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La Grangia di Boffalora

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Cari amici, voglio oggi proporvi un approfondimento su di una grangia certosina.

Etimologicamente la parola grangia deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).

Furono vere e proprie tenute agricole in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un Magister Grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio).

Questa volta vi parlerò della grangia di Boffalora, in Lombardia e di proprietà della certosa di Pavia.

L’origine di questa Grangia si deve all’atto di donazione, datato 15 aprile 1396 dei vasti possedimenti appartenenti a Gian Galeazzo Visconti a favore dei monaci certosini, quale rendita destinata alla fabbrica di un monastero ed alla relativa dotazione. Da questo atto nascerà la certosa delle Grazie, comunemente nota come certosa di Pavia. Contestualmente all’erezione della certosa, i monaci pavesi avviarono i lavori della grandiosa Grangia di Boffalora, iniziando dai fabbricati dei portici con eleganti volte a crociera con il classico mattone, appoggiate su pilastri di granito i cui capitelli delle colonne, ripropongono l’ordine architettonico di tipo scudato, in tutto simili a quelli della certosa. I monaci, si insediarono in questa struttura dedicandosi alla coltivazione dei fertili campi di loro proprietà, inoltre data la posizione particolare, ovvero sulle sponde del fiume Ticino, il borgo di Boffalora, grazie alla presenza monastica, divenne ben presto fiorente e molto attivo grazie al porto sul Ticino e al Naviglio, via abituale per tutte le merci da e per Milano, mentre il fiume serviva come via di collegamento con Pavia, da dove poi le merci erano dirette al mare. I certosini non solo si dedicarono alla coltivazione dei campi e alla produzione dei beni di prima necessità, ma favorirono anche la bonifica di terreni un tempo inutilizzati, attraverso un sofisticato sistema di irrigazione che garantì un miglior utilizzo del suolo. La produzione principale furono i cereali assieme al fieno che si ricavava dal taglio stagionale dei prati, vi era anche una sparuta presenza di vigneti. Evolvendosi l’insediamento dei certosini portò anche allo sviluppo di un’osteria con alloggio (divenuta poi stazione di posta) che nell’Ottocento venne utilizzata come dogana dal governo austriaco per il punto strategico di passaggio nei pressi del ponte sul Naviglio Grande.

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Lo sviluppo economico della zona si deve alla alacre attività dei monaci, che nel 1778 richiesero la costruzione di una tra le prime filande impiantate in Lombardia.

Nel 1782 l’imperatore Giuseppe II decreta la soppressione di conventi e monasteri, tra cui la certosa di Pavia, incamerandone tutti i beni. A Boffalora i monaci pavesi possedevano 2000 pertiche di terreni, le due osterie con relative camere adibite a Stazione di Posta, la casa di propria abitazione (Ospizio), un prestino con forno, due case con quattro botteghe ciascuna, quattro case da massaro, una folla di carta (cartiera), un mulino e una pila di riso (opificio per la pulitura del riso).

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Tutti gli ambienti della Grangia certosina di Boffalora, oggi corrispondono all’attuale struttura del Municipio e collegati, i quali vennero ristrutturati negli anni ‘60 del novecento. Prima della ristrutturazione vi erano significativi elementi caratteristici della presenza della Grangia. Sul portale d’ingresso, situato allora sul fronte del Naviglio, e sulla pavimentazione di un ampio porticato sorretto da colonne, che sostenevano un loggiato con elegante parapetto in legno, era scolpita a grandi lettere la famosa sigla della certosa di Pavia: GRA-CAR (Gratiarum Cartusia – Certosa delle Grazie) quasi a ricordare l’origine di Boffalora e il legame vitale con la certosa pavese.

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La Grangia di Carpiano

Grangia castello

Torno oggi a parlarvi di una grangia, etimologicamente deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).

Furono vere e proprie fattorie, in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un magister grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio).

Oggi, in questo articolo, vi parlerò della Grangia di Carpiano.

