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In ricordo di Benedetto XVI

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Cari amici lettori, a distanza di circa due mesi dalla dipartita terrena del Papa emerito Benedetto XVI, e con la tristezza nel cuore per la sua assenza, voglio ricordarlo con un suo breve testo.

Chi segue questo blog da tempo, ricorderà che nell’ottobre del 2016 vi annunciai l’uscita di un libro del Cardinale Robert Sarah dal titolo “La Forza del silenzio“, che poi vi proposi in successivi articoli un capitolo dedicato ai monaci certosini dal titolo “Come un grido nel deserto“. In esso vi era una preziosa conversazione con il Priore Generale dell’Ordine dei Certosini, Dom Dysmas de Lassus.

Ciò premesso, l’autore del libro dedicò il libro anche al papa emerito Benedetto XVI definendolo “grande amico di Dio e maestro di silenzio e di preghiera”.

A sua volta papa Ratzinger, rimasto entusiasta per questa edificante lettura inviò un testo manoscritto, in tedesco al Cardinale Sarah, il quale lo inserì nel volume come prefazione. Clicca qui per acquistarlo online

copertina italiano

Oggi, nel ricordo di Benedetto XVI, voglio offrire il suo scritto illuminante a voi tutti.

“Da quando, negli anni Cinquanta, lessi per la prima volta le Lettere di sant’Ignazio di Antiochia, mi è rimasto particolarmente impresso un passo della sua Lettera agli Efesini: «È meglio rimanere in silenzio ed essere, che dire e non essere. È bello insegnare se si fa ciò che si dice. Uno solo è il Maestro che ha detto e ha fatto, e ciò che ha fatto rimanendo in silenzio è degno del Padre. Chi possiede veramente la parola di Gesù può percepire anche il suo silenzio, così da essere perfetto, così da operare tramite la sua parola ed essere conosciuto per mezzo del suo rimanere in silenzio» (15, 1s.).

Che significa percepire il silenzio di Gesù e riconoscerlo per mezzo del suo rimanere in silenzio? Dai Vangeli sappiamo che Gesù di continuo ha vissuto le notti da solo «sul monte» a pregare, in dialogo con il Padre. Sappiamo che il suo parlare, la sua parola proviene dal rimanere in silenzio e che solo in esso poteva maturare. È illuminante perciò il fatto che la sua parola possa essere compresa nel modo giusto solo se si entra anche nel suo silenzio; solo se s’impara ad ascoltarla a partire dal suo rimanere in silenzio.

Certo, per interpretare le parole di Gesù è necessaria una competenza storica che ci insegni a capire il tempo e il linguaggio di allora. Ma solo questo, in ogni caso, non basta per cogliere veramente il messaggio del Signore in tutta la sua profondità. Chi oggi legge i commenti ai Vangeli, diventati sempre più voluminosi, alla fine rimane deluso. Apprende molte cose utili sul passato, e molte ipotesi, che però alla fine non favoriscono per nulla la comprensione del testo. Alla fine si ha la sensazione che a quel sovrappiù di parole manchi qualcosa di essenziale: l’entrare nel silenzio di Gesù dal quale nasce la sua parola. Se non riusciremo a entrare in questo silenzio, anche la parola l’ascolteremo sempre solo superficialmente e così non la comprenderemo veramente.

Tutti questi pensieri mi hanno di nuovo attraversato l’anima leggendo il nuovo libro del cardinale Robert Sarah. Egli ci insegna il silenzio: il rimanere in silenzio insieme a Gesù, il vero silenzio interiore, e proprio così ci aiuta anche a comprendere in modo nuovo la parola del Signore. Naturalmente egli parla poco o nulla di sè, e tuttavia ogni tanto ci permette di gettare uno sguardo sulla sua vita interiore. A Nicolas Diat che gli chiede: «Nella sua vita a volte ha pensato che le parole diventano troppo fastidiose, troppo pesanti, troppo rumorose?», egli risponde: «… Quando prego e nella mia vita interiore spesso ho sentito l’esigenza di un silenzio più profondo e più completo… I giorni passati nel silenzio, nella solitudine e nel digiuno assoluto sono stati di grande aiuto. Sono stati una grazia incredibile, una lenta purificazione, un incontro personale con Dio… I giorni nel silenzio, nella solitudine e nel digiuno, con la Parola di Dio quale unico nutrimento, permettono all’uomo di orientare la sua vita all’essenziale» (risposta n. 134, p.156). In queste righe appare la fonte di vita del Cardinale che conferisce alla sua parola profondità interiore. È questa la base che poi gli permette di riconoscere i pericoli che minacciano continuamente la vita spirituale proprio anche dei sacerdoti e dei vescovi, minacciando così la Chiesa stessa, nella quale al posto della Parola nient’affatto di rado subentra una verbosità in cui si dissolve la grandezza della Parola. Vorrei citare una sola frase che può essere origine di un esame di coscienza per ogni vescovo: «Può accadere che un sacerdote buono e pio, una volta elevato alla dignità episcopale, cada presto nella mediocrità e nella preoccupazione per le cose temporali. Gravato in tal modo dal peso degli uffici a lui affidati, mosso dall’ansia di piacere, preoccupato per il suo potere, la sua autorità e le necessità materiali del suo ufficio, a poco a poco si sfinisce» (risposta n. 15, p. 19).

