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  • Memini, volat irreparabile tempus

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La Nube della non-conoscenza 75

NUBE

CAPITOLO 75

Alcuni segni attraverso i quali possiamo sapere con certezza se siamo chiamati da Dio al lavoro della contemplazione.

Non tutti quelli che leggono, o sentono leggere o parlare di questo libro, e che leggendolo o ascoltandone la lettura lo ritengono una cosa buona e piacevole, sono per ciò stesso chiamati da Dio a intraprendere il lavoro contemplativo, per il semplice fatto di provare dentro di sé una piacevole sensazione durante una lettura di tal genere. Può darsi benissimo che questo stimolo interiore provenga dalla curiosità dell’intelligenza naturale, piuttosto che da una chiamata della grazia. Ma se vogliono verificare l’origine di questo impulso, possono farlo a questo modo, se sono d’accordo. Per prima cosa facciano un serio esame, per vedere se in precedenza hanno fatto tutto il possibile per prepararsi convenientemente alla purificazione della loro coscienza, secondo il giudizio della santa chiesa e d’accordo con il proprio direttore spirituale. Se le cose stanno così, tanto meglio. Ma se vogliono conoscere con più esattezza le proprie disposizioni d’animo, osservino attentamente se quest’impulso richiama sempre più la loro attenzione, tanto da diventare più abituale di ogni altra devozione spirituale. E se giungono alla convinzione che non c’è cosa che essi facciano, materiale o spirituale, che riceva un’adeguata approvazione da parte della loro coscienza, senza che questo piccolo segreto slancio d’amore non stia a capo, in senso spirituale, di tutto il loro operato; se questa, dunque, è la loro sensazione, allora è segno che sono realmente chiamati da Dio alla contemplazione, altrimenti no. Non intendo dire che quest’impulso deve durare per sempre e riempire in continuazione la mente di quelli che son chiamati al lavoro contemplativo. No, non è affatto cosa. In un giovane contemplativo ancora alle prime armi, questa reale sensazione viene spesso a mancare per una serie di motivi. Talvolta questo si verifica perché egli non abbia ad assumere un atteggiamento di sufficienza, o a pensare che sia in gran parte in suo potere di avere questa grazia quando e come gli pare. Un pensiero di tal genere sarebbe segno di orgoglio. Ora, quando la sensazione della grazia viene a mancare, è sempre l’orgoglio la causa prima; non tanto l’orgoglio che effettivamente c’è, ma quello che potrebbe esserci, se non venisse meno la percezione della grazia. Ecco perché è facile trovare dei giovani stolti che ritengono Dio loro nemico, quando invece è lui il loro miglior amico. A volte la grazia della contemplazione viene meno a motivo della poca cura con cui gli uomini vi corrispondono: in tal caso essi sentono immediatamente una pena acutissima e straziante, che li divora come un cancro. Altre volte nostro Signore ritarda questa sensazione di grazia secondo un piano prestabilito, perché vuole, in tal modo, che essa cresca e venga apprezzata maggiormente: è quel che capita quando una cosa, da lungo tempo smarrita, viene infine ritrovata. Questo è uno dei segni più importanti e più sicuri che uno possa avere per conoscere se è chiamato o meno alla contemplazione: se sa che, dopo un ritardo di tal genere e una lunga inattività nel lavoro della contemplazione, improvvisamente quella sensazione ritorna, come di fatto avviene, senza far ricorso a nessun mezzo. Allora egli possiede dentro di sé un fervore ancor più intenso e una passione ancor più viva nei riguardi della contemplazione, di quanto non abbia mai avuto prima. A tal punto che spesso, io credo, la gioia per il ritrovamento di quello slancio d’amore è ancor più grande del dolore per la sua perdita. Se capita così, è senz’altro segno autentico e inconfondibile che Dio chiama a diventare contemplativi, quale che sia la propria vita presente o passata. Non è, infatti, quello che sei, né quello che sei stato, ciò che Dio vede con i suoi occhi misericordiosi, bensì ciò che tu potresti essere. E s. Gregorio afferma che «tutti i desideri santi crescono quando vengono dilazionati; ma se svaniscono in attesa della loro realizzazione, allora non erano nemmeno desideri santi». Chi sente sempre di meno la gioia di ritrovare o riscoprire, sotto forme nuove e impreviste, i vecchi desideri del cuore, può star certo che, anche se questi sono desideri naturali di bene, tuttavia desideri santi non lo sono mai stati. Di questo santo desiderio parla s. Agostino, quando dice che «tutta la vita di un buon cristiano non è altro che un santo desiderio». Addio, amico spirituale, ricevi la benedizione di Dio e la mia. E prego Dio onnipotente perché la vera pace, il buon consiglio, il conforto spirituale in Dio e l’abbondanza della sua grazia siano sempre con te e con tutti quelli che lo amano su questa terra. Amen.