La storia

Nel 1300 Carpiano era uno dei feudi della famiglia Pusterla di Milano, giustiziata interamente dai Visconti in seguito ad una sentenza emessa per una fallita congiura. I possedimenti, tra cui il Castello di Carpiano, andarono, nel 1395, a Gian Galeazzo Visconti, Duca di Milano, Conte di Pavia e Duca di Lombardia. La costruzione della Certosa di Pavia fu voluta da Gian Galeazzo Visconti, che inaugurò i lavori il 27 agosto 1396, ponendo la prima pietra del cantiere. Proprio in questo periodo Gian Galeazzo Visconti cedeva definitivamente i territori di Carpiano e la chiesa di Torre del Mangano ai Padri certosini, da lui chiamati ad erigere la certosa dove voleva essere sepolto.

Inizialmente, durante la prima fase dei lavori dell’imponente complesso monastico, i primi monaci guidati da Dom Pietro da Montevito già priore di Asti e Dom Bartolomeo Serafini risiedettero nell’antico castello di Torre del Mangano e nel Castello di Carpiano, per poi occupare gradualmente i primi ambienti conventuali, che furono edificati. Agli inizi del 400 i possedimenti certosini a Carpiano si estendevano ormai fino ad assorbire la totalità delle strutture del borgo, comprese case e botteghe di piccoli artigiani. Avviene la trasformazione in Grangia Castello, così era chiamata, di proprietà della Certosa di Pavia. Questa struttura divenne il centro di tutta l’attività rurale del paese, essendo adibita a cascina e granaio. I certosini, come era loro consuetudine, bonificarono queste terre rendendole fertili grazie a nuove tecniche irrigue e al miglioramento del sistema d’irrigazione, introducendo la tecnica della marcite.

I certosini continuarono ad amministrare in contemporanea il castello ed il paese, tanto che nel 1649 vennero investiti anche dei diritti feudali inerenti alla parrocchia di Carpiano, la chiesa di S.Martino Vescovo, già fondata nel 1518. Anche se poi cominciarono ad abbandonare gradualmente la gestione diretta dei fondi agricoli e in generale dei loro possedimenti, nonchè la cura delle anime, che cominciarono a delegarla ad un parroco di loro nomina. Il castello diventava così superfluo per le esigenze conventuali e nel 1590 fu concesso in affitto alla famiglia De Castellatiis. I certosini di Pavia mantennero comunque il feudo sino al 1784, anno in cui l’Imperatore Giuseppe II d’Austria soppresse gli ordini monastici. Da quel momento vi si sono avvicendati vari possessori e la struttura si è deteriorata nel tempo Dal gennaio 2010 l’intero complesso è disabitato, è stato infatti abbandonato dall’ultimo conduttore agricolo e zootecnico. Si pensa di ristrutturare l’intero complesso ma nel frattempo diverse opere d’arte e decorazioni in marmo sono andate perdute. Negli ultimi tempi la Pro Loco di Carpiano assieme ad altre associazioni carpianesi si sono messe in moto in collaborazione con l’associazione Italia Nostra per salvaguardare l’antica Grangia Castello.

La struttura

La modifica del Castello di Carpiano iniziò nel 1549 allorquando, i Padri certosini, ricostruirono la struttura, che nella forma originaria risaliva al XIV secolo. Essi chiesero l’autorizzazione a Ferdinando Gonzaga di ricostruire il Castello nella sua forma antica (“rehedificari facere castrum, servata forma veteri” dal documento del 26 giugno 1549). Successivamente nel 1575 i certosini ottennero dal Vicario della Curia Arcivescovile, Carlo Borromeo, il permesso di celebrare la Messa nell’oratorio da loro fatto costruire secondo i dettami dell’Ordine nella Grangia Castello, esso venne ufficialmente benedetto nel giugno del 1641.

Con la ristrutturazione promossa dai monaci, il castello fortificato di Carpiano divenne una Grangia-Castello, dalla forma rettangolare con quattro torri angolari (oggi ne sono visibili tre), e la bassa torre d’ingresso.

