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Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 18)

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CAPITOLO 18

Lavoro

1 Le monache, nella linea propria della loro vocazione, sono soggette alla legge divina del lavoro ed evitano l’ozio che gli antichi chiamavano il nemico dell’anima. Con gioiosa umiltà accettano tutti i compiti imposti dalle necessità di una vita povera e solitaria, avendo cura tuttavia di ordinare tutto al servizio della contemplazione di Dio, alla quale sono interamente devoti. (St 5,1)

Attività delle monache di clausura

2 Per le monache di clausura, oltre ai vari lavori manuali, l’insieme degli obblighi che derivano dal loro stato costituisce materia del loro servizio, principalmente la celebrazione del culto divino e degli studi sacri. (cfr St 5,1) Nella cella, per non sprecare la loro vita dedicata a Dio, le monache si dedicano con ardore e discrezione a studi che gli convengono: non per soddisfare la voglia di imparare o di pubblicare libri, ma perché una lettura sapientemente ordinata dà all’anima più forza e fornisce supporto per la contemplazione. È un errore credere che si possa trascurare lo studio della Parola divina, o poi abbandonarlo, e tuttavia raggiungere facilmente l’intima unione con Dio. Cercando dunque il midollo del senso più che la schiuma delle parole, scrutiamo i misteri divini con la sete di conoscenza che nasce dall’amore ed a sua volta lo ravviva. (St 5.2)
3 Attraverso il lavoro manuale, la monaca pratica l’umiltà e riduce tutto il suo corpo alla servitù per raggiungere meglio la stabilità interiore. (St 5.3)
4 Nei tempi previsti (cfr 41,9), si applica alle opere veramente utili; non è opportuno sprecare in occupazioni vane o superflue il tempo prezioso che ci è stato dato per glorificare Dio. Ma questo periodo della giornata non è affatto escluso il beneficio della lettura e della preghiera. (St 5.3)
5 La suora di clausura normalmente rimane nella cella per il lavoro a lei affidato. Tuttavia, se la priora ritiene che ci sia un motivo sufficiente per rimuoverla dalla cella, non rifiuterà di aiutarla. Non appena questo obbligo cessa, deve ritornare al silenzio della cella a cui è particolarmente chiamato.
6 In ogni momento, la priora può ordinarle di compiere un lavoro o un servizio utile al bene comune: lo accoglie volentieri, nella gioia della carità, perché nel giorno della sua professione ha chiesto di essere accolta come umile serva di tutti. Ciascuna potrà misurare l’autenticità della sua vita solitaria dal modo sollecito, sereno e gioioso con cui aderisce alla volontà di Dio e della sua priora, e dall’amore vero ed efficace che manifesta agli altri. Ma il lavoro affidato a una monaca di clausura deve sempre lasciarle sufficiente libertà d’animo e non dare adito a preoccupazioni per il profitto o per il ritardo da osservare. Alla solitaria, più attenta a mantenere lo sguardo sulla meta che sul lavoro, è necessario fornire i mezzi per tenere sempre all’erta il cuore. (St 5.5)
7 La suora resta libera di organizzare il suo tempo di lavoro nella cella sotto lo sguardo di Dio, secondo la sua coscienza e le sue attitudini. In uno spirito di disponibilità ai bisogni della comunità e d’accordo con la priora, si è assicurata di rimanere fedele alla grazia propria della sua vocazione alla preghiera. Ciascuna salvaguarderà la sua solitudine e la sua libertà interiore nel pieno rispetto delle scelte delle sue sorelle in questo ambito, senza preoccuparsi delle loro attività. (cfr. St 5,5)

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Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 4)

monaca in preghiera in cella

CAPITOLO 4
A guardia della cella
1 La nostra principale applicazione e la nostra vocazione è trovare Dio nel silenzio e nella solitudine. Là, Dio e il suo servo tengono frequenti conferenze, come fa tra amici. Là, spesso, l’anima fedele è unita alla Parola di Dio, la sposa allo Sposo, la terra al cielo, l’umano al divino. Ma la strada è lunga, arida e arida sono i sentieri che devono essere seguiti fino alla sorgente, nella terra promessa. (St 4.1; 12.1)

