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Ugo de Balma

Ugo de Balma

Viae Sion lugent (manoscritto)

Viae Sion lugent (manoscritto)

Il personaggio del quale vi parlerò oggi è Ugo di Balma, notoriamente riconosciuto per aver realizzato l’opera “De mystica teologia” altrimenti nota come “Viae Syon Lugent”, ovvero le parole iniziali del testo. Sulla precisa identità di questo autore si è molto dibattuto, ma ormai sembra certo che si tratti di Dom Ugo di Balma di Dorche e sarebbe appartenuto alla famiglia di Balmey. Non si conoscono molti dati biografici ad eccezione del fatto che Ugo fece studi universitari per poi diventare certosino. Vi sono documenti che attestano che egli fu priore della certosa di Meyrat dal 1289 al 1304, e che è stato uno dei principali autori della spiritualità certosina. Ultime ricerche hanno stabilito che potrebbe trattarsi di un discendente del fondatore della certosa di Meyrat Ponce di Balmay. Nella sua opera, scritta tra il 1272 ed il 1297,  Ugo indica le tre fasi della vita contemplativa, in un prologo e tre capitoli, della triplice via interiore per accedere alla Sapienza e all’unione divina :

  • la via purgativa
  •  la via illuminativa
  • la via unitiva

Ognuno di questi percorsi è considerato un progresso nella vita spirituale. Un vero processo di anagogia,  una ascensione mistica. La via purgativa rappresenta la fase penitenziale, che dispone l’anima al vero studio attraverso il riconoscimento delle proprie colpe; tale via è interpretata validamente dallo stile di vita certosino prende a  simbolo di questo stadio il bacio dei piedi, segno di  umiltà e di contrizione. Seguendo la mozione interiore della carità, l’anima perviene alla via illuminativa, consistente nella diuturna e reiterata meditazione della Scrittura; essa consente un ulteriore progresso verso Dio. La conoscenza che si acquisisce in questa fase non è intellettuale, bensì affettiva, e risulta in parti uguali dall’impegno dispiegato dall’anima umana e dal dono che Dio fa di se stesso, svelandosi per gradi. Tale livello è simboleggiato dal bacio delle mani, segno di soggezione e di riconoscenza. Ultimo stadio della teologia mistica è la via unitiva; si tratta qui della fase fusionale, in cui l’anima mediante la carità e dietro l’azione divina ottiene l’unione con Dio, entrando nel novero dei beati. L’ascensione culmina nella saggezza unitiva, in virtù della quale si può attuare la metamorfosi del soggetto amante nel soggetto amato

In prossimi articoli vi proporrò brani tratti da questa magnifica opera.

All’interno del suo trattato sono diversi i riferimenti all’ordine certosino, tra tutti quello di specificare che a differenza di altri ordini che si rifanno alla regola di san Benedetto o a quella di sant’Agostino, i seguaci di san Bruno sono fedeli agli insegnamenti del loro fondatore. “De mystica teologia” si è diffusa nel XV° secolo, influenzando molti autori importanti come  Nicola Cusano, Jean Gerson e Nicolas Kempf. Rimangono molti manoscritti di epoca successiva che riproducono il testo originario. L’importanza di questo autore medievale di spiritualità è notoriamente riconosciuta, essendo il suo testo un pilastro fondamentale per la formazione spirituale.

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beato Stefano di Bourge en Bresse