Sul fianco della torre di sud-ovest si trova una loggetta creata con piccole colonne tortili in marmo di Candoglia (lo stesso del Duomo di Milano ) provenienti dalla certosa e pareti affrescate con dipinti della seconda metà del XVI secolo ancora oggi visibili. L’entrata al castello, è una pseudotorre più bassa delle altre torri, un tempo dotata di ponte levatoio sul fossato che circondava il castello. una volta era completamente affrescata con la figura della Vergine, della Certosa di Pavia, di rose del Carmelo e di gigli della convalle. La Vergine, protettrice dell’Ordine Certosino, era raffigurata con una scritta che diceva: “MARIAVIRGO-ORA-PRO-NOBIS“. Sull’entrata si trovava la porta che conduceva alla foresteria, da un lato, e dall’altro le scale che conducevano alle sale del piano superiore. Opposte alle sale si trovavano le stalle. Sul lato corto si trovavano le sale del refettorio, il chiostro, il passaggio a volta e l’oratorio dedicato a San Bruno (affreschi del 1544) consacrato nel 1645, ambienti un tempo riccamente affrescati. Tutte le decorazioni in marmo (provenienti dalla certosa ) e gli affreschi (che portano la data del 1577) presentano la scritta GRA-CAR (visibile anche nella chiesa) che significa GRAtiarum CARtusia. Ancora oggi sono visibili e ben conservate delle sale particolari al piano terreno come la ghiacciaia, già refettorio, con copertura a cupola, si innalza con volte a crociera. Le sale del piano superiore del prospetto sud, sono dipinte con colori bianco e rosa e tutte dotate di grandi camini visibili anche all’esterno, grazie ai comignoli di gusto quattrocentesco. Due mulini vennero costruiti nel 1726 (questa data è incisa sui supporti delle pale, assieme alla solita sigla GRA.CAR) ed ancora oggi si possono ammirarne i resti.

A seguire potrete vedere lacune immagini di quella che era una importante ed imponente grangia certosina. Speriamo, che possa presto essere restaurata e poter ritornare al suo antico splendore.

“GRA-CAR” l’elisir perduto

cerosa-liquore(1)

In questo articolo, voglio svelarvi una storia poco conosciuta.

Lo sapevate che è esistito un liquore uguale alla famigerata “Chartreuse” prodotto dai monaci certosini?

Ebbene ecco per voi questa vicenda.

Necessita conoscere la storia del noto liquore monastico, e per questo vi rimando alla lettura di questo precedente articolo.

Dopodichè può iniziare il racconto ma… contestualizzando gli avvenimenti.

Premetto che con la legge 3036 del 7 luglio 1866, la certosa di Pavia fu dichiarata monumento nazionale italiano e i beni ecclesiastici diventarono proprietà del Regno d’Italia, anche se fino al 1879 alcuni certosini continuarono ad abitare il complesso monastico.

In questo periodo fortemente tormentato per le comunità certosine, si innesca la storia che segue.

Siamo nel 1892, allorquando Ignazio Giraud, un garibaldino di Genova che combatté nelle guerre del Risorgimento, ebbe in concessione dal Demanio della Foresteria della Certosa di Pavia gli antichi locali della Spezieria. Si narra che un monaco certosino della certosa di Grenoble, avrebbe rivelato la ricetta segreta del rinomato elisir monastico, al Giraud. Egli decise dunque di avviarne la produzione, ma non potendo utilizzare il nome “Chartreuse”, decise di distribuire il “Liquore Speciale della Certosa di Pavia” con il nome “Gra-Car” (acronimo di Gratiarum Cartusia, Certosa delle Grazie).

bottiglia

Negli anni seguenti gli si affiancò il genero Enrico Maddalena che diede il nome alla ditta la quale ebbe momenti di massima espansione commerciale, il prodotto, fu presente all’Esposizione Universale di Milano del 1906. Durante il proibizionismo, l’azienda ha iniziato a esportare il “Gra Car” in tutto il mondo, da New York all’Argentina, conservando la sede unica nell’antica spezieria della Certosa di Pavia, dove veniva prodotto. Ma Enrico Maddalena fu anche l’artefice di una bizzarra ma geniale iniziativa, ovvero la messa in funzione, nel 1913, della tranvia a cavalli, che per 30 anni ha fatto da navetta di collegamento fra la stazione ferroviaria di Pavia ed il Piazzale della monumentale certosa. Dapprima trainato da cavalli bianchi, poi da un motore elettrico. Il vagone faceva un tragitto intorno alle mura esterne del monastero, che era compiuto in cinque minuti e si effettuavano dalle tre alle quattro coppie di corse al giorno, per la gioia dei turisti. Dopo avervi riferito di questo altro aneddoto, continuo la storia di questo liquore prodotto da una azienda esclusivamente a conduzione familiare. Trascorrono gli anni e fin da bambina, Alma, ha seguito il proprio padre Enrico e, anno dopo anno, ha imparato tutti i segreti legati alla produzione di questo liquore, ella è colei che fino al 2013, dopo 121 anni di attività, è stata l’ultima titolare dell’azienda pavese, che all’epoca ultranovantenne, decise di sospendere la produzione dell’elisir.

