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La Grangia di Cadossa

Grangia cadossa

Ritorno in questo articolo a parlarvi di una antica grangia certosina. Questa volta vi farò conoscere la Grangia di Cadossa appartenuta alla certosa di Padula.

L’Abbazia di Santa Maria di Cadossa era un complesso monastico benedettino situato a Montesano sulla Marcellana di origine medievale. Alla fine del XII secolo visse in questo monastero Cono da Diano.

Dal 1294 al 1306 l’abbazia passò sotto il controllo dell’Ordine dei cavalieri di Malta.

Verso il 1436 il monastero venne convertito a commenda, restando sotto il controllo di abati commendatari, che non vi risiedevano. L’ultimo commendatario fu Giovanni di Gesualdo, nobile napoletano, che accolse la proposta di cessione del priore della Certosa di San Lorenzo. Fu così, che con bolla di Papa Leone X del 17 novembre 1514, Cadossa fu incorporata alla Certosa di Padula.

Nel 1519 Giovanni di Gesualdo rinunziò anche ai diritti che si era riservato nella precedente cessione e il monastero cadossano fu trasformato definitivamente in “grangia” certosina.
Il cenobio certosino, in questo modo, acquisì anche la prerogativa di“Sedes nullius” spettante al monastero benedettino.
La badia, all’epoca dell’annessione alla certosa, versava in stato di avanzato degrado: il fabbricato era devastato in più parti e la chiesa minacciava di andare in rovina per vetustà ed abbandono.
I certosini si attivarono immediatamente per il recupero degli edifici, cominciando dalla chiesa. Ne fu costruita una nuova nel 1578. Il Priore chiese ed ottenne dal Papa Gregorio XIII di trasferire il culto dalla vecchia chiesa a quella nuova e di trasformare la prima in abitazione per i religiosi addetti alla “grangia”.
La concessione pontificia, però, fece obbligo di trasportare nella nuova chiesa le cose sacre e le ossa di chi era stato sepolto in quella antica.
Essa, esternamente, ha conservato il suo aspetto originario; all’interno, i muri che una volta erano lisci e uniformi, si presentano ora carichi di stucchi sovrapposti nel periodo barocco. Sull’altare maggiore si eleva, addossato al muro di fondo, il quadro della Vergine Assunta, da sempre titolare della chiesa.
“Ex novo” fu costruita anche la parte centrale della facciata principale. In essa si apre il bel portale d’ingresso che immette nel cortile, in fondo al quale si ammira una fontana che richiama quelle esistenti nella Certosa.
La “grangia” era retta dal padre procuratore e da alcuni conversi e laici che mantenevano la chiesa aperta al culto. Il Priore vi si recava il 15 agosto di ogni anno per celebrarvi solenne Pontificale in onore di S. Maria Assunta. Parimenti ogni anno vi si portava la comunità monastica per lo “spaziamento”, gita annuale della durata di un’intera giornata accordata a tutti i monaci.
La Badia dal 1514 seguì le sorti della certosa di Padula: soppressa una prima volta durante il decennio di dominazione francese, fu riaperta e ridata ai legittimi proprietari nel 1818. Ma nel 1866 le leggi eversive piemontesi ne decisero la seconda e definitiva soppressione.
Acquistata nel 1869 dai Baroni Gerbasio di Montesano, venne adibita ad abitazione dei coloni della vasta tenuta, a depositi di derrate ed a stalle.

Dalle immagini che seguono, potrete osservare le tracce indelebili della presenza certosina in questo luogo.

