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La ricetta “ricostituente” certosina

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Come anticipatovi nel precedente articolo, ecco la originale “soluzione” certosina, ovvero una ricetta dedicata ai monaci malati.
Fin da quando è stato concepito, il trattato “De Esu Carnium”, dunque, è circolato all’interno delle biblioteche delle certose, diventando una sorte di manifesto identitario a cui rifarsi e condiviso da diversi medici che hanno scelto di indossare l’abito certosino. In questo ambito monastico, non bene identificato fu realizzata una particolare ricetta, palesemente ispirata ai dettami di Arnaldo di Villanova e espressamente dedicata ai Certosini ammalati ai quali “è assolutamente vietato l’uso della carne”.

ricettario cartusia

La ricetta “ricostituente” certosina

I principali componenti di questo ricostituente, sono proprio quelli consigliati da Arnaldo, vino e tuorlo d’uovo, ma la ricetta è arricchita da un’ulteriore preparazione a base di zucchero, perle polverizzate e foglia d’oro, con l’aggiunta eventuale di acqua di rose e cannella. Una ricetta anonima, elaborata in ambiente certosino, che consiste in un rimedio considerato particolarmente efficace per i monaci ammalati che dovevano riacquistare le forze senza infrangere il divieto di nutrirsi di carne.
Ecco il testo originale in latino e la sua traduzione in italiano.

Restaurativum pro Carthusiensibus infirmis qui sunt privati omnino esu carnium.

Recipe vitelle ovorum recentium duo vel tria vinum vernacie vel tyri vel

vini rubei dulcis vel optimi malvatici untias tres. Conquassentur et conmi-

sceantur vitella cum dicto vino. Et omnia simul mixta ponantur in una scu-

tella vitreata. Deinde ponatur scutella in aqua ferventi semper miscendo

cum uno colceari id quod est in scutella ne coaguletur sed deveniat admo-

dum lacteris. Postea detur infirmo. Sed prius imponatur in dicto brodio

medium colear pulveris infrascripti: Recipe margaritarum idest perlarum

que sint pulverizate untiam I, idest dragmam unam. Zuchari finissimi vel

optimi untiam unam; folia auri fini numero // decem. Misce […] et medium

coclear ut predictum […] restaurativo. Et nota quod si infirmus esset febri-

citans adde aque rosate untias II. idest dragmas duas in supradicto restau-

rativo. Quod si infirmus posset sumere ova coquantur ipsa recentia in cine-

ribus ut sint mollia ad modum lacteris. Et dentur simpliciter vitella ovi cum

cocleari pleno dicto pulvere. Postea dentur unzie due vel tres de predicto

vino optimo. Et sic infirmus restaurabitur. Potest etiam poni de predicto

pulvere in omni cibo quia mirabiliter restaurat et laetificat. In casu autem

quod non possent reperiri predicta vina, recipe de vino quod habes et po-

ne in eo de zucharo tantum quod fiat dulce. Ponatur ad ignem ut zucharus

resolvatur. Quo ab igne remoto ponatur in eo parum de optimo cynamomo

ad quantitatem unius agmidole quod vel sit minutatim incisum vel bene

pulverizatum. Et si loco zuchari haberes confectionem que dicitur Manus

Christi adhuc melius.

Explicit restaurativum pro Carthusiensibus valde optimum in infirmita-

tibus constitutis arduis. Expertum mirabilis!

“Ricostituente per i Certosini infermi che sono completamente sprovvisti di cibo”.

