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  • Memini, volat irreparabile tempus

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Il prodigioso solstizio alla certosa di Miraflores

retablo con luz

Oggi, come ogni anno, in questa data con il “solstizio d’inverno”, comincia l’inverno astronomico che si concluderà il 21 marzo. Nel solstizio d’inverno, vi è la notte più lunga ed il giorno più corto dell’anno.

Come sapete cari amici, lo scorrere del tempo ed il relativo studio per la misurazione dello stesso, è stato da sempre un elemento essenziale dei padri certosini. Essi infatti dedicavano molto tempo alla scienza della gnomonica, al fine di realizzare strumenti che consentissero loro di misurare il tempo con la luce del sole. In passato vi ho proposto vari esempi di meridiane ed altri orologi solari in varie certose, oggi vi voglio parlare di ciò che accade nella certosa di Miraflores, a Burgos nel giorno del solstizio d’inverno.

Da 523 anni, quando arriva il giorno o il periodo del solstizio d’inverno, ovvero il 21 dicembre, nella chiesa della certosa di Miraflores, un fenomeno astronomico può essere osservato, ma di cosa si tratta esattamente?

Il fenomeno astronomico

Intorno al 21 dicembre e poco prima del tramonto, tra le 16:45 e le 17:15, un raggio di sole penetra attraverso il grande oculo che presiede la facciata del tempio e attraversa diagonalmente l’intera superficie del tempio. Il raggio di sole sale lentamente da sinistra a destra e, per alcuni istanti, si ferma alla grande ruota centrale degli angeli che presiede la pala d’altare.

Bisogna fare una premessa necessaria per poter comprendere del tutto quanto avviene e perchè. Innanzitutto soffermiamoci sugli elementi

Il grande oculo

La chiesa della certosa di Miraflores, fu costruita dall’architetto tedesco Juan de Colonia tra il 1454 e il 1484, anche se fu suo figlio Simón a completare i lavori nel 1488. Questi è considerato uno dei grandi geni dell’arte castigliana, artefice quindi anche dell’oculo della facciata anteriore della chiesa elemento importante del fenomeno in oggetto.

Il Retablo

Il sole, come dicevo, entrando dall’oculo attraversa, con i suoi raggi, l’intera chiesa per giungere ad illuminare per pochi minuti un punto preciso dell’altare maggiore.

Il cerchio di angeli (ruota angelica) che circonda il Cristo crocifisso della pala d’altare maggiore, il “retablo” capolavoro dello scultore Gil de Siloè e con policromia e doratura del pittore Diego de la Cruz, il quale utilizzò parte della prima spedizione d’oro che arrivava dall’America! In esso viene rappresenta la vita di Cristo, che viene mostrato crocifisso sulla grande ruota centrale circondato da angeli, da Dio, dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria. In cima alla croce c’è una figura peculiare, un pellicano, un uccello che metaforizza il sacrificio eucaristico perché in passato si credeva che nutrisse i suoi piccoli con ferite autoinflitte. Il tema di questa pala d’altare, commissionata dai monaci, è quindi la celebrazione dell’esaltazione eucaristica e redentrice.

La congiunzione degli elementi

Per ottenere la precisa congiunzione degli elementi che fanno funzionare questo meraviglioso fenomeno astronomico, ovvero il sole, la data e la posizione dell’apertura (oculo) attraverso il quale entra il raggio di luce che illumina il centro della pala d’altare al solstizio d’inverno, vi è stato uno studio approfondito ed un’innegabile complicità artistica tra l’architetto del tempio, Simón de Colonia, e lo scultore della pala d’altare, Gil de Siloè. Ovviamente alla base di ciò l’imprescindibile committenza monastica certosina, custode della evidente intenzionalità teologica di questo straordinario fenomeno astronomico.

Un altro dato importante è, che la pala d’altare fu inaugurata alla fine di dicembre 1499, in coincidenza con il tempo del solstizio, che ne indica il chiaro intento celebrativo. Il costo totale della pala d’altare, compresa la doratura e la policromia di Diego de la Cruz, ammontava a 1.015.613 maravedí, un costo molto alto per l’epoca!

L’osservazione

E’ possibile accedere nella certosa per poter ammirare questo fenomeno poichè nel 1923, la certosa venne dichiarato Monumento Storico Nazionale. Un vero Pantheon Reale a causa dell’imponente altare maggiore ed il sontuoso sepolcro di alabastro che custodisce le spoglie dei fondatori, Giovanni II di Castiglia e di Isabella di Portogallo e del figlio l’infante Alfonso. L’attività monastica ha saputo coesistere egregiamente con questo luogo di interesse storico e artistico, che risulta essere uno dei principali monumenti di Spagna, consentendo l’accesso ai visitatori nella Navata centrale della chiesa ed al chiostro i quali possono essere liberamente visitati.

Non è ancora molto diffusa la conoscenza di questo spettacolare fenomeno, in questo luogo, ma sempre in numero più crescente decine di visitatori si accalcano armati di smartphone o di reflex cercando di catturare, per godere e fotografare, lo straordinario momento in cui un raggio di sole della sera, penetrando attraverso la finestra circolare della facciata della certosa, illumina il Retablo per pochi minuti, regalando ai presenti una suggestiva e magica atmosfera.

retablo 2

Va detto, che recenti studi, sviluppati dalla Università Complutense di Madrid hanno rilevato che anche nel periodo del solstizio d’estate, il 21 giugno, si sviluppano particolari giochi di luce intorno al sepolcro reale. Con l’avanzare del sole al mattino, si accendono le figure dei quattro evangelisti che circondano la tomba a forma di stella a otto punte. Questo fenomeno raggiunge il suo apice, in coincidenza con il giorno di San Giovanni 24 giugno, patrono del monarca. L’intensità della luce permette in quei momenti una visione privilegiata di questo sublime complesso scultoreo gotico.