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Dom Silvio Badolato

18 Dom Silvio Badolato

Il personaggio che oggi voglio farvi conoscere è un monaco certosino originario di una nobile famiglia. Egli nacque in una data imprecisata, intorno ai primi anni del 1500, a Monteleone, l’attuale Vibo Valentia. Egli fu battezzato con il nome di Scipione, e sin da piccolo si dedicò allo studio nella terra natìa, per poi da ragazzo trasferirsi a Roma per studiare il diritto civile e canonico. Il giovane Scipione, sembrava avviato verso una brillante carriera forense, ma poiché in diverse occasioni era solito fare visita ai suoi conterranei Dom Antonio e Dom Giovanni Mazza, gli illustri fratelli certosini ospiti della certosa napoletana di San Martino.
La frequentazione con questi due religiosi, fece nascere in Scipione l’ispirazione a diventare anch’egli monaco certosino. Fu così che la Provvidenza cambiò il corso della sua esistenza. Nel 1529, entrò nella certosa napoletana prendendo il nome di Silvio. Fin dal principio di questo nuovo percorso, egli si distinse per lo zelo e molteplici virtù, che non passarono inosservate ai suoi superiori. Ben presto egli divenne procuratore della certosa napoletana, per poi essere scelto come priore della certosa di Padula prima e poi di quella di Capri. A seguire divenne priore di Trisulti per ben due volte, di nuovo guidò la certosa di Padula, e due volte a capo della certosa di Serra, poi ancora a Roma, ed infine fu priore della certosa di Firenze e nominato Visitatore della provincia della Tuscia e del Regno.
In questa lunga e variegata “carriera” da priore, fu sempre ben voluto e tenuto in gran stima dalle comunità che diresse, sempre dedito all’osservanza della regola con notevole zelo. Fu dedito nei suoi mandati a dedicarsi con semplicità e rigore alla vita claustrale, mostrandosi sempre come esempio per tutti i confratelli.
Dom Silvio Badolato, nel suo secondo mandato da priore nella certosa di Serra San Bruno, che si svolse dal 1573 al 1577, fece costruire la sala capitolare ed il coro, nonché fece completare il chiostro. In quel periodo ebbe alcune controversie locali, che lo videro prevalere nel rivendicare giusti diritti per il proprio monastero. Ciò gli fece riscuotere enormi consensi tra il popolo, ma soprattutto dal Capitolo Generale dell’Ordine. Dom Silvio Badolato, con la sua saggezza dovette affrontare nel 1576 i pericoli derivanti da una tremenda epidemia di peste sviluppatasi a Messina, la quale arrecava rischio ai territori circostanti la Calabria e quindi della certosa. Ordinò pubbliche preghiere e processioni, per scongiurare il pericoloso morbo, inoltre realizzò una sorta di cordone sanitario sulle spiagge di sua pertinenza per arginare il pericolo. L’anno successivo, nel 1577 fu nuovamente inviato a Padula laddove si dedicò allo studio ed agli scritti, ormai convinto di aver completato il suo percorso e nel 1579 chiese misericordia e ritornò semplicemente a svolgere la vita monastica senza incarichi. Ma nel 1583, i Superiori dell’Ordine lo invitarono a recarsi alla certosa di Roma ad occuparsi come Visitatore della provincia certosina della Tuscia.
Durante questo periodo romano, l’allora pontefice Gregorio XIII, lo tenne in grande considerazione e spesso voleva essere in sua compagnia chiedendogli pareri e consigli. Trascorsero alcuni anni, e Dom Silvio ormai in età avanzata era intenzionato ad abbandonare definitivamente tutti gli incarichi per dedicarsi esclusivamente alla vita contemplativa da semplice monaco e di fare ritorno alla sua casa di professione.
Fu così, che fece ritorno a Napoli, dove in certosa potè dedicarsi esclusivamente alla preghiera ed agli studi. Scrisse alcuni opuscoli ed alcuni commenti sulle Epistole dell’Apostolo Paolo, che per sua estrema umiltà non volle fare stampare. Trascorrendo gli ultimi anni in una quiete assoluta, lentamente come una candela, la sua vita terrena si spense. Ho voluto celebrarlo oggi, poiché morì il 18 febbraio del 1587 dopo cinquantotto anni di vita monastica, ed il giorno 20 fu sepolto nel cimitero della sua certosa. Il Capitolo Generale dell’Ordine gli attribuì il titolo onorifico di “Laudabiliter Vixit” (vissuto lodevolmente /vita esemplare). Senza essere una sorta di canonizzazione, questo titolo è concesso dal Capitolo Generale, all’unanimità dei suoi partecipanti, ai religiosi e alle religiose che si sono particolarmente distinti per le loro virtù e la loro influenza.

Alla sua memoria vadano le nostre preghiere.

La Grangia di San Demetrio

Grangia_di_San_Demetrio

Torno oggi a parlarvi di una grangia, etimologicamente deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).

Furono vere e proprie tenute agricole in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un Magister Grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio).

Quella di cui oggi vi parlerò, è la Grangia di San Demetrio di proprietà dei certosini di Padula.

