, vai da Lui e metti il tuo fardello nelle sue mani con la semplicità di un cuore di bambino, di un cuore filiale. Se lo fai, avrai l’esperienza di sentire la tenerezza del suo amore e della sua attenzione su di te. Siate novizi, giovani, anziani che hanno imbiancato il capo al servizio del Signore Gesù, solo da Gesù può venire la vostra salvezza. Di questo Gesù che, nonostante tutti i dolori che ti affliggono, continua a vivere in te e ti spinge verso la fine, di questo Gesù che ti incoraggia nella tua resa e cammina con te, portando il tuo peso. Solo con questo aiuto potrai uscire incolume e vittorioso da questa tentazione, da questo turbine di onde impetuose che cercano di impedirti di raggiungere “il porto nascosto, sicuro e pacifico” che ti aspetta.

Permettimi infine di ricordarti una cosa che conosci molto bene, ma che non dovresti mai dimenticare: l’opera di conversione, l’esperienza del tuo amore, il raggiungimento di quella purezza di cuore di cui abbiamo parlato, è opera di Dio, certo sì, ma è anche, allo stesso tempo, opera tua.

CG – Cosa intendi con questo?

SB – Semplicemente che devi impegnarti il più possibile, non risparmiarti gli sforzi per superare gli ostacoli che ti mettono in pericolo e superare tutti gli ostacoli che ti fanno inciampare. La parte di Dio non viene mai meno! Possa non essere la tua parte che fallisce.

Addio Benedetto XVI

Benedetto XVI ci saluta

Cari amici di Cartusialover, non potevo non realizzare un articolo per dedicare il mio addio al Papa emerito Benedetto XVI. Ho atteso che si smorzassero gli echi mediatici sulla morte e sul funerale di Papa Ratzinger per non contribuire all’infodemia sull’argomento.

Lo scorso 31 dicembre 2022, come sapete, si è spento all’età di 95 anni Benedetto XVI, al secolo Joseph Aloisius Ratzinger. Era salito al soglio pontificio il 19 aprile 2005 per poi discenderne il 28 febbraio 2013 come Papa emerito, il primo della secolare storia della Chiesa cattolica. Ho letto e visto molteplici dichiarazioni che hanno esaltato la figura di questo sommo teologo, ma credo che la più attendibile è quella che di seguito vi allego, e che è stata rilasciata da Monsignor Georg Gänswein. In essa egli descrive dettagliatamente gli ultimi minuti del compianto Pontefice, ed il ricordo commosso dei tanti anni trascorsi al suo fianco.

Vi ricordo che questo blog nel 2013, aveva narrato un particolare aneddoto su Padre Gänswein, a cui vi rimando.

Vogliate ora ascoltare il mio personale ricordo del Papa emerito scomparso.

Il legame indiretto tra Benedetto XVI ed il mondo certosino, e quindi Cartusialover, ebbe inizio quando nell’ottobre del 2010 appresi che sua Santità si sarebbe recato in visita alla certosa di Serra San Bruno. A distanza di 27 anni dalla memorabile visita pastorale di Giovanni Paolo II, un altro pontefice voleva fare visita alla comunità certosina calabrese!

Poche settimane dopo, esattamente il 3 novembre 2010, nel corso di un’udienza generale tenutasi nell’aula Paolo VI in Vaticano, Papa Ratzinger parlò a lungo della certosina Margherita d’Oingt, dimostrando la sua particolare attenzione alla profonda spiritualità espressa dal mondo certosino.

Si giunse poi ai giorni che precedettero la agognata visita alla certosa di Serra, vissuti da me febbrilmente. In quei giorni provai a diffondere tutti i momenti salienti di quella splendida visita con articoli e contributi video che furono molto seguiti da voi fedeli lettori di questo blog. Il video integrale di quella storica visita è ancora sulla home page, e chi vorrà potrà sempre rivederlo. Le parole dell’Omelia del Pontefice resta una vera pietra miliare, soprattutto la citazione del “Fugitiva relinquere et aeterna captare“, espressione cara al nostro amato San Bruno, e che ha contraddistinto l’esistenza di Benedetto XVI quando decise di dimettersi il 28 febbraio del 2013. Vi rimando alle considerazioni che feci in quella circostanza.