Le immagini che seguono, ed un breve video spero saranno eloquenti e compendiose di quanto vi ho descritto.

luce oculo

luce oculo 2

luce oculo 3

luce oculo 4

retablo con luz

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Una vita molto semplice

cartuja-miraflores-burgos_4

Ecco per voi, oggi una interessante intervista rilasciata qualche settimana fà dal Padre Priore della certosa di Miraflores ad una rivista della città di Burgos.

Egli chiarisce all’intervistatore molti aspetti della vita certosina, affermando che per lui:

la vita in certosa è molto semplice.

Dom Pedro María Iglesias de Paul definisce la certosa come ” una totalità di silenzio con Dio in preghiera”, dove la regola e lo stesso complesso monastico “si basano sul carisma contemplativo, che vuole essere il più rigido possibile”. «Tutto è orientato in modo che il certosino sia concentrato tutto il giorno nella preghiera. Tant’è che la prima opera di carità di un certosino è rispettare la solitudine del fratello.

«È una vita super regolare, senza sorprese. Le uniche sorprese sono quelle che scopri nella preghiera e nella liturgia. Di giorno in giorno è una routine brutale, io lo chiamo “il rullo”, asserisce il Padre Priore. “È quello che mi è costato di più, perché conducevo una vita a modo mio e ora obbedisco solo ad una campana”, commenta questo monaco di Cadice, che è entrato a Miraflores quarant’anni fa all’improvviso e quasi senza discernimento ” per uno schiaffone di Dio “.«Se fosse stato per la mia mentalità e il mio stile di vita non sarei venuto; la mia ragione mi diceva che era impossibile, che non stavo qui … Ma andava bene, era l’unico posto dove andava bene ». Infatti, assicura che la routine e la monotonia “gli hanno dato la libertà, perché ora non ho a che fare con nient’altro che Dio. Quel ritmo ti dà una base di buon senso e pace nel profondo della tua anima che non cambi per niente ». «Qui ho scoperto che mi sono rimaste molte cose; Qui il Signore mi ha detto: “Svuotati di tutto e resta con me nel mio cuore e con tutta la Chiesa”. È un percorso molto arduo ma ne vale la pena, ti dà un’enorme libertà “, dice. Inoltre: “Se iniziamo a mettere cose non necessarie nella cella, questa è così fragile che si rompe facilmente”.

Questo ritmo di vita austero è stato forse la causa dell’ “idealizzazione” della vocazione certosina, uno stile di vita che sembra difficile da realizzare per chi vive fuori dal monastero. “Questo non è un percorso ad ostacoli”, dice il priore. “Quello che facciamo qui sembra essere tra i primati del Guinness, ma no. Può sopportarlo solo chi ha una vocazione… ». Afferma infatti che non esiste un prototipo certosino a Miraflores o che chi si ferma lì è “perché è raro e gli piace isolarsi”. “Qui succede come in ogni altra vocazione, ci sono certosini molto aperti e altri più taciturni”, sottolinea, “ma in tutto ci deve essere un equilibrio tra l’affettivo e il personale”. “Inoltre, chi viene qui in fuga dal mondo non si cozza”, dice.

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Il priore, infatti, sostiene che un certosino “porta nel cuore tutta la Chiesa”. «Prego sempre per l’umanità, per il mondo intero… Quando sentiamo una notizia mi rendo conto che proprio in quel momento ero unito all’umanità, chiediamo sempre; Non posso non pregare per te. Qui dentro il sentimento della Chiesa è totale, siamo uniti a tutta l’umanità ”, insiste. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, c’è una «grande sintonia» tra i problemi del mondo e le preoccupazioni del certosino e differenze che sembrano insormontabili diventano legami importanti: «Non ho incontrato nessuno con cui non mi sia connesso dal mio punto di vista certosino; Mi sintonizzo con la paura con il mondo “, dice.

«La certosa ti offre una visione diversa del mondo, con più prospettiva, e ti rendi conto che ha valori fondamentali; il male si vede sempre di più, ma ciò che c’è là fuori ha enormi possibilità. È nella punta di Dio ». Inoltre, assicura che anche i desideri e le intuizioni del mondo lo aiutano e lo stimolano, “poiché Gesù fu sorpreso dalla fede del cananeo o del centurione romano”.

La certosa di Miraflores è anche fortemente legata al mondo esterno non solo attraverso le tante persone che vi si recano per pregare e implorare benedizioni, ma anche attraverso le opere caritative che svolge. Lo stile di vita austero della comunità certosina, fa sì che il reddito che ricevono dalle visite, dalla vendita dei loro rosari e prodotti artigianali è sufficiente per loro e le eccedenze possono essere dedicate ai più poveri, come conferma il Padre Priore.

“La certosa è sempre stata molto mendicante e continua ad esserlo ancora.” Molti, infatti, ricordano ancora l’immagine dei frati che distribuivano il brodo da una pentolone alla porta di Miraflores mentre decine di poveri aspettavano la loro crosta di pane. Oggi, invece, la beneficenza viene distribuita con abbondanti donazioni alla Caritas, al Seminario, alle missioni e anche, “perché no, alle Ong non cristiane”, rivela Dom Pedro María Iglesias de Paul.

Il percorso di vita austera e rigida condotta dai certosini, non è esente da inevitabili momenti di difficoltà che devono attraversare nel loro cammino vocazionale.

«Se sei venuto qui fuggendo dal dolore della vita, stai certo che lo troverai anche qui. E, inoltre, tra quattro pareti, che risultano essere una cassa di risonanza esso è moltiplicato per dieci ». Conformarsi a quello stile di vita solitario e ascetico è un cammino arduo, dove le crisi “come quelle là fuori” sono anche compagne di strada o “lacune d’amore”, come le chiama il priore: “Dio ti apre sempre più campi, puoi sempre amare di più, in modo più puro e più profondo … Dio non si dimostra, lo stesso amore fa maturare le persone. L’amore ha ritardi e Dio vuole attirarti con nuovi legami, e questo costa. E costa per la vita. Ma se vai povero con Gesù, devi vivere la povertà di Gesù »…

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La regina Isabella la Cattolica nella certosa di Miraflores

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Nell’articolo di oggi, vi propongo un dipinto realizzato dal pittore spagnolo Luis Alvarez Català (Madrid, 1836-1901), che è stato anche direttore del Museo del Prado, dal 1898 fino alla sua morte. La tela, realizzata nel 1866, descrive un episodio storico della vita della regina Isabella la Cattolica, avvenuto nel 1486 allorquando si recò nella certosa di Miraflores. Il motivo della sua visita era quello di poter vedere le spoglie mortali di suo padre Giovanni II di Castiglia, morto nel 1454, quando lei aveva appena tre anni. Il sovrano alla sua morte fu seppellito in certosa. Solo successivamente, fu eretto il favoloso monumento sepolcrale realizzato da Gil de Siloe’(1489-1493) per celebrare sia Giovanni che la sua consorte Isabella del Portogallo.