Prendete tuorli di uova fresche, due o tre once di vino primaverile o gomme di del vin rosso dolce o tre once della migliore malvatica. Si pesti il tuorlo d’uovo, e si mescoli col detto vino. E lascia che siano tutti mescolati insieme in una ciotola di vetro. Poi si mette il piatto in acqua bollente, mescolando sempre con una mano, in modo che quanto c’è nel piatto non si coaguli, ma diventi un composto di latte. Più tardi sarà dato ai malati. Ma prima si metta la polvere di sotto nel detto mezzo brodio: La ricetta delle perle, cioè delle perle, si polverizzi 1 oncia, cioè un dramma. Un’oncia del miglior velluto; le foglie d’oro sono in numero limitato // dieci. Mescolare […] e un cucchiaio medio come detto […] riparatore. E nota che se fosse malato di febbre, aggiungi 2 once di acqua di rose. cioè due dramme nel suddetto restaurativo. Ma se il malato potesse prendere le uova, dovrebbero essere cotte fresche nella cenere in modo che siano morbide come il latte. E gli viene semplicemente dato il tuorlo di un uovo da riempire a cucchiaiate di detta polvere. Dopo si danno due o tre once del miglior vino. E così i deboli saranno restaurati. Puoi anche mettere la suddetta polvere in qualsiasi alimento perché ripristina e rallegra meravigliosamente. Ma nel caso che i predetti vini non si trovino, fate una ricetta del vino che avete e metteteci solo zucchero quanto basta per renderlo dolce. Si pone sul fuoco per sciogliere lo zucchero. Tolto dal fuoco, mettici dentro un po’ della migliore cannella, della grandezza di un pizzico, o tritata finemente o polverizzata finemente. E se invece dello zucchero aveste una caramella chiamata la Mano di Cristo, sarebbe ancora meglio: è chiaramente un ricostituente per i certosini, ottimo nei casi di gravi infermità. Un’esperienza meravigliosa!

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La Grangia di Lauro

1Lauro

Eccoci giunti ad un’altro approfondimento su di una grangia certosina.

Torno oggi a parlarvi di una grangia, etimologicamente deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).

Furono vere e proprie tenute agricole in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un Magister Grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio).

Siamo in Campania, e la grangia di cui vi parlerò è quella di San Giacomo situata a Lauro nei pressi di Nola in provincia di Avellino. Essa è impropriamente nota come certosa, vediamone l’origine.

Essa sorse come struttura tra il 1198 ed il 1209, allorquando Papa Innocenzo III la nomina in una Bolla di quell’anno. Successivamente, nel 1211 da un documento risulta che il monastero fu eretto in un luogo detto “corte dei liciti”, per esplicita volontà di San Guglielmo da Vercelli nel 1134. Questo convento dunque nasce inizialmente come monastero Verginiano, per poi passare ai Benedettini ed a seguire ai certosini. Nel 1433, divenne una grangia della certosa di Capri, pertanto titolata a San Giacomo. Ben presto, essa divenne un centro di produzione agricolo molto rinomato, avendo già a disposizione molti ettari di terreni, possedeva, inoltre, una grande cantina con il torchio per il vino e la macina per le olive, che ancora oggi è possibile ammirare. Nel XVIII secolo fu oggetto di un completo rifacimento che gli donò nuovo splendore. Nel 1808, la proprietà confiscata, divenne una splendida dimora di campagna e, dopo accurati restauri, si è trasformata una splendida struttura alberghiera, raffinata e dotata di sale congressuali, ideali per eventi speciali e ricevimenti di classe. Il Chiostro, i porticati, la Chiesa, il Parco, la Terrazza, il Giardino dei Monaci sono stati trasformati in maniera fruibile. Nelle sale più prestigiose del complesso, si svolgono manifestazioni ed eventi culturali di alto livello.

L’ingresso dell’Hotel Certosa di San Giacomo, così impropriamente chiamato, presenta un vialone che attraversa 42 ettari del parco secolare in lieve salita, che lascia intravedere l’importante e suggestiva facciata dell’edificio. La facciata in stile vanvitelliano è stata rimaneggiata tante volte, fino ad assumere l’aspetto di quella attuale, di lavorazione ottocentesca. Suggestiva è l’illuminazione, con luci posizionate al suolo che emettono raggi luminosi dal basso verso l’alto, durante la notte questo gioco di luci rende tutto il complesso molto interessante e suggestivo, creando un’atmosfera unica nel suo genere. Le immagini che seguono potranno farci comprendere l’ imponenza di questa antica grangia.

Una perplessità da chiarire

maps Giaveno Avigliana

Recentemente, ho ricevuto da parte di alcuni lettori un quesito su di una perplessità che intendo chiarire in questo articolo, e che spero gradirete tutti.

