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NEWS: E’ online il nuovo sito ufficiale della certosa della Trasfigurazione

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Cari amici Cartusiafollowers, è con immenso piacere, che diffondo la notizia di questa novità che voglio condividere con tutti coloro che mi seguono su questo blog. Sono lieto di annunciarvi un nuovo sito ufficiale dell’Ordine certosino, riguardante la certosa statunitense della Trasfigurazione. Raggiungibile al seguente indirizzo: https://carthusiansusa.org/ 

In esso sarà possibile scorgere contenuti inediti, come testi, ed immagini molto accattivanti delle attività quotidiane della comunità monastica.

La decisione presa dai vertici dell’Ordine, credo sia in linea con quello che io ho percepito in questi anni. In un’epoca, dove la società è fortemente minata nelle fondamenta risultando impoverita, i giovani hanno voglia e desiderio di cercare Dio attraverso una vita semplice basata sulla ricerca dell’essenziale. Pertanto entrare in comunicazione con le nuove generazioni, attraverso un nuovo accattivante sito internet, credo sia una scelta encomiabile, poiché potrà consentire ai giovani di entrare in contatto diretto con l’Ordine certosino, ritenuto apparentemente quasi etereo. La mia umile speranza è che Cartusialover abbia potuto contribuire, sia pure in misura impercettibile, ad innescare, quel volano presso tutti coloro che frequentando questo blog, siano stati incuriositi, attratti e spinti a conoscere meglio il mondo certosino. Se ciò è realmente accaduto, confido che accada ancora in futuro e ne sarei gratificato poichè ciò rappresenterebbe per me il raggiungimento completo del mio obiettivo. Il link del nuovo sito, da oggi verrà riportato nel blogroll sulla colonna di destra. Possa San Bruno benedire questa lodevole iniziativa, che dovrà contribuire a consolidare per molti altri secoli la già quasi millenaria e straordinaria storia certosina.

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“De Esu Carnium”

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L’articolo che oggi vi propongo è su un tema già trattato in questo blog in diversi articoli. Esso riguarda l’astinenza dalla carne nella dieta dei monaci certosini, e più precisamente vi parlerò del testo dal titolo “De Esu carnium” (sul mangiare carne), scritto dall’illustre medico Arnaldo di Villanova, in difesa dell’astinenza certosina.

Va detto, che tra il XIII ed il XV secolo si sviluppò un enorme dibattito sul divieto imposto dalla regola certosina di mangiare carne, anche in caso di malattia.

Cari amici, come forse già saprete, la limitazione del cibo e la rigida regolamentazione della sua assunzione rappresenta per il monaco una delle manifestazioni più concrete della sua rinuncia al “mondo” ed il punto di partenza di una pratica ascetica, che attraverso la repressione del corpo punta a purificare l’anima da pulsioni e passioni che ostacolano la sua propensione verso Dio. I certosini, rispetto ad altri ordini monastici, si distinguono non solo per la loro scelta di una vita rigorosamente eremitica, ma sono caratterizzati fin dall’inizio da forme di astinenza particolarmente rigide, che culminano nell’esclusione totale della carne dalla dieta, anche in caso di malattia. Questa pratica ha le sue radici nella tradizione eremitica orientale e dei Padri del deserto, che dalle origini dell’ Ordine ha resistito fino ad oggi, vanificando i vari tentativi, avvenuti nel corso dei secoli, di attenuare tale rigore.

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Il trattato “De esu carnium” del medico catalano Arnaldo di Villanova, fu composto tra il 1301 e il 1305, e rappresenta molto probabilmente la prima presa di posizione in difesa della scelta certosina di astinenza totale dalla carne. A causa delle autorevoli affermazioni in esso contenute, questo trattato ha rappresentato una risposta definitiva e poderosa, a coloro che interpretavano fallacemente il rifiuto certosino di concedere la carne ai malati come espressione di mancanza di carità. Arnaldo di Villanova ci tiene a illustrare con fermezza la legittimità della scelta certosina con argomentazioni fondate sul sapere medico, confutando vigorosamente le accuse rivolte all’Ordine di una sostanziale ignoranza della scienza medica.

L’idea che i malati abbiano bisogno della carne per ristabilirsi e prolungare la loro vita, bollata da Arnaldo come novum dogma, non trova riscontro nelle dottrine mediche, e si basa su un sostanziale misconoscimento delle caratteristiche fisiologiche del corpo malato in relazione alla natura dei diversi alimenti: i cibi che, come la carne, servono a ricostituire le facoltà motorie del corpo non sono infatti necessari all’organismo ammalato, anzi lo danneggiano, poiché provocano un calore eccessivo a causa del grasso che contengono; mentre gli giovano quegli alimenti che, per la loro sottigliezza e conformità alla natura del sangue, restaurano le potenze vitali e sono quindi più adatti a riparare gli squilibri provocati dalla malattia. Sbagliata dal punto di vista medico e inconsistente dal punto di vista teologico, l’idea che l’astinenza dalla carne accorci la vita degli ammalati evidenzia l’ignoranza di quanti la sostengono, ed è di fatto smentita dalla proverbiale longevità dei certosini.

Arnaldo segnala anche quella che a suo giudizio è la dieta più adatta per gli ammalati, una dieta a base di tuorli d’uovo e vino, alimenti più affini alla natura del sangue e quindi più adatti a generare gli spiriti vitali.

A distanza di pochi anni, dall’uscita di questo insigne trattato il monaco certosino, Guglielmo de Yporegia (Ivrea), si assunse il compito di difendere la scelta dell’ascetismo più rigoroso con la sua opera più importante, il “Tractatus de origine et veritate ordinis Cartusiensis“, dedicato all’elogio della vita certosina. Egli pur non essendo medico, afferma che la carne non è indispensabile per gli ammalati debilitati, e che altre vivande, come brodi, pesciolini o tuorli d’uovo, si rivelano ben più adatte a restituire la salute a quanti, come i monaci, sono avvezzi ad una dieta estremamente parca. Anche una figura di primo piano del mondo universitario come quella del Cancelliere dell’Università di Parigi, Giovanni Gerson, fervente ammiratore dell’ordine certosino, scrisse nel 1401 un breve trattato dal titolo “De non esu carnium“. In esso viene sancita una complessa difesa del digiuno certosino, sia dal punto di vista teologico che medico. Sia le argomentazioni di Arnaldo, quanto quelle di Gerson, sono riprese nel XV secolo da Dionigi il certosino nel trattato “De praeconio sive laude ordinis cartusiensis“, laddove il rifiuto della carne diviene l’emblema della rinuncia del monaco a se stesso, avvalendosi anche di testi di Bernardo di Chiaravalle e di Guglielmo di Saint-Thierry, nonché degli esempi di santità che hanno scandito la storia dell’Ordine e dei decreti papali che sanciscono nei secoli la legittimità del comportamento certosino.

