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  • Memini, volat irreparabile tempus

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Dionigi e la protezione di Maria

Ed a conclusione di questo mese mariano, cari amici, facciamo nostra quest’altra preghiera per guadagnarci la protezione materna e l’aiuto incessante della nostra Mamma Celeste. Un’orazione concepita da Dionigi il certosino, ed estratta dal trattato ” De perfectione caritatis dialogus”.

Jusepe_de_ribera_lo_spagnoletto_-vergine con bambino e San Bruno

“Io vengo prima a te, Vergine delle vergini,
che ha dato alla luce il Figlio di Dio, perché confido in te
più che in tutti i santi, perché so che Tu puoi
davanti al mio Dio e Signore più di tutti loro. Regina di
cielo, Madre del Re degli angeli, Signora del
mondo, imperatrice più gloriosa di tutto il mondo, ma
anche pietosissima Madre di misericordia,
fedelissima avvocata dei peccatori, clementissima
riconciliatrice dei malfattori, dolcissima consolatrice

dei miserabili, mi riconosco indegno di invocare il tuo
nome; tuttavia, spinto dalla necessità
ricorro alle viscere della tua materna, verginale e divina pietà,

che non hai mai chiuso a chi veniva
implorando te ed io lo facciamo completamente inzuppato di
lacrime d’amore, prostrato davanti ai tuoi santi piedi, io che sono totalmente povero, misero e miserabile peccatore; Vengo a chiedervi, mia Signora, l’elemosina della vostra clemenza per non morire di fame. Ti chiedo, o mia Signora, traboccante di carità, che per questo ardore di carità che ti fece Madre di Dio, quando
hai pronunciato il tuo fiat, ti chiedo, insisto, che tu richieda
per me almeno una scintilla di carità del tuo dolcissimo Figlio, che nulla ti negherà; altrimenti ai vostri piedi morirò di fame e di sete d’amore, e quindi, Signora, mi permetta di parlare così. Lei apparirà colpevole della mia morte per non aver aiutato pur potendo farlo. Non permettere, buona Signora, che si dicano cose del genere.”

(De perfectione caritatis dialogus, art. 31. t. 41. p. 385).

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Dom Isidoro Maria Estudillo, “De cella Ad coelum”

DA

In ricorrenza del suo trigesimo, voglio onorare la memoria del compianto certosino, Dom Isidoro Maria Estudillo uno dei quattro ultimi monaci della certosa portoghese di Evora. Alla chiusura di Scala Coeli, come ricorderete gli anziani confratelli furono trasferiti a Miraflores, lo scorso 29 aprile è asceso al cielo Dom Estudillo, esattamente sei mesi dopo del suo amato confratello Dom Isidoro Alfonso Maria, con il quale ha condiviso la triste chiusura della certosa di Evora.

Dom Isidoro Maria Estudillo, nacque con il nome Francisco a Carmona, vicino Siviglia, il 30 novembre 1926, entrò in certosa di Aula Dei il 29 ottobre del 1943, e fece la prima professione presso la stessa certosa l’8 dicembre 1944. Fece seguito la professione solenne l’8 dicembre del 1948. Ordinato sacerdote a Saragozza il 23 settembre 1950, fu poi nominato maestro dei novizi presso la certosa di Évora il 5 giugno 1969. Passato a Scala Coeli, vi divenne maestro dei novizi il 28 maggio 1989. Fu sollevato dall’incarico nel 1996 e nominato vicario nel 1997, e, come vi dicevo da questo blog, lo abbiamo conosciuto poichè fu uno degli ultimi certosini della certosa di Santa Maria di Scala Coeli, a Évora, dove visse fino al 2019. Oltre a molti scritti, egli amava dedicarsi con passione al proprio orto, ed inoltre questa passione amava trasmetterla ai novizi.

La certosa di Santa Maria de Montalegre (Barcellona) è stata la sua ultima dimora terrena. Egli amava dire “Se i fiori sono così belli, come sarà il cielo”.  Ed alla Vergine Maria, cui era molto devoto, scriveva: “Dolce sarà la mia morte, se imiterò bene la tua vita; Bene, a Dio posso salire sì, fidandomi anch’io, che solo amandoti sono riuscito a vivere”.

avviso

Uniamoci in preghiera, che Dio lo abbia in gloria e che la Vergine e San Bruno lo accolgano come merita.

Ecco per voi l’ultimo saluto della sua comunità

007

Sermone Capitolare

al funerale di

Dom Isidoro Estudillo

(1926 – 2023)

Ottanta anni fa, a soli diciassette anni Francisco entrò alla certosa di Aula Dei. Nel corso di tutta la sua vita certosina si rese sempre disponibile ad accettare incarichi al servizio dei suoi confratelli… come Vicario, sacrista, procuratore, in varie case in Spagna.

Per 50 anni fu Padre Maestro. Questo servizio gli andava molto bene, era idoneo per questo incarico. Dom Isidoro era certosino dalla testa ai piedi, da dentro a fuori… Ha vissuto ciò che ha insegnato…

Ed egli insegno molto, con i suoi numerosi commenti sugli Statuti, le sue conferenze. Quando era Padre maestro in Scala Coeli, fecero ingresso molti candidati dal Brasile, anche se molti uscirono, ed alla fine solo molto pochi rimasero. Tuttavia, nessuno di loro ha dimenticato la testimonianza del loro amato Maestro, Dom Isidoro. Egli dette la testimonianza di un vero Padre certosino, che sempre, fino alla fine della sua lunga vita, fu un vero esempio di vita nascosta in Dio, di sensibilità, di umiltà e di allegria.

A proposito del Vicario, gli Statuti dicono che egli deve brillare avanti agli altri con il suo esempio e la sua parola, e mantenere tutti nella osservanza della regola e nella santa pace.

Qui, a Montalegre, dove giunse nel 2019, Dom Isidoro ha rispettato questa regola in maniera edificante. Era sempre affabile, delicato, equilibrato. Fu un consigliere molto saggio, quasi fino al suo ultimo respiro.