La signora Alma, nata nel 1918 e morta centenaria due anni fa, aveva coraggiosamente portato avanti l’azienda di famiglia, con immensi sacrifici. Ella affermava: «Il liquore dei frati è nato a Certosa e deve rimanere a Certosa»

La produzione fino all’ultimo prevedeva due diversi tipi di infuso del liquore originale: “Verde”, più forte e secco, adatto come digestivo, ed un altro “Giallo” di 40°, più dolce, adatto come liquore da dessert, da aggiungere eventualmente sulla macedonia o sul gelato; il colore viene dato da stimmi di zafferano. A questi si aggiunse, successivamente, un terzo liquore che è un infuso di chicchi macinati di caffè messi in infusione nell’alcool con altre erbe, con una gradazione di 40°.

Il patrimonio di questa gloriosa azienda familiare, è andato in parte disperso.

Le medaglie, le onorificenze, la ricetta e il marchio, le bottiglie pregiate e l’attività che per oltre un secolo aveva reso celebre il “Gra Car”, tutto dimenticato. Con la scomparsa di Alma, due anni fa, non restano che i ricordi. E una storia gloriosa affidata ai registri che la vecchia signora aveva gelosamente conservato con le dediche di sovrani, artisti, scrittori, il poeta Cesare Angelini, ad esempio, in compagnia della poetessa Ada Negri erano clienti abituali, ed anche uno zar assiduo degustatore.

I discendenti della titolare non hanno avuto interesse a proseguire la produzione di questa specialità che su Ebay si trova ancora in vendita a cifre stratosferiche!

Una storia molto triste, quella del “GRA-CAR” l’elisir perduto che ho voluto raccontarvi per renderla nota a tutti coloro che non la conoscevano.

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Tram

Tramvia

la signora Alma

La Grangia di Vigano certosino

Grangia Vigano

Torno oggi a parlarvi di una grangia, etimologicamente deriverebbe dal francese arcaico “granche”, che a sua volta verrebbe dal latino volgare “granica”, ed indicherebbe il luogo dove si conserva il grano (granarium).

Furono vere e proprie fattorie, in cui fratelli conversi e donati lavoravano sotto la direzione di un magister grangiae, essi oltre a lavorare in loco dormivano, mangiavano e pregavano. Si resero indispensabili quindi la costruzioni di un dormitorio, un refettorio ed una cappella (oratorio).

Quella di cui vi parlerò in questo articolo è quella situata nell’attuale comune lombardo di Gaggiano, ma più precisamente nella frazione denominata Vigano certosino proprio per l’insediamento monastico.

Va premesso che la notizia più antica relativa al borgo di Vigano è del 1118, anno in cui un certo Leopertus de Vigano vende dei beni di quel luogo. Luogo abitato fin da tempi remoti, in pieno Medioevo diviene quindi sede di un piccolo castello. Il 30 giugno del 1400 Gian Galeazzo Visconti, dona alla certosa di Pavia questo insediamento. I monaci lo adibirono a comunità agricola, detta grangia, curando la bonifica di queste fertili terre. La trasformazione da fortilizio in locale casa certosina, dette origine ad un complesso agricolo di notevole razionalità e fascino, organizzato attorno ad un cortile a portici.I certosini, fornirono il villaggio di un muro di cinta, di un’osteria e di una locanda oltre a far costruire la chiesa parrocchiale dei S.S. Eugenio e Maria, a fine XV secolo, con i suoi antichi affreschi.