Nel prossimo articolo vi proporrò una “soluzione” certosina a questo dibattuto tema. Non perdetevelo!

ricettario cartusia

Pasqua tra i certosini

Certosa di Vedana

Cari amici, in questo Sabato Santo, in attesa della veglia di questa notte che dà inizio al tempo pasquale, voglio offrirvi il racconto di un’esperienza vissuta in una certosa.

Ecco per voi il racconto di due giovani parroci, Don Nilo e Don Luciano i quali trascorsero la notte del Sabato Santo della Pasqua 1965 con i monaci certosini presso la Certosa di Vedana. Vi lascio a questa coinvolgente narrazione.

PASQUA

dell’anno del Signore 1965 fra i “Certosini”

“Quando l’orologio segna le 22 e 15, riprendiamo la macchina ed a lenta andatura ci avviamo per la strada che porta a Vedana. Ci pare di essere davvero ben disposti: anima e corpo in forma, per la veglia Pasquale. Mancano dieci minuti alle 23 quando ci presentiamo al portone della Certosa. Il fratello ci ha sentito e, dalla finestrella aperta in alto a sinistra, manda una voce: – Vengo, vengo subito! -Se non fu necessario attendere a bussare, vuol dire che siamo ospiti graditi. Bene, bene!Il portone fu, questa volta, completamente spalancato perché potessimo entrare con l’automobile. Prese le nostre cose sotto il braccio, ci dirigiamo alla cella del padre Procuratore. Silenzio, pace! La rara illuminazione crea ombre gigantesche.

Uno dopo l’altro si odono i lenti rintocchi delle ore ventitré e sembrano animare ed infondere respiro alle maestose mura del Convento. Dal giardino pensile di fronte alla Chiesa, ad ondate sempre più intense, sale e si diffonde per i corridoi e per i chiostri, quasi incenso di primavera un delicatissimo profumo di viole. “Profumo di viole nella Certosa!”. L’esclamazione mi viene spontanea.- Quale soave preparazione alla preghiera!… – soggiunse don Luciano. Rimaniamo alquanto in silenzio a contemplare. I mistici racconti delle cento emozioni sono di gran lunga superati.

Passano così quasi venti minuti…Ecco i monaci! Escono da tutti gli angoli, vestiti di bianco, gravi nell’incedere. Uno alla volta si dispongono nei loro stalli del Coro. Ci disponiamo anche noi, con la cotta tutta sgualcita., sui posti già indicati al mattino: sono quelli che si incontrano, subito a sinistra, dopo aver superato la porta del coro dei fratelli laici. Al primo posto, verso il centro della Chiesa, si mette don Luciano; al secondo il padre dell’ordine di S. Domenico. Il terzo stallo del coro è per me. Non si sbaglia. Osservo il domenicano: è un uomo imponente, dall’andatura solenne; ha la faccia larga, capigliatura ondulata e candida come il vestito. Sembra un vecchio leone; a stento sta nella sua tana. Il colore del volto è caratteristico di chi dovrà andare in paradiso per infarto cardiaco.

Alle 23 e 30, con precisione cronometrica, inizia il rito. Quattro lunghe letture, tratte dai libri del Vecchio Testamento, introducono la meditazione sulla storia della nostra salvezza; alla fine di ognuna viene eseguito, in canto gregoriano, il responsorio. I monaci sviluppano la melodia nel gregoriano antico, piuttosto semplice e primitivo. Davvero cantano con un filo di voce; troppo piano. Seguono le Litanie dei Santi. A volte ci sono invocazioni speciali, proprie dell’ordine certosino. La supplicazione – “Sancte Bruno, ora pro nobis” -, l’ho cantata volentieri e quel nome mi ha richiamato il volto di alcuni amici dei quali, da tempo, non so nulla.

La benedizione del fuoco, dell’incenso, del Cereo, dell’acqua, non ci fu: la liturgia dei monaci esclude, o meglio non ha mai conosciuto tutto questo. È solo elevazione mistica pura e semplice senza eccessivi simbolismi. È comunque delicata, come il profumo di viole che si diffonde dal giardino e penetra anche in Chiesa. Viene cantata la S. Messa. Un vecchio monaco rivestito di ampio manto bianco, con lunghissima stola pendente da un lato, serve il sacerdote celebrante fungendo da Diacono; canta anche il Vangelo.

Mi fece impressione il momento centrale della Messa…All’elevazione dell’Ostia, tutti, in ginocchio, dimostravano visibilmente al “Signore Dio dell’Universo” la loro fede e la loro adorazione. Alla elevazione del Calice, mentre il diacono con un cereo acceso nella mano destra, sollevava con la sinistra la ricca pianeta del celebrante e con forte battito del piede dava un segnale convenuto, i monaci si prostravano a terra. Sembravano quasi annientati sotto la potenza del Signore. Forse qui s’addiceva la vecchia traduzione, “Signore, Dio degli eserciti”!…

Nuovo battito di piede del Diacono e tutti sono ritti ed a mani giunte. A questo rituale, altamente espressivo, don Luciano ed io non ci siamo perfettamente associati. Ci siamo accontentati di raccoglierci con umiltà per adorare il Signore presente sotto i due elementi così bene rappresentativi dell’attività e della letizia umana: il pane ed il vino. Abbiamo ricordato tutti, parenti, superiori, amici. Alla comunione, un monaco esce dal Coro, si distende sul gradino del presbiterio, sotto il grande candelabro di destra, e sembra invocare la misericordia di Dio, con maggiore umiltà di quella usata, a suo tempo, dal centurione.