Tra le sue opere letterarie vi sono molti poemi e poesie: espressione della sua fiducia ed amore con Dio e Maria in tutta la sua lunga vita. Qualche mese fa, nel ” Canto della Vita” egli scrisse sulla morte:

Madre, nella vita e nella morte

Quando mi si apre l’eternità

la mia ultima parola sia

“santa e felice fortuna”

il tuo nome nel mio espirare.

E poi dopo,

al vedere il tuo volto di Madre

il tuo viso mi soddisferà (Salmo 16)

al poterti contemplare

così come Dio ti creò.

E preso dalla tua mano

Mi consegnerai al Signore

che volle incaricarti

per portarmi nel suo Regno

e con Lui stare sempre.

Per i secoli dei secoli.

Amen

Recentemente, un’emorragia celebrale, lo aveva debilitato progressivamente, però in ogni momento restò pienamente lucido e cosciente, riuscendo anche a concelebrare.

Come una candela tremolante, la sua vita terminò docilmente, in allegria ed in pace…

Dom Isidoro amava tanto la vita!

Ed incontrò nella vita certosina la sua piena realizzazione. Ora è stato chiamato dal Padre per la sua dimora celeste. E come diceva prima di morire è stato preso per mano dalla Vergine Maria.

Preghiamo per Dom Isidoro, affinchè possa partecipare alla vita eterna, che Gesù resuscitato promise a coloro che sarebbero rimasti fedeli fino alla fine…

Requiescat in pace

Celebrando il beato Niccolò Albergati

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Oggi 10 maggio, si celebra la memoria del beato Niccolò Albergati, insigne figura dell’ordine certosino e della Chiesa.
Voglio celebrarlo, proponendovi la narrazione del soggetto della foto del dipinto che ho allegato in questo articolo. La tela attribuita ad Ercole Graziani, raffigura il beato certosino Niccolò Albergati che appare in sogno a Tommaso Parentucelli da Sarzana, predicendogli il pontificato, il quadro proveniente da una delle cappelle laterali, è oggi esposto nella sacrestia della certosa di Bologna.

Ma chi era Tommaso Parentuccelli?

Il certosino Niccolò Albergati, una volta eletto vescovo della città di Bologna, volle accanto a sè il giovane sarzanese il quale si era distinto per le sue conoscenze culturali e per le capacità oratorie e dialettiche. L’incontro con l’Albergati segnò profondamente la vita di Tommaso, facendogli ampliare la preparazione. Lo stesso vescovo lo ordinò sacerdote, nel 1423, diventando segretario del certosino nonchè consigliere, ciò proietterà Tommaso Parentucelli tra i grandi protagonisti della politica e della diplomazia pontificia. Dopo la nomina nel 1426 a cardinale di Niccolò Albergati, Tommaso lo seguirà nelle numerosi missioni diplomatiche e fino alla morte, avvenuta a Siena il 9 maggio del 1443, succedendogli come vescovo di Bologna. Il rapporto tra i due fu intenso e fatto di amicizia e collaborazione, il Parentuccelli condivise con l’Albergati sia la visione ascetica certosina sia i gravosi impegni dell’attività diplomatica del cardinale.
L’episodio raffigurato nel dipinto accadde dopo la morte del certosino, che appare in sogno a Tommaso Parentuccelli predicendogli quanto sarebbe accaduto a breve. Infatti egli fu eletto pontefice dal collegio cardinalizio in conclave a Roma il 6 marzo 1447 ed incoronato il 19 dello stesso mese, Tommaso Parentucelli scelse il nome di Niccolò V per onorare la memoria del suo protettore e amico, il Cardinale Niccolò Albergati.
Di questo episodio della profetica apparizione in sogno, vi allego un’altro dipinto conservato alla certosa di Firenze e realizzato dal pittore Giuseppe Sacconi, a testimonianza di come il futuro pontefice Niccolò V era memore e testimone di quanto accadutogli.

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I due video che seguono potranno meglio farvi comprendere la straordinaria figura del beato certosino, che ho voluto celebrare insieme a voi.

ORAZIONE

O Dio, luce e pastore dei credenti, che hai chiamato il beato Nicolò Albergati dalla solitudine orante al ministero apostolico a illuminare il tuo popolo con la parola e la testimonianza della vita, concedi a noi di custodire fedelmente la sua eredità sotto la guida di Maria, provvida stella sul nostro cammino. Per il nostro Signore.

Amen

“De Esu Carnium”

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L’articolo che oggi vi propongo è su un tema già trattato in questo blog in diversi articoli. Esso riguarda l’astinenza dalla carne nella dieta dei monaci certosini, e più precisamente vi parlerò del testo dal titolo “De Esu carnium” (sul mangiare carne), scritto dall’illustre medico Arnaldo di Villanova, in difesa dell’astinenza certosina.

Va detto, che tra il XIII ed il XV secolo si sviluppò un enorme dibattito sul divieto imposto dalla regola certosina di mangiare carne, anche in caso di malattia.

Cari amici, come forse già saprete, la limitazione del cibo e la rigida regolamentazione della sua assunzione rappresenta per il monaco una delle manifestazioni più concrete della sua rinuncia al “mondo” ed il punto di partenza di una pratica ascetica, che attraverso la repressione del corpo punta a purificare l’anima da pulsioni e passioni che ostacolano la sua propensione verso Dio. I certosini, rispetto ad altri ordini monastici, si distinguono non solo per la loro scelta di una vita rigorosamente eremitica, ma sono caratterizzati fin dall’inizio da forme di astinenza particolarmente rigide, che culminano nell’esclusione totale della carne dalla dieta, anche in caso di malattia. Questa pratica ha le sue radici nella tradizione eremitica orientale e dei Padri del deserto, che dalle origini dell’ Ordine ha resistito fino ad oggi, vanificando i vari tentativi, avvenuti nel corso dei secoli, di attenuare tale rigore.