Fine

A questo punto, cari amici lettori per meglio fissare quanto abbiamo letto o per chi volesse ascoltare anzichè leggere, ecco per voi un video riepilogativo dal capitolo 61 al 75. Nella sezione download, potrete trovare i sei video riepilogativi.

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La Nube della non-conoscenza 74

NUBE

CAPITOLO 74

Un’anima particolarmente portata a fare questo lavoro non può leggere o parlare o sentire qualcun altro leggere o parlare del contenuto di questo libro, senza provare una vera e propria consonanza con il fine a cui tende questo stesso lavoro; vi si ripete la raccomandazione del prologo.

Se ti sembra che questa maniera di lavorare non sia adatta alle tue disposizioni spirituali e fisiche, puoi pure metterla da parte e, in seguito al consiglio di un buon padre spirituale, prenderne un’altra in tutta sicurezza e senza alcun biasimo. In tal caso ti pregò di scusarmi, perché avrei voluto esserti di aiuto con questo scritto dettatomi dalla mia semplice scienza: questa, e non altra, era la mia intenzione. Pertanto, leggi questo libro da cima a fondo per due o tre volte, e più lo leggerai, meglio è, perché sarai in grado di comprenderlo sempre di più. E così una frase che magari ti era assolutamente incomprensibile alla prima o alla seconda lettura, poco dopo ti sembrerà facilissima. Sì, mi sembra impossibile che un’anima particolarmente portata a un simile lavoro possa leggere o parlare, o sentire qualcun altro leggere o parlare di questo argomento, senza provare subito dentro di sé una vera e propria consonanza con il fine a cui tende l’insegnamento che ti ho trasmesso. Se dunque hai l’impressione che questo lavoro ti fa del bene, ringrazia Dio di tutto cuore e, per l’amore di Dio, prega per me. Fa’ come ti dico! E ti prego, per l’amore di Dio, di non far vedere a nessuno questo libro, a meno che si tratti di qualcuno che sia adatto alla contemplazione, secondo quanto tu stesso puoi trovare più indietro, là dove ho spiegato quali uomini debbano intraprendere questo lavoro e quando debbano cominciarlo. Se fai vedere il libro a una persona del genere, allora ti prego di raccomandarle di spendere tutto il tempo necessario per esaminarlo fino in fondo. Vi può essere, magari, qualche argomento, all’inizio come in mezzo, lasciato in sospeso e non completamente sviluppato là dove si trova. Ma se non è trattato compiutamente in quel posto, lo sarà più avanti o comunque alla fine. Così, se uno dovesse prendere in esame solamente una parte e non l’altra, potrebbe facilmente cadere in errore: ecco perché ti prego di fare come ti dico. E se c’è una particolare questione che, secondo te, andrebbe trattata in modo più chiaro, fammi sapere qual è, e anche la tua opinione in proposito; da parte mia farò di tutto per spiegarmi con più completezza e secondo il mio limitato sapere. Non è stato affatto nelle mie intenzioni che i ciarloni, gli adulatori, i falsi modesti, i pettegoli o i maldicenti è ogni sorta di mettimale vedessero questo libro. Non è per essi che ho scritto. Per questo vorrei che ne facessero a meno loro e anche tutti quegli uomini, dotti o ignoranti, che sono semplicemente curiosi. Se fossero anche buone persone, eccellenti nella vita attiva, questo libro non fa per loro.