Usciamo tutti e ci disponiamo genuflessi, in semicerchio, intorno all’altare. Ricevo l’ostia consacrata dalle mani del celebrante; poi, mentre sto per abbassare la testa, don Luciano mi offre un grande calice. Ho compreso all’ultimo momento; è la santa comunione anche sotto le specie del vino. Il rito è solenne e suggestivo; il silenzio della notte lo rende penetrante di commozione. Il padre domenicano sembra estasiato: è in ginocchio con le braccia aperte ed alzate: non si muove. Lo diresti una statua di Michelangelo scolpita nel marmo di Carrara.

Ritornati sugli stalli del Coro diciamo grazie al Signore. È una stupenda visione di pace: – “Beata pacis visio”! -La Messa è subito finita: s’avvia quindi l’Ufficio divino. Spente quasi tutte le luci; dalla grande lampada che scende dall’arco del presbiterio si diffonde una luce tremolante. Sulla predella dell’altare è collocato un candeliere a cinque braccia, sulle quali ardono altrettante candele. Don Luciano, il magnifico padre dell’ordine di S. Domenico ed io leggiamo i testi su un unico antifonario di proporzioni notevoli. Ogni tanto, secondo il bisogno, vi collochiamo sopra, il Salterio o il libro degli Inni.

Anche i monaci sono a gruppi di tre. Solo è invece il padre Priore (Dom Thomas Marie). A turno i padri intonano i canti ed eseguono le letture. Il primo notturno comprende sei lunghi salmi, quattro lezioni e quattro grandi e solenni responsori. Qui nessuno ha fretta di terminare la liturgia: non l’abbiamo neppure noi… Aveva proprio ragione il padre Priore: “… Non abbiamo mai, mai fretta di terminare la preghiera…”! Il “Gloria Patri” è scandito con ostentata lentezza mentre ci si inchina assai profondamente; il palmo delle mani deve toccare le ginocchia.

Una cosa richiamò la nostra attenzione: di tanto in tanto, ora qua ora là, un monaco chinava la testa sulla pagina del Salterio, apriva le mani, e dava un bacio al testo. Era una riparazione pubblica ad una distrazione accolta durante il canto. Per ben due volte la causa del gesto tanto significativo siamo stati noi! Forse questa era la ragione principale per cui il padre Priore non voleva metterci in Coro. Le ore passano. Fuori, nel mondo, la gente dorme. Nessuno pensa che anime innamorate di Dio, ogni notte siano vigilanti in preghiera anche per quelli che non pregano mai. Questa è davvero un’azione altamente benefica e largamente sociale!

Il latino dei testi è alquanto diverso da quello usato sia nel vecchio, come nel nuovo salterio del Breviario romano. Alcuni responsori sono da noi completamente sconosciuti. Davanti al grande leggio collocato nel mezzo del Coro s’avvicendano i monaci per il canto delle lezioni. Al termine, il grosso volume è ricoperto, in segno di rispetto, da un velo di seta bianca. Il secondo notturno si sviluppa con schema simile al primo. I frati sono quasi sempre ricoperti il capo dal cappuccio, la cui ombra conica proiettata sotto il soffitto crea strani ed enormi fantasmi. Una lezione è cantata dal monaco che al mattino s’era ferito alla testa mentre attendeva al lavoro. Portava una medicazione. Lo guardo bene, forse ha la febbre; certamente soffre per il dolore, ma è sereno.

Il più serafico fra tutti, veramente in estasi celestiale, appare il piccolo olandese(Dom Tarcisio Jan Geijer). Per lui la preghiera è tutto, è gioia, è paradiso; non ha alcuna fretta di terminarla. Il terzo notturno è più breve: comprende tre cantici, quattro lezioni e quattro responsori. Lettore al leggio centrale è, questa volta, il Rev.mo Superiore. Segue il Te Deum con melodia abbastanza nota; quindi il canto del Vangelo con l’orazione. Come previsto, la preghiera liturgica continua con le Lodi. Al posto del solito cantico ve ne sono tre. L’inno è quindi eseguito sulla melodia del Veni Creator Spiritus. Al Bendictus avviene l’incensazione dell’altare da parte del padre Priore. Indossa un ampio manto bianco e porta una lunga e ricca stola.

Il rito è solennissimo. Penso che il gran sacerdote dell’antico testamento non dovesse impressionare di più nei suoi gesti ieratici! Le volute di fumo odorante si susseguono rapide; il turibolo è letteralmente lanciato in alto con arte finissima e con notevole frequenza. Gli occhi di tutti sono rivolti là: all’altare di Dio. Avviene poi l’incensazione di ciascun monaco; quindi anche di noi. Questa non fu però eseguita dal padre Priore. Ancora qualche minuto e la preghiera è, questa volta, terminata…

Sono le tre e dieci del mattino di pasqua dell’anno del Signore 1965.- Regina Coeli laetare. Alleluja. -Lenti, uno dopo l’altro, i monaci fanno profondo inchino al Santissimo e per vie diverse se ne vanno alle celle. A dire il vero tutti ci hanno salutato con un sorriso. Non credo abbiano riportato, di noi, cattiva impressione .Il padre Priore ci accompagna alla porta della Chiesa”.

Ci augura: “Buona Pasqua, con tutto il cuore!”.È soddisfatto; in fondo ci siamo comportati bene, quasi come due monaci. Noi ringraziamo con le espressioni più belle e più giuste. Al padre procuratore, che gentilmente ci scorta fino al cortile sottostante, diciamo la nostra sincera letizia per aver passato alcune ore in paradiso. Anche noi abbiamo pregato senza alcuna fretta, proprio come i monaci della Certosa!- Me ne sono accorto, me ne sono accorto! – Fu la sua conferma.- Sfido io, ad un certo punto, la mia lentezza gli costò il bacio del Salterio. Ci saluta dicendo:- Arrivederci! -Il portone è aperto; un fratello laico che dice di essere nativo di San Donà di Piave (dunque un italiano e per di più un veneto!), aspetta la nostra partenza per chiudere…

Certosa di Vedana, Sabato 17 aprile 1965

Testimonianza da Portacoeli

la certosa di Portacoeli

Cari amici, è ormai trascorso un anno da quando un giovane spagnolo di nome Kevin Perez ha fatto il suo ingresso nella certosa spagnola di Portacoeli per abbracciare la vita monastica certosina. Tra l’incredulità dei giovani d’oggi, un giovane del XXI secolo abbandona tutto alla ricerca di Dio tra le mura di una certosa.