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Il trattato “De esu carnium” del medico catalano Arnaldo di Villanova, fu composto tra il 1301 e il 1305, e rappresenta molto probabilmente la prima presa di posizione in difesa della scelta certosina di astinenza totale dalla carne. A causa delle autorevoli affermazioni in esso contenute, questo trattato ha rappresentato una risposta definitiva e poderosa, a coloro che interpretavano fallacemente il rifiuto certosino di concedere la carne ai malati come espressione di mancanza di carità. Arnaldo di Villanova ci tiene a illustrare con fermezza la legittimità della scelta certosina con argomentazioni fondate sul sapere medico, confutando vigorosamente le accuse rivolte all’Ordine di una sostanziale ignoranza della scienza medica.

L’idea che i malati abbiano bisogno della carne per ristabilirsi e prolungare la loro vita, bollata da Arnaldo come novum dogma, non trova riscontro nelle dottrine mediche, e si basa su un sostanziale misconoscimento delle caratteristiche fisiologiche del corpo malato in relazione alla natura dei diversi alimenti: i cibi che, come la carne, servono a ricostituire le facoltà motorie del corpo non sono infatti necessari all’organismo ammalato, anzi lo danneggiano, poiché provocano un calore eccessivo a causa del grasso che contengono; mentre gli giovano quegli alimenti che, per la loro sottigliezza e conformità alla natura del sangue, restaurano le potenze vitali e sono quindi più adatti a riparare gli squilibri provocati dalla malattia. Sbagliata dal punto di vista medico e inconsistente dal punto di vista teologico, l’idea che l’astinenza dalla carne accorci la vita degli ammalati evidenzia l’ignoranza di quanti la sostengono, ed è di fatto smentita dalla proverbiale longevità dei certosini.

Arnaldo segnala anche quella che a suo giudizio è la dieta più adatta per gli ammalati, una dieta a base di tuorli d’uovo e vino, alimenti più affini alla natura del sangue e quindi più adatti a generare gli spiriti vitali.

A distanza di pochi anni, dall’uscita di questo insigne trattato il monaco certosino, Guglielmo de Yporegia (Ivrea), si assunse il compito di difendere la scelta dell’ascetismo più rigoroso con la sua opera più importante, il “Tractatus de origine et veritate ordinis Cartusiensis“, dedicato all’elogio della vita certosina. Egli pur non essendo medico, afferma che la carne non è indispensabile per gli ammalati debilitati, e che altre vivande, come brodi, pesciolini o tuorli d’uovo, si rivelano ben più adatte a restituire la salute a quanti, come i monaci, sono avvezzi ad una dieta estremamente parca. Anche una figura di primo piano del mondo universitario come quella del Cancelliere dell’Università di Parigi, Giovanni Gerson, fervente ammiratore dell’ordine certosino, scrisse nel 1401 un breve trattato dal titolo “De non esu carnium“. In esso viene sancita una complessa difesa del digiuno certosino, sia dal punto di vista teologico che medico. Sia le argomentazioni di Arnaldo, quanto quelle di Gerson, sono riprese nel XV secolo da Dionigi il certosino nel trattato “De praeconio sive laude ordinis cartusiensis“, laddove il rifiuto della carne diviene l’emblema della rinuncia del monaco a se stesso, avvalendosi anche di testi di Bernardo di Chiaravalle e di Guglielmo di Saint-Thierry, nonché degli esempi di santità che hanno scandito la storia dell’Ordine e dei decreti papali che sanciscono nei secoli la legittimità del comportamento certosino.

Nel prossimo articolo vi proporrò una “soluzione” certosina a questo dibattuto tema. Non perdetevelo!

ricettario cartusia

Dom Élisaire de Grimoard

per priori generali

Nell’articolo odierno, cari amici lettori, voglio farvi conoscere Dom Élisaire de Grimoard, Priore Generale dell’Ordine certosino dal 1361 al 1368.

Élisaire de Grimoard, che gli autori chiamano Elzéar Grimoaldi o Grimaldi, proveniva da un illustre casato originario della Francia. Suo padre, il barone de Grissac, aveva sposato la signora di Sabran, sorella di Saint Elzéar, e da questa unione nacque Dom Hélisaire. Ancora giovane si seppellì nella solitudine della Grande Chartreuse, vi fece la sua Professione, e più tardi quando papa Urbano V, suo zio, gli offrì la porpora cardinalizia, la rifiutò, preferendo la vita nascosta in Dio al prestigio degli onori. Quando, nel 1361, fu eletto Generale dell’Ordine, Dom Hélisaire governava la certosa di Bon-Pas, nella diocesi di Avignone. La vita del santo Priore non fu che una continua mortificazione. “Era”, dice il traduttore di Borland, “di tale austerità e grande astinenza, che non c’era eguale dopo Landuino, che alcuni dicevano superava i limiti della natura, ed era tuttavia così assorto nel suo Dio che spesso si univa alla preghiera notte e giorno. Era avvezzo in mezzo al più gran freddo dell’inverno a camminare scalzo e senza alcun copricapo, essendo così stranamente scaldato dal fuoco divino, che non sentiva gli altri fuochi e le astinenze, cagione per cui spesso lo vedevano i suoi fratelli, sia in mente e nel corpo, elevato in Dio, dove andava a partecipare ai più alti segreti del suo Signore, dal quale, ritornato in se stesso, sembrava essere pieno di tanta gioia e letizia spirituale, che era così dimentico di se stesso che superando gli altri nel canto, alzò straordinariamente la voce alle lodi del nostro Dio, da cui concepì in se stesso grande dolore e confusione, terminato l’ufficio. Un fatto raccontato da un antico cronista ci mostra che gli affari del mondo gli pesavano e che il suo unico desiderio era vivere sconosciuto. Il suo parente, il cardinale de Mende, gli scriveva spesso. Dom Hélisaire si accontentò di rispondere molto brevemente e ad intervalli rari su un pessimo pezzo di carta o pergamena. Il Cardinale ne fu offeso e disse al Generale dei Certosini che se avesse continuato a fare così, non gli avrebbe più scritto. ” è esattamente ciò che desidero”, rispose il venerabile Solitario. Quest’uomo, così austero per se stesso, aveva il cuore colmo della più tenera carità per gli altri; seppe simpatizzare con la debolezza dei suoi religiosi e si mostrò, per tutti, della più grande affabilità; era conosciuto come il Buon Padre. Avendo perso la vista, il secondo anno della sua elezione, usò questo pretesto per supplicare i suoi fratelli di accettare le sue dimissioni, ma il Capitolo Generale rifiutò di esaudire la sua volontà e lo tenne in carica fino al momento in cui Dio lo richiamò. Dom Hélisaire de Grimoard de Grissac morì l’11 giugno 1367, dopo aver governato l’Ordine per quasi sette anni. La Carta Capitolare, nell’annunciare questa morte, eccezionalmente ha lasciato da parte la formula ufficiale e ha ricordato il suo titolo di Buon Padre. Ha detto “Obiit bonus Pater\ Domnus Helisarius, priore Cartusiae”. Du Saussay pone il nome di questo Generale nel martirologio dei santi di Francia.