Il cardinale Sarah è un maestro dello spirito che parla a partire dal profondo rimanere in silenzio insieme al Signore, a partire dalla profonda unità con lui, e così ha veramente qualcosa da dire a ognuno di noi.

Dobbiamo essere grati a Papa Francesco di avere posto un tale maestro dello spirito alla testa della Congregazione che è responsabile della celebrazione della Liturgia nella Chiesa. Anche per la Liturgia, come per l’interpretazione della Sacra Scrittura, è necessaria una competenza specifica. E tuttavia vale anche per la Liturgia che la conoscenza specialistica alla fine può ignorare l’essenziale, se non si fonda sul profondo e interiore essere una cosa sola con la Chiesa orante, che impara sempre di nuovo dal Signore stesso cosa sia il culto. Con il cardinale Sarah, un maestro del silenzio e della preghiera interiore, la Liturgia è in buone mani.”

Città del Vaticano, nella settimana di Pasqua 2017

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I certosini e la sete di Dio

Forza silenzio 6

Cari amici eccoci giunti all’ultima domanda di Nicolas Diat e relativa risposta di Dom Dysmas de Lassus inserite nel libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”. Come sempre, una risposta estremamente esaustiva nella quale e racchiusa l’essenza ed il fine della vita monastica certosina nel XXI° secolo.

Non è l’Ufficio Notturno l’anima dell’Ordine certosino, la preghiera che attraversa tutta la propria storia?

Non oso dire che si, nel senso che a causa del mistero che si svolge in esso, l’Eucarestia è il centro naturale del nostro giorno. Nonostante ciò, non c’è dubbio, che l’ufficio Notturno occupa un posto molto speciale nella nostra vita. La sua durata, da due a tre ore tutte le notti, e quel momento specifico tra due sonni fa che la orazione notturna continua e rimarrà un tempo insostituibile. Sia se siamo distratti o raccolti tale momento ci configura. Il canto, insieme al semplice fatto di essere lì, la rendono una preghiera non solo dello spirito ma anche del corpo. I nostri padri avevano una grande stima per la preghiera notturna, che dalla Rivoluzione Francese, cantavano a memoria tutta la salmodia dell’ufficio Notturno avvolti da una oscurità totale. L’ufficio possiede una dinamica speciale. Stiamo uniti e stiamo soli. L’equilibrio della nostra vita, fatta di solitudine e di vita in comune, diventa realtà nel cuore della nostra orazione in profonda unità; il canto corale è un opera collettiva nella quale ci necessitiamo gli uni agli altri. Ma di notte, il coro invisibile ci lascia soli in un atmosfera di intimità che facilità l’incontro di cuore a cuore con Dio. Il suo mistero si presenta più vicino e più sfuggente. Come esprimono le splendide parole di S. Agostino, uniamo la nostra preghiera a quella di Cristo; in tutta la liturgia è Cristo che “prega per noi come nostro Sacerdote, e prega in noi come nostra testa. Riconosciamo in Egli la nostra voce, e sappiamo riconoscere la sua voce in noi”(Sal 85, PL 37, 1081). Nella Chiesa solo arde con intensità la luce di Cristo.

L’Eucarestia occupa il primo posto: ci unisce alla Chiesa. L’ufficio Notturno rappresenta il marchio della nostra peculiarità; ci distingue dai fratelli che assistono all’ufficio, ma di solito non cantano, ma pregano in silenzio nella parte più buia della chiesa. Così si rendono presenti gli equilibri che caratterizzano la vita certosina: vita solitaria e azione comune, preghiera silenziosa e preghiera corale, monaci conversi e monaci del chiostro, ed io aggiungerei monaci e monache.

Nonostante si tratta di un argomento poco conosciuto, quasi dalle sue origini la vocazione certosina è stata vissuta da uomini e donne. Le monache certosine, nate soltanto cinquanta anni dalla morte di san Bruno, proseguono oggi essendo molto vive, discrete ed efficaci, ma non meno essenziali per la pienezza del carisma di san Bruno. Anche loro, come noi, pregano nel cuore della notte.

L’anima dell’ordine è la sete di Dio.Portiamo con noi l’attesa dell’umanità che, senza saperlo, quando aspira alla pace, alla giustizia ed all’amore, ha sete di Dio.

Vogliamo rispondere a Dio, che tanto desidera stabilire una relazione d’amore con gli uomini. “Ho sete” dice Gesù sulla croce.