Voglio offrirvi un video, in lingua spagnola, che da qualche settimana è presente in rete, nel quale il giovane ci spiega le motivazioni della sua vocazione. Ho tradotto per voi il testo, nel quale egli ci parla di lui e della vita claustrale che lo attendeva. Un gradevole appello ai giovani di quest’epoca in cerca di una via che conduca alla felicità.

Kevin Pérez, un giovane spagnolo, ha partecipato ad alcuni episodi di Catholic Stuff. Nel suo cammino di conversione a Cristo si è unito alle Serve del Focolare della Madre, ha studiato Chimica e Biochimica ed è stato un buon calciatore federato, che ha lasciato quando stava per diventare professionista, quando ha poi sentito la chiamata di Dio al sacerdozio. È entrato in Certosa il 25 marzo 2022, solennità dell’Annunciazione, dopo un intenso processo di discernimento che dettaglia nella sua testimonianza nel video di Catholic Stuff.

Kevin Pérez: «Ho deciso di lasciare l’università, il calcio quando stavo per diventare un professionista e tutto il resto, come risposta all’amore di Dio che mi ha chiamato a essere un prete certosino»

«E poiché l’amore di Dio è tanto grande, anche la mia risposta deve essere la più grande possibile e sapevo che la mia dedizione doveva essere totale e quindi nella vita monastica, nella quale si dona assolutamente tutto. Dopo averci pregato, meditato e fatto varie esperienze in diversi monasteri, ho scoperto che Dio mi chiama alla Certosa, per essere un monaco certosino ordinato sacerdote per sua grazia. Il monaco certosino è un uomo che sacrifica la sua vita per la gloria di Dio e per la salvezza della sua anima e quella degli altri e, in ultima analisi, per il bene della Chiesa»


“Sono cresciuto in una famiglia cattolica in cui è stata mantenuta la pratica della fede, in particolare la preghiera, i sacramenti e la partecipazione alla vita della parrocchia. A 14 o 15 anni Dio mette nel mio cuore un certo desiderio di vita consacrata, di vita religiosa. Da quel momento non lo tengo più a mente nelle mie preghiere ed è una cosa che va piano piano, crescendo man mano che maturo, sia umanamente che spiritualmente” spiega Kevin Pérez.
All’età di 18 anni Kevin conobbe la Comunità delle Serve del Focolare della Madre che si trovavano in Navarra, dove viveva. Quell’estate fu invitato a un pellegrinaggio in Irlanda. “E sono stato felicissimo di andarci poiché ero desideroso soprattutto di sperimentare cosa fosse la vita religiosa. Poi sono andato alla casa del noviziato dei Servi. Attraverso di loro approfondisco il mio amore per la Beata Vergine, che è nostra Madre ed è mia Madre. Cresco anche nell’amore e nella devozione all’adorazione dell’Eucaristia. Insomma, condurre una vita di fede cattolica coerente.
Stavo finendo il liceo e ho iniziato a studiare una doppia laurea in chimica e biochimica all’Università di Navarra. Giocava anche a calcio in una squadra federata e proprio quell’anno avrebbe promosso alla categoria professionisti. Quando stavo per compiere 19 anni, nell’estate del 2015, in pellegrinaggio con le Serve del Focolare della Madre, ho scoperto la mia vocazione.
Con la voglia di darmi per vinta, ho deciso di lasciare sia l’università, il calcio e le cose che mi legavano un po’ al mondo, in modo che appena avessi scorto il luogo dove Dio mi chiamava, potessi entrare. Nel pellegrinaggio ricevo due Grazie specifiche e alla Santa Messa mi fanno vedere che tutte queste grazie che ho ricevuto negli anni mi mostrano il grande amore che Dio ha per me. E come naturale risposta a quell’amore che Dio ha avuto per me, mi ha e mi avrà, ho dato la mia vita a Lui.
“E io rinuncio alla mia vita perché l’amore di Dio è così grande, così infinito, l’amore che Dio ha avuto per me. Quello è stato il momento chiave in cui ho capito che dovevo dare la mia vita a Dio. E poiché l’amore di Dio è così grande, anche la mia risposta deve essere la più grande possibile e sapevo che la mia dedizione doveva essere totale e quindi nella vita monastica, in cui si dona assolutamente tutto.
Dopo averci pregato, meditato e fatto varie esperienze in diversi monasteri, ho scoperto che Dio mi chiama alla Certosa, per essere un monaco certosino ordinato sacerdote per sua grazia. Il monaco certosino è un uomo che sacrifica la sua vita per la gloria di Dio e per la salvezza della sua anima e quella degli altri e, in ultima analisi, per il bene della Chiesa. E questo nel silenzio e nella solitudine che il monastero offre nell’ambiente claustrale, precisamente la cella. Che come dicono molti autori certosini, cercare di vivere di Dio.
Allontanare assolutamente tutto, vivere senza la vicinanza di persone, affetti, pensieri, per dedicarmi completamente e continuamente alla ricerca di Dio, della perfezione, della sua volontà, della gloria di Dio. E questo in modo mistico, misterioso, che ci ritroveremo in paradiso se Dio vuole perché riguarda il resto della Chiesa”.

mon Portacoeli
“Ai giovani che sono nel momento del discernimento e delle decisioni importanti, direi che ciò a cui veramente Dio chiama tutti noi è la santità, è dargli Gloria, è fare la sua volontà. Il modo migliore per aiutare se stessi è fare la volontà di Dio e per questo sono essenziali la preghiera ei sacramenti, le due fonti di grazia che Dio ci dà attraverso la chiesa. È così che si scopre, poco a poco, qual è la volontà di Dio e la vocazione personale che può essere quella naturale nel matrimonio o soprannaturale nella vita consacrata o nel sacerdozio. Vi chiedo preghiere per la mia fedeltà. Cercherò anche di fare la volontà di Dio e che questo ricada su Grazie per tutti. Sappi che Dio ha un piano su di te per renderti felice”, conclude.

Vi invito dunque a pregare per il cammino intrapreso da questo giovane, affinchè possa essere nuova linfa per il nostro amato Ordine certosino.