Dom Romuald Moissonnier

per priori generali

Dom Romuald Moissonnier, che aveva ricevuto al battesimo il nome di Jean-Louis, nacque a Lione il 31 dicembre 1742. Nato, ancora giovane, alla vocazione alla vita religiosa, si presentò al Convento della Grande Chartreuse, qui fece il noviziato e pronunciò i voti il 15 agosto 1762. Pochi anni dopo, nel 1772 fu ospite della certosa di Lione e nel 1775, fu inviato come sacrista alla Certosa di Pomiers. Vi rimase per breve tempo e fu successivamente, nel 1779, nominato Vicario al Reposoir, Coadiutore a Chalais nel 1782, Procuratore a Sylve-Bénite nel 1784, e nel 1789 Priore di quest’ultima certosa. Optò l’anno successivo per la vita comune e rimase superiore della sua casa fino alla fine. Espulso alla sua chiusura il 1° ottobre 1792, lasciò la Francia ed emigrò in Italia, e per una strana coincidenza, giunse alla Certosa di Bologna lo stesso giorno del Reverendo Padre Dom Nicolas Albergati de Geoffroy e di Dom Antoine Vallet, Scrivano dell’Ordine. Era nelle mani di questi tre monaci che riposava l’autorità suprema durante la Rivoluzione e l’Impero. Costretto a lasciare Bologna per sfuggire ai vittoriosi francesi che minacciavano la città, Dom Romualdo soggiornò per qualche tempo presso la Certosa di Ferrara, poi si rifugiò nel Monastero di Trieste e in quello di Firenze. Visse in quest’ultima Certosa fino a quando il Reverendo P. Vicario Generale lo nominò Priore di La Part-Dieu, in Svizzera. Nel 1810, il Vicario Generale, Dom Antoine Vallet, che qualche anno prima aveva affidato l’incarico di Scriba a Dom Raphaël Paris, pensò di dover sostituire questo Religioso e nominò Dom Romuald Moissonnier. A tal fine gli inviò l’obbedienza di Scriba che fu confermata dal Nunzio Apostolico a Lucerna il 20 luglio 1813. Alla morte di Dom Antoine Vallet, Dom Romuald Moissonnier, in virtù dell’Ordinanza del Capitolo Generale del 1793, divenne Vicario Generale. Il suo titolo ed i suoi poteri furono confermati dalla Santa Sede. Questo venerabile monaco fece gli sforzi più onorevoli, nel 1814 e nel 1815, per ottenere dal governo francese il restauro della Grande Chartreuse. «Niente – diceva un certosino coetaneo niente gli stava più a cuore, e la speranza che se ne era sempre ritenuta parve essere in questo buon monaco come un’ispirazione che gli servì di incoraggiamento per giungere al fine dei suoi desideri. Dom Romuald entrò in contatto con alcuni certosini residenti in Francia, in particolare con Dom Emmanuel du Creux, cappellano dell’Hôtel-Dieu de Rouen, già priore della Certosa di Gaillon, e Dom Ephrem Coutarel, parroco di Villette vicino a Saint -Laurent- du Pont. Dio benedisse gli sforzi di Dom Moissonnier e il 27 aprile 1816 un’ordinanza reale autorizzò il ritorno dei figli di San Bruno al loro Convento del Deserto di Chartreuse. Per un attimo il venerato Vicario Generale pensò che non gli sarebbe stato dato di rivedere la Grande Chartreuse, si era appena ammalato gravemente, ma Dio, volendo dare questa consolazione al suo servo, lo restituì alla salute. Da quel momento in poi, all’apice dei suoi desideri, Dom Moissonnier affrettò la partenza. “Il 25 giugno, non badando né alla sua grande età né al suo stato di infermità, senza prendere altra precauzione che quella di viaggiare in lettiga e nei giorni brevi, sebbene fosse ancora convalescente, lasciò la Part-Dieu, a rischio di morire per strada, ha attraversato il cantone di Vaud, Ginevra, Savoia ed è arrivato a Grenoble giovedì 4 luglio. Dom Romuald prese possesso della Grande Chartreuse l’8 luglio 1816, accolto con il massimo entusiasmo da tutte le popolazioni vicine, felici di rivedere i loro antichi benefattori. «Così – dice uno degli storici della Grande Chartreuse – il venerato Vicario Generale che era stato lo strumento della Provvidenza per la restaurazione del suo Ordine in Francia, nel luogo stesso dove san Bruno l’aveva fondato, ritornò al Convento dove era nato alla vita religiosa, come un esule ritorna alla casa dei suoi padri. Il giorno dopo fu cantata una messa di ringraziamento nella cappella dei morti, l’unica dove si potevano celebrare con decenza i santi misteri: vi parteciparono da otto a dieci monaci. Nulla mancava alla felicità di Dom Romuald Moissonnier; si trovò nella culla del suo Ordine, in questa terra santificata dal suo illustre fondatore. Undici giorni dopo il suo arrivo, il 19 luglio 1816, il Reverendo Padre morì senza soffrire, all’età di settantaquattro anni, dopo aver vissuto nell’Ordine per cinquantaquattro anni. La Divina Provvidenza aveva compiuto la sua opera.