Nel 1462, i fratelli Sanseverino, principi di Bisignano, donarono all’ordine dei Padri Basiliani la badia di S. Maria dell’acqua calda, denominata così, per la presenza, in quel luogo, di una falda di acqua termale. I basiliani tennero la rettoria per oltre quarant’anni, fino all’inizio del XVI secolo, allorquando, l’antico monastero basiliano situato in località Brindisi Montagna, in Basilicata, passava ai Padri della Certosa di di San Lorenzo a Padula, che la eressero a Grangia di San Demetrio (1503).

Nel 1514, i certosini fecero restaurare la chiesetta preesistente situata nel vasto fabbricato, a pian terreno, a destra dell’ingresso principale della Grangia. Vi eressero un altare e nella parete superiore vi fecero dipingere l’immagine di Maria Santissima, che denominata dell’Acqua Calda, ha in braccio il bambino Gesù ed ai lati S. Bruno e S. Demetrio.
Sull’altare i monaci collocarono la statuetta di S. Lorenzo e fecero riprodurre in affreschi, sui muri laterali, i martirii del santo. Nel piano superiore, vi erano ambienti luminosi, destinati al Padre Procuratore che vi ospitava visitatori illustri e monsignori; in esso, all’estremo dell’ala destra, vi era una cappellina detta «Oratorio del Crocifisso» ove si narra che nei venerdì di marzo veniva esposta una corona di spine del Nazzareno.

La chiesa di San Lorenzo

chiesa di san lorenzo in Grangia

La preesistente chiesa, intitolata a San Demetrio Martire,venne poi trasformata in chiesa di San Lorenzo tra la fine del Seicento e i primi anni del Settecento.

L’ iscrizione posta sulla campana bronzea (AVE M.G.P.D.T. SANTUS LAURENCIUS DE PADULA A.D.1565) attesta la realizzazione dell’opera nel 1565 per San Lorenzo di Padula e non per la Grancia di Brindisi di Montagna. In maniera analoga, l’iscrizione posta sul portale di ingresso alla chiesa (DIVO DEMITRIO MAR. DICATUS), rinvenuta dopo lo smontaggio del tavolato dipinto che copriva l’androne dell’ingresso principale, testimonia che il controsoffitto venne realizzato sempre dai padri certosini nel 1700, su modelli ancora oggi presenti in molti ambienti della Certosa di Padula, per nascondere alla visione l’epigrafe che attestava la consacrazione a San Demetrio Martire. Tali opere di pregevole fattura sono state attribuite a Gian Domenico Vinaccia, Antonio Fontana e Bartolomeo Chetti che le realizzano tra il 1683 e il 1699 ma, probabilmente, gli esecutori materiali dei paliotti in scagliola furono gli stessi frati certosini, interessati ed attivi alla pratica artigiana. Di questo corpus di opere certamente faceva parte anche il paliotto oggi a Brindisi di Montagna ed è plausibile che anche l’altare in legno policromo e dorato con l’alzata e i dipinti realizzati da Filiberto Guma nel 1638 provenga dalla Certosa di Padula committente dell’opera, come viene confermato dalla sigla CAR posta al centro della cimasa.

 

 

La grangia

bianco e nero

Le prime minuziose descrizioni di questa grangia datano 1728 e furono redatte da Dom Andrea Maria Micheli, Priore della Certosa di San Lorenzo e Fratello Salvatore Lavirasta, grangiere di San Demetrio. I due documenti presentano il feudo ecclesiastico come fondo burgensatico, la tenuta aveva un’estensione di circa nove mila tomoli di cui un terzo di territorio coltivabile e la restante parte boscosa e rocciosa. Nella parte coltivabile si produceva grano, orzo, avena, veccia e legumi secondo l’uso, largamente in voga nel regno napoletano, della rotazione triennale con un anno di riposo, che consisteva nel seminare, sullo stesso appezzamento di terra, nel primo anno frumento, nel secondo orzo e avena, lasciandolo, poi, un anno a riposo o a maggese nudo o parzialmente coperto da legumi. La parte non coltivabile era destinata all’allevamento di animali grossi e piccoli. Nella vigna e negli orti erano invece sistemate le macchine idrauliche del mulino, della gualchiera e della concia per le pelli. L’immobile era organizzato con un cortile centrale; esterna a questo immobile vi era poi la masseria che serviva da abitazione ai lavoratori addetti alla coltivazione ed alla pastorizia e per deposito degli attrezzi agricoli.