Le monache di clausura

2 La monaca di clausura, particolarmente dedita a curare il silenzio e la solitudine della cella, deve fare molta attenzione a non contraffare o accettare occasioni di uscita, eccetto quelle che la regola fornisce; anzi, considererà la cellula indispensabile alla sua salvezza e alla sua vita come l’acqua per i pesci e l’ovile per le pecore. Se si abitua a lasciarlo spesso, per futili motivi, le diverrà presto insopportabile, perché, dice sant’Agostino, per gli amici del mondo non c’è lavoro peggiore che restare senza lavoro. Al contrario, più è rimasta in cella, più vi starà volentieri, a condizione che vi si occupi con ordine e con frutto, leggendo, scrivendo, cantando, pregando, meditando, contemplando e lavorando. In questo tempo, prenda l’abitudine all’ascolto silenzioso del cuore, che permette a Dio di entrarvi per tutte le strade e per tutti gli accessi. In questo modo, aiutando Dio, ella eviterà il pericolo che spesso si annida nella solitudine, di cedere al riposo nella cella, e di essere infine annoverata tra i mediocri. (St 4.2)

Le monache laiche

4 Dio chiama anche il converso o il donato a godere delle benedizioni e della gioia divina che portano la solitudine e il silenzio. Il suo cuore sia come un altare vivo dal quale si eleva incessantemente al Signore la pura preghiera, e che questa permei tutte le sue azioni. (St 4,11) 5 Ella vegli con premurosa sollecitudine sulla sua solitudine esteriore, che generalmente non è protetta dal ritiro dalla cella. Ma questa solitudine esteriore resterà infruttuosa se in ogni momento, anche durante il lavoro, non sa mantenere la sua mente solitaria, ma evita la moderazione. (St 12.2) 6 Quando l’Ufficio non trattiene i colloqui in chiesa, né lavora nelle obbedienze, essi ritornano sempre nella cella come porto tranquillo e sicuro. Rimangono lì in pace e per quanto possibile senza rumore, seguono fedelmente il loro programma e agiscono sempre sotto lo sguardo di Dio nel nome del Signore Gesù Cristo, ringraziando per suo mezzo Dio Padre. Nella cella sono utilmente occupati a leggere o meditare, specialmente la Sacra Scrittura che è il nutrimento dell’anima; oppure si applicano alla preghiera quanto possono. Stanno attenti a non forgiare o accettare occasioni per uscire, eccetto quelle previste dalla regola, o quelle suscitate dall’obbedienza. La natura, infatti, a volte vorrebbe sfuggire al silenzio della solitudine, e della tranquillità spirituale. (St 12,3)

7 Uno dei primi atti di carità verso le nostre sorelle è il rispetto della loro solitudine. Non entriamo nelle loro celle senza permesso. Chi ne è provvisto non entra inaspettatamente; bussa, aspetta che qualcuno le apra, poi saluta religiosamente, e la conversazione resta breve. (St 4.4,6; 12.6,7) Tra questo momento e l’Angelus mattutino, senza un motivo eccezionale, non possiamo andare o essere chiamati nella cella della priora o in quella degli ufficiali. (St 12.9) 10 Ogni anno, per otto giorni, consecutivi o divisi in due periodi, ciascuno di noi si dedica più totalmente alla pace della cella e alla meditazione; dati per almeno tre giorni. Secondo l’usanza, l’anniversario della nostra professione o della nostra donazione è l’occasione propizia per questo ritiro. Una suora che lo desideri può fare un simile ritiro un giorno al mese, a giudizio della priora. (St 4,10; 12,5) 11 Ciò che la solitudine e il silenzio del deserto portano di utilità e gioia divina a chi li ama, solo a chi lo conosce, a chi lo ha sperimentato. Qui, infatti, gli uomini forti possono quanto vogliono ritornare in se stessi e rimanervi, coltivare con cura i germi delle virtù e nutrirsi di prelibatezze di frutti del paradiso. Qui, ci sforziamo di acquisire quell’occhio il cui sguardo limpido ferisce lo Sposo con un amore puro e trasparente che vede Dio. Qui ci concediamo uno svago senza ozio e ci immobilizziamo in un’attività tranquilla. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dà ai suoi lottatori la ricompensa desiderata: una pace che il mondo ignora e gioia nello Spirito Santo. (San 6,16)

La cella per un certosino

lo studio nella cella

lo studio nella cella

Nell’articolo di oggi ecco per voi un testo scritto da un certosino, sul luogo che rappresenta il fulcro della vita monastica certosina. Una descrizione a dir poco deliziosa.