Con la consapevolezza della perdita di un pontefice monaco, e con l’auspicio che Egli venga proclamato presto “Dottore della Chiesa”, resto addolorato per la sua scomparsa ma la mia tristezza è poi alleviata dal testamento spirituale che egli ha voluto lasciarci, e che spero sia anche per tutti voi amici lettori una saggia indicazione per il resto dei nostri giorni. Addio Benedetto XVI

addio

Dialogo con San Bruno 7

6 dialogo

Proseguono le domande del certosino giornalista a San Bruno in questa immaginaria intervista. Apprezziamo la domanda e la risposta esaustiva.

Cosa possiamo fare per uscire dal nostro “marasma”?

CG – Padre, poiché con te non si deve avere paura o sfiducia, mi sia concessa questa fiducia filiale: perché a volte siamo così duri, così ingenerosi, così reticenti nel dono di noi stessi e nel vivere la nostra vocazione? Cosa dobbiamo fare per uscire da questo marasma? Parlo per me stesso.

SB – Poiché parli per te stesso, io risponderò a te e, in te, a tutti coloro che si sentono come te.

La prima cosa che devi fare è non perdere mai di vista la tua vocazione; cioè quell’amore di predilezione che essa suppone, da parte di Dio verso di te.

È vero che mentre rimanete in questo mondo terreno, voi uomini siete – così come eravamo e come saranno quelli a venire – fragili, incostanti, deboli…Tutti germi di corruzione che provengono dalla prima ferita. Eppure, è nel piano di Dio che rispondiamo al suo amore con tutto ciò che siamo e abbiamo. Nella nostra debolezza si manifesta la potenza della sua grazia. In effetti, è così che dovremmo vivere la nostra continua conversione; questo atteggiamento e disponibilità dell’anima verso la fedeltà costante, che gli antichi monaci chiamavano “conversione dei costumi”.

Sì, caro figlio, non pensare che siano i tanti anni trascorsi nella vita certosina, nella solitudine e nel silenzio, non pensare che siano loro a darci la soluzione del problema. No. Non sono gli anni trascorsi che coltivano la santità dell’anima, ma l’amore con cui si vivono quegli anni.

Ricorda che l’opzione preferenziale che è sorta nel tuo cuore, nei primi giorni della tua vocazione, esige subito il “tutto” del dono di te stesso. E la risposta deve venire dallo stesso luogo in cui è entrata la chiamata del Signore: dal profondo del tuo cuore, dal profondo del tuo amore. Sì, in lui deve regnare, dominare, imperare Dio, il suo amore, la sua gloria. Questa è stata la tua scelta monastica: essere tutto di Dio, con l’integrità del tuo amore, con la purezza del tuo cuore.

Hai notato l’insistenza con cui ho esortato Raul sulla necessità di rispondere a Dio con assoluta onestà, cioè di adempiere a quello che gli abbiamo promesso? E non ho esitato un attimo a ricordargli il fatto, come accadde nel giardino della casa di Adamo, dove lui e Fulco erano insieme a me: “Ardendo nell’amore divino, abbiamo promesso, abbiamo fatto voto di abbandonare il mondo fugace, e a ciò ci siamo disposti a catturare l’eterno e ricevere l’abito monastico. L’avremmo fatto subito…ma, con il ritardo, il coraggio si raffreddò e il fervore svanì (Lettera a Raul).

La tentazione di Raul, impegnato con Dio senza essere monaco, compare spesso anche – e non solo all’inizio – nella vita del monaco impegnato con Dio e già residente nel monastero. Il buon vino rischia sempre di perdere la sua qualità. Bisogna fare attenzione!

Dialogo con San Bruno 6

6 dialogo

Proseguono le domande del certosino giornalista a san Bruno in questa immaginaria intervista. Apprezziamo la domanda e la risposta esaustiva.

La nostra realizzazione ‘come certosini’

CG – Padre, in questo nostro mondo si parla molto, attualmente, e la gente cerca tutti i mezzi per la “realizzazione personale”. Tutti vogliono “realizzarsi” e raggiungere ciò che vogliono essere…E anche noi, tuoi certosini, abbiamo avuto qualcosa di questa mentalità e di questo linguaggio: vogliamo anche realizzarci come certosini.