Dom Emmanuel Ducreux ed il suo Opuscolo

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Cari amici lettori, voglio oggi farvi conoscere un monaco certosino che è vissuto nel periodo tribolato della Rivoluzione Francese, e quindi al centro dei drammatici giorni che turbarono la vita monastica sua e di suoi tanti confratelli.

Emmanuel Ducreux, nacque a Parigi il 4 aprile 1738, emise la professione nella certosa di Bourbon les Gaillon il primo gennaio 1758. Fu nominato Vicario nel 1782, poi fu inviato come sacrista alla certosa di Rouen nel 1783, in seguito fu coadiutore a Val Saint Georges lo stesso anno, ed a seguire procuratore a Bourbon les Gaillon nel 1785, fu eletto infine priore di questa casa nel 1786. Optò per la vita comune nel 1790, poi rifiutò il giuramento ed emigrò con quattro suoi confratelli in Inghilterra. Rimpatriato dopo qualche anno, divenne cappellano dell’ospedale di Rouen. Nel 1816 Dom Ducruex fu il fulcro delle procedure amministrative per la rioccupazione della Grande Chartreuse. La sua morte è annunciata negli annali del 1826.

Egli nel corso della sua esistenza si distinse tra l’altro per avere scritto, un anno prima della rivoluzione. una Vita di San Bruno per la certosa di Bourbon les Gaillon ed alcuni opuscoli.

Voglio proporvi il contenuto di uno di essi, nel quale vi è un orazione funebre per Re Luigi XVI, ghigliottinato a Parigi, il 21 gennaio del 1793. Un testo lungo, ma che lascia trasparire la disperazione per la morte del sovrano cattolico e per i tempi che si sarebbe apprestata a vivere la Francia.

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Preghiera Funebre per Luigi XVI

Nolite flère super me, sed super vos ipsos flete.
Non piangere su di me; ma piangete su voi stessi. In San Luca, cap. xxv, f. 28.

Francesi, Cristiani, Miei Fratelli

Un crimine, un grande crimine, un grandissimo crimine è stato commesso in Francia, e sotto i nostri occhi. Sudditi ribelli, fuorviati, credendosi qualcosa, sebbene non fossero niente, hanno osato, contro ogni ragione, contro ogni giustizia, giudicare, condannare e mettere a morte su un patibolo come un delinquente un innocente, che non avevano anche il diritto di giudicare, un innocente; ehi, che innocente! il migliore dei padri, il migliore dei re, il loro legittimo sovrano, il virtuoso Luigi XVI, che descrivevano come un tiranno, sebbene nulla gli si potesse rimproverare se non la sua eccessiva bontà. È questo crimine atroce, questo crimine orribile, che veniamo a espiare in questo giorno, un giorno per sempre memorabile, un giorno di lutto e afflizione, un giorno che non potremo mai piangere abbastanza, un giorno che sarebbe desiderare la felicità della Francia che non sarebbe mai esistita. Ma purtroppo esiste, ed è per punirci di questo delitto di cui Dio si è dichiarato vendicatore, che ha fatto cadere sulle nostre teste colpevoli questo diluvio di mali che, da vent’anni e più, ci ha travolti. Felice! se avessimo saputo trarne un santo profitto.