“Fuggirò lontano e abiterò nel deserto” (Sal 54: 8).

Di tutte le ricchezze in certosa, le prime settimane in cella non ti riveleranno molto, forse niente. Bisognerà accontentarsi umilmente di annoiarsi e girare. Il tuo cuore è a pezzi per tutto ciò che ti hai appena lasciato, e sui muri imbiancati non è disegnato nulla, ma solo un Crocifisso e una Vergine. C’è ancora troppo scompiglio nella tua immaginazione e nella tua sensibilità per essere affascinato dall’Invisibile.

Avevi sognato questa casetta che la tua fantasia dipingeva tua sorella dall’autore dell’Imitazione di Cristo. In essa sei … e ti dà i brividi. Vuoi scappare. Devi pazientare. Pregare. Organizza “incontinenti” un ciclo di occupazioni, letture, un piccolo lavoro sulla Bibbia o qualsiasi altro argomento spirituale di tua scelta. A poco a poco scoprirai e assaporerai la mistica della cella. Coloro che l’hanno cantata in termini emotivi che hanno attraversato i secoli non erano novizi, puoi crederci, e proprio come te, hanno dimostrato, subito, la sua austerità.

La cella dell’eremita è una dimora unica nel suo genere. Non è l’ufficio di un ecclesiastico, né la stanza di un gesuita o di un mendicante. L’uomo solo dorme, lavora, mangia e si crogiola nella sua cella.

Ma il suo carattere distintivo è che lei è il suo intero universo.

A parte le tue visite in chiesa, non dovresti guardare fuori. Gli viene dato tutto lì, nella sua minuscola riserva. Tutti i tesori del deserto, del Monte e del Tempio sono talmente legati ad esso che l’eremita che lo abbandona senza motivo di peso controllato dall’obbedienza, li perde per il momento. Fuori non trova niente, non trae vantaggio. L’eremita è sottoposto alla cella per la sussistenza dell’anima.

È un rifugio dai miasmi del mondo; luogo santo in cui il Signore si fa coraggio, tiene segreti colloqui con l’anima che, per suo amore, si raccoglie in essa, dando mano a tutto il resto. È quella “cantina” (Ct 2,4) dove l’Amato presenta la sua amata per inebriarla con la sua presenza e con i suoi doni: abbandonarsi alle futilità sarebbe dissacrarla. Nella cella, Dio dà udienza all’anima solitaria. Giunto ai confini della vita terrena, distaccato dalle contingenze che fanno gemere per Dio tante anime assetate, attaccate come sono alle dure condizioni dell’esistenza, l’eremita inizia la sua eternità nella gioia del Signore. Se sei generoso, vedrai emergere dall’ombra, a poco a poco, quel mondo divino in mezzo al quale hai vissuto senza accorgertene, perché il lampo e il clamore dell’altro gli hanno impedito di manifestarsi. A tua volta, sperimenterai, estasiato, che non sei mai meno solo di quando sei solo.

Un certosino

Pregando entrando in cella

monaca in preghiera in cella

Ecco per voi cari amici, una deliziosa preghiera composta da una monaca certosina.

Questa orazione, è stata concepita per essere recitata ogni qualvolta si entra in cella, possiamo recitarla anche noi, che pur non vivendo una vita monastica di clausura, dobbiamo cercare e trovare la “cella” del cuore, nella nostra profonda interiorità, il luogo per l’incontro con Dio.

Sforzati di entrare nella cella del tesoro che è dentro di te e vedrai quella che è in cielo: l’una e l’altra sono un’unica cella, e per una sola porta le vedrai entrambe. La scala che conduce al Regno dei cieli è nascosta dentro di te, nella tua anima.Tu immergiti in te stesso, lontano dal peccato, e lì tu troverai i gradini per salire al cielo.