Ma torniamo alla visita di Isabella descritta nel quadro conservato al Museo del Prado. L’ingresso della regina in certosa fu consentito per il rinomato privilegio.

Isabella particolare

La regina, vestita di verde e visibilmente commossa, si sporge verso la bara aperta per osservare i resti mortali di suo padre. Alla sua sinistra si scorge sua figlia, l’infanta Isabella e la sua governante, più dietro gli accompagnatori della regina. Sullo sfondo dietro la bara aperta, un gruppo di monaci che ha accompagnato il feretro, mentre a sinistra, nel dipinto si vede il padre Priore ed altri monaci, uno dei quali sorregge una croce astile. Ciò ci lascia supporre che abbiano organizzato una solenne processione per far giungere la bara alla vista della sovrana. Il pittore, attraverso la rappresentazione di molti dettagli degli abbigliamenti e dell’architettura, ci mostra le sue notevoli qualità. Preziosa è l’illuminazione della scena e dei soggetti dipinti, giochi di luci ed ombre che arricchiscono ed enfatizzano la drammaticità della scena. Su tutto, sublime il volto triste e dall’aria malinconica di Isabella, che scruta le spoglie mortali del padre alla presenza austera del Priore che sembra raccolto in preghiera.

Quest’opera, valse all’artista la seconda medaglia nell’Esposizione Nazionale di Belle Arti del 1867.

Le vetrate della certosa di Miraflores

“In questa chiesa della certosa di Miraflores dominano le pareti aspre e spoglie, simili alle solide basi ascetiche della nostra vita spirituale, indispensabili per la pura preghiera.

Ma, lassù, mentre il vetro freddo del vetro colorato si svolge caldo, e si

colora quando arriva la luce del sole, così come l’anima del monaco si illumina e si trasforma nel tocco misterioso della luce divina”.

 

Così descrivono i monaci certosini di Miraflores le famose vetrate che adornano la chiesa della certosa.

E da qui, che voglio partire per cominciare a descrivervi questa meravigliosa decorazione artistica.

Bisogna fare una distinzione tra le tre vetrate poste sull’abside e riguardanti La Presentazione al Tempio, l’Incoronazione della Vergine e l’Adorazione dei re Magi. E le dieci vetrate poste nella Navata che si riferiscono a sinistra a: Preghiera nell’orto, la Flagellazione, l’Incoronazione di spine, la Salita al Calvario e la Crocifissione. Mentre a a destra, la Deposizione, la Resurrezione, l’ Ascensione, la Pentecoste ed il Giudizio Universale. L’anno liturgico cattolico è diviso nel ciclo della Natività e nel ciclo pasquale. Le scene dell’abside sono state scelte dalla vita della Madonna e dell’Infanzia di Cristo e appartengono al ciclo della Natività. Al contrario, le scene rappresentate nelle altre finestre appartengono al ciclo pasquale e, in esse, l’importanza non è data alle gioie ma ai dolori della Vergine. Nei libri delle ore, queste scene illustrano spesso le ore dell’Ufficio della Croce.

Nel 1484 Martín de Soria, per ordine diretto della regina Isabella, commissionò e pagò la realizzazione di tredici vetrate nella regione delle Fiandre per adornare le pareti della chiesa certosina, le quali furono infine assemblate nel 1488.
Delle tredici vetrate, dieci, ovvero quelle della navata, sarebbero interamente attribuibili, dopo la scoperta della sua firma in molti di essi, a Niclaes Rombouts, un noto vetraio fiammingo, fino a poco tempo fa, noto semplicemente come Maestro Nicolae. Da quello che si conosce di Niclaes Rombouts (nativo di Lovanio, intorno al 1450 – Bruxelles 1531), questo è stato senza dubbio uno dei più importanti vetrai fiamminghi della fine del XV e dei primi del XVI secolo, ed è da considerare come uno dei migliori vetrai dell’epoca in Europa.

A seguito del degrado dei materiali, tra il 2003 e il 2006, è stato effettuato un restauro al fine di preservare e prevenirne il deterioramento, ed in quella sede si è scoperta la firma dell’autore. E’ stata infatti identificata la firma che appare nella vetrata raffigurante la Crocifissione, dove si può leggere “CLAS LEUVEN EASE”. Inoltre nella vetrata della Pentecoste, viene raffigurato con grande realismo la figura che appare in alto a destra, che si ipotizza essere un autoritratto di Niclaes Rombouts. Le vetrate poste sull’abside non sono riconducibili allo stesso artista. Dopo avervi introdotto e spiegato la storia, e gli aneddoti di queste meravigliose vetrate artistiche, vi lascio alle immagine. In esse, spero, possiate coglierne il lodevole fascino, che esse emanano.

Pianta

 

Dettaglio Crocifissione con firma autore

Dettaglio Crocifissione con firma autore

Dettaglio Pentecoste con presunto autoritratto

Dettaglio Pentecoste con presunto autoritratto

Miraflores ai tempi del Covid-19

miraflorescovid

Cari amici di Cartusialover, vi offro oggi un’articolo attinente a questo triste periodo che stiamo vivendo, una clausura coatta a causa del terribile virus che affligge il mondo intero. Trattasi di un’intervista effettuata dalla rivista spagnola Diario de Burgos al Padre Priore della certosa di Miraflores in Spagna, su questo periodo storico inaspettato. Proviamo a trovare conforto dalle sue sagge parole.