La Nube della non-conoscenza 73

NUBE

CAPITOLO 73

A somiglianza di Mosè, Bezaleel e Aronne, che si occuparono dell’Arca dell’Alleanza, simbolo della contemplazione, noi arriviamo in tre maniere diverse a questa grazia della contemplazione.

Secondo l’Antico Testamento, i tre uomini che più si occuparono dell’Arca furono Mosè, Bezaleel e Aronne. Mosè imparò da nostro Signore, là sul monte, come doveva essere fatta. Bezaleel la realizzò e la costruì nella valle, seguendo il modello che era stato mostrato sul monte. Aronne, infine, ebbe il compito di custodirla nel tempio, e poteva vederla e toccarla tutte le volte che lo voleva. Questi tre esempi ci indicano le tre diverse maniere con cui giungiamo alla grazia della contemplazione. A volte vi arriviamo solo per grazia, e allora siamo simili a Mosè, il quale, nonostante la difficile salita e il duro lavoro sul monte, non poteva vedere l’Arca se non raramente, solo quando a nostro Signore piaceva mostrargliela, e non come ricompensa per tutto il suo lavoro. Altre volte vi arriviamo in forza della nostra stessa penetrazione spirituale, con l’aiuto e l’assistenza della grazia, e allora siamo simili a Bezaleel, il quale non era in grado di vedere l’Arca prima ancora di averla fatta con le sue stesse mani, seguendo il modello mostrato a Mosè sul monte. Infine, noi vi arriviamo grazie all’insegnamento di qualcun altro, e allora siamo simili ad Aronne, il quale aveva l’incarico di custodire l’Arca che Bezaleel aveva precedentemente realizzato e costruito con le sue stesse mani; egli aveva altresì la facoltà di vederla e toccarla tutte le volte che lo voleva. Vedi, amico spirituale, per quanto il linguaggio sia infantile e improprio, in questo lavoro io faccio la parte di Bezaleel, anche se sono una creatura miserabile e assolutamente indegna di insegnare agli altri: ecco quindi che io costruisco e depongo in qualche modo nelle tue mani questa specie di arca spirituale. Ma se vuoi diventare un Aronne, devi lavorare ancor meglio di me, e in maniera più eccelsa; ciò significa che non devi mai smettere un momento di attendere alla contemplazione, per il tuo bene e anche per il mio. Fa’ come ti dico, te ne prego, per l’amore di Dio onnipotente. E dal momento che siamo tutt’e due chiamati da Dio a diventare contemplativi, ti scongiuro, per l’amore di Dio, di colmare da parte tua quel che manca in me.

La Nube della non-conoscenza 72

NUBE

CAPITOLO 72

Il contemplativo non può giudicare un altro in base alla sua esperienza.

Da tutto questo puoi ben capire che l’uomo a cui è dato di giungere alla contemplazione perfetta e di farne esperienza, ma solo dopo un enorme lavoro e in rare occasioni, può facilmente cadere in errore se si mette a parlare, a pensare o a dar giudizi sugli altri uomini in base alla sua esperienza personale, perché ritiene che anch’essi non vi possano giungere che raramente e dopo un enorme lavoro. Allo stesso modo, l’uomo in grado di contemplare quando vuole, può facilmente cadere in errore se giudica gli altri prendendo come metro se stesso e dicendo che anch’essi sono in grado di contemplare quando vogliono. Lascia perdere tutto questo: no, non è certamente così che si deve ragionare. Infatti, quando a Dio piace e se lui vuole, può darsi che quelli che in un primo momento raggiungono la contemplazione solo di rado, e dopo un enorme lavoro, in seguito possano arrivarci quando vogliono e tutte le volte che a loro piace. Un esempio a questo proposito l’abbiamo ancora in Mosè, il quale dapprima non poteva vedere la forma dell’Arca se non raramente e dopo un enorme lavoro, là sul monte; ma in seguito era in grado di vederla nella valle tutte le volte che lo voleva.