La grangia di Vigano fu ultimata nell’aprile del 1511 dal pittore Bernardino de Rossi (doc. 1484-1514), commissionata dai monaci della Certosa di Pavia, fu composta da elementi iconografici che risentono dell’estetica certosina. Il ciclo, non sempre di facile ricostruzione, prevedeva in alto, al centro, sopra la grande finestra circolare, il Padre Eterno benedicente, circondato da angeli in volo; più in basso, in cornici coronate dalle sigle “GRA CAR” (Gratiarum Cartusia o Certosa delle Grazie), l’Arcangelo Gabriele e la Vergine annunciata, inseriti in nicchie marmorizzate che simulavano uno sfondamento prospettico. Al di sotto, alla sinistra del portale, comparivano forse Sant’Ugo di Grenoble e a destra Sant’Eugenio vescovo. Sulle paraste, in alto, a sinistra del Padre Eterno, era visibile San Bernardo di Chiaravalle mentre a destra era dipinto, munito di una coscia di mula, il beato Guglielmo Fenoglio. Sopra il portale appariva il medaglione con il profilo del donatore Gian Galeazzo Visconti, infine, ai lati delle paraste, due Santi di ampie proporzioni, identificati anche con San Cristoforo e San Rocco. Oltre a fungere da grangia fu anche adibito a ospizio, trasformando l’antica fortificazione in una dimora per i religiosi vecchi e malati con annesso oratorio. Più precisamente questa trasformazione deve essere avvenuta tra il 1557 e il 1565 quando invece si fa menzione dell’Ospizio adibito dai religiosi a propria residenza e al quale è annessa un’osteria aperta sulla piazza. A questi anni deve risalire anche l’Oratorio dedicato a Sant’Ippolito e i cui affreschi furono eseguiti da Aurelio e Giovan Pietro Luini (due dei quattro figli del più celebre Bernardino, probabilmente ricavato con la ristrutturazione della cappella del Castello menzionata alla fine del ‘400 e nei primi decenni del ‘500. Nel 1769 Maria Teresa d’Austria soppresse tutti gli ordini religiosi e i relativi monasteri compreso la grangia di Viganò. In quell’anno i religiosi presenti erano 29. Nel corso del 1785 e del 1786 i beni del monastero vennero dapprima inventariati e poi messi all’asta pubblica. L’ospizio, le case, l’osteria, le cascine e le terre vennero disperse tra diversi acquirenti. Divenuta proprietà privata, è abitato da un gruppo di famiglie ed è sede di un’associazione (Mambre) , recentemente è stata completamente restaurata. Oggi, se ne ammira l’ingresso dalla attuale Piazza san Brunone. Si scorge sulla facciata esterna, più precisamente nella parte superiore del portone centrale, un affresco che risale al 1700 raffigurante l’apparizione della Vergine col Bambino e due monaci certosini. Nel centro si intravede la certosa di Pavia. L’affresco è sormontato da una targa in cui è inserita l’arma dell’antico ducato di Milano. All’interno dell’edificio v’è un piccolo cortile su cui si affaccia un interessante porticato. Apprezzabili sono un bel locale con due colonne in granito e volte a crociera adibito un tempo a sala capitolare e la cappella (Oratorio di Sant’Ippolito), restaurata nel 2008.
Sulla facciata posteriore della grangia è possibile vedere incise a graffito sul muro le date dei vari rifacimenti. Sopra il portone prospiciente il fossato si vede la data 1692 sovrastante la meridiana  con la scritta GRA CAR.

Le foto ed il breve video che seguono, ci mostrano alcuni scorci interessanti.

 

 

San Giovanni Battista ed i certosini

San Giovanni Battista ed i certosini

BATTISTA

Oggi nella festività dedicata a san Giovanni il Battista, voglio parlarvi dello speciale rapporto tra l’ultimo profeta dell’Antico Testamento, e l’Ordine certosino.

Le ragioni sono molteplici, in primis l’analogia con la scelta di vita, ovvero l’isolamento nel deserto e la condotta di esistenza penitenziale e di preghiera. Inoltre, altro particolare notevole il 24 giugno è la data convenzionale della fondazione del primo insediamento certosino nel deserto di ChartreuseNon a caso il Battista meriterà la dedicazione di tutte le certose, come recitano gli Statuti.