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Padre Pedro Iglesias de Paul

Ora proviamo dapprima a conoscerlo.

Padre Pedro Iglesias de Paul tra 4 mesi compirà 40 anni di vita claustrale nella certosa di Miraflores. Da un anno e mezzo, a seguito dell’elezione a Priore, avvenuta il 31 ottobre 2018 nel capitolo che lo ha eletto, egli è diventato, dall’ 8 novembre, il superiore di una comunità di 15 monaci compreso lui.

Egli è nato a Cadice 62 anni fa, in una famiglia composta da 8 fratelli, il padre è stato un militare è per questo che egli ha trascorso la sua infanzia a Madrid, dove ha lasciato molti amici. Da giovane ha coltivato diverse passioni, come la pallacanestro e l’amore per la chitarra, dopo gli studi iniziò a fare il giornalista, ma ben presto si dedico all’insegnamento presso la facoltà della Universidad Complutense di Madrid. Fino a quando, all’età di 23 anni, sentì la chiamata alla vita contemplativa “ Quando parlai a tutti della mia decisione di entrare in certosa tutti si stupirono, poichè io fino a quel momento non ero amante della solitudine” ma…Dio mi afferò e mi condusse a Burgos dove ancora oggi sono assolutamente felice

La vita è un armonia, una unità. Il vero certosino è colui che unisce corpo, anima, orazione e comunità” nel caso di Dom Pedro, è anche allegria e passione letteraria, in una successione di giorni totalmente improntati al silenzio.

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Quella che segue, è la traduzione in italiano dell’intervista concessa al Diario de Burgos del 22 marzo 2020, al Padre Priore Dom Pedro Iglesias de Paul in questi giorni della terribile Pandemia di coronavirus.

Sono momenti di grande inquietudine, come li state vivendo?

E’ tutta una sorpresa, che dalla stampa ci viene chiesta un sensibile collaborazione in questo tempo di terremoto sanitario, economico, sociale e vitale che tutti viviamo e soffriamo.

E, che siamo dinanzi ad una situazione eccezionale, mai vissuta prima…

Si, è un’esperienza drammatica, con la novità che è di dimensione planetaria. Per questo credo che non sia tempo di fare un’intervista su come vivono giorno per giorno i certosini, su qual’è il senso della nostra vita di silenzio contemplativo, se serve a qualcosa o cose del genere. Suppongo che la quarantena obbligatoria di tanta gente nelle proprie famiglie, la proibizione di poter convivere con gli amici, la chiusura delle scuole, dei parchi, dei bar, delle chiese, degli stadi dei lavori…potrebbe essere stato il pretesto ideale per andare a chiedere a “gli esperti in solitudine”, ai certosini.

Come si sopravvive con la propria solitudine in quattro pareti per svariate settimane?

Questo “noviziato” per “decreto reale” agli apprendisti eremiti non lasceranno conseguenze psicologiche postvirus? Ci diranno, persino, per caso la stessa solitudine mi aprirà ad esperienze spirituali inspiegabili ed inedite fino a ieri al mio stesso cuore?

Ci saranno Dom Pedro persone che si stanno ponendo queste domande…

Succede, che quando c’è un incendio si chiamano i pompieri. Quando c’è una pandemia, si mobilita tutto il personale sanitario, e quando si decreta la “clausura generale”, dunque si chiama un certosino. Ma ok, purché tu non mi chieda la previsione di auto guarigione che si incontra nelle riviste (dice scherzando)

Tranquillo, non è mia intenzione. Che cosa è per lei la solitudine?

E’ qualcosa di troppo nostro per poterla gestire, e tantomeno per poterla sublimare.

Vorrei mettere la solitudine come materia obbligatoria, non valutabile, dall’asilo ai centri per anziani. Tutti abbiamo quel pungente ricordo di quando da piccoli ci castigavano alla solitudine “nella tua stanza senza dire una parola!”, senza uscire oggi con gli amici, fine settimana in casa senza telefono nè televisione a causa dei cattivi voti a scuola. Ma non ci hanno mai assegnato il premio per gustarci un buon momento o un pomeriggio pieno di solitudine assoluta e umanizzante. Nella vita di oggi, quanti desiderano avere la propensione solitaria nel proprio percorso educativo, propensione che ti insegnerà a vivere con te e senza te stesso.

Non è senza motivo, ma la solitudine forzata prima del coronavirus è molto complessa da affrontare, come la fa lei?

E’ curioso, per un certosino, almeno per me, questa esperienza attuale di “confinamento” è soprattutto una meravigliosa formazione comunitaria. I certosini,

per questo motivo sono monaci contemplativi, abbiamo ben segnato il nostro territorio di solitudine orante …Bene, quello che questo virus ha causato all’interno della certosa, è una chiara terapia di comunità. Carta vetrata e pura candeggina, è vero, e con quante lacrime tutti abbiamo versato. Ma che gioia provare fastidio quanto dipendiamo gli uni dagli altri, quale allenamento di nuove palpitazioni che pensavo potessero sottrarmi dalla solitudine e dalla preghiera. Ora riesco a comprendere quello che scriveva un certosino che “il cuore di mio fratello è il mio eremo”, quello che per un monaco è come dire “sei sempre un fratello, la mia possibilità di Dio”. Un virus così piccolo può essere la scintilla che brucia; finalmente la goccia dei nostri cuori.

Non perde alcuna occasione per arricchirsi delle vicissitudini della vita, buona o cattiva.