Nel silenzio della notte, ed in quello della cella, e nel cuore dei certosini, presentiamo la sete insaziabile degli uomini, ed all’umanità la sete di Dio, partecipando così all’opera di Gesù, nella quale si sono uniti per sempre entrambi i desideri.

Questa è, duemila anni dopo, la principale ed umile ambizione della Grande Chartreuse e di tutti i figli di san Bruno.

Relazione tra il silenzio e l’orazione costante

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Ancora una domanda rivolta a Dom Dysmas de Lassus, tratta dal libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”.

Nicolas Diat chiede Come si relazionano il silenzio e l’orazione costante?

Dom Dysmas risponde come segue:

L’espressione orazione costante, non deve indurci ad un errore: non si tratta di recitare orazioni senza fermarsi. In realtà, questa formula si riferisce al modo di stare

continuamente insieme a Dio, di lasciarsi abitare da Lui, di vivere in una maniera cosciente questa abitazione. Questa è la testimonianza di una donna che vive questa esperienza: “Il mio io superficiale vede il mio io interiore in adorazione. E se la superficie vuole implicarsi ed unirsi con un orazione parlata alla adorazione profonda, tutto è finito. Solo posso unirmi a questo io interiore per mezzo del silenzio, contemplare l’adorazione dentro di me e tacere.” ( Cahiers sur l’oraison 211, 1987). Si tratta di una donna che vive in mezzo al mondo, ciò significa che l’esperienza non è esclusiva dei religiosi.

Possiamo considerare il silenzio come una strada fino all’orazione costante, o al sogno: la orazione costante una via fino al silenzio? Formulata così, la domanda sarà troppo semplice, perchè le due cose sono certe. Io preferisco coniugare i due aspetti a ciò che mi riferivo prima: quanto più si penetra nel silenzio,allo stesso modo che, quanto più si entra in intimità con una persona, più spazio occupano il silenzio ed il semplice sguardo. La orazione costante contiene entrambe le cose: una intimità abituale con Dio che rende il suo mistero più accattivante che mai.

Inoltre il monaco riceve quello di cui parlava San Bruno “la pace che il mondo ignora e il godimento nello Spirito Santo”. Il godimento dell’unione intima non necessita di troppe parole. In questo stadio il silenzio non esige più sforzi, lo esige piuttosto per salire di più a Lui.

Questo stadio non è abituale, un fratello certosino che ha sperimentato l’orazione costante mi disse: “Non siamo degni di essa”. Questo vuol dire che la decisione corrisponde all’ospite interiore, allo Spirito Santo che trascina in un mondo nel quale non si può non stare zitto, come quando ci attraversa una intensa emozione. Nella vita ordinaria, acquisterà una forma alla quale mi riferisco in un istante: si prosegue con la vita normale, ma c’è qualcosa nell’interno che continua silenziosamente unito a Colui che amiamo e che ci ama, una amorevole presenza che basta per riempirci totalmente. Quando non viviamo l’uno con l’altro, senza l’uno nell’altro, colui che non è degno dell’azione che Dio opera in lui, e si limita ad unirsi a questo mistero, i cui limiti non ha necessità di conoscere. Non chiede spiegazioni. ” Io sono del mio amato ed il mio amato e mio”, dice il Cantico dei Cantici (6, 3).

Che tutto zittisca affinchè Dio si faccia ascoltare. E come piace dire a voi, si fa ascoltare nel silenzio. Forse per questo i monaci hanno da sempre apprezzato tanto la orazione notturna. Già S. Antonio passava notti intere in orazione. L’ufficio notturno è un momento centrale della vita certosina al quale non rinunceremo mai.

Si tratta di un tempo che si dedica totalmente all’orazione, in mezzo al sonno, e ciò lo rende di una dimensione speciale. L’ufficio notturno è un dono gratuito che si offre solo a Dio. Vegliando di notte, offriamo la nostra povertà, che tanto ben conosciamo, insieme con quella del mondo. Le deliziose parole dei nostri Statuti hanno più senso che mai: «Separati da tutti, siamo uniti a tutti, per stare a nome di tutti al cospetto del Dio vivente».

Mi sono sempre piaciute queste parole del capitolo Missione dell’Ordine nella Chiesa. Mentre il mondo dorme, noi scegliamo di alzarci per unire la nostra lode e la nostra intercessione a quella di Cristo; perchè l’orazione degli uomini, questo vincolo vitale tra il cielo e la terra, non cessi mai. Quando noi andiamo a dormire, altri, i benedettini, i cistercensi, ci sostituiranno.

Contro gli eccessi di rumore

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Ancora uno splendido pezzo di Dom Dysmas de Lassus, tratto dal libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”. Il Reverendo Padre certosino risponde a due domande dell’intervistatore, in maniera molto eloquente.