La Nube della non-conoscenza 71

NUBE

CAPITOLO 71

Alcuni riescono ad avere l’esperienza della contemplazione perfetta solo nell’estasi, altri invece quando vogliono e nelle normali condizioni di vita spirituale.

Certi ritengono la contemplazione una materia così difficile e pericolosa che, affermano, non vi si può arrivare senza aver fatto in precedenza una gran mole di lavoro e una fatica enorme. Dicono, inoltre, che la si ottiene raramente, e solo in un momento d’estasi. A costoro voglio rispondere, misero come sono, dicendo che tutto dipende dalla volontà e dal beneplacito di Dio, oltre che dalla capacità e predisposizione dell’anima in ordine alla grazia della contemplazione e del lavoro spirituale di cui sto parlando. Indubbiamente ci sono alcuni che senza una lunga e impegnativa preparazione spirituale non vi possono arrivare. E quand’anche giungano alla pienezza della contemplazione, tutto ciò non capita che raramente, e grazie a una chiamata tutta particolare da parte di nostro Signore: è quella che noi chiamiamo «estasi». Ci sono altri, però, che hanno l’animo così sensibile all’azione della grazia, e hanno una tale familiarità con Dio durante la contemplazione, che possono immergervisi quando vogliono e nelle normali condizioni di vita: si trovino seduti o in cammino, in piedi o in ginocchio. E in tutto questo tempo rimangono nel pieno possesso delle loro facoltà fisiche e spirituali, e possono farne uso, se lo desiderano; naturalmente incontrano delle difficoltà, ma niente affatto eccessive o insormontabili. Prototipo degli uni è Mosè; degli altri Aronne, il sacerdote del Tempio. Infatti la grazia della contemplazione è raffigurata nell’Antico Testamento dall’Arca dell’Alleanza, e i contemplativi sono raffigurati da coloro che più dovevano occuparsi dell’Arca, come la storia ci insegna. Ed è perfettamente corretto paragonare questa grazia e questo lavoro all’Arca, perché come l’Arca conteneva tutti i gioielli e le reliquie del Tempio, così questo piccolo atto d’amore diretto verso la nube della non-conoscenza contiene dentro di sé tutte le virtù dell’anima umana, che è il tempio spirituale di Dio. Mosè, prima ancora di poter vedere l’Arca e di sapere in qual modo doveva essere fatta, salì con lungo sforzo e grande fatica fin sulla cima del monte, e restò lì a lavorare in una nube per sei giorni, aspettando il settimo giorno perché Dio acconsentisse a mostrargli la maniera di costruire l’Arca. Il lungo lavoro di Mosè e la sua visione tardiva, stanno a indicare coloro che non riescono ad arrivare alla perfezione di questa opera spirituale, senza un previo lavoro lungo e faticoso. E anche se vi arrivano, ciò capita loro raramente, e solo se Dio acconsente a dischiudere il loro cuore all’estasi contemplativa. Ma quello che Mosè poteva vedere solo in rarissime occasioni, e dopo un lungo sforzo e una grande fatica, Aronne l’aveva sempre a sua disposizione, in virtù del proprio ufficio, dal momento che poteva vedere l’Arca nel Tempio al di là del velo, ogniqualvolta voleva entrarvi. Aronne sta a indicare tutti coloro di cui ho parlato prima, i quali in base alla loro penetrazione spirituale e all’assistenza della grazia, possono pervenire alla meta della contemplazione perfetta tutte le volte che lo vogliono.

