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La Grangia di Boffalora

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Cari amici, voglio oggi proporvi un approfondimento su di una grangia certosina.

Etimologicamente la parola grangia deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).

Furono vere e proprie tenute agricole in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un Magister Grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio).

Questa volta vi parlerò della grangia di Boffalora, in Lombardia e di proprietà della certosa di Pavia.

L’origine di questa Grangia si deve all’atto di donazione, datato 15 aprile 1396 dei vasti possedimenti appartenenti a Gian Galeazzo Visconti a favore dei monaci certosini, quale rendita destinata alla fabbrica di un monastero ed alla relativa dotazione. Da questo atto nascerà la certosa delle Grazie, comunemente nota come certosa di Pavia. Contestualmente all’erezione della certosa, i monaci pavesi avviarono i lavori della grandiosa Grangia di Boffalora, iniziando dai fabbricati dei portici con eleganti volte a crociera con il classico mattone, appoggiate su pilastri di granito i cui capitelli delle colonne, ripropongono l’ordine architettonico di tipo scudato, in tutto simili a quelli della certosa. I monaci, si insediarono in questa struttura dedicandosi alla coltivazione dei fertili campi di loro proprietà, inoltre data la posizione particolare, ovvero sulle sponde del fiume Ticino, il borgo di Boffalora, grazie alla presenza monastica, divenne ben presto fiorente e molto attivo grazie al porto sul Ticino e al Naviglio, via abituale per tutte le merci da e per Milano, mentre il fiume serviva come via di collegamento con Pavia, da dove poi le merci erano dirette al mare. I certosini non solo si dedicarono alla coltivazione dei campi e alla produzione dei beni di prima necessità, ma favorirono anche la bonifica di terreni un tempo inutilizzati, attraverso un sofisticato sistema di irrigazione che garantì un miglior utilizzo del suolo. La produzione principale furono i cereali assieme al fieno che si ricavava dal taglio stagionale dei prati, vi era anche una sparuta presenza di vigneti. Evolvendosi l’insediamento dei certosini portò anche allo sviluppo di un’osteria con alloggio (divenuta poi stazione di posta) che nell’Ottocento venne utilizzata come dogana dal governo austriaco per il punto strategico di passaggio nei pressi del ponte sul Naviglio Grande.

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Lo sviluppo economico della zona si deve alla alacre attività dei monaci, che nel 1778 richiesero la costruzione di una tra le prime filande impiantate in Lombardia.

Nel 1782 l’imperatore Giuseppe II decreta la soppressione di conventi e monasteri, tra cui la certosa di Pavia, incamerandone tutti i beni. A Boffalora i monaci pavesi possedevano 2000 pertiche di terreni, le due osterie con relative camere adibite a Stazione di Posta, la casa di propria abitazione (Ospizio), un prestino con forno, due case con quattro botteghe ciascuna, quattro case da massaro, una folla di carta (cartiera), un mulino e una pila di riso (opificio per la pulitura del riso).

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Tutti gli ambienti della Grangia certosina di Boffalora, oggi corrispondono all’attuale struttura del Municipio e collegati, i quali vennero ristrutturati negli anni ‘60 del novecento. Prima della ristrutturazione vi erano significativi elementi caratteristici della presenza della Grangia. Sul portale d’ingresso, situato allora sul fronte del Naviglio, e sulla pavimentazione di un ampio porticato sorretto da colonne, che sostenevano un loggiato con elegante parapetto in legno, era scolpita a grandi lettere la famosa sigla della certosa di Pavia: GRA-CAR (Gratiarum Cartusia – Certosa delle Grazie) quasi a ricordare l’origine di Boffalora e il legame vitale con la certosa pavese.

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La Grangia di Lauro

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Eccoci giunti ad un’altro approfondimento su di una grangia certosina.

Torno oggi a parlarvi di una grangia, etimologicamente deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).

Furono vere e proprie tenute agricole in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un Magister Grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio).

Siamo in Campania, e la grangia di cui vi parlerò è quella di San Giacomo situata a Lauro nei pressi di Nola in provincia di Avellino. Essa è impropriamente nota come certosa, vediamone l’origine.

Essa sorse come struttura tra il 1198 ed il 1209, allorquando Papa Innocenzo III la nomina in una Bolla di quell’anno. Successivamente, nel 1211 da un documento risulta che il monastero fu eretto in un luogo detto “corte dei liciti”, per esplicita volontà di San Guglielmo da Vercelli nel 1134. Questo convento dunque nasce inizialmente come monastero Verginiano, per poi passare ai Benedettini ed a seguire ai certosini. Nel 1433, divenne una grangia della certosa di Capri, pertanto titolata a San Giacomo. Ben presto, essa divenne un centro di produzione agricolo molto rinomato, avendo già a disposizione molti ettari di terreni, possedeva, inoltre, una grande cantina con il torchio per il vino e la macina per le olive, che ancora oggi è possibile ammirare. Nel XVIII secolo fu oggetto di un completo rifacimento che gli donò nuovo splendore. Nel 1808, la proprietà confiscata, divenne una splendida dimora di campagna e, dopo accurati restauri, si è trasformata una splendida struttura alberghiera, raffinata e dotata di sale congressuali, ideali per eventi speciali e ricevimenti di classe. Il Chiostro, i porticati, la Chiesa, il Parco, la Terrazza, il Giardino dei Monaci sono stati trasformati in maniera fruibile. Nelle sale più prestigiose del complesso, si svolgono manifestazioni ed eventi culturali di alto livello.

L’ingresso dell’Hotel Certosa di San Giacomo, così impropriamente chiamato, presenta un vialone che attraversa 42 ettari del parco secolare in lieve salita, che lascia intravedere l’importante e suggestiva facciata dell’edificio. La facciata in stile vanvitelliano è stata rimaneggiata tante volte, fino ad assumere l’aspetto di quella attuale, di lavorazione ottocentesca. Suggestiva è l’illuminazione, con luci posizionate al suolo che emettono raggi luminosi dal basso verso l’alto, durante la notte questo gioco di luci rende tutto il complesso molto interessante e suggestivo, creando un’atmosfera unica nel suo genere. Le immagini che seguono potranno farci comprendere l’ imponenza di questa antica grangia.