Non voglio sdrammatizzare questo periodo ipercondensato di tragedia umana e personale, ma più che la semplice e spiegabile lamentela o la meno comprensibile voglia di incolpare qualcuno (i politici, l’imprevedibilità, la disumanizzazione del giorno per giorno) vedono un correttivo della Natura per irresponsabile o inevitabile e catastrofica deriva divina, si tratta della capacità di viverlo, di assumerlo, condividerlo, anche questa volta più che mai, con te stesso. Se c’è un’esperienza chiara per l’eremita nella sua piccola cella è sentire come si dilata il suo cuore; il quadrante dei battiti del suo cuore è sintonizzato, senza sapere come o quando, su ogni frequenza umana. E, naturalmente, una pandemia come quella che stiamo vivendo è una frequenza ferocemente umana. Assistiamo tutti con stupore a questa Quaresima secolare che è venuta involontariamente su di noi e non ci sono né catechismi né ricette universali che valgono. Forse, come quasi sempre, l’unico modo per affrontare responsabilmente il rischio rappresentato da questa imprevista situazione di isolamento e solitudine è con una parabola che lascia mille porte aperte a molte altre risposte personali.

Quale è la sua Dom Pedro?

Una delle saggezze monastiche tradizionali: “In quel convento era stata creata una situazione alquanto peculiare. Dato che era un luogo di passaggio per i pellegrinaggi, le autorità civili ed ecclesiastiche avevano decretato un periodo di quarantena, poiché un pellegrino era portatore di una malattia contagiosa non so proveniente da quale paese remoto. E, magari che fosse stata una quarantena. Erano stati confinati per un anno e mezzo e avevano adottato misure drastiche all’interno della comunità, ed era evidente che la convivenza monastica stava iniziando a crollare. Avevano troppa comunità e reciproca interferenza negli spazi personali, un sorta di molesta imposizione collettiva.

Come sembrerà questo a qualcuno…

Il padre maestro dei novizi lo sapeva e portò i giovani monaci nell’ampio frutteto per rimuovere e pulire il fondo e, soprattutto, per aerarli e per fargli rilasciare tossine, principalmente psicologiche e spirituali. La zappa e il faggio fecero più di ogni consiglio spirituale, la tensione fu allentata e svuotata dal sudore che scivolava dai loro corpi ascetici. Dopo il lavoro ci fu una pausa alla fontana e un’invitante cartoccio di pistacchi che il maestro estrasse dalla sua immensa bisaccia. Era tempo.

E cosa è successo?

Come per caso, chiese al novizio, Fratello Hugo, di passargli quella pigna per sgranare i pinoli con cui giocava. Lo prese in mano, lo guardò filosoficamente come un Amleto ecologico e chiese come se per se stesso o per tutti: “In quale momento i pinoli di questa pigna inizieranno ad essere una pineta?”. Sortì il suo effetto, dopo la sorpresa iniziale, i giovani novizi furono coinvolti nel dare risposte alla suggestiva domanda. Certo, quasi tutti peccati dal profondo o dal “misticismo”, alcune sciocchezze hanno fatto ridere tutti … era prevedibile. Alcuni hanno detto che quando iniziano a vedere se stessi e i loro focolai nel paesaggio, altri rispetto a quando l’Agenzia Ecologica Rurale lo dichiara un’area verde protetta, altri che quando diventa conveniente per il proprio legno o quando un poeta lo canta…

E, che non ci sono risposte facili…

Il maestro dette a tutti un pò ragione, ma alla fine dette la sua risposta: “quando hanno subito un uragano o un incendio insieme un’alba o una primavera. La pigna non importa quanto vicini siano i pinoli, non è una pineta fino a quando ognuno non si separa, seppellisce se stesso, germoglia con sforzo e contribuisce così con la propria individualità unica al tutto”. Al Maestro piacque scorgere che i volti dei novizi stavano riflettendo qualcosa simile alla comprensione, si sentivano coinvolti nella risposta, si vedevano come parte di essa nella situazione particolare del confinamento della comunità. “Sapete?, disse concludendo il Maestro, un poeta scrisse qualcosa del genere: Che differenza fa se gli alberi sono raggruppati per paura o necessità o per decreto o per… Ciò toglie un pò di bellezza alla pineta?

Raccogliendo i propri attrezzi in silenzio e con tranquillità recuperata, il gruppo di religiosi si incamminò verso il monastero al suono delle campane dei vespri. Tornarono tutti sentendosi tutti un pò più pineta”.

Oggi questa Burgos con strade vuote è immersa in un immenso uragano. Puoi inviare loro un messaggio?

Noi non siamo una cosa fuori dal mondo, non profetizziamo nè emettiamo sentenza su niente. Noi monaci soffriamo con voi nonostante viviamo uno stile di vita differente che intendiamo mantenere, e non solo perchè è diverso ma anche perchè è molto fragile. Se apriamo la certosa al mondo, questo ci travolge. Se metto il pc o internet nella cella, è finita la cella e la mia vita di preghiera. In certosa c’è una distanza che ti da una prospettiva della vita ed una tremenda tranquillità. La nostra vocazione è un dono di Dio, e la gente lo percepisce in noi

e non faccio prediche. Non siamo straordinari, viviamo ciò che siamo.

La ascolto con una certa invidia. Ci saranno molte vocazioni?

Siamo 15 monaci, di cui sette con più di 80 anni, che sono gli “immortali”. Il loro regime di vita è molto tranquillo, trascorre in delle celle che sono come ospedali. Un monaco nella sua residenza sarebbe morto, hanno bisogno del proprio regime di vita, delle campane…Qui non ci scrive molta gente attraverso internet, una sessantina di persone l’anno. La maggioranza non arriva qui per vocazione, vuole solo fare una esperienza. Ogni anno vengono 7, 8 o 9 a provare, ma quasi tutti se ne vanno piangendo.

Quale è la prova del fuoco?

La solitudine, la rottura con il mondo e con tutto. Che sia chiaro che noi monaci non siamo dei superuomini, ma si abbiamo raggiunto un equilibrio di vita. Qui la gente viene molto ferita, con problemi, e questo in una cella, 24 ore al giorno…

Non le preoccupa che un giorno per la prima volta in cinque secoli la certosa rimanga senza monaci?

Quaranta anni fà, quando arrivai, eravamo settanta. Abbiamo fondato molte altre case. Quindici monaci sono sufficienti.