Cosa caratterizza ciò che io chiamerei le malattie da rumore? Quali sono i problemi derivanti dall’eccesso del rumore?

Nella mia risposta alla sua domanda influisce per forza la mia esperienza come certosino. Molto raramente mi espongo al rumore esteriore, specialmente a quello delle città. Non ho automobile, nè televisione, nè radio, queste ultime due sono da sempre state escluse dai nostri conventi, cosicchè quello che dico è un pò sfasato.

Se esiste una malattia da rumore, dovrebbe essere chiamata la sindrome del bavaglio.

Ho verificato ciò con gli aspiranti che vengono da noi per ritirarsi. Poi emergono in superficie, ricordi, desideri, ferite, timori che dormono nel proprio interiore e che essi stessi non conoscono. L’incessante flusso quotidiano di notizie, di riunioni, di attività diverse, non smette mai di fare tacere queste voci che stanno nel più profondo del proprio essere, e ne impediscono di affiorare alla coscienza. Il silenzio e la solitudine le scoprono. Come la scoperta non sempre e gradevole e l’interessato è abbastanza indifeso, prova a lasciarli fuori dell’ambito della coscienza mantenendo questo rumore permanente al fine di impedire che si manifesti.

In questo senso, l’uomo moderno non ha dovuto affrontare mai tanti e tanto forti tentazioni como queste.

La moltiplicazione dell’offerta dell’informazione di suoni ed immagini da meno di un secolo è sorprendente.

Il panorama sonoro e visuale dell’uomo non ha niente a che vedere con quello dei nostri nonni. Credo che bisogna avere un pò di forza spirituale per proteggersi da questa invasione non attraverso un rifiuto totale, ma attraverso un corretto ascetismo.

Come già disse Solženicyn che, se esiste il diritto all’informazione, esiste anche il diritto a non essere informato.

Come priore della Grande Chartreuse mi occupo di trasmettere alla comunità le informazioni rilevanti concernenti la vita della Chiesa, della Francia e del mondo, e ciò mi obbliga a leggere i giornali. Quante cose interessanti e, allo stesso tempo, inutili minacciano di occupare la immaginazione, e fornirla di armi contro il silenzio interiore! Bisogna fare una selezione, ancora di più quando i giornalisti sottolineano gli eventi eccezionali. Parlano dell’aereo che è precipitato, perchè non scrivono un articolo per scrivere che oggi tutti gli aerei sono regolarmente atterrati, o che le madri di famiglia si prendono cura dei propri figli! Forse perchè questo non risulta essere importante?

C’è un ultimo aspetto che merita di essere sottolineato: io non sono responsabile della guerra in Siria e non posso fare nulla per risolvere questo dramma. Senza dubbio, sono si responsabile se scopro che il mio vicino di casa è solo o malato. Ma siccome il primo dramma è maggiore, corro il pericolo che esso mi impedisca di vedere il secondo. Le tentazioni si sono moltiplicate, ed il discernimento e la rinuncia si sono fatte più necessarie che mai. Noi abbiamo scelto di consacrare la nostra vita alla ricerca di Dio nel silenzio e nella solitudine. Dobbiamo difendere entrambi le cose con decisioni nette: se no, presto non saranno nulla. La nostra vocazione non è abituale, ma non è che tutti gli uomini necessitano di un pò di silenzio e di solitudine se non vogliono perdere il contatto con il proprio cuore? Noi abbiamo una clausura ed una regola che ci protegge. Coloro che vivono nel mondo devono trovare la propria clausura e la propria regola senza dubbio alcuno. Infine, mi domando se la voce che il mondo moderno tenta di mettere a tacere con il rumore ed il movimento costante non sarà quella che ci dice: ” Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai”.

La eliminazione della morte caratterizza la nostra società: non devo dirlo io. Ed è comprensibile. Come si può sopportare l’idea della morte senza Dio, senza la vita eterna, senza Cristo e senza la redenzione? Mangiamo e beviamo, che domani moriamo. Il ricordo della nostra precarietà è troppo insistente, cosicchè proviamo a zittirlo.

Il rimedio contro le malattie del rumore?

Si deduce da quello che ho appena detto. Il principale rimedio, sarà come sempre, nello scoprire l’amore di Dio, la sua chiamata alla vita eterna. La vittoria di Cristo sulla morte che diviene una amica, nella porta che apre alla Vita. E la misericordia divina che risana da quel timore al male che troviamo in noi stessi. In una parola: la speranza.

Silenzio ed umiltà

Sarah e Dom Dysmas

Ancora uno stralcio tratto dal libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”. Dom Dysmas de Lassus, risponde a due domande poste dall’intervistatore.

Nicolas Diat: Quale è il vincolo tra silenzio ed umiltà?