La Nube della non-conoscenza 68

NUBE

CAPITOLO 68

«In nessun posto» materialmente, significa «dappertutto» spiritualmente; il nostro uomo esteriore chiama «niente» il lavoro di cui parla questo libro.

Allo stesso modo va inteso l’invito che un altro ti potrebbe rivolgere, di raccogliere le tue facoltà e i tuoi sensi nell’intimo di te stesso e di adorare Dio dentro di te. Quantunque questo sia certamente del tutto giusto e vero, e nessuno potrebbe dire cosa più assennata, se ben la si comprende, io invece per paura che tu abbia a intendere in maniera fisica, e quindi sbagliata, queste parole, non ti dico assolutamente di far così. Questo è quanto voglio da te: che tu non sia in alcun modo dentro di te. E di conseguenza, voglio che tu non sia nemmeno fuori di te stesso, né sopra, né dietro, né da una parte, né dall’altra. «Ma allora», mi dirai, «dove devo stare? A quanto pare, da nessuna parte!» Ebbene, sì, hai pienamente ragione: è così che ti voglio. Perché quando non sei in nessun posto materialmente, sei dappertutto spiritualmente. Pertanto sta’ ben attento, perché il tuo lavoro spirituale non sia ancorato a nessun posto materiale. In questo caso, dovunque si trovi l’oggetto su cui stai coscientemente applicando la tua intelligenza, è proprio lì che ti trovi in spirito, in modo così vero e reale come il tuo corpo si trova nel luogo dove tu sei materialmente. E anche se i tuoi sensi non vi possono trovar nulla di cui nutrirsi, perché secondo loro tu non stai facendo assolutamente niente — proprio così! —, continua a fare questo «niente», se non altro per amore di Dio. Perciò, non smettere in alcun modo, ma lavora alacremente in questo «niente», con desiderio sempre vigilante e volontà ferma di possedere Dio, che nessun uomo può conoscere. Ti dico, in verità, che preferirei essere in questo «nessun posto» fisicamente, a lottare con questo cieco «niente», piuttosto che essere un signore così potente da poter essere fisicamente dappertutto, se solo lo volessi, intento a godere allegramente di tutto come fa un padrone con le proprie cose. Lascia perdere questo «dappertutto» e questo «tutto», in cambio di questo «nessun posto» e di questo «niente». Che importa se le tue facoltà intellettuali non riescono a scandagliare questo «niente»? Io lo amo ancor di più! È una cosa così eccelsa in se stessa, che non la si può comprendere in alcun modo. Questo «niente» è più facile sentirlo per esperienza che vederlo, perché è completamente cieco e oscuro agli occhi di coloro che solo da poco si son messi a guardarlo. Ma a voler parlare più correttamente, l’anima che ne fa esperienza è accecata dalla sovrabbondanza di luce spirituale, piuttosto che dall’oscurità o dall’assenza di luce fisica. Chi è che allora lo chiama «niente»? Il nostro uomo esteriore, di certo, e non quello interiore. Il nostro uomo interiore lo chiama «tutto», perché per mezzo suo impara a conoscere la ragione di tutte le realtà, materiali e spirituali, senza considerare in particolare ogni singola cosa in se stessa.

La Nube della non-conoscenza 67

NUBE

CAPITOLO 67

Chi non conosce le facoltà dell’anima e la maniera con cui operano, può essere tratto in inganno con tutta facilità quando si tratta di capire parole e attività spirituali; come l’anima è resa un dio nella grazia.