In questo sito oggi come allora vi sono evidenti e tangibili tracce dell’insediamento certosino. Precisamente, una vasca di raccolta di acqua sorgiva che sovrastava gli antichi orti, una gualchiera per il lavaggio della lana, una conceria, un mulino a pietra, un forno a legna, un casone per la stabulazione degli animali al pascolo, e la probabile presenza di un antico lattodotto in tubi fittili, che garantiva in tempi rapidi, il trasporto del latte appena munto, direttamente nella fucina per la trasformazione. Si segnala, infine, la presenza di ulivi secolari (fasola, maiatica), qualche vitigno autoctono (moscato bianco) ed essenze spontanee officinali (malva, origano, camomilla, liquirizia). Tra i cereali, infine, si segnala la presenza di una varietà di grano duro denominata “saragolla fine” (documentata nell’atto di vendita dei beni della Grancia del 1808), come varietà di grano tenero la “maiorica”, e come varietà di segale la “jermana”, varietà, tutt’ora presenti anche in un area più ampio, a testimonianza della diffusione e dell’influenza dei monaci sul contesto territoriale. Preziosa fu la presenza dei certosini, in questo angolo interno della Basilicata poichè ha da sempre caratterizzato l’economia rurale dello stesso territorio tanto da sviluppare lavoro per numerose famiglie, che in primis garantirono forza lavoro presso l’ampio possedimento certosino, e poi con l’eversione della feudalità di inizio ‘800, divennero proprietari terrieri aggregando altri possedimenti costituendi, così, quelle che oggi ritroviamo come aziende agricole locali.

La grangia di San Demetrio, ebbe il massimo splendore nel 1700.
Soppressi gli ordini monastici a causa della legge napoleonica del 1806, la grangia fu acquistata dai baroni Blasi di Pignola e rivenduta dai loro eredi al Demanio verso il 1925. Dal giugno 2000 la Foresta della Grangia è diventata il più importante parco storico rurale e ambientale lucano.

Le immagini che seguono, ci consentiranno di apprezzare quel che resta di questa splendida grangia.

 

La cosiddetta certosa di Taranto

Grangia san brunone

Nell’articolo odierno voglio parlarvi della cosiddetta certosa di Taranto. Innanzitutto sgombriamo il campo da equivoci, non si tratta esattamente di una certosa, ma di una Grangia di proprietà dei monaci certosini di Padula. Questo chiarimento circa la differenza tra una certosa ed una grangia era opportuno, anche se tra i tarantini è diffusa la convinzione di essere in presenza di una certosa. Proviamo a ricostruirne la storia, ma prima una breve spiegazione del significato di Grangia. Etimologicamente deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium). Furono vere e proprie fattorie, in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un magister grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella.
La ricca certosa di Padula, possedeva immense proprietà terriere, tra queste quella sita nei pressi di taranto in Puglia, difatti la nobile famiglia Nasisi, senza eredi, decise di donare ai certosini i propri terreni, che si estendevano dall’attuale cimitero fino al Galeso. Anche nel territorio tarantino c’erano zone paludose che venivano affidate come grangie ai monaci, notoriamente dediti anche a lavori di prosciugamento e disboscamento. Fu così che i monaci eressero questi edifici tra il 1626 ed il 1634.
La vita nella grangia continuò indisturbata fino al 1807, quando a seguito della soppressione degli ordini religiosi voluta da G. Murat, i certosini furono costretti ad abbandonare le loro proprietà, che furono incamerate dal Demanio. Nel 1820 gli ambienti della Grangia certosina furono dati in affitto alla famiglia Nitti. L’anno precedente, per ordine di Ferdinando di Borbone, fu acquistato il giardino adiacente che doveva servire da cimitero, realizzato nel 1837, dopo che fu spiantato l’oliveto esistente nel territorio della masseria della famiglia. Il cimitero di Taranto che venne realizzato fu intitolato a San Brunone, fondatore dell’ordine dei certosini, a ricordo della presenza cartusiana in quella area, verso la fine dell’800 venne innalzato l’attuale portale in stile neoclassico col motto paolino: “Canet tuba et mortui resurgent”(1 Cor 15,52). Il sacrificio di questi monaci non fu vano perchè nei loro possedimenti oggi riposano i defunti, cosi come accadde anche per la certosa di Bologna e  per quella di Ferrara, trasformate in cimiteri
Ma perchè oggi il mio interesse cade su questa grangia?
Poichè recentemente si sono levati appelli circa le condizioni di estremo degrado del luogo dove sono situati i resti dell’antica grangia certosina. Attualmente in quella medesima area vengono accatastate vecchie lapidi marmoree di un certo pregio artistico, appartenenti a cappelle cimiteriali dismesse, ai fini della realizzazione di un famedio, in un’area attigua. Purtoppo alle lodevoli intenzioni non sono susseeguiti i fatti!
Ma provo a descrivervi cosa resta della antica struttura monastica. Sulla facciata esteriore del portale ancora si può notare un’arme coronata, consunta dal tempo, che tra due teste d’angelo reca una croce latina. Attorno all’asta inferiore della croce (T) c’è una grande “C” seguita da due piccole lettere, “ar”: “Cart” è infatti la sigla che ricorda il latino Cartusia e l’intero scudo rappresenta l’arme dell’Ordo Cartusiensis, cioè l’Ordine dei certosini. Entrando si accede nel chiostro a forma rettangolare; attiguo l’androne c’è un modesto portale con fregi floreali. Degli interni della chiesa resterebbe solo una piletta dell’acquasanta e sul pavimento una lapide sepolcrale senza iscrizione.
Credo sia giunto il momento di valorizzare questa antica struttura e fare qualcosa affinchè non versi più in abbandono o cada nell’oblio o nell’ulteriore degrado.