Dom Dysmas: Quando si tratta di Dio, il mistero e dappertutto. Lo stesso uomo è mistero, perchè è stato fatto a immagine di Dio. La creazione è mistero, perchè Dio lo è tutto e fuori di Lui non può esistere niente. Il primo versetto della Bibbia ci permette di affermare che Dio ha creato il mondo, ma non possiamo spiegarlo. Prima del mistero, prima di ciò che è troppo grande, troppo bello per essere capaci di capirlo, possiamo mantenere un silenzio di stupore. Nel suo libro ” Face a Dieu: la priere selon un chartreux” , Augustin Guillerand scriveva con eloquenza. ” Per trovare l’umiltà, è meglio guardare a Lui, anzichè guardare se stesso”.

Non posso dare una risposta migliore di questa alla sua domanda.

Nicolas Diat: Che luogo può occupare il silenzio nella liturgia?

Dom Dysmas: la adorazione è il centro della liturgia.

Questa attitudine del cuore non si esprime tanto con le parole come con la postura, i gesti, il silenzio. Una genuflessione ben fatta parla da sola. Se si eliminano tutti i segni espressivi della adorazione, dapprima scomparirà la propria attitudine, e poi il senso del sacro. Inginocchiarsi, baciare il suolo come facciamo in certosa durante l’angelus, prendere il calice durante l’offertorio coperto con il panno – qualcosa di caratteristico nella nostra liturgia –: tutti questi gesti contengono un proprio significato. Nei nostri monasteri abbiamo un segno molto bello come la prostrazione. Prima della messa il sacerdote si prostra nel presbiterio, si sdraia per terra leggermente raccolto su se stesso. Non posso evitare di pensare che questo entusiasmo sia terribilmente appagante. Più di una volta ho chiesto a coloro che vengono da noi a fare ritiri, se qualche volta hanno sentito parlare in qualche sermone

della fine e della vita eterna. La risposta è sempre stata ” MAI”. E se avessi aggiunto “e della filiazione divina?”e possibile che mi avrebbero risposto lo stesso. Perchè non si parla mai di quello che è la nostra speranza? Ma anche quando, ci osserviamo da vicino, comprendiamo che questa speranza è scritta nel cuore di ogni uomo: la speranza di un amore senza limite che non finirà mai. Che la Chiesa ricorda costantemente l’importanza della filiazione divina; che i sacerdoti non esitano nel parlare della fine e della vita eterna: quindi all’uomo moderno l’adorazione non sembrerà un umiliazione, ma l’atteggiamento naturale di chi scopre di aver ricevuto tutto. Con la adorazione, il silenzio recupererà il suo spazio naturale.

L’importanza del silenzio

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Ancora una domanda rivolta a Dom Dysmas de Lassus, tratta dal libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”, la risposta che egli da sull’importanza del silenzio, è semplice ma profonda.

Nicolas Diat: Perchè è tanto importante il silenzio per la Chiesa?

Dom Dysmas: La mia umile esperienza da certosino mi porta a dire che la Chiesa non deve perdere il senso del sacro. Se abbandoniamo il mistero, perdiamo l’infinito. Come dice Qohelet, c’è “tempo per tacere e tempo per parlare” (Qo 3, 7). la Chiesa ha l’obbligo imperioso di portare il mistero di Dio agli uomini. La parola che traduce quel messaggio deve penetrare prima di colui che lo dice per renderlo totalmente suo. La lectio divina, l’ascolto della parola di Dio che è stato sempre nel cuore della vita monastica, è il tempo della parola, il tempo del cuore che ascolta, che riceve , che si lascia assorbire. E anche il tempo del silenzio che è intorno a noi affinchè la Parola penetri fino in fondo all’essere e diventi veramente nostra. Nel celebre testo “La scala dei monaci” ( Scala Claustralium) di Guigo II, dodicesimo priore della Grande Chartreuse, insegna quali sono le tappe di questa penetrazione, che comincia con la lettura e continua con la meditazione: così inizia l’incontro di cuore a cuore con Dio e apre alla contemplazione. Come non fare silenzio di fronte ad un Dio fattosi uomo? La lettura, lo studio, la meditazione. Queste prime tappe fluiscono finalmente nel silenzio, dove già non lavoriamo noi; l’importante è lasciar lavorare lo Spirito, affinchè ci spieghi il mistero che la nostra intelligenza è incapace di comprendere.Lo Spirito ha il potere di farci interamente suo grazie all’amore che suscita in noi. Per me il silenzio nella vita della Chiesa va legato al mistero ed alla delicatezza della voce divina. Per ascoltarla c’è da affinare l’orecchio, perchè lo Spirito Santo non parla a voce alta, così come non lo fa nè Gesù nè suo Padre. Una volta che il verbo si fece uomo e si insediò a Nazareth, trascorsero trenta anni prima che i nazareni lo avvertirono. Così anche, ci vuole molto tempo e silenzio per discernere le voci del Cielo, discrete ed infinitamente rispettose.