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San Bruno a Portacoeli (José Puchol 1743- 1797)

Eventi da celebrare

Cari amici lettori, voglio condividere con voi in questo articolo odierno due momenti che mi riempiono di soddisfazione. Lo scorso 14 marzo, in occasione della celebrazione della “Giornata nazionale del Paesaggio”, ho ideato, realizzato e partecipato ad una particolare visita illustrata, svoltasi nella “mia” certosa di San Martino a Napoli, oggi Museo, dal titolo “Imago Vesevi”

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I lettori affezionati ricorderanno che nel settembre del 2020, da queste pagine del blog, vi feci conoscere la figura di Dom Severo Tarfaglione, un certosino napoletano testimone della terribile eruzione del Vesuvio del 16 dicembre del 1631. Ebbene, sin da quel momento la mia intenzione era di diffondere e divulgare la conoscenza del suo manoscritto inerente l’attività vulcanica osservata dalla cella della certosa partenopea, proponendo una visita illustrata il 16 dicembre del 2020, ma ahimè la pandemia interruppe bruscamente questa mia intenzione a causa delle restrizioni per la quarantena. Riuscìì soltanto a settembre del 2020, a presentare al pubblico la vita claustrale di Dom Severo in una visita che precedette le successive restrizioni.

A distanza di oltre due anni, sono riuscito a concretizzarla con immensa gioia! Un altro piccolo contributo per realizzare il mio obiettivo. Il video che segue vi coinvolgerà nell’atmosfera creatasi.

Il secondo motivo di compiacimento che nutro, scrivendo questo articolo, è che è il numero 2000! Ebbene si, un altro inaspettato obiettivo raggiunto grazie a voi, che da sempre mi seguite con passione e costantemente mi stimolate e avete reso possibile il raggiungimento di questo traguardo. Duemila volte grazieeeeee!!!!

2000 e logo

Per tale occasione uno di voi, dal Brasile, ha voluto pormi delle domande a cui ho risposto…

Un’intervista? No, una semplice chiacchierata tra cartusiafollowers!

Cosa cambieresti del tuo ultimo anno di blogging?

Non solo l’ultimo anno, anche il corrente o il prossimo, sono sempre alla ricerca di contenuti originali, da proporre in maniera accattivante per coinvolgere voi lettori sempre più.

Se il tuo blog venisse spazzato via, ricominceresti a bloggare da zero domani?

Beh, nonostante la passione, la tenacia, non credo, poichè necessita di tanto impegno lavoro ed energie. Viceversa, ipotizzo di poterlo trasformare in un libro, o qualcosa di simile. Attendo vostri suggerimenti…

Se il tuo blog chiudesse domani, per cosa vorresti essere ricordato?

Sicuramente per l’impegno profuso in anni di ricerca, studio e per aver dedicato del tempo della mia esistenza, ma non avendo mai avuto ambizioni personali, sarei appagato di essere ricordato semplicemente come “certosinologo“.

Ti ricordi il tuo post che ha generato più reazioni?

Si, senza dubbio i vari articoli che ho scritto circa la misteriosa scomparsa del fisico Ettore Majorana. Una miriade di interazioni e commenti, tra i quali quello di un lettore che anonimamente mi scrisse che egli era detentore della verità su questo caso, ma chiedeva riservatezza, che gli ho promesso e mantenuto.

Il migliore e peggiore evento che ti è mai capitato di gestire sul tuo blog

Il migliore? Sicuramente la visita di Sua Santità Benedetto XVI alla certosa di Serra San Bruno, quel giorno mi sentii un reporter, feci quattro articoli nel solo 9 ottobre 2011. Altro evento, triste stavolta, la chiusura della certosa portoghese di Santa Maria Scala Coeli ad Evora, con articoli dettagliati sulla partenza degli ultimi monaci. Quanta tristezza!

E quello più buffo?

Uno su tutti, sempre in occasione della visita del Pontefice ai certosini di Serra, furono scambiate mie considerazioni come asserzioni del Padre Priore Dom Jacques Dupont, diventandone inconsapevolmente…l‘alter ego.

Hanno mai aggregato uno o più articoli senza il tuo esplicito consenso? Se sì, come ti sei comportato?

Si, è capitato, anche una trasmissione televisiva! Ma non ho mai agito, poichè ritengo che divulgare la conoscenza di ciò che chiamo “universo certosino”, sia sempre la priorità…il fine giustifica i mezzi.

Hai mai scritto articoli a pagamento? Oppure hai tratto profitto dalla tua attività di blogger?

No mai! E’ stata una mia convinzione dal primo momento in cui ho realizzato anche il sito Cartusialover. Proposte ne ho avute, ma ho sempre rifiutato, poichè credo fermamente che la mia mission è di natura filantropica. Il riscontro mi è dato da migliaia di contatti che mi ringraziano per sostenere la propria anima ed il proprio benessere con i testi spirituali certosini. E’ questo il mio “profitto”.

Andamento e previsione successo articoli, insomma riesci a prevedere se un’articolo sarà più apprezzato di un altro?

Bella domanda. Spesso accade, ma quando credo che un determinato articolo sarà apprezzato da molte visite resto deluso, mentre viceversa resto stupito dalle tante visite su argomenti trattati che ritenevo fossero meno attraenti.

Articolo con più visite?

Corpus Domini in certosa, l’11 giugno del 2020 con 4391 visite in un giorno.

Andamento visite negli anni?

E’ stato un percorso di crescita costante dal 2009, con il picco raggiunto l’anno della Pandemia, il 2020 quando ho contribuito a confortare gli animi di lettori da tutto il mondo che trovavano ristoro dell’anima con gli antichi testi spirituali certosini, preghiere, meditazioni, vera fonte inesauribile di quiete, e balsamo per lo spirito.

I numeri attuali, in questo articolo celebrativo?

L’ho già scritto prima, è questo l’articolo numero 2000 ed i visitatori dal primo giorno del blog sono circa 2.500.000. I cartusiafollowers sono ad oggi 675.

Vogliamo rivelare un’altra singolare coincidenza in questa data di oggi 21 marzo 2023?

Beh si, oggi è il mio sessantesimo genetliaco. Per me un gradito regalo per questo traguardo di vita importante.

Auguri Roberto a te ed a Cartusialover.

Grazie di vero cuore. Vi abbraccio tutti.