Isacco di Ninive

O Gesù, prego che entrando in questa cella io possa entrare nell’immensità del tuo amore. Benedici questo luogo della mia dimora terrestre. Arricchiscilo con i meriti della Tua dimora terrestre. E concedi che la tua vita divina possa liberarmi dal mondo e da me stesso. Possa questa cella diventare un luogo sacro. Il luogo in cui lo sposo incontra la sposa. Il luogo dove attraverso il mio corpo aiuto la Chiesa a riscattare le perdite della Tua Passione. Non permettetemi di profanarlo per mancanza di silenzio o di solitudine. Concedi che sia in tutta verità il luogo in cui mi hai portato a parlare al mio cuore. E, al momento della mia morte, possa essere la porta del Paradiso.

Amen

una monaca certosina

Devozione alla Mater Singularis Carthusiensis

La vergine dei certosini

A conclusione di questo mese mariano, mi piace ricordare che nessuno come l’Ordine certosino onora liturgicamente la nostra Beata Vergine. Oltre all’ufficio divino, i monaci certosini pregano quotidianamente l’intero piccolo ufficio della Beata Vergine Maria. In un opuscolo vocazionale dell’Ordine vi sono queste parole: “Maria svolge un ruolo primario nella vita solitaria di un monaco. Per quanto la fragilità umana lo consenta, la sua anima si sforza continuamente di avvicinarsi a Dio e rimanere fedele a questa alleanza sponsale di amore. Questo sforzo unisce il certosino in modo speciale con la Beata Vergine Maria, che siamo abituati a chiamare Mater Singularis Carthusiensis (la madre in particolare di tutti i certosini). La onoriamo con un affetto speciale recitando quotidianamente il suo piccolo ufficio e consacrando la nostra chiesa e comunità al suo Cuore Immacolato “.

In ogni certosa, si offre una messa quotidiana in onore della Madonna. Il sabato questa è una messa comunitaria, mentre in tutti gli altri giorni questa Messa viene celebrata privatamente dai Padri.

Alla fine dei Vespri ogni giorno, nell’Ufficio divino canonico, i monaci cantano la Salve Regina. L’ Angelus viene recitato quattro volte al giorno, uno in più rispetto ai tre tradizionali. I monaci pregano anche un’Ave Maria ogni volta che entrano nella loro cella individuale. Come sapete, il primo ambiente della cella viene appunto chiamato Ave Maria, poichè vi è sempre una immagine della Madonna al quale il monaco rivolge un saluto ogni qualvolta esce ed entra dalla cella.

l'Ave Maria

l’Ave Maria

È consuetudine recitare ogni ora dell’ufficio della Madonna prima dell’ora corrispondente dell’ufficio divino. L’unica eccezione è a Compieta dove la Preghiera notturna della Madonna segue Compieta dell’ufficio divino canonico. Così la giornata inizia con Mattutino della Madonna e termina con Compieta della Madonna; e così, l’intera giornata di preghiera è nell’abbraccio della nostra Beata Madre, confidando nel suo amore materno.

Ogni sera all’interno delle certose di tutto il mondo viene cantato l’inno Ave Maris Stella durante i Vespri della Madonna. In quell’inno la Madonna viene individuata come Felix Coeli Porta. Quelle parole parlano implicitamente del potere della sua intercessione, dell’amorevole Madre che Gesù non può rifiutare, della porta che conduce all’eterna visione beatifica, è la porta attraverso la quale Dio stesso è entrato nel mondo.

Nell’ultima preghiera del giorno, Compieta della Madonna, la nostra santa Madre conforta i suoi figli con queste parole che la Chiesa mette sulle sue labbra e viene letta ogni sera, tranne durante l’Avvento. Queste parole traducono dalla Vulgata latina come: “Sono la Madre del giusto amore, della paura, della conoscenza e della santa speranza“(Ecclesiasto 24:24) . Tale sentimento consolatorio dà la fiducia di pregare il Nunc Dimittis che segue: “ Nunc dimittis servum Tuum, Domine, secundum verbum Tuum in pace…- Ora allontana il tuo servitore, o Signore, in pace, secondo la tua parola. . “. (Luca 2:29).La combinazione di quei due passaggi della Sacra Scrittura e dell’ufficio della Madonna rende una bella serenità mentre si riposa per la notte.