Mi si chiedeva per quale motivo in Piemonte, in provincia di Torino, ed ad una breve distanza tra loro sorgono due certose, che spesso inducono alla confusione.

Facciamo chiarezza.

Certosa di Avigliana (1598-1630) monaci

Certosa di Giaveno (1904-1995) monache

Comprenderete, che a causa della quasi contiguità, si è ingenerato negli anni una ragionevole confusione.

Detto ciò, conosciamo la loro storia diversa per epoca e per utilizzo.

Cominciamo con la prima.

Certosa di Avigliana

veduta satellitare

La comunità della certosa di Banda subì una violenta incursione vandalica, ed in seguito a ciò si trasferì nel 1598 ad Avigliana, presso un convento abbandonato dagli Umiliati, e donatogli il 15 giugno del 1595.

Con la chiesa e il convento di Santissima Trinità viene accordato ai certosini le “vigne et alteni contigui”, un bosco, dell’estensione di 83 are, con unito un caseggiato, ai confini con Giaveno. I certosini si insediarono e trasformarono l’antica struttura per adeguarla alla propria regola, restaurarono in particolar modo il coro, la cappella della Beata Vergine delle Grazie e il chiostro. Essi dimorarono in suddetta certosa serenamente fino al 1630, quando Carlo Emanuele I di Savoia per difendere la città di Avigliana dall’attacco dei francesi, impose ai monaci di sgombrare il monastero obbligandoli a trasferirsi a Banda. Il complesso monastico fu distrutto ma Carlo Emanuele promise ai monaci che dopo la guerra avrebbe costruito una nuova certosa. Questa promessa fu mantenuta in seguito dalla figlia, la Duchessa reggente Cristina che nel 1642 fece edificare la certosa di Torino.

Cronache della zona raccontano che in seguito i certosini si occuparono della riedificazione della chiesa: la cappella del coro e l’altare. L’8 dicembre 1638 sono lì a celebrare la “solennità della Concezione della Vergine Sacratissima” e la Comunità cittadina fa voto solenne di “farvi ogni anno in quel giorno una solenne processione da cominciarsi e finirsi ad essa cappella come sin qui si pratica col canto della Messa grande, Vespri, comunioni numerose et altre divozioni”. I monaci rientrano definitivamente in possesso di quello che è rimasto degli edifici e dei terreni circostanti. Si dedicano soprattutto alla completa ricostruzione della chiesa: le dimensioni sono più modeste. Viene intitolata alla Beata Vergine delle Grazie, ad essa vi affiancano un’abitazione e un caseggiato rustico per la conduzione dei terreni.

Oggi, possiamo ammirare la cappella, dedicata alla Madonna delle Grazie che sorge fuori le mura del Borgo Nuovo presso la Porta Folla.
L’attuale breve navata aderisce al coro, parzialmente scampato alla demolizione del convento, e divenuta certosa dal 1595 fu riedificata successivamente al culto dagli stessi monaci, cui si deve l’intitolazione attuale, fu da essi officiata fino al 1733, quando venne ceduta al farmacista Gallizio di Avigliana, che la utilizzò come cappella privata della propria contigua residenza, l’attuale scuola elementare Norberto Rosa.

Certosa di Giaveno

veduta satellitare

In un convento francescano fondato nel 1515 dal Beato Tommaso Illirico, situato lungo la strada panoramica che, all’imbocco della Val di Susa, si arrampica fino alla Sacra di San Michele, l’ordine certosino istituì una casa rifugio per le monache in fuga dalla Francia. Provenienti dalla certosa di Beauregard, esse vi si insediarono nel 1904. Soltanto alcuni anni dopo, nel 1912 essa divenne certosa autonoma, ospitando una piccola comunità femminile, comprendente un noviziato per le monache del coro e per le suore laiche. Nel 1994 la comunità di consorelle certosine si trasferì nella certosa di Dego. Dopo lunghi e impegnativi lavori di restauro, l’ex certosa di San Francesco (della Mortera) è stato riaperta nel 2011 come “luogo di riposo e riflessione”. Il Gruppo Abele si attivò per l’acquisto e per il restauro – un intenso lavoro durato 18 anni – affinché rimanesse luogo fedele alla sua storia. Il complesso è attualmente gestito dall’associazione Certosa1515 Onlus, ancora oggi qualcuno la chiama erroneamente certosa di Avigliana, confondendola con la precedente che vi ho descritto. Le foto satellitari e le immagini che accludo, sapranno fugare la confusione. 

foto con monaci

Cartolina con monaci certosini che assicurano, le funzioni sacerdotali alle monache.