Grangia di Talamanca de Jarama

01

L’approfondimento che oggi voglio proporvi è su di una importante grangia della certosa spagnola di El Paular. Conosciuta oggi, impropriamente, come Cartuja de Talamanca de Jarama essa è ubicata nella Comunidad de Madrid, al limite settentrionale dell’area urbana, i monaci certosini in progressiva espansione accumularono proprietà nella vallata e quindi decisero di realizzare questo complesso agricolo, motivati soprattutto dalle fertili condizioni del terreno della pianura del Jarama. I lavori di detto complesso dovettero iniziarono nel XVI secolo, modificando una preesistente enclave militare musulmana del IX secolo di cui si scorgono ancora le mura. Questa grangia si distingue per il suo grande valore storico e architettonico, oltre che per le sue notevoli dimensioni (18 mila mq)).
La sua importanza sta nell’aver conservato materiali, impianti e tecniche costruttive, utilizzate tra il XVI e il XVIII secolo, oltre a rispecchiare l’organizzazione economica delle certose, eminentemente agraria, basata sulla coltivazione dei campi e allevamento animale e, quindi, destinata allo stoccaggio di grano, vino, olio, aceto e diversi capi di bestiame.

Per tale motivo il 23 settembre del 1982, è stata dichiarata monumento storico artistico, dunque Bene di Interesse Culturale.
La proprietà è composta da vari fabbricati, attualmente tutti in cattivo stato di conservazione, è strutturata su due livelli ed è concepita intorno ad un chiostro a forma di elle, all’interno del quale troviamo diversi ambienti di interesse storico, come la cucina che ospita al piano interrato la cantina coperta da volte in mattoni, e la piccola ma deliziosa cappella, con bellissimi affreschi sul soffitto e sulle pareti.

A questi ambienti si aggiungono altre, costruzioni ausiliarie con strutture che mantengono solo una parte del loro perimetro in altezza muraria variabile e senza alcun tipo di copertura. In origine la grangia aveva dimensioni maggiori, ma quel che resta è sufficiente per comprenderne la grandezza e l’importanza che ebbe per quel territorio, non solo di rifornire la certosa di El Paular, ma vendere prodotti per una sana economia che ne garantisse la floridità economica.

Menzione a parte il suo caratteristico ed inconfondibile ingresso principale, che presenta un grande portone architravato con bugne, chiuso da due lamiere lignee con cassettoni e chiodi. Sull’apertura spicca un frontone curvilineo delimitato da una modanatura barocca e con lo stemma di Castilla y León.

La cantina, posta nei sotterranei della grangia, fu edificata nel 1703, secondo l’iscrizione posta nell’arco di accesso. È un quadrato lungo quattro sezioni per quattro di larghezza; ognuno di questi è coperto da volte a crociera in mattoni su pilastri quadrati. Lungo le sue pareti spiccano numerose grandi giare, la maggior parte delle quali incuneate con resti di reimpiego (capitelli e basi). L’edificio dispone anche di altri due magazzini.

Il fienile, risalente al 1799, posto al piano terra sopra la cantina e costituito da un vano di analoghe proporzioni, coperto con travi in legno e volta ad intonaco su pilastri.

La cucina, alla quale si accede attraverso un piccolo chiostrino porticato su montanti lignei con basamento.  Il pavimento della cucina è realizzato con macine in pietra.

La cappella, all’interno della quale vi sono ha dipinti murali sul soffitto e sulle pareti che rappresentano l’Immacolata Concezione, la Santissima Trinità, la Pentecoste e l’Agnello Mistico. Ai lati è presente un basamento in finto marmo su cui sono rappresentati Sant’Ugo, San Antelmo e la Maddalena, l’emblema della Casa dei Borbone e lo stemma certosino. Sull’altare vi è invece un bel dipinto raffigurante l’Immacolata Concezione.

Il definitivo abbandono di questa proprietà avvenne nel 1835 con il decreto di secolarizzazione e confisca emesso da Mendizabal, che costrinse la vendita di tutti i beni dei monaci e l’abbandono dell’area. La grangia di Attualmente di Talamanca de Jarama è di proprietà privata, pur conservando la sua utilità agricola e nota per essere stata utilizzata in numerose occasioni come set cinematografico.

La seconda vita

Per i suoi suggestivi ambienti, la Grangia di Talamanca de Jarama dopo esser diventata di proprietà privata è stata scelta, negli ultimi cinquanta anni, da produttori e registi come quinta scenica per rappresentare ambientazioni riguardanti il seicento spagnolo. Questa location ha visto Marlon Brando, Sigourney Weaver, Arnold Schwarzenegger, Viggo Mortensen, Natalie Portman tra i principali attori che hanno recitato in ruoli storici. Molte sono state infatti le riprese cinematografiche di film, serie televisive e spot pubblicitari, che hanno visto protagonista l’antica grangia certosina come sfondo per la spettacolarità di questo set. Alatriste, Conan il Barbaro, I fantasmi di Goya, I quattro moschettieri, Santa Teresa di Gesù, Farinelli, Capitan Alatriste, Curro Jiménez, Águila Roja, Los Gozos y las sombras, La Celestina, Cervantes, La Cocinera de Castamar, El Ministerio del Tiempo. Sono questi i titoli delle principali pellicole, come ricorda una didascalia all’ingresso del complesso. Nel 2003 e nata Talamanca de Cine, con lo scopo di utilizzare il cinema come risorsa turistica, e in questo modo preservare e diffondere l’ampio percorso storico-cinematografico di questa città. Vi è anche celebrato annualmente, nel mese di giugno, il TALAMANCA FILM FESTIVAL.

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A seguire, due brevi video che ci faranno apprezzare la bellezza e l’importanza di questo sito, antica proprietà certosina, ed oggi importante luogo per realizzazioni cinematografiche.