«I nostri eremi sono in primo luogo dedicati alla beata Vergine Maria e a san Giovanni Battista, nostri principali protettori in cielo…» (Statuti Certosini).

Moltissimi furono gli artisti che dipinsero o effigiarono in sculture san Giovanni, io tra le opere presenti nelle varie certose, ho scelto per voi un dipinto poco noto, ma davvero bello.

L’artista che lo realizzò nel 1630 per la certosa di Pavia, fu Giovan Battista Carlone e il suo titolo completo è il seguente: “San Giovanni battista intercede presso Cristo per conto di San Brunone, Sant’Ugo e due certosini”.

Si tratta della pala d’altare della terza cappella a sinistra della chiesa della certosa pavese. Possiamo ammirare il Battista al centro della tela, nell’atto di chiedere intercessione e protezione per quattro monaci certosini in primo piano. Quelli di sinistra identificabili in S. Bruno e S.Ugo, mentre a destra i monaci sarebbero il Priore ed il Vicario di Pavia di quell’epoca. In alto e sulla destra tra nembi e stuolo di angeli, appare il Redentore benedicente. In basso, dietro alle figure in primo piano, notiamo altri monaci certosini che assistono alla scena con espressione estatica.

Eccellenti le cromie usate dal pittore, che seppure poco noto, interpreta in maniera sublime i gusti del barocco italiano.

 

Un sereno Natale da Cartusialover

Un sereno Natale da Cartusialover

Natività Nunzio Rossi , 1644. certosa di Bologna

E’ trascorso un altro anno in vostra compagnia, e siamo giunti di nuovo alle festività natalizie che spero possano portarvi tanta serenità. In questi giorni gioiosi, che ci conducono alla notte di Natale, dove tutti festeggeremo la nascita di Nostro Signore, voglio formularvi i miei più calorosi e sinceri auguri. E’ mia speranza che la gioia scenda nei vostri cuori, donandovi tanta salute e  permeandovi di rinnovata energia per poter affrontare con Fede, tutte le asperità che la vita ci riserva.

Come consuetudine Cartusialover, vuole offrirvi in occasione di queste festività, un piccolo dono, per ringaziarvi della vostra sempre attiva partecipazione.

Quest’anno ho scelto per voi un viaggio!!!

Si un viaggio, ovviamente interattivo, che ci condurrà all’interno della meravigliosa certosa di Pavia. Grazie a foto panoramiche a 360°, potremmo ammirare attraverso una stupenda visita virtuale, le ricchezze artistiche di questo splendido monumento, direttamente da casa nostra.

Ci accompagneranno, idealmente, tra affreschi, dipinti, sculture ed ambienti monastici alcune sagome di monaci certosini, dipinti a trompe-l’oeil e che ci appaiono dietro finte porte socchiuse nelle cappelle laterali, o ci osservano dall’alto da finte finestre nella Navata. Il viaggio può ora cominciare…..