Avete qualche necessità?

Molte, la certosa è immacolata. La giunta non ci aiuta molto. Abbiamo installato dei pannelli solari e non spendiamo nulla in elettricità. Rimaniamo aggiornati, ma con distanza dagli 80 mila che ci visitano ogni anno.

Ciò vi molesta?

No. In cella tutto è silenzio.

Come vede l’uomo di oggi dal silenzio della clausura?

Adoro la letteratura, la poesia e i saggi, ed anche attraverso i libri comprendo l’uomo di oggi, per l’umanità ha sofferto. Prego per loro. Ho una tremenda fiducia nel mondo di oggi, perchè offre tremende possibilità. E’ più aperto, più comprensivo con i difetti di tutti. Sono pieno di speranza. Mai il mondo è andato in così tante direzioni ed è una sfida. Anche la mia preghiera!

la comunità di Miraflores

la comunità di Miraflores

La tela di Fra Diego de Leyva

sacrestia della certosa

Altare della Sacrestia della certosa di Miraflores

Cari amici in molti mi avete scritto per chiedermi maggiori informazioni sul dipinto che ho scelto per arricchire l’articolo fatto lo scorso 25 dicembre con gli auguri di Natale. Mi avete richiesto maggiori informazioni sulla tela, e sull’artista che lo realizzò. Provo ad esaudire le vostre richieste.

25 Adorazione dei pastori-Diego de Leyva-certosa di Miraflores

Il dipinto in oggetto, ” Adorazione dei pastori”, fu realizzato da Diego de Leyva, costui nacque ad Haro, in Spagna, nel 1580 della sua giovinezza si conosce poco, si sa solo che era un pittore si sposò ed ebbe due figli. Ma presto rimase vedovo, e dopo aver fatto sposare la primogenita fu stravolto dalla prematura perdita del figlio maschio. Nel 1633, rimasto solo ed addolorato, decise di entrare nella certosa di Miraflores come fratello converso, e dopo quasi un anno di noviziato il 25 giugno del 1634 fece la sua professione. La sua vita monastica fu breve poichè morì il 24 novembre 1637 lasciando un numero significativo di dipinti in certosa, dove aveva proseguito la sua attività pittorica. Il suo carattere era molto volitivo e si narra che fosse un uomo laborioso e salvifico, con mezzi economici sufficienti ma senza lussi in casa, dove ciò che è più abbondante erano i suoi dipinti e gli strumenti di lavoro che manterrà con sé per usarli nella sua nuova vita monastica. Alternava gli impegni claustrali alla sua passione pittorica. Fu in generale un pittore di produzione abbondante, la sua specialità erano i martirii dei santi, e quando risiedette in certosa realizzò quindici oli su tela a grandezza naturale nel Capitolo, con scene della vita di San Bruno. Nel chiostrino c’erano undici martiri dell’ordine e dieci ritratti dei generali dell’Ordine, la pala di Santa Caterina e altre opere, tra cui l’adorazione dei pastori in questione.

Di tutte queste opere purtroppo non vi è più traccia, ad eccezione del dipinto che vi ho mostrato. Esso infatti è esposto attualmente nella Sacrestia della certosa di Miraflores che è visitabile. Il dipinto è posto in alto sopra l’enorme reliquiario. In esso appare eccellente la illuminazione del volto della Vergine che proviene dalla luce che emana il Bambino Gesù. sui due lati De Leyva, dipinse a sinistra un S. Ugo di Lincoln ed a destra S. Ugo di Grenoble, come potete ammirare nella immagine seguente. 

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Una testimonianza dal Cile

novizio in cortile

Ecco per voi una testimonianza di un caro amico che ha vissuto anni fa una esperienza in  Certosa, e come lui stesso dice, in maniera sanguigna scrive “tutto ciò che mi è venuto fuori dal cuore”.

Largo alle sue parole…

“Scrivo di questo meraviglioso Ordine, da un paese in cui non esistono certose, il Cile, probabilmente perché siamo stati evangelizzati chiedendo ordini e non ordini monastici; nondimeno ciò non fu un impedimento, tanto che con un libro di orientamento professionale conobbi la vita certosina all’età di quindici anni (oggi 73), innamorandomi di lei ed in seguito della vita contemplativa in generale.

Attraverso le letture ed ora grazie ad internet, cosa lasciano quegli uomini che diventano monaci, e iniziare a conoscere la loro vita quotidiana seguendo la spiritualità che si può intravedere. Una cosa fondamentale, è che devi avere un’enorme vocazione, un dono di Dio, per poter condurre quel tipo di vita, in caso contrario, credo che il sottoscritto non avrebbe trascorso 3 notti di clausura; Con questo, è possibile abbattere il fatto che è andato al chiostro a causa di una certa delusione amorosa, impossibilità di affrontare la vita e altre ipotesi obsolete; nient’altro che la ricerca di Dio consentirà di rimanere in quelle case benedette, monumenti di preghiera dove ci si abbandona a Dio.

Stando in Spagna molti anni fa, non potei trattenermi dallo scrivere alla Certosa di Miraflores per richiedere un possibile ritiro spirituale; Ho ricevuto una risposta molto gentile dal Priore dell’epoca, Padre Chávarri, (Dom Eduardo Chavarri Zunzunegui)che mi informava che solo se avessi voluto dimostrare la mia vocazione avrei potuto farlo, e non l’ho fatto e credetemi fratelli è ciò di cui mi pento ancora oggi. L’amore e l’ammirazione per la vita contemplativa sono stati un denominatore comune per tutta la mia vita e se qualcosa rimarrà in sospeso sarà quello, solo immaginare il contrario mi fa sorridere in questo momento.

Cercare Dio, penso sia la cosa più importante, se aggiungiamo silenzio, la sola preghiera è l’equazione perfetta.

Sono sicuro che non è solo la decisione del candidato, ma anche la comunità che decide se farlo rimanere, ma se non si prova non si potrà mai sapere.