Un video della certosa della Defension a Jerez

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Nell’articolo di oggi, voglio offrirvi una vera chicca che giunge dal passato, inviatami da un lettore. Trattasi di un documentario della tv spagnola “Onda Tv” di Jerez de la Frontera, prodotto nel 1991 dal titolo “La profunda vida de los cartujos“. Il video fu girato all’interno della certosa della Defension della città di Jerez, laddove vi è stata una comunità monastica certosina fino al 2001, anno in cui il Capitolo Generale decise di chiuderla. E’ stato realizzato, ovviamente, in lingua spagnola, e dopo aver fatto una introduzione al complesso monastico circa la sua fondazione e la sua storia scorreranno rare immagini della cospicua comunità certosina dell’epoca, che contava una ventina di confratelli. Essi ci mostreranno la loro vita quotidiana, attraverso una presentazione dei vari ambienti monastici, a cominciare dalla cella. Ascoltermo la mirabile esecuzione del canto gregoriano, a cui farà seguito una spiegazione del funzionamento della “tabula hebdomadaria“. A seguire una carrellata delle varie attività svolte dai Fratelli conversi che contribuiscono al sostentamento ed alla funzionalità della certosa. Vedremo l’ebanista, il fabbro ed i fratelli dediti alla coltura delle arance. Vi saranno anche immagini dello spaziamento e per finire una preziosa intervista al compianto Dom Gerardo Marìa Posada, Priore dell’epoca, di cui vi ho già parlato in precedenti articoli, che con voce pacata ci spiega alcuni aneddoti sulle certose.

A voi la visione di questo breve, ma prezioso video.

Apertura Anno Giubilare per il Beato Oddone

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Cari amici, come vi avevo già annunciato, lo scorso sabato 14 gennaio, nella città di Tagliacozzo si è svolta la solenne celebrazione di apertura dell’Anno Giubilare, concesso da Papa Francesco con decreto della Penitenzieria Apostolica in occasione degli 825 anni dalla morte del Beato certosino Oddone da Novara, morto nella città marsicana il 14 gennaio del 1198 e sepolto dal 1139 nella chiesa Madre dei Ss. Cosma e Damiano. E come vi avevo promesso, voglio raccontarvi questa giornata memorabile presieduta da Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Giovanni Massaro, Vescovo dei Marsi. Presenti alla cerimonia il Parroco don Ennio Grossi, a cui vanno i miei ringraziamenti per avermi offerto il materiale per realizzare questo articolo, e tra gli altri don Luigi Incerto, Parroco delle Comunità di Aielli, don Renato Ceccarelli, Parroco emerito della chiesa dei Ss. Cosma e Damiano, la Rev.da Madre Abbadessa, Maria Donatella Di Marzio, insieme a tutta la Comunità monastica Benedettina, il Sindaco della Città, Vincenzo Giovagnorio.

In un’atmosfera suggestiva, alle ore 17:00, nel cortile monastico antistante la chiesa, il Vescovo ha presieduto il rito di apertura della porta. Dopo la lettura del decreto della Penitenzieria Apostolica da parte di don Luigi Incerto, la porta della chiesa è stata spalancata ed il Vescovo ha varcato la soglia della chiesa con l’Evangeliario. Quindi la processione ha fatto il suo ingresso nella chiesa alla presenza dei fedeli giunti per venerare il Beato Monaco Certosino.

Nell’omelia il Vescovo ha tratteggiato la figura del Servo presentato nella Liturgia della Parola della II domenica del Tempo Ordinario applicandola all’esempio di Vita del beato Oddone: “Dio ha fiducia nell’uomo e vi si affida – mio servo sei tu Israele sul quale manifesterò la mia gloria – Dio non costruisce la propria gloria da solo ma insieme all’uomo. Dio è colui che si fida dell’uomo e compito dell’uomo è quello di abbandonarsi alle mani di Dio. Ciò che ha caratterizzato la figura del beato Oddo da Novara è proprio il suo amore per Dio, il suo abbandono in Dio. Prima di morire le ultime parole del beato Monaco furono: ‘Aspettami Signore! Ecco io vengo a Te’. Il beato Oddo da Novara si è proprio distinto per questo atto di fiducia totale in Dio”.

Durante la Celebrazione, il Sindaco, Vincenzo Giovagnorio, ha rinnovato l’offerta del cero votivo che durante tutto l’anno arderà davanti alle spoglie del beato: “Reverendissimo Padre, i Cittadini di Tagliacozzo, seguendo l’esempio dei loro avi e volendo riprendere una significativa tradizione, in occasione della solennità liturgica del Beato Oddo da Novara, Sacerdote dell’Ordine dei Certosini e Compatrono di questa Città, offrono questo cero votivo che le chiedono di benedire affinché arda, presso l’urna che contiene le venerate Spoglie, come segno di fede e di speranza e riaccenda la carità dei cuori sull’esempio del santo Uomo di Dio”. La tradizione del cero nasce per ricordare che nel passato l’Amministrazione Comunale sosteneva per intero, il 14 gennaio di ogni anno, le spese dell’organizzazione della festa in onore del beato Oddo.

Prima della Benedizione finale il Parroco, ha ringraziato Mons. Massaro e un particolare ringraziamento alla Comunità Monastica Benedettina: “Se il beato Oddo da Novara è rimasto qui in questa nostra terra – ha detto don Ennio rivolgendosi ai presenti – è stato grazie alla lungimiranza e all’insistenza delle Monache che, sperimentando la santità di questo monaco, vollero che egli rimanesse come loro confessore e guida spirituale. Se questo culto è giunto fino a noi è stato grazie alle Monache che nei secoli fino ad oggi, con affetto e devozione grande lo hanno portato avanti e alimentato”.

Don Ennio ha poi dato Lettura del messaggio inviato dal Procuratore generale dell’Ordine Certosino, Rev.mo P. Jacques Dupont: “In quanto Procuratore Generale dell’Ordine dei Certosini presso la Santa Sede, mi rivolgo a voi per porvi il saluto dei monaci certosini e delle monache certosine, assicurando la loro vicinanza particolare in questo Anno Giubilare. Non smettiamo oggi di ricorrere alla preghiera di Oddone, in primo luogo voi cittadini e cittadine di Tagliacozzo, per poter affrontare le varie insidie che troviamo sul nostro cammino di vita e più ancora di fede. Guardiamo al Beato Oddone come esempio di santità, affinché impariamo da lui a dare a Dio il posto primordiale che deve avere in tutto ciò che facciamo. Sappiamo anche come lui rinunciare ai nostri progetti quando vengono contrariati, perché sempre ci dedichiamo al servizio degli altri, soprattutto dei più bisognosi. La preghiera dei monaci certosini e delle monache certosine vi accompagna in questo Anno Giubilare, affinché si moltiplichino i frutti di grazia in speranza, amore, pace”.