Dalla Polonia un omaggio ai certosini

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Lo scorso 19 novembre all’incirca alle ore 13, la scultrice Irena Brzeska ha installato nel parco antistante la certosa di “Marienparadies” deliziose sculture lignee per omaggiare e far ricordare la presenza monastica certosina. La certosa, di cui vi ho parlato in un precedente articolo, fu fondata nel 1381 nei pressi di Gdansk (Danzica) in un luogo che oggi è una città della Casciubia, o Pomerania Orientale, regione della Polonia nord-occidentale chiamata Kartuzy, la quale ha preso questo nome a causa dell’antico complesso monastico certosino anticamente attivo.

L’istmo tra i laghi Karczemne e Klasztorne era un sito ideale per svolgere la vita monastica certosina, un vero “desertum”. Fu qui che i monaci decisero di stabilirsi. L’8 agosto 1381 fu dunque posta la prima pietra del futuro monastero.

La gradevole installazione

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Le sculture sono concepite come un racconto in legno e cartone, con cinque piccole edicole, poste su tronchi di alberi ormai caduti, all’interno delle quali statuine lignee raffiguranti i monaci certosini ed iscrizioni che narrano la storia di “Marienparadies”. Una splendida iniziativa, che l’artista Brzeska ha voluto fortemente con l’intento di ravvivare e divulgare la storia della presenza monastica a cui la citta Kartuzy deve l’origine del suo nome. Le piccole sculture incise a mano, sono accattivanti ed attraenti soprattutto per i bambini ed i giovani, ai quali è prevalentemente diretto il messaggio sociale e didattico.

A seguire alcune immagini di questa gradevole installazione, perfettamente integrata nel contesto ambientale. Giunga il mio plauso all’artista Irena Brzeska, la quale ha omaggiato la presenza certosina in Polonia.

Progetto della Società degli amici dei certosini – sculture, idee e progetti Irena Brzeska – le sculture si trovano nel Kartuzy Lovers Park –

Dom Bonaventure Eymin

Il personaggio di cui voglio parlarvi nell’articolo odierno, è un certosino che fu nominato Priore Vicario Generale dell’Ordine, ma per un tempo brevissimo. Conosciamone la sua storia.

Bonaventure Eymin, era entrato alla certosa di Valbonne dove fece la professione solenne, ma solo successivamente fu nominato priore alla certosa di Durbon. Era in carica quando scoppiò la Rivoluzione Francese, e pertanto dovette rifugiarsi nella certosa svizzera di la Part-Dieu. Fu qui che ebbe l’opportunità di conoscere il Reverendo Padre Vicario Generale, Dom Romuald Moissonnier, che seppe apprezzare la sua scienza, le sua virtù e la sua prudenza.

Quando nel luglio del 1816 Dom Romualdo, partì per raggiungere la Grande Chartreuse, consapevole della sua imminente morte, volle nominare colui che avrebbe ricoperto, dopo di lui, l’ufficio di Vicario Generale; scelse dunque senza esitazione Dom Bonaventura Eymin. Dopo la morte di Dom Moissonnier avvenuta undici giorni dopo del suo arrivo alla Grande Chartreuse, il nuovo Vicario Generale dovette lì recarsi per presiedere all’elezione di un Generale.

Il 16 settembre 1816, Dom Grégoire Sorel fu nominato Priore della Certosa e Generale dell’Ordine. I tre Vicari e Generali, che erano stati a capo dell’Ordine durante la Rivoluzione francese, cessarono allora il ruolo che avevano così degnamente svolto. Dom Eymin fu, successivamente, con il consenso della Santa Sede, nominato Coadiutore del Generale, il 16 settembre 1822; ma non poteva rendere alcun servizio al reverendo padre Sorel. Il giorno stesso in cui doveva iniziare il suo nuovo ufficio, infatti, si ammalò e morì pochi mesi dopo, il 18 dicembre 1822, dopo aver edificato i suoi fratelli con la sua umiltà ed immensa pietà.