Visita virtuale

Vi auguro una buona “visita”, un

Buon Natale ed un Felice anno nuovo

Achille Ratti, Benito Mussolini ed il ritorno dei certosini a Pavia

Achille Ratti, Benito Mussolini

ed il ritorno dei certosini a Pavia

L’attività monastica all’interno della certosa di Pavia si è svolta serenamente ed ininterrottamente per molti secoli, ovvero, dall’anno della sua fondazione il 27 agosto del 1396 fino al 1782. Da questo momento in poi, vari accadimenti hanno costretto i certosini ad abbandonare il proprio cenobio. Il primo allontanamento è datato 16 dicembre 1782, e fu voluto dall’imperatore Giuseppe II, il quale incamerò i beni di tutti gli ordini contemplativi dei suoi possedimenti. La certosa fu affidata dapprima ai cistercensi ed in seguito ai carmelitani, che assistettero alla devastazione delle truppe napoleoniche. Il monastero venne chiuso e cadde nell’oblio fino a quando i certosini non vi fecero ritorno, il 21 dicembre del 1843. La loro permanenza ebbe però breve durata, poiché con la legge 3036 del 7 luglio 1866, la certosa di Pavia fu dichiarata monumento nazionale italiano ed i beni ecclesiastici diventarono proprietà del Regno d’Italia, ciononostante fino al settembre del 1880, seppur in difficili condizioni, alcuni certosini continuarono ad abitare il convento. Dopo qualche anno, nel 1897, le condizioni di decadenza della struttura, e di abbandono dei documenti in essa conservati, portarono un giovane sacerdote, don Achille Ratti a dedicarsi al riordino dei manoscritti e dei libri certosini che in condizioni pietose si depauperavano a vista d’occhio. Egli pazientemente e con passione dedicò molti giorni della sua vita a questa operazione. Alle condizioni fatiscenti del complesso monastico si cercò di rimediare con interventi di restauro che si protrassero per svariati anni, nel tentativo di consolidare la monumentale struttura. I lavori continuarono anche durante il primo conflitto mondiale,  mettendo al riparo la certosa con eccezionali misure di protezione per evitare ulteriori danneggiamenti. Ma ecco che terminata la prima guerra mondiale, la Provvidenza dispone un accadimento che risulterà essenziale per il futuro ritorno dei certosini a Pavia. Il 10 settembre 1922 viene eletto sommo pontefice con il nome di Pio XI, Achille Ratti!!!

Il nuovo Papa legato al monumentale convento da un legame particolare, in data 9 ottobre 1930 volle affidare il luogo che aveva curato in gioventù, con amore e dedizione ai legittimi “proprietari”decidendo di insediare nuovamente i certosini nella struttura originariamente creata per loro. Il 25 luglio 1932 con un rito ufficiale e dopo 52 anni di desolante abbandono si rianimano gli ambienti dell’antica certosa con la presenza dei seguaci di san Bruno. Questa decisione fu fortemente voluta da un altro personaggio, Benito Mussolini il cui destino è anch’esso intrecciato con la storia del monastero pavese. Il duce volle ossequiare la comunità monastica insediatasi di recente rendendo visita alla certosa il 31 ottobre 1932. Per comprendere meglio il contenuto della visita vi offro la cronaca dell’episodio tratta da un quotidiano dell’epoca, contenente il dialogo di Mussolini con il Priore della certosa.

Benito Mussolini (1883-1945), “dopo essersi recato a Pavia ed aver percorso rapidamente in automobile la magnifica strada nazionale lungo il naviglio, a mezzogiorno giunge alla Certosa. Grande è la meraviglia degli abitanti del paese essendo la visita assolutamente imprevista. Il Duce, dopo essere sceso dalla vettura giunta fino all’entrata della chiesa, all’interno del grande piazzale verde che forma suggestivo tappeto davanti alla fulgida facciata del tempio, è subito ricevuto dalle autorità locali ed ha agio di ammirare, avvicinandosi, le veramente mirabili sculture del portale d’ingresso. Poi entra nella basilica e la attraversa fino alla bellissima cancellata di bronzo. Il capo del Governo, inoltre, ammira le altre opere d’arte conservate nella chiesa. Prima di lasciare le terre lombarde il Duce incontra, nei pressi dei vestiboli d’ingresso, il priore dei Certosini, padre Stefano Casolari, con il quale ha il seguente colloquio:

S. C. – Ringrazio Iddio che mi dà la possibilità di ossequiare V. E. personalmente e di ringraziarLa per averci permesso di ritornare in questa nostra antica casa.

B.M. – Ne sono contento io pure. Come vi siete sistemati?

S. C. – Benissimo Eccellenza!

B.M. – Quanti siete?

S. C. – Cinque, per ora.

B.M. – Quanti potrete essere in avvenire?

S. C. – Venti ed anche più, speriamo.

B.M. – Che cosa fate?

S. C. – Studiamo e preghiamo soprattutto per chi non prega.

B.M. – Pregate dunque anche per me che non ho molto tempo.

S. C. – È per noi un dovere ben grato.

B.M. – Non siete disturbati?

S. C. – No, Eccellenza; non siamo disturbati né disturbiamo.

B.M. – Bene, bene, non è da tutti dire: non siamo disturbati né disturbiamo’ .