Ma sfortunatamente, devo dire; sì: e sarete d’accordo con me, siamo puniti, cristiani miei fratelli, e non siamo corretti. La nazione traviata aveva osato, nel delirio del suo orgoglio, rovesciare il trono e l’autorità, stendere una mano sacrilega sull’unto del Signore, sui suoi pontefici, sui suoi sacerdoti: aveva osato dichiarare ad alta voce in un’assemblea demoniaca che non ci fu Dio, sebbene gli stessi demoni credano il contrario, a profanare gli altari eretti in suo onore, offrendo su questi stessi altari, sui quali scorreva quotidianamente il sangue dell’Agnello immacolato, sacrifici impuri, vittime abominevoli di voluttà infami. Eravamo, in una parola, senza morale, senza leggi, senza re, senza fede. Questo è l’abisso scavato sotto i nostri piedi dalla presunta saggezza dell’epoca; filosofia, anarchia, abuso di potere e dove saremmo rimasti inghiottiti per sempre.
Ma Dio ama la Francia; ama questo regno ornato da tanti secoli di questo bel titolo di regno cristianissimo; e viste le preghiere e i meriti di tante anime sante che in questi tempi tempestosi gli sono rimaste fedeli, le preghiere e i meriti del santo Re-Martire che piangiamo, non ci ha abbandonato, sebbene lo meritiamo, come tante altre nazioni che hanno abiurato la fede, e che, da diversi secoli, sono sepolte in fitte tenebre, e dormono tranquille sulle rive dei fiumi di Babilonia, in mezzo alle ombre della morte.
Oh mio padre! Oh mio Re! Oh Luigi! ottienici dalla bontà divina che essa riaccenda e conservi in Francia la fiaccola della fede che ha sempre brillato da Clodoveo fino ad oggi, quando perdendoti abbiamo perso tutto. O vittima innocente immolata da noi e per noi, dall’alto del cielo dove regni, getta uno sguardo di benevolenza su tutti i Francesi, che tutti, in questo momento, proni, annichiliti ai tuoi piedi, ti chiedono perdono per l’orribile attentato commesso contro la tua sacra persona, e ti prego di ottenere da essa il perdono per tutti i delitti che ne furono la conseguenza. No; non c’è un solo francese che non sia pronto a versare l’ultima goccia del suo sangue per espiare il suo crimine, se con la sua morte potesse restituirti ai nostri desideri, alla vita. Ma non c’è bisogno, fratelli miei cristiani, che Luigi XVI scenda dal cielo dove non cessa mai di intercedere per noi. Un miracolo non meno clamoroso che dobbiamo alla misericordia divina, che guarda sempre con benevolenza la Francia, nonostante gli orribili delitti di cui si è macchiata; miracolo che dobbiamo ai meriti e alle preghiere del nostro buon Re, Luigi XVI, di San Luigi, di tanti santi nostri compatrioti, e più in particolare ancora della Santissima Vergine, sotto la cui protezione Luigi XIII, di pia memoria, ebbe mettere il suo regno ei suoi sudditi; miracolo confessato e riconosciuto come tale dagli stessi miscredenti (nessuno se non un Dio può operare questo prodigio di cui tutti siamo stati testimoni); questo miracolo è il ritorno di Luigi XVII, fratello di Luigi XVI, in questo regno, dopo vent’anni di assenza.
Da tempo lo desideriamo, lo chiediamo, e sempre invano. Giunge finalmente il momento fissato dalla divina Provvidenza: e quando meno ce lo aspettavamo, Luigi XVIII tornò ai nostri desideri. Egli viene per asciugare le nostre lacrime, per porre fine ai nostri mali. Appare in mezzo al suo popolo come un sole splendente dopo una notte profonda. Viene, come un inviato dal cielo, guidato dalla religione, accompagnato da tutte le virtù, portando con sé pace e felicità.
Appena ha fatto qualche passo nella capitale dei suoi Stati, va al tempio per ringraziare Dio della grazia che fa alla Francia di restituirgli il suo legittimo sovrano, per protestargli che non vuole regnare solo da lui e per lui, e chiedergli i favori di cui ha bisogno per riparare i mali che vent’anni di anarchia e di empietà hanno fatto alla Francia. Sollecita preghiere pubbliche e chiede che il formidabile sacrificio sia offerto in espiazione e riparazione dell’ingiuria arrecata alla maestà reale nella persona del suo augusto fratello Luigi XVI, nostro legittimo sovrano. Ma questa riparazione e questa espiazione, fratelli miei cristiani, è tutta per noi. Luigi XVI è in paradiso; tutto ci dà il diritto di presumerlo. È vissuto da santo, è morto da santo. Infatti, questa calma, questa tranquillità con cui Luigi XVI si disponeva alla morte, ed era alla morte; calma e tranquillità che rendono abbastanza chiaro che era sicuro del suo destino, e che ha lasciato questa valle di lacrime solo per andare a godere della vera felicità nel seno di Dio stesso, che ha lasciato la terra solo per andare in paradiso. Calma e tranquillità molto al di sopra delle nostre idee volgari, che solo lui può definire bene, perché solo lui poteva sentirla e assaporarla. Fermiamoci qui per un momento, cristiani miei fratelli; ascoltiamo lo stesso parlare. La semplice lettura del suo Testamento, che fa anche l’elogio della sua pietà, del suo spirito, del suo cuore, lo dipinge molto meglio di quanto potremmo fare noi: sarà difficile per me leggerlo a voi, e voi, Fratelli miei, difficile ascoltarlo, senza versare tenere lacrime.

Qui le ultime parole pronunciate da Luigi XVI, sul patibolo:

“Io perdono i miei nemici; Desidero che la mia morte porti alla salvezza della Francia; “Muoio innocente”.

Dom Antoine Vallet

per priori generali

Dom Antoine Vallet nacque il 20 maggio del 1725. Chiamato da Dio ad una vita solitaria, abbandonò il mondo e fece ingresso alla Grande Chartreuse nel 1746, facendo professione il 15 agosto del 1747. Fu Maestro dei Novizi nel 1754, Vicario nel 1756 e Procuratore alla certosa di Melan sempre nel 1756.

Le sue notevoli doti lo fecero nominare Scriba o Segretario dell’Ordine nel 1772. Occupò questa posizione sotto tre Generali, i Reverendi Padri Dom Etienne Biclet, Dom Hilarion Robinet e Dom Nicolas Albergati de Geoffroy. In tutte le circostanze difficili in cui si trovava, Dom Antoine seppe mostrare grande energia e notevole abilità. Nell’Ordine era considerato il futuro successore di Dom Albergati. In virtù di un’Ordinanza del Capitolo Generale tenutosi a Bologna nel 1793, era stato disposto che, in caso di morte del Reverendo Padre, il suo segretario ne ereditasse l’autorità e la esercitasse alle stesse condizioni, fino al prossimo Generale Capitolo. Di conseguenza, Dom Antoine Vallet, alla morte di Dom Nicolas Albergati, assunse l’amministrazione dell’ Ordine, con il titolo di Vicario Generale, e mantenne il potere con questo semplice titolo, le disgrazie di questo tempo funesto non gli permisero di riunire il Capitolo. Dom Antoine Vallet risiedette, dal 1797, come il suo predecessore, nella Certosa di Roma, ma costretto a lasciare questa città, nel 1810, ebbe un momento il pensiero di ritirarsi nella Certosa di La Part Dieu, presso Friburgo, in Svizzera. Era quasi l’unica Casa regolare rimasta nell’Ordine Certosino. Le circostanze politiche non avendogli permesso di realizzare il suo progetto, fecero si che si ritirasse a Romans, nel dipartimento della Drôme. Alcuni certosini della Val-Sainte-Marie de Bouvantes erano venuti durante la Rivoluzione a cercare asilo in questa cittadina. Uno di loro era diventato giudice dell’ex Convento dei Récollets, il 31 marzo 1791, e tutti insieme ripresero la loro vita certosina in questo ex monastero. Non furono disturbati e poterono trascorrere, nel silenzio della solitudine, i giorni peggiori del Terrore. Nel 1810, Dom Antoine Vallet venne a stabilirsi in questa Chartreuse fondata in circostanze così straordinarie e vi trascorse alcuni anni nella più profonda tranquillità. Il 25 giugno 1813, lì consegnò a Dio la sua bella anima, all’età di ottantotto anni, dopo aver vissuto sessantasette anni nell’Ordine. Il necrologio della Grande Chartreuse lo loda in poche parole: “Obiit R. P. Domnus Antonius qui vixit valde laudabiliter in Ordine. “I suoi funerali – racconta l’Amico di Religione – furono celebrati secondo il rito certosino; il suo corpo era vestito dell’abito dell’Ordine ed esposto su una semplice tavola al centro della chiesa. Tutti i Religiosi indossavano il loro saio. Il rispettabile parroco di Romans, padre Antelme, pronunciò l’elogio funebre del defunto, alla presenza degli amministratori degli ospizi e di diverse famiglie illustri che onorarono i certosini. Le spoglie di Dom Vallet furono sepolte, accanto a quelle dei suoi confratelli morti prima di lui, all’interno del recinto della chiesa, presso la cappella dell’Addolorata. »