Dom Bonaventure Eymin aveva vissuto cinquantasette anni nell’Ordine dei Certosini.

Dal Giappone una originale richiesta

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L’articolo odierno trae spunto da una e mail ricevuta dal Giappone, in essa un lettore del blog mi chiede informazione circa un liquore da lui bevuto ed acquistato in Italia tanti anni fa! In allegato alla missiva vi erano delle fotografie che hanno chiarito di cosa esattamente si trattasse. Ho dunque deciso di spiegare a lui ed a tutti voi la storia e l’origine di quella bottiglia da lui posseduta.

Trattasi dell’Amaretto, prodotto nella certosa di Farneta.

Ma da quando e fino a quando ciò avveniva?

Agli inizi degli anni Settanta fu impiantata l’attività di distilleria, utilizzando alcune ricette provenienti dalla vicina Certosa del Galluzzo di Firenze. Furono così prodotti diversi tipi di liquore, tra cui ricordiamo il Gran Liquore Certosa Verde, con 15 qualità di erbe, 5 tipi di scorze di agrumi, 45° C; il Gran Liquore Certosa Giallo, 300 C, digestivo con essenze di agrumi ed erbe aromatiche; la China, l’Amaro Certosino, il Nocino, l’Elisir di Caffè, e l’Amaretto del nostro amico nipponico, il Rhum, l’Alchermes e l’Elisir della Salute, realizzato secondo un’antica formula, con resine naturali ricavate da conifere e con 16 qualità di erbe tonico-digestive, lasciate in infusione nell’alcol a cui erano aggiunte le resine (48°C).

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Purtroppo, alla fine degli anni novanta, nuove normative in materia di igiene e di sicurezza degli impianti, che avrebbero costretto i religiosi a profonde e costose modifiche delle attrezzature, impedirono ai monaci di proseguire tale produzione. «La burocrazia – spiegò il Priore di Farneta – cominciava a richiedere un impegno troppo gravoso. Qui sono sempre stati impiegati metodi artigianali nella lavorazione e ci sarebbe stato difficile adeguarci alla nuova normativa. Ci avrebbe distolto dal nostro compito fondamentale, che è quello di dedicarci alla pregheria. Ora avremo più tempo per questo e ne siamo contenti, così come la casa madre in Francia». Dispiace per coloro che erano fedeli acquirenti dei nostri prodotti, aggiunse il Priore, «Ma quello che era importante era il dosaggio, la giusta miscela tra le erbe. La ricetta è passata nel corso dei decenni da fratello a fratello e che resterà un segreto custodito dalle mura del convento».

La chiusura della distilleria della certosa a Farneta segnò comunque la fine di un’epoca, ringrazio l’amico giapponese che mi ha dato la possibilità di raccontare una antica tradizione scomparsa.

Preziose dunque sono le pochissime bottiglie che ancora sono in circolazione.

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Una lieta notizia

 

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Cari amici voglio iniziare questo mese di settembre con una bella notizia, seppur scarna di particolari ma di gran rilievo. Condivido con voi, la gioia di aver appreso che lo scorso 22 maggio nella piccola cappella esterna della certosa statunitense della Trasfigurazione, un giovane sacerdote è stato ordinato certosino.

Si tratta di Rob Kennedy, ex seminarista diocesano, il quale ha deciso di diventare un Padre certosino. Dom Maximus Marie Kennedy è il suo nuovo nome a seguito della intima cerimonia presieduta dal Vescovo Salvatore Matano di di Rochester.

L’unica preziosa immagine ci testimonia la sobrietà della funzione, al neo certosino giungano le nostre preghiere per il suo cammino monastico affinchè sia lungo e luminoso. Che San Bruno lo protegga!

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San Bruno in Cile

parrocchia

Cari amici lettori, negli scorsi mesi di aprile e giugno vi ho proposto due articoli riguardante due parrocchia dedicate a San Bruno, in Costa Rica ed in Messico. Dopo un mio appello rivolto a chiunque conoscesse altre parrocchie dedicate al fondatore dei certosini nel mondo, ecco un’altra segnalazione.