SB – Sii sicuro: quello spirito combattivo e quella gioia generosa vi aiuteranno nella vostra “realizzazione”.

È vero, con questo gioioso coraggio si riesce a penetrare nel più profondo, nel più essenziale di questo dono divino della solitudine come luogo privilegiato, per noi, del nostro incontro con Dio.

Quando, nella Lettera a Raul, cantavo le delizie della solitudine, cantavo la migliore esperienza della mia vita solitaria; Cantavo, come direste voi oggi, “la mia realizzazione personale”.

Non sorprenderti quindi quando ti dico che sei chiamato a vivere la stessa gioia, perché tutti i miei figli sono chiamati a sviluppare nella loro vita la grazia vocazionale della solitudine.

Il punto è, nel corso delle diverse fasi della propria esistenza, non stancarti o perdere il coraggio.

È un dono di Dio che devi ricevere e vivere con la gioia dell’amore, perché questo dono contiene in sé:

la parte migliore, concessa a Maria;

la bellezza di Rachele, che è stata preferita alla fecondità di Lia;

il fuoco del puro amore che, come il fuoco della sunamite, ravviva e riscalda il cuore del Re.

Te l’ho detto prima che a volte la solitudine è dura e oscura, è vero. Ma, d’altra parte, questa oscurità è anche luminosa e, inoltre, anche nel dolore genera una felicità profonda.

Ricorda, , a questo proposito, le parole del Salmista: “nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno” (Sl 139, 11), o come dice un’altra versione, “in lei trovo le mie delizie”.

E giustamente la solitudine è il luogo del nostro incontro con Dio, e anche quando quell’incontro avviene nelle tenebre, è anche segno della presenza divina. E nonostante le tenebre, Dio non cessa di essere Luce. Quella Luce è Vita e in quella Luce vedremo la Luce (Sal 36, 10).

6 copertina tonda

NEWS: Trasmissione tv sulle monache certosine!

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Cari amici di Cartusialover, voglio condividere con voi una trasmissione televisiva, dedicata alle monache certosine.

Sono lieto di annunciarvi che dalla scorsa domenica 5 giugno, e per la settimana a seguire, come si evince da palinsesto della emittente televisiva francese KTO è stata trasmessa una puntata della rubrica “Fede in parola” dal titolo “Le monache certosine”. Il conduttore, Régis Burnet intervista Nathalie Nabert docente all’Istituto Cattolico di Parigi, ed il giovane Pierre Deveaux Direttore del Museo della Grande Chartreuse, che hanno risposto alle domande loro poste, parlando della vita certosina condotta nel ramo femminile. Si è inoltre commentato, mostrandone alcuni estratti, il documentario video “Les moniales chartreuses” ed il numero della rivista trimestrale francese “LES AMIS DES MONASTERES”, che contiene un rapporto di Nathalie Nabert sulla storia delle monache certosine, che potrete leggere in basso.

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Potrete seguire l’interessante puntata, nelle date ed orari indicati sul sito della tv KTO, oppure nel video che segue.

La trasmissione è in lingua francese. Buona visione!

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“Vocazione paradossale per il nostro tempo”

In Les Amis des Monastère, Nathalie Nabert racconta la storia delle monache certosine.

Il ramo femminile dell’Ordine nacque circa 50 anni dopo la sua fondazione da parte di Bruno. Nabert descrive gli atteggiamenti di base dell’ascolto e dell’amore come fondamentali per la vocazione, che dovrebbe essere decisiva in ogni attività della vita quotidiana e dovrebbe avere un effetto performativo sulle monache.

Nel corso dei secoli sono stati fondati circa 20 monasteri certosini. Alcuni di loro, come Celle-Roubaud, dove visse Santa Roseline de Villeneuve verso la fine del XIII secolo, divennero famosi nonostante l’esistenza solitaria delle suore certosine. Altrettanto noto era il monastero di Poleteins, dimora di Marguerite d’Oingt, poetessa e mistica che servì come quarta priora dal 1286 al 1310 e scrisse la biografia della beata Beatrice d’Ormacieux, entrata nella Certosa di Parménie nel 1273 e  ad’Eymeu, dove morì nel 1303 dopo una vita di sacrificio mistica e austera. Secondo Nathalie Nabert, queste tre importanti monache certosine plasmano la storia spirituale del ramo femminile dell’ordine.