beato Stefano di Bourg en Bresse


In questo articolo odierno, voglio ricordare la figura di Stefano nativo di Bourg en Bresse, (precisamente di Bourg- Saint-Andéol), egli era canonico regolare a san Rufo a Valence nel Delfinato. Stefano visse questa esperienza con molto ardore, ma ben presto si rese conto che era maggiormente votato per incontrare Dio, nella solitudine assoluta. Avendo appreso che Maestro Bruno, nel 1082 si era recato in un luogo indicatogli da San Roberto nei pressi dell’abbazia di Molesmes, alla ricerca di un romitaggio, decise di raggiungerlo. Stefano in compagnia di un altro canonico di San Rufo, Stefano di Diè,(da non confondere con Stefano vescovo di Diè) avendo avuto il permesso dal loro abate decisero di recarsi a Sèche-Fontaine nella diocesi di Langres, laddove Bruno già si era insediato con alcuni amici per cominciare un esperienza eremitica. Aggregatisi al gruppo di anacoreti, i due canonici apporteranno al gruppo di asceti la loro esperienza e la loro profonda conoscenza liturgica. Dopo qualche tempo, però, siccome  le condizioni del luogo non risultarono idonee all’ideale di vita  eremitica voluta da Maestro Bruno, occorreva  ricercare un luogo più consono alle esigenze eremitiche prefissatesi. A questo punto, il ruolo svolto dai due canonici di San Rufo, diventò assolutamente determinante, poiché entrambi proposero a Bruno una soluzione: “Maestro, siccome voi siete alla ricerca di una solitudine meno gradevole e più ritirata di quella che attualmente viviamo, noi ci permettiamo di consigliarvi che nei pressi della diocesi di Grenoble può esservi un luogo ideale. Lì troverete montagne scoscese e boscose, un deserto orribile impenetrabile, senza nessuna abitazione dove nessun umano ha mai vissuto. Se la descrizione che vi abbiamo fatto, ritenete possa essere di vostro gradimento non ci resta che recarci per richiedere il nostro insediamento dal vescovo Ugo. Questi è un uomo di grandi meriti e di una enorme pietà e molto saggio, è molto dolce, umano, caritatevole, è un santo, un vero angelo! Egli ama molto gli eremiti, lo è stato anche lui e vorrebbe ritornare ad esserlo, se solo il pontefice non gli avesse affidato l’episcopato che degnamente dirige. Noi possiamo subito, se volete, andarlo a trovare egli sicuramente ci riceverà con affetto, e sarà contento di potersi mettere a nostra disposizione per accontentare ogni nostra richiesta”. Bruno allettato da questa proposta la sottopose agli altri amici, i quali all’unanimità la accettarono, ma vollero sottoporla anche al giudizio di San Roberto che approvò l’idea e benedicendoli, li esortò ad intraprendere il cammino alla ricerca della meta agognata. Ecco quindi formatesi le “sette stelle”, che si recheranno dal vescovo Ugo di  Châteauneuf: Bruno, Landuino, Stefano di Bourg e Stefano di Diè (canonici), Ugo( sacerdote), ed Andrea e Guarino i due laici. Come già sappiamo, furono costoro quindi i semi che fecero germogliare nel deserto di Chartreuse, l’Ordine certosino. Stefano di Bourg, visse per ben trentatre anni nella solitudine della prima certosa, conducendo una esistenza all’insegna della penitenza, dell’obbedienza e della carità, alla ricerca dell’unione con Dio. Nel 1116, nella diocesi di Lione, Ponce de Balmay, ed i suoi due fratelli Garnier e Guillaume donarono dei territori di loro proprietà e la foresta circostante ai certosini, per edificare una nuova certosa. Guigo priore della Grande Chartreuse, scelse Stefano di Bourg, per  il suo zelo e le sue indiscusse virtù, lo nominò priore della nuova certosa di Meyrat. incaricandolo di organizzare la comunità e di costruirne gli edifici. Accompagnato da due fratelli conversi Bonfils e Geoffrey, Stefano si dedicò con gran cura alla nascita del nuovo complesso monastico aiutato da prelati che contribuirono alle spese per la realizzazione della costruzione. Lo sostennero Dom Guigo, l’arcivescovo di Lione il Vescovo di Ginevra di Belley e di Grenoble, e l’abate di Cluny, Pietro il Venerabile, con la quale egli mantenne stretti rapporti di amicizia. In soli due anni, sotto la preziosa guida di una santa persona, la certosa di Meyrat fu completata ed il suo primo priore soddisfatto per l’impresa realizzata potè ascendere alla casa del Padre il 4 gennaio 1187. Muore così Stefano di Bourg, una delle “sette stelle” dopo aver vissuto una esistenza che lo ha visto protagonista dello sviluppo della storia dell’Ordine certosino. Molti furono i miracoli, che si susseguirono alla sua morte, ed alla sua protezione fu affidata la sorte del complesso monastico da lui diretto.