Taaranto

taranto 2
Nel video che segue vi è una splendida ricostruzione di come era la grangia ai tempi del suo splendore, comparata con le immagini dell’attuale decadimento.

Certose storiche: Padula

padula_certosa_cour

La certosa storica dell’approfondimento odierno è situata in Italia, e più precisamente nel vallo di Diano, in provincia di Salerno. Sto parlando della sontuosa certosa di San Lorenzo sita in Padula. Il primo complesso monastico certosino sorto in Campania nel 1306 prima della certosa di San Martino di Napoli (1325) e San Giacomo di Capri (1371). La maestosità di questa certosa si può riassumere con alcuni dati unici ed impressionanti. Con una superficie di 51.500 m², e con un Chiostro Grande su cui si affacciano 26 celle monastiche e che misura 149 m. X 104 m.( il più esteso d’Europa), risulta essere la più grande certosa italiana e tra le più grandi d’Europa. Premesso ciò, va detto che nella sua lunga vita claustrale, dalla fondazione( 1306) fino alla soppressione napoleonica (1807) vi si sono susseguiti importanti lavori di ristrutturazione ed abbellimento che perdurarono dal 1587 al 1799. A seguito della soppressione la certosa subì una spoliazione di diverse opere d’arte, trafugate dai francesi. Alla fine dell’ottocento fu dichiarata monumento nazionale, ma cadde in un abbandono, dal quale solamente negli anni 60 del novecento riuscì a risollevarsi. Si susseguirono vari lavori di consolidamento e nel 1988 la certosa di san Lorenzo è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Oggi è visitabile in quasi tutti i suoi ambienti.Da questo blog vi ho narrato l’evento storico legato ad i certosini ed alla visita di Carlo V che vi soggiornò con il suo esercito nel 1535 di ritorno dalla battaglia di Tunisi. Tante sono le iscrizioni nei vari ambienti claustrali che aiutano a comprendere questa oasi di pace. Sull’arco della porta che immette nel Chiostro Grande, vi è scritta la sintesi di questo luogo sublime: “Qui c’è sicura quiete, qui si passa per andare al cielo. Resta qui per sempre o pellegrino, la quiete stessa di farà perseverare”. Altra iscrizione, tra l’altro da me scelta come titolo dell’homepage di Cartusialover, è posta alla sommità della straordinaria scala sapienziale, ovvero i trentotto scalini monolitici che conducono alla biblioteca, essa recita: “Dà al saggio l’occasione e la sua sapienza aumenterà”.Come di consueto per la descrizione di una certosa storica, per una migliore comprensione del luogo mi affiderò alle immagini, ma in questo caso mi avvarrò anche di una preziosissima visita virtuale. Essa ci permetterà di muoverci nei sontuosi ambienti monastici presenti a Padula a 360°, per coglierne ogni minimo particolare. Inoltre a corroborare questo articolo vi è un video, che spero vogliate seguire, nel quale vi è una disamina storica e descrittiva con un apprezzabile approfondimento storico del luogo.