Ancora oggi, la solitudine nella povertà autoimposta e la ricchezza che deriva da entrambi è caratteristica della vita di entrambi i rami dell’ordine, la cui esistenza silenziosa e orante ha effetti profondi, sebbene invisibili nella chiesa, dice Nabert.

Lo scopo della vita delle monache certosine, allora come oggi, è quello di diventare una cosa sola con Gesù Cristo, di sintonizzarsi con la sua volontà e di essere d’accordo con i moti del suo cuore.

Dialogo con San Bruno 4

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Proseguono le domande del certosino giornalista a San Bruno in questa immaginaria intervista. Apprezziamo la domanda e la risposta esaustiva.

Cos’era per te la solitudine?

CG – Padre, per grazia di Dio condividiamo la tua vocazione al deserto. Sappiamo che, come te, anche noi dobbiamo santificarci nella solitudine. Ma poiché lo Spirito Santo ti ha illuminato, come Fondatore, sui misteri di quella solitudine, vuoi dirci qualcosa di cos’era per te la solitudine?

SB – Avrai già notato che nelle mie lettere quasi non mi soffermo sulla solitudine materiale, per quanto essa sia la base e la condizione della solitudine spirituale. Preferisco esaminare la solitudine spirituale di questo elemento così importante del nostro carisma vocazionale.

E la prima cosa che scopro è che la solitudine è un dono gratuito di Dio. Se ci ha chiamati perché l’ha voluto e ci ha portato nel deserto, la solitudine profonda e stabile è una grazia divina ordinata per la realizzazione dei disegni di Dio su di noi.

Perciò ora non posso dirti di meno di quanto dissi ai primi figli: “Rallegratevi della felice fortuna che vi è data e dell’abbondanza della grazia di Dio su di voi. Rallegratevi di aver raggiunto il tranquillo e sicuro rifugio di un porto nascosto” (Lettera ai monaci della Certosa).

Con questo voglio ricordarti ora quanto segue: se la solitudine è una grazia di Dio, dobbiamo esserne grati. Se è ordinata alla nostra vocazione, dobbiamo custodirla con amore preferenziale; essendo una grazia, è evidente che non possiamo conquistarla con le nostre forze; essendo un dono di Dio, è inutile impiegare tecniche umane; infine, essendo grazia vocazionale, è necessario coltivarla con la preghiera, per conservarla, vivificarla, per non lasciarla sprecare o lasciarla sterile a causa della vostra incuria.

Sì, “avete paura di perdere per colpa vostra quella fortuna inestimabile, quel desiderato bene, se non volete rimpiangerlo per tutta la vita» (ib.).

Durante la mia permanenza nel mondo, mi piaceva essere realistico perché la realtà è parte della verità. Ora che sono in paradiso, non voglio nasconderti una realtà che fa parte della solitudine, per quanto tu la sappia.

La solitudine, ti dicevo prima, vissuta con la pace, la gioia e il silenzio che le sono propri, ci permette di vivere con Dio, di stare con Lui senza vederlo, per quanto questo è possibile sulla terra.

Ma quella stessa solitudine ha anche le sue ore buie e dolorose, dure e austere. E che, come dice Guigo, che cito, “esige uno spirito che sia padrone di sé”, cioè uno spirito che sappia e voglia accettare le conseguenze di una scelta coraggiosa, che ha la sua origine nella chiamata di Dio e che è disposto ad accontentarsi di Dio.

Sì, a volte la solitudine è dura. Ma non siate sorpresi di questo: è la durezza della croce. Il deserto, l’esodo dalla sua vita, è stato duro anche per Gesù, e non parlo solo del deserto della Quarantena.

Ma se apprezzi l’essere “soldati di Cristo”, “atleti di Dio”, allarga il tuo cuore e accetta, con gioia, le dure ore della solitudine. Solo con questa generosa accoglienza si può ricevere la ricompensa promessa: «la pace che il mondo non conosce e la gioia nello Spirito Santo» (Lettera a Raul). È questa gioia e questa pace che fanno vivere appieno la vostra solitudine, sono loro che portano al compimento della vostra vocazione.