A conclusione di questo articolo ecco per voi una considerazione di Dom Lanspergio

Maria non ci ha scelti come suoi servitori, ma come suoi figli e figlie. Figli e figlie che non è soddisfatta di proteggere e difendere, ma che desidera nutrire nel suo cuore, nutrire con squisita tenerezza. Da parte nostra, non permettiamoci di attaccarci al suo servizio come servi ma come suoi figli più affettuosi; lei stessa non ha posto limiti alla sua materna sollecitudine per noi. La onoriamo e la amiamo con affetto veramente filiale, meditando costantemente sulla sua vita e sulle sue virtù ”(Ioannes Lanspergius, Opera Omnia, vol. IV).

Mentre i certosini pregano l’ufficio della Madonna, uniamoci in preghiera anche noi:

Maria, Mater gratiæ, Mater misericordæ, tu nos ab hoste protege, et hora mortis suscipe” “Maria, Madre della grazia, Madre della misericordia, proteggici dal nemico e ricevi le nostre anime nell’ora della morte.”

Come accennato in precedenza, i certosini cantano la Salve Regina dopo i vespri canonici. Ecco un video che contiene questa deliziosa preghiera cantata dai monaci certosini.

Il culto della Vergine

Il culto della Vergine

«Oltre all’Ufficio divino, i nostri padri ci hanno trasmesso l’Ufficio della Beata Vergine Maria, di cui ogni Ora precede ordinariamente l’ora del corrispondente Ufficio divino. Con questa preghiera, celebriamo l’eterna novità del mistero di Maria che genera spiritualmente il Cristo nei nostri cuori». Così un certosino dei nostri tempi, ci spiega il senso del culto per la Madre di Gesù.

Ogni giorno, da ogni monaco certosino, viene recitato nella propria cella l’ufficio De Beata, rivolto alla Vergine, ma non solo.

Nella cella certosina formata da diverse stanze, c’è un luogo privilegiato: all’ingresso della cella, infatti, vi è la camera cosiddetta dell’Ave Maria. In essa, vi è una immagine della Vergine: essa viene salutata dal monaco ogni volta che rientra in cella. Il priore della certosa di Colonia, Giovanni Gerecht, noto come Lanspergio, nei primi decenni del 1500, indicava a un giovane postulante questa successione di atti: «Rientrando in cella, fermati un istante davanti all’immagine di Maria, posta come custode vicino alla tua porta. Se sei di fretta e devi entrare subito, mentre giri la chiave nella toppa prega Maria perché ti adotti, ti tenga, ti possegga come un figlio. Entrato in cella, prima di tutto inginocchiati per pregare, offrendo alla Vergine beata il saluto dell’Ave Maria…». Un’altra pratica mariana delle certosa è l’Angelus, detto quattro volte nel corso delle ventiquattro ore: al mattino, a mezzogiorno, a sera e durante la notte, dopo le Lodi.Le «Ave Maria» che segnano il ritmo di questa preghiera devono essere recitate cum omni maturitate. Garante di questa recitazione non precipitosa sarà il monaco sacrista della certosa. Egli rintoccherà la campana, pensando che da ciò dipende la preghiera devota di quanti vivono in certosa ut unisquisque audiens pulsum commode se aptare possit ad dicendum: Ave Maria.

Senza dimenticare, che quasi tutti i giorni si celebra una messa in onore di Maria, e tutti i sabato tranne che se non ricorra una festività la messa conventuale  è dedicata alla madre di Dio. Inoltre, come sappiamo, tutte le certose sono dedicate primariamente alla madre di Dio, ed è per questa profonda venerazione che, nel corso dei secoli molti artisti hanno raffigurato i certosini avvolti nel mantello protettivo della Madonna. La loro «Madre senza eguali».

Esperienza certosina

Esperienza certosina

san bruno pietra

Grazie alla interazione consentita da Cartusialover, ho ricevuto un’altra testimonianza di un giovane che ha vissuto un periodo all’interno delle mura di una certosa. L’intento di proporla pubblicamente rispettando l’anonimato ha l’intento di fare cosa gradita a quanti vogliono avvicinarsi a tale vita monastica eremitica. Ciò premesso ecco il testo della lettera inviatami.