BUONA VISIONE

VIRTUAL TOUR A 360°

dettagliatissima, divertiamoci con questa straordinaria visita virtuale!

PRIMA PARTE

SECONDA PARTE

VIDEO

A Padula nella notte di san Lorenzo

A Padula nella notte di san Lorenzo 

Locandina

Anche quest’anno, a Padula, lo scorso agosto, si è svolta, la celebrazione dell’arrivo nella certosa di Carlo V nel 1535, accolto dai monaci.

L’argomento da me trattato in un precedente articolo a cui vi rimando per l’approfondimento storico, intreccia storia a leggenda.

La rivisitazione storica ormai giunta alla sua diciottesima edizione, è durata tre giorni, nei quali un corteo di figuranti vestiti da monaci certosini, e nobili al seguito del sovrano partendo dalla certosa di san Lorenzo è giunta nel sito “I Tre Santi”. Durante questa singolare processione,di circa un chilometro, una voce narrante descriveva gli avvenimenti accorsi nel 1535, e reinterpretati dalle comparse con originali costumi dell’epoca. Al termine del lungo viale, nel suggestivo scenario, caratterizzato dal monumento con una statua di san Bruno, una ventina di ragazze in costume d’epoca hanno cominciato a rompere e sbattere le mille uova, che sarebbero servite per la creazione della leggendaria frittata da offrire a Carlo V. Successivamente il composto di uova sbattute in proporzioni gigantesche è stato versato nella enorme padella al cui interno vi era stato già introdotto immani quantità d’olio portato alla giusta temperatura da un fuoco sviluppato da un impressionante braciere. Le operazioni successive sono state curate con certosina attenzione da una decina di addetti, che vestiti da monaci conversi, hanno operato sui complessi ingranaggi della speciale padella per consentire di girare la mastodontica frittata.Tutte le operazioni sotto gli occhi vigili di un paffuto Carlo V assiso su di un trono. La kermesse si è conclusa il 10 agosto, ovvero la notte di san Lorenzo, il santo a cui è dedicato il complesso claustrale certosino, ed ha riscontrato il consueto successo di pubblico. Oltre a ricordare la cosiddetta “pantagruelica imbandigione”, che per tradizione fu preparata dai cenobiti per l’illustre ospite, ed a gustare la frittata, gli intervenuti hanno potuto godere la magia degli splendidi scenari conditi da un fantastico cielo stellato.

Le foto che seguono, testimoniano la emozionante manifestazione e la impressionante frittata dalle 1000 uova.

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Lodevole iniziativa, tesa a tenere viva una tradizione locale ed a mantenere in vita il ricordo della plurisecolare presenza certosina a Padula.

Alla certosa di Padula: “Storie certosine”

Cari amici, di ritorno dalla pausa concessami per le vacanze estive sono lieto di annunciarvi una interessante iniziativa storico artistica sul mondo certosino. Difatti lo scorso giovedì 2 agosto 2012, alle ore 12, presso la Certosa di San Lorenzo, a Padula (SA), è stata inaugurata a cura della Soprintendenza BAP di Salerno e Avellino la mostra:

“STORIE CERTOSINE”

L’esposizione, allestita nell’Appartamento del Priore, è composta da una serie formata da quattro dipinti – olio su tela  del XVIII sec (1^metà) – provenienti dalla Certosa di San Martino  (Napoli) che raffigurano  alcuni  momenti di vita certosina all’interno di un Monastero. La mostra, è visitabile tutti i giorni, dalle ore 9.00 alle 19.00, tranne il martedì (riposo settimanale).