Ho trovato amici e sacerdoti che mi dicono che vorrebbero diventare certosini la mia risposta è l’invito a provare di fare un’esperienza, che deve essere molto utile, se si è benedetti da Dio bene, altrimenti è comunque una benedizione.

Vedere il film “Il grande silenzio” produce così tanta gioia e sviluppa il desiderio di volare nel tempo e di conoscere Dio, faccio un appello…. per favore chi sente che questa irrequietezza non lo lascia tranquillo, a volte ce solo una opportunità nella vita il tempo trascorre e non succede più, credetemi amici siate certi che non ve ne pentirete.

San Bruno ha saputo unire così bene la vita eremita e cenobitica che così facendo ha inoculato le due vocazioni in una inutile radicalità.

Il silenzio e la solitudine in sé non servono molto in questo cason se non sono veicoli per conoscere Dio.

C’è un dolore nel mio cuore per il fatto che la Certosa di Evora sia finita, penso che andranno a Montalegre, a Dio piacendo che sia per preservare l’Ordine e nient’altro.

Cari fratelli, ho scritto di cuore nel far conoscere i miei sentimenti più profondi per l’Ordine della Certosa, nella mia esperienza personale con lei.

Grazie per tutto quello che fai Roberto, e per la diffusione in rete, che Gesù ti benedica e Maria si prenda cura di te e faccia lo stesso con questo prezioso dono che il Signore ci ha fatto con questo benevolo Ordine.

O’Bonitas.

R. E. (Chile)

Cile

Fratello Martin Ramos de Balbas

Fratello Martin Ramos de Balbas

Professo di Miraflores

Fratello calzolaio

Fratello calzolaio

Oggi, ancora la proposta di una vita esemplare di un Fratello certosino.

Questo buon Fratello professo di Miraflores, trascorse quarantadue anni nell’Ordine e diede, dall’inizio alla fine, l’esempio delle più belle virtù. L’obbedienza era forse quella che coltivava più attentamente; quello che gli ha dato anche le maggiori gioie spirituali.

Convinto che l’attaccamento alla propria volontà è il grande ostacolo alle operazioni della grazia, non ha risparmiato nulla al piccolo che poteva padroneggiare di sé. Il giorno in cui attraversò l’ingresso del monastero, si arrese corpo e anima nelle mani del priore. Di questo consegnarsi non si è mai pentio. Tutti hanno visto il modo in cui gli si è comportato con estrema prodigalità al servizio della comunità. In una parola, al segno del procuratore, da un semplice capo di obbedienza, corse a lavorare, senza mai calcolare gli sforzi. Più lui dava, più voleva dare. I suoi giorni migliori erano quelli in cui poteva sacrificarsi di più. Questa abnegazione a volte è diventata il suo tormento. È già noto che il diavolo si traveste in certi momenti come un angelo di luce e che l’amor proprio è estremamente sottile. Gli hanno insegnato che il vecchio riappare sempre dappertutto, anche dopo l’olocausto della sua professione. Tutto ciò mise il povero Fratello in profonda angoscia. Per non parlare di queste prede che irritavano il cuore di Dio, e il pensiero di una infedeltà volontaria che lo turbava. Al minimo dubbio che fosse salito nel suo spirito, sarebbe caduto ai piedi dei suoi superiori. Alcuni ritenevano che fosse più ammirevole che imitativo. “Perché allora, diranno, questa tensione costante? Chi non vede che conduce infallibilmente a screditarsi e può avere le conseguenze più tristi? “Qualunque cosa sia, questa delicatezza è veramente bella e lodevole. Dio vuole che i superiori non devono mai sopprimere altri eccessi! Con l’età arrivarono le malattie. Cinque o sei anni prima della sua morte, una paralisi gli tolse l’uso delle gambe. Non poteva camminare senza supporto. Per vendetta, sarebbe rimasto in ginocchio per ore senza provare alcuna fatica. Ogni mattina ha sentito molte Messe in questa posizione. Era uno stimolante per la sua pietà. Fino alla fine, è stato un partecipante attivo negli uffici conventuali. La vista di questo povero malato, la sua faccia sempre sorridente, il suo cuore strettamente unito a Dio, confortato ed edificato. Si potrebbe vedere il risveglio di uno di questi anacoreti di cui conosciamo le virtù eroiche. Arrivato alla fine del suo viaggio, il valoroso lavoratore ricevette il suo salario e andò a godersi il riposo eterno. Salì al cielo il 23 settembre 1600.

Il giardino della mia cella.

nella cella in solitudine

Nell’articolo di oggi, vi propongo una semplice e breve poesia scritta da un certosino della certosa spagnola di Miraflores, la cui identità come consuetudine resta anonima.

Parole semplici provenienti dal cuore che ci fanno capire il trasporto di questo monaco verso questa sublime vita claustrale.

Il giardino della mia cella.

Da un monaco della certosa di Miraflores (Spagna).

” Mi basta questo piccolo
pezzetto dell’universo,
Che di altri ho ricevuto, ereditato,
Il deserto dove mi ha guidato.

Qui piove, da qui vedo il sole,
Di notte la luna mi visita con il suo silenzio,
Qui, in questo pezzetto dell’universo
Incontro il Dio Creatore.

Giardino di lacrime,
Giardino di contemplazione e lodi,
Prigione delle mie preghiere,
Che si levano in paradiso.

Mi basta questo piccolo
Pezzetto dell’universo,
Nella sua solitudine e silenzio,
Mi ritrovo con la pace di Dio “.