 

Ho realizzato l’esperienza di vivere 15 giorni all’interno della certosa argentina di San José in Dean Funes, certamente un vivere la spiritualità mistica molto forte. La vita certosina è molto speciale, il vivere in solitudine quasi tutte le 24 ore del giorno, di fronte a Dio ed a se stessi nella solitudine e nel silenzio sono una esperienza indimenticabile.

Dopo esser giunto in certosa, fui ricevuto ed accolto dal Priore il quale mi condusse in cella, poiché io avevo scelto la vita del sacerdozio, per la quale come sapete si intende vivere essenzialmente nell’isolamento della cella. Dopo aver attraversato il chiostro giungemmo alla cella assegnatami, egli mi descrisse gli orari e gli impegni della giornata: pregare, andare in chiesa, ritirare il pasto ed il momento del dormire.

Appena rimasi da solo, provvidi a spogliarmi ed a sistemare i miei oggetti personali in bagno e nel comodino. Dopo aver espletato queste ordinarie formalità, cominciai a chiedermi: Ed ora? Cosa faccio?

Credo che sia la domanda più ovvia che si siano posti tutti coloro che si sono trovati e che si troveranno nella mia situazione. Nel silenzio totale ed assoluto optai per ringraziare Dio per avermi offerto l’opportunità di essere in quel luogo in quel momento. Ho poi cominciato con apprezzare la cella con l’inginocchiatoio, poi mi sono preparato del te, ed ho cominciato a leggere gli statuti dell’Ordine.

Ogni ora che passava l’ambiente circostante mi appariva più familiare, e mi misi ad attendere la visita di un fratello converso, che come mi aveva annunciato il Priore, sarebbe venuto nella mia cella per insegnarmi a rilegare. L’attesa fu vana, poiché non intesero farmi stancare, consentendomi di riposare per il viaggio da me intrapreso per giungere in certosa.

 

Per quanto riguarda i tempi di preghiera sono intensi, difatti sono diversi dalla comune liturgia delle ore che possiamo pregare in casa nostra, loro hanno diviso in due il salterio, e si percepisce un modo speciale di vivere la preghiera. Veglie di preghiera comunitaria e altre ore che si recitano nella Cappella fanno percepire la comunità, come una famiglia raccolta in preghiera al Padre nostro, elevando alla sua lode preghiere e salmi. Il tono dei canti, è molto lento, masticando lentamente ogni parola il suono diventa penetrante per il cuore.

La Santa Messa a cui ho partecipato, è un’esperienza davvero unica, è quasi del tutto silenzioso, si parla molto poco, ma non è più un sacrificio sull’altare di ciascuno dei fratelli e dei padri del monastero. In realtà, per me, è la migliore parte del giorno la Massa.

Circa il lavoro in cella, ognuno opera nel proprio giardino, alla falegnameria, o al banco per la legatoria. Certamente avere la vocazione per questo rigido stile di vita è una cosa magnifica, ma bisogna avere una forza mentale ed una propensione alla spiritualità da coltivare quotidianamente. Vi sono enormi difficoltà da superare, come far fronte alla solitudine che ci induce ad incertezze nelle quali solo Dio potrà starci vicino e farci capire che tutto è possibile, ma solo se lo vogliamo veramente. Ogni tipo di vita religiosa ha i suoi problemi, e non bisogna impaurirsi del rigore certosino o della alimentazione essenziale e priva di carne, quindi chi scrive questa lettera, che so verrà pubblicata, e quindi letta da molti giovani affascinati dalla vita certosina, vi incoraggia a continuare a ricercare e sperare in una chiamata vocazionale. Bisogna essere coraggiosi e se convinti, contattare il proprio direttore spirituale o la certosa nella quale si vorrebbe provare a fare un esperienza.

Dio vi benedica tutti e San Bruno possa guidarvi sulla via della santità.