Per l’occasione l’antica tela settecentesca, raffigurante il beato, è stata ricollocata nel suo altare e sotto di essa è stata esposta l’urna contenente le sue spoglie mortali.

Diverse le iniziative che in questo anno si terranno: il 14 di ogni mese un momento celebrativo in comunione con il Monastero benedettino; una mostra dedicata alla vita e al culto del Monaco certosino e un oratorio musicale, sulla figura del beato, pensato dal Parroco, musicato dal maestro Luca Bischetti ed eseguito dai Cori della città.

Le immagini che seguono faranno rivivere a tutti noi l’emozionante rito dell’apertura di questo Anno Giubilare, facendoci partecipare con il cuore e la preghiera in pia devozione del Beato Oddone.

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PREGHIERA

Signore, concedi a tutti coloro che celebrano la festa del Beato Odone, che hanno fisso lo sguardo dell’anima nella contemplazione della tua gloria, e che ,dopo aver perseverato nella fede in questa vita, risplenda in noi la luce della tua presenza nella patria celeste

La Grangia di Boffalora

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Cari amici, voglio oggi proporvi un approfondimento su di una grangia certosina.

Etimologicamente la parola grangia deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).

Furono vere e proprie tenute agricole in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un Magister Grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio).

Questa volta vi parlerò della grangia di Boffalora, in Lombardia e di proprietà della certosa di Pavia.

L’origine di questa Grangia si deve all’atto di donazione, datato 15 aprile 1396 dei vasti possedimenti appartenenti a Gian Galeazzo Visconti a favore dei monaci certosini, quale rendita destinata alla fabbrica di un monastero ed alla relativa dotazione. Da questo atto nascerà la certosa delle Grazie, comunemente nota come certosa di Pavia. Contestualmente all’erezione della certosa, i monaci pavesi avviarono i lavori della grandiosa Grangia di Boffalora, iniziando dai fabbricati dei portici con eleganti volte a crociera con il classico mattone, appoggiate su pilastri di granito i cui capitelli delle colonne, ripropongono l’ordine architettonico di tipo scudato, in tutto simili a quelli della certosa. I monaci, si insediarono in questa struttura dedicandosi alla coltivazione dei fertili campi di loro proprietà, inoltre data la posizione particolare, ovvero sulle sponde del fiume Ticino, il borgo di Boffalora, grazie alla presenza monastica, divenne ben presto fiorente e molto attivo grazie al porto sul Ticino e al Naviglio, via abituale per tutte le merci da e per Milano, mentre il fiume serviva come via di collegamento con Pavia, da dove poi le merci erano dirette al mare. I certosini non solo si dedicarono alla coltivazione dei campi e alla produzione dei beni di prima necessità, ma favorirono anche la bonifica di terreni un tempo inutilizzati, attraverso un sofisticato sistema di irrigazione che garantì un miglior utilizzo del suolo. La produzione principale furono i cereali assieme al fieno che si ricavava dal taglio stagionale dei prati, vi era anche una sparuta presenza di vigneti. Evolvendosi l’insediamento dei certosini portò anche allo sviluppo di un’osteria con alloggio (divenuta poi stazione di posta) che nell’Ottocento venne utilizzata come dogana dal governo austriaco per il punto strategico di passaggio nei pressi del ponte sul Naviglio Grande.

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Lo sviluppo economico della zona si deve alla alacre attività dei monaci, che nel 1778 richiesero la costruzione di una tra le prime filande impiantate in Lombardia.

Nel 1782 l’imperatore Giuseppe II decreta la soppressione di conventi e monasteri, tra cui la certosa di Pavia, incamerandone tutti i beni. A Boffalora i monaci pavesi possedevano 2000 pertiche di terreni, le due osterie con relative camere adibite a Stazione di Posta, la casa di propria abitazione (Ospizio), un prestino con forno, due case con quattro botteghe ciascuna, quattro case da massaro, una folla di carta (cartiera), un mulino e una pila di riso (opificio per la pulitura del riso).

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Tutti gli ambienti della Grangia certosina di Boffalora, oggi corrispondono all’attuale struttura del Municipio e collegati, i quali vennero ristrutturati negli anni ‘60 del novecento. Prima della ristrutturazione vi erano significativi elementi caratteristici della presenza della Grangia. Sul portale d’ingresso, situato allora sul fronte del Naviglio, e sulla pavimentazione di un ampio porticato sorretto da colonne, che sostenevano un loggiato con elegante parapetto in legno, era scolpita a grandi lettere la famosa sigla della certosa di Pavia: GRA-CAR (Gratiarum Cartusia – Certosa delle Grazie) quasi a ricordare l’origine di Boffalora e il legame vitale con la certosa pavese.

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Memoria liturgica di Santa Rosellina

santa Rosellina (Padula)

Cari amici di Cartusialover, spero siate stati in tanti a recitare la Novena per Santa Rosellina, di cui oggi ricorre la memoria liturgica per la Chiesa, voglio celebrarla con voi mostrandovi una curiosità.

A dimostrazione della diffusa devozione verso questa santa monaca certosina, vi parlerò oggi di una Parrocchia a lei dedicata nel centro della cittadina francese di Tolone. Vi ho narrato da questo blog, la venerazione dei fedeli, che spinse a costruire la Cappella Santa Rosellina, dove si conservano le sue spoglie mortali, e dovi vi è un’affresco realizzato nel 1975 da Marc Chagall, voglio altresì sottolineare la straordinarietà di questa devozione data dall’essersi tramandata immutata nei secoli.

Vi ho testimoniato, seppur non numerose, diverse Parrocchie nel mondo dedicate a San Bruno, ma una fede viva verso una monaca certosina provenzale vissuta nel XIV secolo, lascia davvero entusiasti!

Nelle immagini che seguono, potrete ammirare il monumentale affresco, alto più di sette metri, realizzato sull’altare maggiore di questa chiesa costruita circa ottanta anni fà, che raffigura fedelmente le tappe della vita di Rosellina. La statua in marmo sulla facciata esterna della chiesa e le vetrate che richiamano episodi della vita della certosina. La Parrocchia inoltre conserva alcune reliquie, venerate dai fedeli. In fondo alla pagina il link della Parrocchia, dove sarà possibile vedere la Santa Messa online!

Voir la célébration en direct vidéo