Un certosino

Fratello Cristoforo Cerezo

Fratello Cristoforo Cerezo

Professo di Miraflores

Converso

Proveniente da una famiglia spagnola, non meno distinta dalla nobiltà del sangue che dallo spirito cristiano di cui ciascuno dei suoi membri era animato, il bambino era cresciuto all’ombra della casa paterna dove tutto gli diceva di Dio. La sua prima educazione era richiesta dalla condizione e dalla sollecitudine dei suoi genitori. La purezza dei suoi costumi, la dolcezza della sua natura, la sua modestia e la sua grande pietà lo hanno fatto amare da tutte le brave persone. Quando raggiunse l’età in cui sentiva il bisogno di dirigere il futuro, il giovane Cerezo esitò, ansioso e tremante per aver preso una decisione sbagliata, proprio come aveva raccolto gli echi di strane voci che non corrispondevano perfettamente alle sue aspirazioni. Il padre e la madre, infatti, giustamente orgogliosi del loro primogenito, avevano deciso di trovare in ogni modo un partito vantaggioso degna di questo nome. Tanto a loro stupore, quando hanno appreso dalla bocca del loro stesso figlio che, non amando il mondo, e non sentendosi per nulla attratto dalla vita familiare, aveva deciso di chiudersi nella Certosa di Miraflores, lì volle prendere gli abiti di fratello converso. Non poterono difendersi da un primo movimento di rivolta al pensiero di vedere chiuso in un chiostro, quell’amato figlio, sul quale riponevano parte delle loro speranze. Ma sentendo che ogni opposizione sarebbe stata inutile, e temendo, d’altra parte, di contrastare le vie della Provvidenza, i due reprimevano il loro disgusto e dicevano generosamente: Fiat!

Superate queste difficoltà, Cerezo interruppe gli abbracci dei suoi parenti e partì improvvisamente per Miraflores, dove aveva già fatto alcune visite. Significa che fu ammesso senza esame. Imparare la vita del converso non è, come è necessario, un gioco di bambini. Coloro che, in virtù della loro nascita, sono preparati per questo, hanno da tempo riconosciuto che la dimostrazione è lunga e laboriosa. Incomparabilmente più scortese, sarà per un candidato rimasto, come il nostro, un medium scelto, in cui il lavoro manuale è solo una piacevole distrazione. Non andremo così lontano da affermare che il giovane Cerezo non ha avuto nulla da soffrire in questo improvviso passaggio di una vita libera e aperta a un regime austero del chiostro. Vedere se stessi con sangue nobile nelle vene, sempre relegati all’ultimo posto e applicati alle opere più umili, per non fare altro che obbedire quando si sente che uno è nato per comandare, tutto ciò implica lotte, a volte violente. Felice, tre volte felice, l’anima che trionfa dei suoi primi ostacoli! Niente potrebbe spaventare il nostro aspirante. Diversi viaggi compiuti a Miraflores e diverse conversazioni intime con il priore avevano consentito di iniziare a poco a poco la conoscenza degli statuti e dei numerosi dettagli dell’osservanza. Era ben consapevole di ciò che conteneva l’umile stato di conversazione. E lì si alzò allegramente, con la più completa dimenticanza di se stesso. Il gusto per le cose sante, cancellando tutto ciò stima per i beni e i piaceri della vita presente, lo fece adempiere, senza ripugnanza, agli esercizi mortificanti che quotidianamente ringiovaniscono il vigore dell’anima. Divenne in breve tempo il più gentile dei confratelli. Pieno di dolcezza e compiacimento, aveva una perfetta amenità nel tono della voce e dei modi, ha fatto tutto per tutti, passando indifferentemente da un’obbedienza all’altra. Questa costanza dell’anima gli meritava innumerevoli grazie, all’ombra delle quali avanzava rapidamente sui sentieri della santità. Con questo profondo disprezzo di se stesso, l’amato Fratello si unì a un’obbedienza cieca. Il suo stesso giudizio, lo identificò perfettamente con la volontà dei suoi superiori, e solo da loro vide e agì. Discutere di un ordine formale, solo per smettere di pesare i termini, gli sembrava incompatibile con l’obbedienza religiosa. Allo stesso tempo, non voleva, né sapeva come obbedire. Il trionfo era la sua minima preoccupazione. Le difficoltà che lo hanno costretto a fermarsi, non riusciva a trovarli da nessuna parte. Dal momento in cui un superiore parlava, non era più in grado di eseguire le sue prescrizioni. Inoltre, nulla gli sembrava impossibile. Seguendo questa via così semplice e così certa, il fratello Cristoforo aveva raggiunto un altissimo grado di preghiera. In effetti, non ha mai perso di vista la presenza di Dio. Giorno e notte, nella Chiesa, durante le sue ore di lavoro, camminava senza sforzo sulle alture, dove era impossibile seguirlo. Aveva, a intervalli, questi impulsi sublimi, attraverso i quali brillava la bellezza della sua anima. Ad esempio, durante l’assistenza al santo sacrificio. La sua felicità era di aiutare ogni mattina, come molte messe che gli era stato permesso di fare. La semplice vista di Gesù immolato sull’altare lo mandava in estasi. Unendo la sua preghiera piena di lacrime e bruciando con amore alla voce della vittima tre volte più santa, ha evocato l’eterno Padre per abbassare lo sguardo sul suo divino Figlio e avere pietà dei poveri peccatori. La carità del buon Fratello non era solo interiore; si è tradotto in atti. Gli indigenti della regione erano i suoi amici privilegiati. Da tutti i lati, si accalcarono verso la porta del monastero. C’era sempre pane in abbondanza per ognuno. Anche i pazienti erano, da parte del portiere, – lo stesso fratello Cerezo, – oggetto di delicate attenzioni. Disposizioni e rimedi, li distribuiva con equità irreprensibile, li accompagnava sempre dai suoi consigli pii e saggi che raddoppiavano il prezzo di una buona opera. Tuttavia, un’epidemia di peste si diffuse in Spagna e fece innumerevoli vittime in ogni angolo del regno. I sobborghi di Miraflores furono particolarmente colpiti. L’amato Fratello raddoppiò il suo zelo nell’esercizio del suo ufficio, moltiplicando le elemosine in proporzione ai bisogni. E il suo nome era in ogni bocca; i poveri lo conoscevano ovunque. Raggiunto, a sua volta, da questo inesorabile male, offrì spontaneamente a Dio il sacrificio della sua vita. Dopo alcune ore di sofferenza, il santo converso, martire della carità, andò a riposare in eterno (26 giugno 1599). Preghiamo per lui.