Quando in cella si cucinava

Quando in cella si cucinava

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Ritratto di Guigo I°

Forse non tutti sanno che anticamente, ovvero nei primi tempi dalla fondazione dell’Ordine certosino all’interno delle prime certose il “Refettorio” e la “Cucina” non erano previsti. Difatti come apprenderemo da un brano tratto dalle “Consuetudini” scritte da Guigo I° tra il 1125 ed il 1128, ogni monaco, all’interno della propria cella, disponeva di un locale adibito a cucina e dispensa che lo rendevano indipendente per il consumo dei pasti. Solo a partire dal XIII° secolo, alcune modifiche apportate alle “Consuetudines Cartusiae”, volte ad eliminare ogni sorta di distrazione alla rigida clausura, consentirono ai certosini di disporre di un locale destinato a refettorio, per il consumo dei pasti comunitari nei giorni di festa, e di una grande ed unica cucina. Questa era, ed è gestita dal fratello converso cuoco, che cucinate le pietanze le porgeva al fratello dispensiere, munito di un apposito carrello ed  incaricato di servire i Padri nelle celle del Chiostro.

Guigo I scriveva:

             E poiché, assieme a tutti gli altri compiti che si addicono a una vita povera e all’umiltà, ci cuciniamo da noi stessi i cibi, gli [a colui che abita nella cella] sono date anche due pentole, due ciotole, una terza ciotola per il pane, oppure, al suo posto, un tovagliolo; poi una quarta ciotola, un po’ più grande, per lavarvi il necessario. Poi due cucchiai, un coltello per il pane, una coppa, un bicchiere, una brocca per l’acqua, una saliera, un piatto, due sacchetti per i legumi, un asciugamano. Per il fuoco: un fornello, dell’esca, una pietra focaia, della legna, una scure. Per i lavori: una pialla.

A colui che leggerà queste cose chiediamo che non ci derida e non ci biasimi se prima, per un tempo abbastanza prolungato, egli non sarà rimasto in cella in mezzo a tanta neve e a un freddo così terribile.

Saper ascoltare, il silenzio e… non solo

Saper ascoltare, il silenzio e… non solo

Saper ascoltare il silenzio, è di certo una prerogativa essenziale inseguita dai monaci certosini finalizzata alla ricerca di Dio. Questa pratica è, sviluppata all’interno dell’eremo nella solitudine della cella, con il cuore la mente e lo spirito nella quies, condizione ideale per potersi porre in ascolto. Ma la loro ricchezza spirituale viene come sappiamo raggiunta gradualmente, pertanto essi sono in grado di poter offrire preziose indicazioni fondamentali per il raggiungimento della pace interiore. Quest’ultima è da noi, estranei alla clausura, ricercata a tentoni, difatti non riusciamo ad apprendere la dote privilegiata dei certosini, ovvero la comprensione del linguaggio del silenzio. Pertanto, per poter raggiungere un apprezzabile equilibrio interiore, bisogna saper andare alla ricerca del proprio sé, intraprendendo un viaggio dentro di noi attraverso la meditazione, la quale ci educa al silenzio ed all’ascolto interiore. Ma prima ancora di poter ascoltare il nostro sé, dovremmo saper ascoltare il prossimo, si ma come?

A tal proposito voglio offrirvi una meravigliosa testimonianza scritta di un padre certosino anonimo, il quale ci elargisce un insegnamento credo fondamentale, a cui tutti dovremmo attenerci per poter come loro progredire gradualmente.

«Per comprendere l’altro è necessario entrare nel suo universo, saper guardare con i suoi occhi, sentire con i suoi sentimenti, essere lui per compenetrazione e simpatia. Occorre abbandonare momentaneamente i propri pregiudizi, le proprie inclinazioni personali, le proprie idee a priori, il proprio paesaggio familiare. Tutto ciò infatti rende selettiva la nostra attenzione filtrando ciò che ci viene dall’altro e riducendolo in definitiva all’immagine che noi abbiamo di lui. Lasciare da parte ogni preoccupazione di affermare se stessi, di curiosità, di critica»