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Dom Raphaël Deparis

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Il personaggio di cui voglio oggi parlarvi e Emanuele Deparis, figlio di Emanuele e Marie Anne Sénès. Secondo di cinque fratelli maschi di cui tre diventeranno sacerdoti e quattro sorelle di cui tre diventeranno suore. Nacque il 18 gennaio del 1744 ed a seguito di una profonda educazione religiosa, decise di entrare nella certosa di Villeneuve-lès-Avignon, e di prendere il nome di Raphaël. Dopo aver effettuato la professione solenne, si distinse per le sue virtù e nel 1774 fu nominato Vicario, poi coadiutore nel 1778. Fu successivamente inviato alla certosa di Durbon dove fu nominato nel 1782 priore. Trascorsi alcuni anni, il primo ottobre del 1787, Dom Raphaël fu nominato priore della certosa di La Verne. Partecipò così all’Assemblea del Clero che si riunì il 31 marzo 1789 nella chiesa domenicana di Tolone per eleggere i delegati agli Stati Generali. Ma la rivoluzione che ne verrà fuori sequestrerà i beni del monastero: il 7 giugno 1790 gli ufficiali municipali di Collobrières effettuarono la necessaria perquisizione; il 10 giugno Dom Raphaël dichiarò di voler rimanere nell’Ordine dei Certosini, come la maggior parte dei sedici religiosi presenti, di cui undici padri e cinque fratelli conversi. Ben presto gli edifici ed i terreni della comunità sarebbero stati messi in vendita come beni nazionali ed i poveri monaci furono costretti alla fuga. Dom Raphaël fu uno dei primi a raggiungere l’Italia, dapprima a Pisa nel 1793, poi a Bologna la cui Certosa divenne Casa Generalizia dell’Ordine in sostituzione della Grande Chartreuse, e infine Roma dove fu nominato nel 1801 scrivano del Reverendo Padre Generale, Dom Antoine Vallet, incarico che mantenne fino al 1 giugno 1810. Tornato in Francia, si stabilì presso la famiglia a Marsiglia dove ricevette la dignità di canonico. Il “fascicolo Barthélémy”, nell’archivio diocesano di Fréjus-Toulon, racconta aneddoti edificanti, se non plausibili, sulla sua fine della vita di cui vi allego qualche stralcio.

Dom Raphaël, fu Confessore Straordinario del Convento della Visitazione a Marsiglia. Un giorno ebbe l’ispirazione di andare a dire la Santa Messa nel convento dove si trovava una delle sue sorelle. Era una domenica; la monaca, che doveva recarsi alla santa mensa subito dopo suor Paris, fu assai sorpresa di sentire la santa religiosa che comunicava alla sorella in viatico: “accipe, soror, viaticum corporis”. Oh ! pensò, Dom Paris ha una distrazione. Terminata la messa e detto il ringraziamento, il superiore diede il segnale per il ritiro;tutte le suore obbedirono, solo una rimase al suo posto, nel dirle che era ora di uscire dal coro e andare in refettorio, scorsero un corpo inanimato: suor Paris godeva già della vista del suo Dio (…)

Purtroppo, Dom Paris non tardò a raggiungere la sua virtuosa sorella: gravemente malato, non potendo più alzarsi dal letto, era stato autorizzato dal vescovo de Mazenod, vescovo di Marsiglia, a far dire la messa nella sua stanza. Il sacerdote di Gémenos, suo fratello, aveva appena celebrato il divino sacrificio e dato la comunione al santo religioso certosino: era l’una dopo mezzanotte quando entrò il medico. Ero obbligato, disse quest’ultimo, ad alzarmi per vedere un cliente del quartiere e non volevo passare così vicino senza salutare Dom Paris. Il malato lo ringraziò molto per l’attenzione e le buone cure che gli aveva prestato, poi lo salutò e pregò il fratello di accompagnare il medico alla porta: un fedele fratello converso rimase solo accanto al malato. Non volevo, confessò allora il santo religioso, dare a mio fratello il dolore di vedermi morire: addio, frate Denis. Gli strinse la mano, baciò il suo crocifisso e si addormentò nel Signore. Quella stessa notte, suor Marie Aimée Fajon, della comunità di questo convento di Marsiglia, morta superiora a Grasse, sentì aprirsi una tenda e, svegliandosi di soprassalto, vide passare davanti a lei un certosino che la benedisse e le annunciò il suo addio. Raccontò ciò che le era successo aggiungendo: – In quel momento fui certa: Dom Paris deve essere morto. Questa notizia è stata presto confermata.»

Dom Raphaël, alias Emmanuel Paris morì a Marsiglia il 4 luglio 1819.

Dom Nicolas Albergati de Geoffroy

per priori generali

Cari amici di Cartusialover, prosegue l’approfondimento sui Priori Generali dell’Ordine certosino. Oggi vi parlerò di Dom Nicolas Albergati de Geoffroy, in carica dal 1791 al 1801.