E dunque, amico spirituale, puoi ben vedere in che misera condizione siamo caduti a causa del peccato. Che c’è da meravigliarsi, allora, della nostra cecità e della facilità con cui restiamo ingannati nel comprendere parole e operazioni spirituali? Quest’illusione è frequente in particolar modo in quanti di noi non conoscono ancora le facoltà dell’anima e la maniera con cui operano. Ogni volta che la tua memoria è occupata da qualche oggetto materiale, fosse anche per uno scopo nobilissimo, tu sei, tuttavia, al di sotto di te stesso in questa occupazione, e al di fuori della tua anima. E ogniqualvolta ti accorgi che la tua memoria, nell’intento di condurti alla conoscenza di te stesso in vista della perfezione, è tutta presa dalle sottigliezze riguardanti le facoltà dell’anima e le loro operazioni sulle realtà spirituali, come nel caso di vizi o virtù, tuoi o di qualche altra creatura spirituale simile a te per natura, allora tu sei dentro di te e a livello con te stesso. Ma ogniqualvolta senti che la tua memoria non è impegnata in nessun oggetto materiale o spirituale, ma è tutta presa dalla sostanza stessa di Dio, e da lui solo, come avviene, a esempio, se si mette in pratica il lavoro indicato in questo libro, allora tu sei al di sopra di te stesso, e al di sotto di Dio. Tu sei al di sopra di te stesso, perché sei riuscito ad arrivare per grazia là dove non avresti mai potuto arrivare per natura: essere unito a Dio in spirito, in amore e in armonia di volontà. Ma resti al di sotto di Dio, anche se a questo punto si può dire che in certo senso tu e Dio non siete più due, ma uno solo in spirito; e chiunque sperimenta la perfezione di quest’opera, a causa di tale unità lo si potrà chiamare a buon diritto «Dio», come attesta la bibbia stessa. Tu però resti al di sotto di lui. Egli, infatti, è Dio per natura e dall’eternità. Tu invece una volta non esistevi nemmeno; e in seguito, quando egli con la sua potenza e il suo amore ti fece diventare qualcosa, tu non esitasti a renderti meno di niente con il peccato. E ora, per la sua misericordia e senza alcun merito da parte tua, sei reso un dio nella grazia, e sei unito inseparabilmente a Dio in spirito, in questa vita e nella beatitudine celeste senza fine. Così, anche se tu sei una sola cosa con lui nella grazia, tuttavia sei infinitamente al di sotto di lui per natura. Ecco, amico spirituale: da qui puoi comprendere, almeno in parte, come chi non conosce le facoltà della propria anima e la maniera in cui operano, può essere tratto in inganno con tutta facilità, quando si tratta di capire parole scritte con intendimento spirituale. E con questo puoi anche comprendere, almeno in parte, il motivo per cui non mi sono arrischiato a chiederti di mostrare apertamente il tuo desiderio a Dio; al contrario, ti ho invitato, quasi fosse un gioco per ragazzi, a fare di tutto per nasconderlo e occultarlo. E l’ho fatto per paura che tu comprendessi in senso materiale quel che invece era inteso in senso spirituale.

La Nube della non-conoscenza 66

NUBE

CAPITOLO 66

L’altra facoltà secondaria è la sensibilità; il suo operato e la sua obbedienza alla volontà, prima e dopo il peccato.

La sensibilità è la facoltà dell’anima che concerne e governa i sensi, attraverso i quali conosciamo e sentiamo materialmente tutte le creature corporee, piacevoli o fastidiose che siano. Essa ha due funzioni: una si occupa delle esigenze del corpo, e l’altra soddisfa le bramosie dei sensi. È questa stessa facoltà che si lamenta quando il nostro corpo viene a mancare del necessario, e che ci spinge, nel rispondere ai nostri bisogni, a prendere più del necessario per alimentare e incoraggiare le nostre voglie. Si lamenta della mancanza di cose o creature piacevoli, ed è tutta felice e appagata della loro presenza. Si lamenta della presenza di cose o creature fastidiose, e si compiace vivamente della loro assenza: Sia questa facoltà che l’oggetto su cui opera, sono entrambi contenuti nella memoria. Prima che l’uomo peccasse, la sensibilità era così obbediente alla volontà, di cui è in certo senso la serva, che non le forniva mai piaceri o dispiaceri disordinati verso creature materiali, né contraffazioni spirituali di piaceri o dispiaceri, prodotti nei sensi da qualche nemico spirituale. Ma ora non è così. Se non è ricondotta dalla grazia a obbedire alla volontà, così da soffrire con umiltà e moderazione la pena del peccato originale — avvertita nell’assenza dei piaceri necessari e nella presenza dei dispiaceri così salutari per lei —; se non è quindi in grado di dominare le sue voglie alla presenza dei piaceri, e il suo avido godimento in assenza dei dispiaceri, allora la sensibilità andrà ad avvoltolarsi, misera e lasciva, come un porco nel fango, nelle ricchezze di questo mondo e nella corruzione della carne, tanto che tutta la nostra vita sarà bestiale e carnale, piuttosto che umana o spirituale.