Questo insegnamento, del saper ascoltare l’altro prima del silenzio, ci appare dunque come una virtù che ogni uomo dovrebbe poter acquisire per la propria trasformazione spirituale. Ed ancora, come non rimanere insensibili verso i moniti dispensatici da Lanspergio!!! «Nella solitudine, l’uomo si purifica e si conserva puro; conosce se stesso ed impara ad amare Dio. Nella solitudine impara ad amare Dio, ad unirsi a Lui. Colui che ha il gusto della solitudine, ha il gusto di Dio. Là tutte le cose del mondo diventano straniere all’uomo…Ben pochi sanno amare e conoscono questa solitudine. Se gli uomini avessero uno sguardo più profondo, scorgerebbero quale tesoro si racchiude in essa e tutti vi accorrerebbero…Conserva il silenzio, cerca sempre luoghi e tempi favorevoli per dimorare solo, evita la familiarità degli uomini. Dimora con assiduità nel santuario interiore» Opera Omnia (tomo IV). Gradirei che la vostra attenzione si soffermasse sull’analisi dell’ultima frase; Conserva il silenzio.. ovvero non privartene mai per non impoverirti. Cerca sempre luoghi e tempi favorevoli per dimorare solo, qui Lanspergio fa riferimento alla fondamentale importanza della propria forza di volontà che deve emergere sempre. L’esortazione conclusiva .. evita la familiarità degli uomini. Dimora con assiduità nel santuario interiore, si riferisce alla ferma capacità di evitare condizionamenti che possano interferire nella ricerca del nostro equilibrio interiore. Credo e spero che  voi tutti vogliate concordare con me, nel ritenere questi scritti fonti inesauribili di saggezza, un vero tesoro da cui attingere per l’arricchimento spirituale.

Dossier certose attive: Selignac

Dossier certose attive:
Selignac

La Certosa di Val Saint Martin di Selignac, è una antica certosa fondata nel 1202, laddove si è svolta regolare attività monastica ininterrottamente fino al 1792. Poi a seguito delle leggi anticlericali fu soppressa, e dopo varie traversie occorse nel XIX° secolo, la certosa fu venduta e poi successivamente riacquistata da una benefattrice che la diede nuovamente all’Ordine certosino. Nel 1928 una nuova comunità certosina, poté insediarsi ricominciando la vita claustrale fino al 15 giugno del 2001. In questa data, il Capitolo Generale, decise di chiudere la certosa di Selignac interrompendo la vita della comunità monastica al fine di rimpiazzarla con un gruppo di laici non monaci,  chiamati a proseguire una vita di solitudine e preghiera ispirata al modello monastico certosino, e sotto l’autorità spirituale del Reverendo Padre della Grande Chartreuse.
Questa scelta ha due motivi fondamentali, il primo è da ritrovarsi nel ridotto numero di nuove vocazioni in Francia nel XX° secolo, che spinse l’Ordine a costituire nuove certose in America Latina ed in Asia. L’altra motivazione è da addursi alla volontà di voler conservare il complesso monastico, per consentire una  esperienza religiosa innovativa, aperto ad uomini e donne che vogliono accostarsi alla vita certosina in questa comunità che offre ospitalità, dove poter fare un silenzioso ritiro spirituale andando alla ricerca dell’essenza di se stessi accostandosi a Dio. Per informazioni più dettagliate circa la vita condotta all’interno di questo centro di spiritualità certosina, che si avvale della presenza di ospiti fissi e temporanei ma mai superiori ad una dozzina, vi invito a consultare il sito ufficiale della certosa di Selignac.
In questo mio reportage vi saranno diverse immagini, alcune riguardanti gli ambienti della struttura, ed altri che ritraggono l’ultima comunità certosina che la ha abitata.

Ciò è stato possibile poiché nel 2001 la Ciné Art Loisir realizzò un film di J.C. Guerguy  “ Les Chartreux à visages découverts”, prima che i monaci abbandonassero il loro convento. Questo documentario risulta essere molto interessante poiché è l’ultima testimonianza della presenza certosina a Selignac, di seguito potremo vedere alcune brevi clip.

Per informazioni e contatti

Buona Visione

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Video con foto e canti

ed alcune clip estratte dal film documentario

“ Les Chartreux à visages découverts”

Storia

L’Ave Maria

La crostata

Il pasto in cella

Asperges me domine

I Vespri