Dom Nicolas Albergati de Geoffroy ha lasciato il mondo, ancora giovane, per consacrarsi a Dio. Entrato nella Certosa di Villeneuve les-Avignon, vi emise la Professione ed edificò i suoi fratelli con la sua pietà e le sue virtù. I suoi Superiori, dopo averlo destinato a vari uffici che svolse con soddisfazione di tutti, lo nominarono Priore della Certosa di Saint-Julien, presso Rouen, e poco dopo Convisitatore, poi Visitatore della Provincia di Francia-sulla Senna. Alla morte di Dom Hilarion Robinet, gli elettori di Chartreuse, Currières e Chalais lo elessero generale all’unanimità il 10 maggio 1791. Nella terribile crisi che stava attraversando l’Ordine dei Certosini, l’onore che veniva fatto a Dom Nicolas era un fardello molto pesante; ma il nuovo Generale tuttavia l’accettò con coraggio, e seppe sempre mostrarsi all’altezza delle difficili circostanze in cui si trovava. Il 12 agosto dello stesso anno, Dom Nicolas Albergati pregò il Sommo Pontefice Pio VI di rinnovargli la facoltà già concessa al suo predecessore, di stabilirne la permanenza all’estero e di riunirvi il Capitolo Generale, che gli fu concesso. I possedimenti della Chartreuse erano stati messi in vendita come bene nazionale; l’obbedienza del deserto, dove talvolta i Generali si ritiravano a meditare in completa solitudine, era stata venduta il giorno stesso della morte del Reverendo Padre Dom Hilarion Robinet. Nello stesso anno 1791, in virtù del decreto del 20 marzo 1790 e della legge del 14 ottobre 1790, i Religiosi di Certosa furono interrogati due volte per sapere se fossero disposti ad avvalersi della libertà concessa loro dalla nazione. La risposta di tutti i religiosi è stata che il loro desiderio era di perseverare nella loro vocazione e di rimanere nel loro monastero. Nel mese di aprile 1792, Dom Albergati de Geoffroy ed i suoi monaci furono accusati di avere corrispondenza con i nemici della nazione e di fare preparativi per ricevere le truppe sarde che, si diceva, progettassero un’invasione attraverso i monti della Certosa. Con il pretesto di custodire questa frontiera, il convento fu presidiato. “La nostra Casa – scriveva un testimone oculare – era diventata una vera e propria caserma e la nostra posizione era così penosa che sarebbe stata insopportabile se Dio non ci avesse sostenuto con la sua grazia, a perseverare nel nostro stato”. Il successivo 21 maggio, i commissari si presentarono alla Grande Chartreuse, e comunicarono al Reverendo Padre e ai Religiosi l’ordine di sgomberare il Monastero che dicevano necessario per alloggiare le truppe. Assegnarono come nuova residenza, alla Comunità, la Certosa di Sylve-Bénite, presso il lago Paladru, e quella di Durbon, nei pressi di Gap. Dom Albergati, sgomento per questa notizia, mandò subito a Grenoble Dom Burdet e Dom Palluis, i quali riuscirono ad ottenere la revoca di quest’ordine. La posizione dei religiosi, in mezzo ai soldati che comandavano da padroni, era diventata intollerabile, quando l’Assemblea Nazionale decise, con decreto del 16 agosto 1792, che tutte le case religiose dovevano essere evacuate il 1° ottobre. Il distretto fece notificare questo decreto al Reverendo Padre il 13 settembre, ma l’esecuzione non ebbe luogo fino al 14 ottobre e nei giorni successivi; a quel tempo, la Comunità, compresi Currières e Chaláis, comprendeva trentotto Padri, diciotto Conversi e trentasei Donati. Nel Convento rimasero solo dodici Fratelli e gli Ufficiali della Casa: Dom Ambroise Burdet, Procuratore; Dom Sébastien Palluis, Procuratore dell’Obbedienza di Meylan; Dom Emmanuel Nivière, Coadiutore; e Dom Thaddée Forestier, Vicario. Questi Religiosi dovevano custodire la Casa e curare i fienili ei prati che, non potendo essere venduti, erano stati loro dati in affitto. Il Reverendo Padre Dom Nicolas Albergati de Geoffroy lasciò il Monastero mercoledì 17 ottobre 1792. La maggior parte dei suoi religiosi varcò il confine e chiese asilo ai confratelli in Germania e in Svizzera. Altri si diressero verso l’Italia, tra questi Dom Albergati che, dopo molte peripezie, riuscì a rifugiarsi a Bologna, dove giunse il 7 dicembre. Nel 1793 fu convocato in questa città, in tempi ordinari, il Capitolo Generale; vi si presentarono quattordici Priori. In questa assemblea fu risolta l’importante questione dell’elezione del Generale dell’Ordine. Il Capitolo ordinò che “se il Reverendo Padre dovesse morire nel corso dell’anno, al Padre Scriba sarebbe stato affidato il governo di tutto l’Ordine e godrebbe della stessa autorità del Reverendo Padre, fino al Capitolo Generale gli sarebbe richiesto convocare nel tempo ordinario. Se egli stesso morisse prima di aver potuto riunire un Capitolo, il Religioso scelto per Scriba avrebbe avuto la stessa autorità e gli stessi doveri”. Tale Ordinanza fu confermata dal Capitolo dell’anno successivo e approvata con breve di Pio VI, datato 14 luglio 1794. Dom Nicolas Albergati poté convocare nuovamente il Capitolo Generale nel 1795. la relazione del referendario Dom Ignace Tricot, Priore di Valbonne, il Capitolo tornò di nuovo sull’elezione del futuro Generale e dichiarò che, secondo il suo parere, l’elezione del Reverendo Padre dovesse spettare ai Capi del Capitolo, finché la Casa di Certosa sarebbe rimasta dispersa; inoltre determinò le formalità da espletare per l’elezione. Questa Ordinanza non fu mai applicata, non potendo riunirsi il Capitolo Generale durante la Rivoluzione e l’Impero. All’inizio dell’anno 1797, il Generale dei Certosini fu costretto a fuggire da Bologna, all’arrivo delle armate francesi nella provincia. Si rifugiò, col permesso del Sommo Pontefice, nella Certosa di Roma. Dom Nicolas Albergati de Geoffroy trascorse alcuni anni nella Città Eterna, e si preparò alla morte tra gli esercizi di penitenza. Si addormentò nella pace del Signore, il 22 dicembre 1801.