La Nube della non-conoscenza 65

NUBE

CAPITOLO 65

La prima facoltà secondaria è l’immaginazione; il suo operato e la sua obbedienza alla ragione, prima e dopo il peccato.

L’immaginazione è la facoltà con la quale raffiguriamo tutte le immagini delle cose presenti o assenti. Sia l’immaginazione che l’oggetto su cui opera, sono entrambi contenuti nella memoria. Prima che l’uomo peccasse, l’immaginazione era così obbediente alla ragione, di cui è in certo senso la serva, che non le forniva mai immagini contraffatte di creature materiali, né immagini fantastiche di creature spirituali. Ma ora non è così. Se non è ricondotta dalla luce della grazia a obbedire alla ragione, essa non cesserà mai, sia nel sonno che nella veglia, di rappresentare diverse immagini contraffatte delle creature materiali, oppure qualche allucinazione, che non è altro che la rappresentazione materiale di una cosa spirituale, ovvero la rappresentazione spirituale di una cosa materiale. E tutto ciò è sempre fittizio e falso, e parente prossimo dell’errore. La disobbedienza dell’immaginazione si può chiaramente rilevare nelle preghiere di coloro che solo da poco hanno lasciato il mondo per volgersi alla vita di devozione. Verrà senza dubbio il tempo in cui l’immaginazione sarà in gran parte ricondotta dalla luce della grazia a obbedire alla ragione, dopo la costante meditazione sulle cose spirituali, come la propria miseria, la passione e la bontà di nostro Signore, e così via. Ma finché non si perverrà a questo stadio, non sarà possibile in alcun modo rigettare la sorprendente varietà di pensieri, fantasticherie e immagini che vengono suscitate e impresse nella mente dalla sola luce e curiosità dell’immaginazione. Questa disobbedienza è la pena connessa al peccato originale.

La Nube della non-conoscenza 64

NUBE

CAPITOLO 64

Le altre due facoltà principali sono la ragione e la volontà; il loro operato prima e dopo il peccato.

La ragione è la facoltà con la quale distinguiamo il male dal bene, il male dal peggio, il bene dal meglio, il peggio dal pessimo, il meglio dall’ottimo. Prima che l’uomo peccasse, la ragione era in grado di fare tutto questo per natura. Ma ora è così accecata dal peccato originale, che non può farlo se non è illuminata dalla grazia. E sia la ragione stessa che l’oggetto su cui opera, sono entrambi compresi e contenuti nella memoria. La volontà è la facoltà con la quale scegliamo il bene (una volta che è stato stabilito dalla ragione) e con la quale amiamo Dio, desideriamo Dio, e infine, con piena adesione e immensa gioia, riposiamo in Dio. Prima che l’uomo peccasse, la volontà non poteva sbagliare nel scegliere o nell’amare o nel fare qualsiasi altra cosa di sua competenza, perché allora era in grado per natura di gustare ogni cosa nella sua vera realtà. Ma ora non può più farlo, se non con l’unzione della grazia. Spesso, infatti, a causa della corruzione del peccato originale, la volontà gusta come buona una cosa assolutamente cattiva che ha solo l’apparenza del bene. E sia la volontà che quanto ne costituisce l’oggetto, sono contenuti e compresi nella memoria.