La storia

Il 29 luglio del 1813 il Sotto Intendente del Distretto di Sala Consilina, scriveva all’Intendente della Provincia di Principato Citra, con sede a Salerno: “… spedisco al momento alla Direzione del Signor Intendente della Provincia di Napoli tutti gli oggetti di belle arti e libri ch’esistevano nella soppressa Certosa di S. Lorenzo la Padula… Quadri di diversa specie e misure, ch’esistevano nella Chiesa, Refettorio e Capitolo de’ monaci, in totalità n° 172 …”

Tutte le opere dovevano confluire nel Real Museo di Napoli, ove il Re francese aveva intenzione di “comporre una vasta galleria di arte moderna”.  Dopo di allora, nessuna notizia dei quadri della Certosa di Padula. Molti anni dopo,  nella Certosa di San Martino a Napoli, una serie formata da quattro dipinti, raffiguranti alcuni momenti di vita certosina all’interno di un Monastero, rimanda alla Certosa di San Lorenzo di Padula per via delle ambientazioni delle scene. Queste ultime, infatti,  presentano come sfondo architettonico alcune strutture facilmente riconoscibili del cenobio padulese. In un quadro, in particolare, è palesemente ritratta la sua maestosa facciata in pietra locale. Con l’attuale mostra, dal titolo Storie Certosine, i quattro dipinti – olio su tela, ascrivibili alla prima metà del XVIII secolo e attribuiti dagli storici dell’arte della Certosa  napoletana all’artista Nicola Malinconico  – vengono esposti nella Certosa di San Lorenzo a Padula. Questo grazie al gentile prestito accordato dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Napoli, da cui attualmente dipende la Certosa di San Martino. La presentazione ufficiale del catalogo si terrà a settembre, durante le Giornate Europee del Patrimonio.

curiosa raffigurazione di monaco con occhiali

Vi esorto a visitare questa esposizione, ed approfittare per ammirare la fantastica certosa di Padula riconosciuta dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel 1998, e che vi ricordo  si estende su un’area di 51000 mq tra ambienti monastici, chiostri ed aree verdi.

Buona Visita

La leggendaria “Frittata delle mille uova”

La leggendaria frittata delle 1000 uova

In questo articolo di oggi, voglio narrarvi un fatto storico a cui è legato un aneddoto bizzarro che ha per protagonisti i monaci certosini. Questo episodio fu riferito per la prima volta nel 1640 dal sacerdote scrittore Camillo Tutini, che descrisse l’avvenimento dettagliatamente. L’evento storico è il ritorno trionfale in Italia dell’Imperatore Carlo V. Questi, dopo aver sconfitto il 4 luglio 1535, a Tunisi, in una cruenta battaglia l’ammiraglio ottomano, Khayr al-Din (detto Barbarossa), sbarcò in Italia a Reggio. Fu acclamato dal popolo, e sulla strada del ritorno fece varie tappe, giungendo il 10 agosto 1535 a Padula dove decise di fermarsi alla certosa di San Lorenzo. L’accoglienza dei monaci fu tale che l’Imperatore vi sostò per due giorni, accompagnato dal suo intero esercito. Carlo V per rispetto alla regola dei certosini, impose ai suoi uomini di non mangiare carne ed egli stesso si adeguò alla severa regola claustrale. Inoltre l’Imperatore rifiutò ogni comodità offertagli dai monaci, volle adeguarsi alla vita monastica decidendo di dormire in una umile cella, concedendosi il solo agio di sostituire il pagliericcio con un materasso e le lenzuola di lana con quelle di lino. Durante questo soggiorno, i monaci si prodigarono per offrire agli ospiti una “pantagruelica imbandigione“, degna di un illustre sovrano. Tra le tante pietanze, fu preparata nella cucina del monastero una leggendaria “Frittata delle Mille uova”, per sfamare l’intero esercito. Carlo rimase lusingato dalla maestria del cuoco, e dall’ospitalità ricevuta ricambiando la comunità monastica di Padula assegnando loro ulteriori privilegi. Prendendo spunto da questo aneddoto, ogni anno viene rappresentata una rivisitazione storica dal titolo “Padula in festa per Carlo V”, organizzata dall’Associazione turistica Pro Loco. Tale manifestazione, giunta alla XV edizione prevede, tra le varie attrazioni la realizzazione, nella splendida cornice della corte esterna della Certosa di San Lorenzo, della megafrittata che viene poi offerta ai partecipanti ai festeggiamenti. Per poter realizzare questa impresa da Guinness dei primati, è stata realizzato un ingegnoso congegno meccanico, con contrappesi e tiranti secondo principi leonardeschi che può con facilità alzare, abbassare e girare l’enorme padella in acciaio. Per farvi meglio rendere idea, vi allego un video della suggestiva iniziativa.