Si può comprendere Dio?

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Ancora un passo tratto dal libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”. Una domanda posta a Dom Dysmas de Lassus, il quale risponde con estrema semplicità e con la solita profondità che lo contarddistingue.

Mentre preparavamo questa intervista, dice Nicolas Diat, lei Dom Dysmas mi ha detto… “come succede con qualsiasi argomento importante, quanto più riflettiamo sul silenzio meno capiamo. Chi ha mai capito l’amore?” Si sente di confermare, questa dura osservazione piena di speranza, Eminenza?

Durante il mio noviziato, il Padre maestro mi disse di leggere ” I misteri del cristianesimo” di Matthias Joseph Scheeben. Alla fine di ogni capitolo, il teologo si curava di sottolineare che era poco quello che avevamo compreso, e che la maggior parte era fuori dalla nostra portata. Aveva ragione: quanto più studiamo un mistero, più comprendiamo che non capiamo, ciò accresce la nostra ammirazione. E’ una fortuna che ci scappano tante cose, ci resta un infinito per scoprirle. Le realtà meno conosciute sono piene di mistero. Quanto più la scienza avanza, progredisce, per esempio meno intende la amteria. Soltanto chi non ha riflettuto sul tempo, crede di sapere di cosa si tratta. “Chi può pensare di essere capace di scoprire il significato dell’azione di Dio in questo mondo?”

La contemplazione si alimenta soprattutto di ciò che non capiamo. Nella meditazione prova a comprendere qulcosa del mistero, nella contemplazione si meraviglia e ci si abbandona all’amore di Dio che ci supera. ” Se lo comprendi, non è Dio” scrive s. Agostino (sermone 117), nella fede la mancanza di comprensione è fondamentale; lontano da essere una frustrazione ci permette di sognare. Si apre uno spazio abissale ed il nostro silenzio scivola in quell’attesa.

Ma Dio davvero tace?

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Ancora una domanda rivolta a Dom Dysmas de Lassus, tratta dal libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”, a cui egli risponde con acume ed una fede vibrante, che sembra rasserenare il genere umano.

Come intende il certosino il mistero insondabile del silenzio di Dio di fronte alle atrocità che si commettono quotidianamente sotto i nostri occhi? In Iraq ed in Siria ci sono bambini mutilati, violentati, venduti, ridotti in schiavitù, crocifissi…E Dio non dice niente? La politica di sterminio dello stato islamico castiga i cristiani di Oriente ed il Dio dell’amore sembra assente.

Dom Dysmas de Lassus: Mi permette di fare una introduzione su questo tema? L’attuale genocidio dei bambini trisomici in occidente non è meno drammatico, e non sono sicuro che non sia meno barbaro: semplicemente è meno visibile. In circostanze come queste che preoccupano tanto ad Oriente che in Occidente, credo che dovremmo meditare il libro di Giobbe. Convinto di stare in suo diritto, Giobbe arriva a chiedere il giudizio di Dio. E che Gli risponde? Si limita a dire a Giobbe che è incapace di comprendere, e anche se, condivide la sua ribellione e gli da ragione. Queste sono le sue parolle che destina ai suoi amici nel finale del libro. “Non hai parlato con rettitudine come il mio servo Giobbe” (Gn 42, 8).

Giobbe non può intendere i piani di Dio perchè non ha ancora ricevuto la chiave essenziale, la vita eterna. Fino a quando il peggio non sarà finito una volta che saremo al lato del Regno di Dio. Guarda gli emigranti: sono disposti ad affrontare rischi inauditi con la flebile speranza di andare incontro ad una vita migliore in Europa per alcuni anni. Dio, nostro Padre, ci tiene riservata una vita infinitamente migliore ed illimitata. Quello che manca all’uomo è poter immaginare l’eternità, la pienezza senza fine che deriva dalla totale comunione con Dio, questa terra dove si incarnerà la giustizia che i profeti hanno provato a descrivere.

Il silenzio di Dio non può essere compreso senza la prospettiva della vita eterna. Il tempo di Dio è diverso dal nostro: per Lui “un giorno è come mille anni” (2p 3, 8). Ci lascia soffrire brevemente prima di salvarci per tutta una vita. Chi si lamenterebbe di quel chirurgo che, con una dolorosa operazione di due ore, cureà un malato per sempre? Avrebbe lo studio affollato!

Prima di entrare nel Carmelo, Santa Teresa del Bambino Gesù lesse le conferenze sulla vita eterna dell’abate Arminjon. E incontrò alcune parole che la commossero. Diceva l’abate che, una volta che l’anima lascerà questa vita, il Signore gli dirà: ” Ora tocca a me! Durante la tua vita terrena mi hai dato quanto hai potuto per amore, ora tocca a me dare, infinitamente e per tutta l’eternità”. Questo ha detto Gesù: ” In verità vi dico che nessuno è uscito di casa, fratelli o sorelle, madri o padri, o figli o poderi per amor mio e del Vangelo, che non riceva il centuplo ora, in questo tempo, in case, fratelli, sorelle, madre, figli e poderi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna (Mc 10 29,30).