Trattasi della “Parrocchia San Bruno” a Ñuñoa, poco distante da Santiago, la capitale del Cile.

La Parrocchia di San Bruno, Fondatore dei Certosini, è stata eretta con decreto di Sua Eccellenza Monsignor José Horacio Campillo Infante, datato 24 maggio 1937.

Da allora la devozione verso san Bruno in questa parrocchia cilena è sempre stata viva, e le immagini che seguono vi faranno apprezzare l’amore di questa comunità molto attiva.

In Sudamerica, in un paese dove non vi è una certosa il culto per San Bruno è molto sentito, appuntamento molto atteso le celebrazioni del 6 ottobre, regolarmente precedute da una partecipata Novena.

Nel ringraziare chi mi ha segnalato la presenza di questa parrocchia bruniana, colgo l’occasione per invitare chiunque ne conosca altre, di segnalarmele.

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Il “cardinale della pace” e La Valsainte

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In un precedente articolo, da questo blog, vi ho già parlato del privilegio del cardinale svizzero Charles Journet, che ottenne di essere seppellito nel cimitero della certosa di La Valsainte. Oggi, invece vi parlerò di un altro cardinale che per trentacinque anni è stato sepolto sull’altare maggiore della certosa svizzera.

Ma ciò, come fu possibile?

Proverò ad illustrarvi questa vicenda, che portò il cardinale spagnolo Francisco de Asís Vidal y Barraquer a trovarsi in certosa nel giorno della sua morte.

Egli nacque a Cambrils, a sud di Barcellona il 3 ottobre del 1868. Dopo aver completato gli studi liceali ed in seguito aver conseguito la laurea in giurisprudenza, esercitò la professione forense per qualche tempo, ma nel 1895 decise di entrare in seminario a Barcellona. Ordinato sacerdote il 17 settembre 1899, esercitò il ministero nella curia della sua diocesi. Il 10 novembre del 1913 fu consacrato vescovo titolare di Pentacomia e l’anno successivo nominato amministratore apostolico della diocesi di Solsona. Il 7 maggio del 1919 fu inviato alla sede arcivescovile di Tarragona. Nel concistoro del 7 marzo 1921 Papa Benedetto XV lo elevò al rango di cardinale.

Durante la sua attività, in Spagna vi furono eventi politici che ne determinarono il corso della sua esistenza. Fu dapprima accusato ingiustamente di essere catalanista e quindi avverso alla monarchia, mentre successivamente, allo scoppio della guerra civile nel 1936, conobbe personalmente gli orrori della persecuzione anticlericale. Il 21 luglio 1936 lasciò il suo palazzo arcivescovile e fu trasferito a Poblet, dove fu arrestato due giorni dopo da elementi della FAI (Federazione Anarchica Iberica) e imprigionato a Montblanch, ma riuscì a farsi liberare ed il 30 luglio si imbarcò a Barcellona per l’Italia, passò per Roma e in seguito si stabilì nella Certosa di Farneta, vicino Lucca, dove vi rimase fino al 1939. Trascorse un periodo tra le mura certosine, dedicandosi al silenzio ed alla preghiera, riuscendo a conciliare i suoi impegni.

Il “cardinale della pace”, come era ribattezzato Vidal y Barraquer si rese protagonista di un episodio che lo costrinse a rimanere in esilio per il resto della sua vita terrena. Difatti egli si rifiutò di firmare la lettera collettiva dell’episcopato spagnolo che rappresentava l’approvazione di una delle due parti in lotta. Il suo atteggiamento pastorale non gli permise di escludere nessun cittadino spagnolo dalla sua attività a favore della pace. Il cardinale addirittura si offrì come ostaggio per evitare gli eccessi dei suoi compatrioti. Per questa sua decisione, il governo del dittatore Francisco Franco si oppose al suo ritorno a Tarragona, una volta terminata la guerra. E’ singolare che nonostante la lontananza forzata dalla sua diocesi, Papa Pio XII non chiese mai le sue dimissioni, tenendolo sempre a capo dell’arcidiocesi. Si narra che gli inverni li trascorreva a Farneta, mentre nel periodo estivo si recava alla certosa svizzera di La Valsainte. A causa delle turbolenze della guerra mondiale, decise di rimanere nella certosa elvetica ritenuta più sicura poichè sita in territorio neutrale.

