
Torno oggi a parlarvi di una grangia, etimologicamente deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).
Furono vere e proprie tenute agricole in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un Magister Grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio).
Quella di cui oggi vi parlerò, è la Grangia di San Demetrio di proprietà dei certosini di Padula.
Nel 1462, i fratelli Sanseverino, principi di Bisignano, donarono all’ordine dei Padri Basiliani la badia di S. Maria dell’acqua calda, denominata così, per la presenza, in quel luogo, di una falda di acqua termale. I basiliani tennero la rettoria per oltre quarant’anni, fino all’inizio del XVI secolo, allorquando, l’antico monastero basiliano situato in località Brindisi Montagna, in Basilicata, passava ai Padri della Certosa di di San Lorenzo a Padula, che la eressero a Grangia di San Demetrio (1503).
Nel 1514, i certosini fecero restaurare la chiesetta preesistente situata nel vasto fabbricato, a pian terreno, a destra dell’ingresso principale della Grangia. Vi eressero un altare e nella parete superiore vi fecero dipingere l’immagine di Maria Santissima, che denominata dell’Acqua Calda, ha in braccio il bambino Gesù ed ai lati S. Bruno e S. Demetrio.
Sull’altare i monaci collocarono la statuetta di S. Lorenzo e fecero riprodurre in affreschi, sui muri laterali, i martirii del santo. Nel piano superiore, vi erano ambienti luminosi, destinati al Padre Procuratore che vi ospitava visitatori illustri e monsignori; in esso, all’estremo dell’ala destra, vi era una cappellina detta «Oratorio del Crocifisso» ove si narra che nei venerdì di marzo veniva esposta una corona di spine del Nazzareno.
La chiesa di San Lorenzo

La preesistente chiesa, intitolata a San Demetrio Martire,venne poi trasformata in chiesa di San Lorenzo tra la fine del Seicento e i primi anni del Settecento.
L’ iscrizione posta sulla campana bronzea (AVE M.G.P.D.T. SANTUS LAURENCIUS DE PADULA A.D.1565) attesta la realizzazione dell’opera nel 1565 per San Lorenzo di Padula e non per la Grancia di Brindisi di Montagna. In maniera analoga, l’iscrizione posta sul portale di ingresso alla chiesa (DIVO DEMITRIO MAR. DICATUS), rinvenuta dopo lo smontaggio del tavolato dipinto che copriva l’androne dell’ingresso principale, testimonia che il controsoffitto venne realizzato sempre dai padri certosini nel 1700, su modelli ancora oggi presenti in molti ambienti della Certosa di Padula, per nascondere alla visione l’epigrafe che attestava la consacrazione a San Demetrio Martire. Tali opere di pregevole fattura sono state attribuite a Gian Domenico Vinaccia, Antonio Fontana e Bartolomeo Chetti che le realizzano tra il 1683 e il 1699 ma, probabilmente, gli esecutori materiali dei paliotti in scagliola furono gli stessi frati certosini, interessati ed attivi alla pratica artigiana. Di questo corpus di opere certamente faceva parte anche il paliotto oggi a Brindisi di Montagna ed è plausibile che anche l’altare in legno policromo e dorato con l’alzata e i dipinti realizzati da Filiberto Guma nel 1638 provenga dalla Certosa di Padula committente dell’opera, come viene confermato dalla sigla CAR posta al centro della cimasa.
La grangia

Le prime minuziose descrizioni di questa grangia datano 1728 e furono redatte da Dom Andrea Maria Micheli, Priore della Certosa di San Lorenzo e Fratello Salvatore Lavirasta, grangiere di San Demetrio. I due documenti presentano il feudo ecclesiastico come fondo burgensatico, la tenuta aveva un’estensione di circa nove mila tomoli di cui un terzo di territorio coltivabile e la restante parte boscosa e rocciosa. Nella parte coltivabile si produceva grano, orzo, avena, veccia e legumi secondo l’uso, largamente in voga nel regno napoletano, della rotazione triennale con un anno di riposo, che consisteva nel seminare, sullo stesso appezzamento di terra, nel primo anno frumento, nel secondo orzo e avena, lasciandolo, poi, un anno a riposo o a maggese nudo o parzialmente coperto da legumi. La parte non coltivabile era destinata all’allevamento di animali grossi e piccoli. Nella vigna e negli orti erano invece sistemate le macchine idrauliche del mulino, della gualchiera e della concia per le pelli. L’immobile era organizzato con un cortile centrale; esterna a questo immobile vi era poi la masseria che serviva da abitazione ai lavoratori addetti alla coltivazione ed alla pastorizia e per deposito degli attrezzi agricoli.
In questo sito oggi come allora vi sono evidenti e tangibili tracce dell’insediamento certosino. Precisamente, una vasca di raccolta di acqua sorgiva che sovrastava gli antichi orti, una gualchiera per il lavaggio della lana, una conceria, un mulino a pietra, un forno a legna, un casone per la stabulazione degli animali al pascolo, e la probabile presenza di un antico lattodotto in tubi fittili, che garantiva in tempi rapidi, il trasporto del latte appena munto, direttamente nella fucina per la trasformazione. Si segnala, infine, la presenza di ulivi secolari (fasola, maiatica), qualche vitigno autoctono (moscato bianco) ed essenze spontanee officinali (malva, origano, camomilla, liquirizia). Tra i cereali, infine, si segnala la presenza di una varietà di grano duro denominata “saragolla fine” (documentata nell’atto di vendita dei beni della Grancia del 1808), come varietà di grano tenero la “maiorica”, e come varietà di segale la “jermana”, varietà, tutt’ora presenti anche in un area più ampio, a testimonianza della diffusione e dell’influenza dei monaci sul contesto territoriale. Preziosa fu la presenza dei certosini, in questo angolo interno della Basilicata poichè ha da sempre caratterizzato l’economia rurale dello stesso territorio tanto da sviluppare lavoro per numerose famiglie, che in primis garantirono forza lavoro presso l’ampio possedimento certosino, e poi con l’eversione della feudalità di inizio ‘800, divennero proprietari terrieri aggregando altri possedimenti costituendi, così, quelle che oggi ritroviamo come aziende agricole locali.
La grangia di San Demetrio, ebbe il massimo splendore nel 1700.
Soppressi gli ordini monastici a causa della legge napoleonica del 1806, la grangia fu acquistata dai baroni Blasi di Pignola e rivenduta dai loro eredi al Demanio verso il 1925. Dal giugno 2000 la Foresta della Grangia è diventata il più importante parco storico rurale e ambientale lucano.
Le immagini che seguono, ci consentiranno di apprezzare quel che resta di questa splendida grangia.
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