Così dobbiamo comprendere il silenzio di Dio, che non ha un significato definitivo. Per alcune ore guarda in silenzio e lascia il mondo nelle nostre mani. Ma verrà il giorno in cui farà “nuove tutte le cose” (Ap 21 ,5). Anche dal male, Dio è capace di ottenere i maggiori beni. Tutto quello che Egli permette ha un senso. Questa è la domanda che pose Gesù alla mistica Giuliana di Norwich a chi tanto piaceva parlare della cortesia, amabilità, semplicità la modestia di Dio, e che una notte ebbe quindici visioni che non ha mai smesso di meditare: Quale è il peccato maggiore che si ami esistito in questo mondo se non quello di Adamo?” E aggiunse queste straordinarie parole “Dal momento che ho scambiato in bene il peggiore dei mali, è mia volontà che sappi che trasformerò in bene tutto il male minore di quello”. Per consolarla le disse: “Tu stessa vedrai che tutto finirà bene”. L’eremita così concluse: “Con queste parole nostro Signore voleva intendere. “Accettalo ora con fede e fiducia, ed alla fine lo vedrai con la pienezza dell’allegria”.

In definitiva, noi siamo come Giobbe. Sappiamo che la vita eterna esiste, ma non abbiamo esperienza in essa, e continuiamo rivoltandoci nei mali di questa terra. Come fece Pascal, dobbiamo scommettere sull’eternità. Gesù non disse troppe cose, che possano consentirci di immaginare la vita eterna, ma possiamo contare su una certezza: “Quanto c’è di vero, di onorevole, di giusto, di integro, di amabile, e di encomiabile tutto quello che virtuoso e degno di lode (Flp 4, 8), ed anche tutto ciò che è bello giungerà al suo compimento e raggiungerà la pienezza e non sarà distrutto.

Deus absconditus?

Forza silenzio 6

Ancora un estratto del libro del cardinale R. Sarah, “La Forza del silenzio”.

Alla domanda di Nicholas Diat così formulata: Il Dio cristiano è un Dio Occulto, Questo è uno dei grandi misteri del modo in cui la Provvidenza governa il mondo. Nonostante, questo “Deus absconditus” (Dio nascosto) e uno degli aspetti della vita in questa terra che impedisce credere, seguirà la risposta di Dom Dysmas de Lassus.

 

A tal proposito conviene citare la frase di San Paolo: ” L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio”. (Rm 8,19) Anche se ignoriamo quello che siamo, e quello che saremo.

Nel cammino quotidiano del mondo, il silenzio di Dio è un fenomeno emozionante. Come si può comprendere il senso di questa assenza? Senza dubbio, è più facile comprenderlo nella nostra vita personale.

L’uomo in quanto creatura, è segnato da un egocentrismo ontologico. Solo il bambino appena nato ha coscienza di se stesso. Inizialmente percepisce la madre come una estensione del proprio corpo. Tutti, quando abbiamo iniziato siamo stati solipsisti!

Progressivamente, delusione dopo delusione, il bambino finisce con il comprendere che sua madre è un altra persona. Diverse fasi ed il trascorrere degli anni finiranno per guidarlo prima ad un amore interessato e ben integrato.

Parallelamente, nell’ ordine della vita spirituale abbiamo una lunga strada da percorrere. Bisogna passare dall’egocentrismo assoluto all’amore oblativo, totalmente decentralizzato da uno solo, a somiglianza dell’immenso amore di Dio. Questo è lil tragitto della creatura più piccola fino all’infinito del Cielo… Una evoluzione simile richiederebbe anche molto tempo. Però è come se Dio avesse fretta. Per questo, non dovremmo sorprenderci che questa rotta accellerata sia qualcosa di grezzo.

La vita è molto breve ed il viaggio considerevole!

Visto dall’eternità. La nostra vita è solo un istante. Questo non impedisce la sensazione che il tempo si allunga, soprattutto quando si soffre. Non perdiamo di vista questa differenza, che ci aiuterà a comprendere. Quando siamo al fianco di Dio, il nostro sguardo sarà lo stesso che il suo. Così lo spiega Gesù: La donna, quando partorisce, è triste perchè è giunto il momento. Ma una volta che ha dato alla luce il suo bambino, non ricorda più la sofferenza, per la gioia di aver dato alla luce una nuova vita. (Gv 16, 21)

In questo mondo noi abbiamo un opportunità unica di amare Dio, anche quando sfugge ai nostri occhi ed alle nostre orecchie.