Lunedì 13 settembre del 1943, all’età di 74 anni il cardinale Francisco de Asís Vidal y Barraquer, morì in esilio.

Cardinale Vidal

La cerimonia funebre fu caratterizzata da una solenne semplicità, il Padre Priore Dom Nicolas Barras e tutta la comunità certosina di La Valsainte si strinsero al feretro da loro composto, alla presenza di pochissimi amici, tra cui monsignor Charles Journet. Successivamente le spoglie mortali del cardinale furono sistemate sull’altare maggiore della chiesa della certosa, dove rimasero per trentacinque anni. Difatti, nel suo testamento egli espresse il desiderio che le sue spoglie potessero essere trasferite un giorno nella cattedrale di Tarragona, e sepolte vicino alla tomba del suo vescovo ausiliare, Manuel Borrás. Queste volontà testamentarie furono finalmente esaudite il 13 maggio del 1978.
Questa storia che vi ho voluto narrare fa luce su un personaggio dedito alla pace che visse in un periodo tormentato da violenze e persecuzioni, e che trovò ospitalità presso i certosini.

altare dove riposavano i resti

Oggi a La Valsainte vi è una targa che ricorda quella particolare sepoltura con l’iscrizione: “Ho amato la giustizia e ho detestato l’iniquità; ecco perché muoio in esilio. 13 settembre 1943 “. D’altronde va ricordato che il motto episcopale del cardinale Vidal era: diligite alterutrum” (“amatevi l’un l’altro”).

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Una triste ricorrenza

Quel triste 23 aprile 1903

Oggi 29 aprile, in occasione della ricorrenza di un ignobile anniversario che riguarda l’espulsione subita dai certosini della Grande Chartreuse in questo triste giorno del 1903, voglio proporvi un documento eccezionale.

Ma prima una premessa, cosa accadde nelle settimane precedenti quel mercoledì 29 aprile?

La Camera dei Deputati, nonostante qualche velata opposizione, il 26 marzo si era opposta alla richiesta di autorizzazione a continuare a svolgere vita monastica fattagli pervenire dalle autorità dell’Ordine, con una lettera del Priore Generale Dom Michel Baglin.

E di conseguenza, dal 31 marzo fu deciso di inviare in Inghilterra il Noviziato presente nella Grande Chartreuse. Successivamente gli anziani e gli ammalati furono distribuiti tra le varie case all’estero. La produzione del liquore fu spostata a Tarragona, in Spagna. Dodici Padri e dieci Fratelli decisero di rimanere nella Grande Chartreuse fino alla fine.

Lo stesso 31 marzo, la prima camera del tribunale civile di Grenoble nominò il signor Henri Lecouturier, arbitro commerciale a Parigi, liquidatore dei beni dei certosini. Il giorno seguente, mercoledì primo aprile fu notificato al RP Generale, il primo diniego di autorizzazione, in secondo luogo fu indicato il tempo di quindici giorni concesso alla comunità per sciogliersi e lasciare i locali. L’11, dopo la deliberazione, i certosini, in piena conformità con le risoluzioni del Capitolo generale decisero: sarebbero rimasti e avrebbero ceduto solo alla violenza!

Ma ecco il documento di cui vi parlavo, una lettera dal tono vibrante del Reverendo Padre Dom Michel Baglin destinata al Primo Ministro Emile Combes.

Il 14 aprile, alle quattro del pomeriggio, padre Dom Michel, priore della Grande Chartreuse e Generale dell’Ordine, ha così consegnato al signor Urbain Poncet, avvocato presso la Corte d’appello di Grenoble, la lettera da lui inviata a Emile Combes.

Questa lettera fu pubblicata la sera seguente e la mattina seguente dai giornali:

Signor Presidente del Consiglio, scadranno i termini che gli agenti della sua amministrazione credevano di poter fissare per la nostra permanenza alla Grande Chartreuse. Ora, primo, hai il diritto di sapere che non abbandoneremo il posto di penitenza e intercessione dove è piaciuto alla Provvidenza di collocarci. La nostra missione qui è soffrire e pregare per il nostro caro Paese: solo la violenza fermerà la preghiera sulle nostre labbra.

Purtroppo, nei giorni difficili in cui regna l’arbitrio, è necessario prevedere le contingenze più tristi; e poiché, nonostante la giustizia delle nostre richieste, è possibile che un colpo di forza improvvisamente ci disperda e addirittura ci butti fuori dalla nostra patria, vorrei dirti oggi che ti perdono, a nome mio personalmente e in il nome dei miei colleghi, le varie procedure, così poco degne di un capo di governo, che avete impiegato nei nostri confronti. In altri tempi, l’ostracismo non disdegnava, come fa oggi, armi apparentemente leali.

Tuttavia, crederei che sto venendo meno al dovere della carità cristiana se, al perdono che ti concedo, non aggiungessi un consiglio salutare insieme a un avvertimento serio. Il mio doppio carattere di sacerdote e religioso mi autorizza indiscutibilmente a rivolgermi a entrambi, per fermarvi, se avete ancora qualche traccia di cautela, nell’odiosa e inutile guerra che state conducendo contro la Chiesa di Dio.

Così, su vostro urgente invito e sulla produzione di un documento di cui non dovreste, a quanto pare, ignorare la manifesta falsità, una Camera francese ha condannato l’Ordine di cui Nostro Signore mi ha stabilito come Capo. Non posso accettare questa frase ingiusta; Non lo accetto; e, nonostante il mio sincero perdono, chiedo la revisione, secondo il mio diritto e mio dovere, da parte dell’infallibile Tribunale di Colui che è costituito nostro Giudice Sovrano. Pertanto, – presti particolare attenzione alle mie parole, signor Presidente del Consiglio, e non abbiate fretta né di sorriderle, né di considerarmi un fantasma di un’altra epoca, – di conseguenza verrete con me davanti a questo Tribunale di Dio. Là, niente più ricatti, niente più artifici di eloquenza, niente più effetti tribunali o manovre parlamentari niente più documenti falsi o una maggioranza compiacente; ma un giudice calmo, giusto e potente, e una sentenza senza appello, contro la quale né tu né io possiamo protestare.

A presto, Signor Presidente del Consiglio!

Non sono più giovane e tu hai un piede nella tomba. Preparati, perché il confronto che ti sto annunciando ti riserverà emozioni inaspettate. E, per quest’ora solenne, conta più su una sincera conversione e una seria penitenza che sulle capacità e sui sofismi che risparmiano i tuoi fugaci trionfi.

E poiché il mio dovere è restituire il bene per il male, pregherò, o, per dirla meglio, noi certosini, di cui avete decretato la morte, continueremo a pregare il Dio delle misericordie, che perseguitate così stranamente nei suoi servi , affinché ti conceda il pentimento e la grazia di salutari riparazioni.

 Signor presidente del Consiglio, sono il vostro umilissimo servitore.

Fratello Michel Baglin, Priore della Grande Chartreuse.

Dom Michel Baglin

Quello che accadde il 29 aprile del 1903 resta una pagina tristissima della storia dell’Ordine certosino.

Ma cosa accadde poi ai protagonisti principali di questa vicenda?

Combes Dom Baglin

                       Emile Combes                                                          Dom Michel Baglin

Ebbene, Emile Combes morì il 25 maggio del 1921, mentre Dom Miche Baglin terminò i suoi giorni terreni piamente il 20 gennaio del 1922. Ebbe dunque tutto il tempo di pregare per l’anima dello sfortunato uomo che lo aveva preceduto nell’aldilà ed al quale, come abbiamo visto nella lettera che vi ho proposto, aveva preso appuntamento davanti alla Corte del Sovrano Giudice. Entrambi in breve tempo sono apparsi davanti a Dio, il persecutore e la sua vittima.

Possa Dio averli ammessi per l’eternità a godere della Sua Luce.