La fede non si manifesta nella luce, perchè il bagliore si manifesta nell’eternità.

Ma viene il tempo in cui Egli si rivela pienamente, la nostra allegria sarà eterna per averlo amato senza vederlo. Gesù disse ai suoi discepoli: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove;e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me,perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele”. (Lc 22, 28-30) E in quanto a se stesso: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc,24-26) Lo stesso occorre con gli uomini invitati a prendere la sua Croce.

Questa croce può essere pesante e terribile, ma San Paolo ci ricorda che ” fedele è Dio che non permetterà che siate tentati al di là delle vostre forze”(1Co 10,13)

Siamo umili quando parliamo della sofferenza aliena. Solo chi ha sofferto veramente a diritto di parlare. In “Le heurtoir”. Paul Claudel scrisse: “Dio non è venuto per evitarci le sofferenze e nemmeno a spiegarcelo. E’ venuto a riempirlo della Sua presenza.” Vorrei aggiungere: è venuto per condividerlo e questo mistero registrato nel corpo resuscitato di Gesù, mai smetterà di essere una fonte di allegria e stupore. Come dice il salmo 116: Come potrò ricambiare al Signore per tutto il bene che mi ha dato ?

 

 

Una spirale di silenzio

Forza silenzio dysmas 1

Ancora uno splendido pezzo di Dom Dysmas de Lassus, tratto dal libro del cardinale Robert Sarah “La forza del silenzio – Contro la dittatura del rumore”.

I monasteri, e le certose in particolare sono strade di accesso silenziose e privilegiate per giungere a Dio. Si può dunque parlare di una spirale di silenzio?

Dom Dysmas de Lassus: L’uomo può percepire queste spirali in ogni relazione amorosa che si va consolidando. Inizialmente trionfa la parola, c’è molto da scoprire nell’altro. Con il tempo conquista terreno la presenza silenziosa. E’ sufficiente stare uniti, gli sguardi uniti valgono più delle parole. Nella relazione con Dio troviamo questo medesimo processo: come tutte le relazioni possiede la sua storia ed il suo sviluppo. Nel testo che ho già citato, Isacco di Ninive lo esprime così: “Poco a poco qualcosa ci attrae ad un silenzio maggiore”, ciò implica una nuova forma di relazione. Accade lo stesso con un libro: per scoprire la pagina seguente, devi tornare indietro, devi nascondere e, in nessun modo, abbandonare la precedente.

Con Dio questo movimento non ha fine, perchè Egli è l’infinito.

Poco a poco, l’intimità divina che ci colmava inizia a cedere terreno alla insoddisfazione: ascoltiamo come una chiamata ad allontanarci, pur ignorando in quale direzione. E’ come se il signore non andasse all’appuntamento, o per essere più precisi , siamo noi che non andiamo all’appuntamento: noi siamo rimasti nello stesso punto, mentre Dio è avanzato. In questo preciso momento, dobbiamo abbandonare qualcosa per cercare di cogliere i segnali che Egli ci offre, a simiglianza del bambino che si perde nel bosco che ascolta in assoluto silenzio per poter percepire una voce che gli indichi la strada da prendere. In un delizioso testo sulla preghiera del cuore, Dom Andrè Poisson racconta come, prima di entrare nella certosa, aveva incontrato ” una piccola fonte che creava tra il mio cuore e Dio un vincolo infinitamente profondo e reale”. Un bel giorno, molto tempo dopo, lo assalirono i dubbi e se quella piccola fonte a cui ho dato conto non era Dio, giacchè solo di Egli aveva sete. Dom Andrè comprese che doveva abbandonare quella fonte che tanto apprezzava per trovare il mezzo, l’attitudine del cuore che mi permetterà di aprire la porta direttamente a Colui che da tanto tempo stava chiamando a sè invano, perchè nella mia preghiera centravo essenzialmente in me stesso”. La piccola fonte di Dom Andrè era senza dubbio qualcosa di buono e prezioso, ma solo temporaneamente: non doveva rimanere in egli. Così’ come un viaggiatore che scopre uno splendido paesaggio, e si ferma per godere di esso lentamente: ma ciononostante, arriva il momento in cui bisogna riprendere il cammino, in attesa di incontrare nove sorprese ancora più belle. Questa è la ragione delle alternanze che si presentano come una spirale. Per scoprire una nuova relazione, un nuovo linguaggio, il quale ci risulta conosciuto dobbiamo tacere. C’è bisogno di molto silenzioe molta attenzione per scoprire una nuova musica alla quale non siamo abituati. Il maggiore ostacolo di solito vive nella nostra tendenza di rimanere fermi in un sistema che funziona. Al nostro cuore, abituato ad una determinata relazione con Dio, risulta riluttante al cambiamento per creare una nuova relazione; il Signore, tuttavia, è desideroso di andare avanti. Si va avanti per obbligarci a riprendere la marcia.