Dopo una stretta di mano frettolosa il Duce sale in auto e si allontana”

(Il Popolo di Pavia del 2/11/1932).

“Sono ormai le 12,15 ed il corteo lascia la Certosa, salutato all’uscita dai contadini accorsi dalle vicine campagne. Le macchine filano verso la stazione ferroviaria del paese sollevando un fitto polverone, nell’autunno asciuttissimo, lungo le bianche strade che contornano il recinto dell’antico mistico monastero. Nell’attesa del treno per Milano il Duce si intrattiene affabilmente con i presenti e saluta gli operai dello stabilimento “Galbani”che si sono adunati nelle vicinanze. Inoltre riceve un improvviso omaggio floreale da un giovanissimo balilla. Il convoglio ferroviario giunge nel frattempo alla piccola stazione ed alle 12.42 il capo del Governo lascia Certosa, salutando dal finestrino della carrozza le autorità ed il popolo” (Il Ticino del 4/11/1932).

La vita monastica, continuerà a svolgersi regolarmente in certosa anche durante la seconda guerra mondiale, poiché per accordi presi dal governo fascista, il monastero fu risparmiato dai numerosi bombardamenti, evitandone così la sua distruzione. Anche il destino del duce, come quello di Achille Ratti  entrambi benevoli con i certosini, si intreccerà nuovamente con la sorte della certosa in maniera bizzarra. Difatti caduto il fascismo e terminata la guerra, il 12 agosto 1946, all’interno della certosa accadde un episodio tumultuoso che ne sconvolse la serenità. Avvenne l’inaspettato ritrovamento della salma del Duce, avvolta in sacchi di tela e chiusa in un baule di legno, dopo che la stessa era stata precedentemente trafugata. Il clamore che si susseguì spinse i certosini infastiditi e turbati ad andarsene. Il monastero rimase chiuso fino al 1949 quando i carmelitani si insediarono fino al 10 ottobre del 1968 quando furono poi sostituiti dai cistercensi dell’Abbazia di Casamari che ne divennero i custodi, consentendo così al capolavoro del Rinascimento lombardo di continuare a vivere nello splendore voluto da Gian Galeazzo Visconti. Mi è sembrato carino farvi conoscere questi intrecci tra due personaggi legati indelebilmente alla monumentale certosa, per la quale dimostrarono la loro benevolenza, con degli episodi alquanto singolari, a dimostrazione che la Provvidenza interviene sempre, e nei modi più sorprendenti!!!

Il beato Stefano Maconi, e la fondazione della certosa di Pavia

Il beato Stefano Maconi, e la

fondazione della certosa di Pavia

Di Stefano Maconi, abbiamo già parlato in questo blog più volte, vogliamo oggi ricordarlo, nel giorno della sua celebrazione, come colui che intercesse per la costruzione della certosa di Pavia.

Subito dopo la morte di Santa Caterina da Siena, di cui Maconi era discepolo, egli volle esaudire il desiderio della patrona d’Italia che voleva per lui un futuro tra i monaci certosini. Maconi, convintosi, entrò il 19 maggio 1381nella certosa di Pontignano, a pochi chilometri da Siena, nel luogo che era già stato meta di visita e ritiro spirituale per Caterina. Il seguace della santa, distintosi per le sue qualità, dopo qualche anno, ricoprì l’incarico di Priore dal 1383 al 1389. La sua fama e le sue virtù attirarono l’attenzione di Gian Galeazzo Visconti duca di Milano, il quale nel 1389 esortò il trasferimento di Maconi, da Pontignano a Milano, dove divenne nel 1390 Priore della certosa di Garegnano. Gian Galeazzo, scrisse ai governanti della Repubblica senese nel cui territorio sorgevano Maggiano, Belriguardo e Pontignano dicendo che “Siena aveva più certose di qualunque altra città del Cristianesimo” esse erano floride e ben dirette, pertanto auspicava per Milano la stessa sorte. I rapporti tra Maconi e Gian Galeazzo furono eccellenti, si strinse difatti tra loro un forte legame, che portò il Priore certosino a diventare il consigliere personale di Caterina Visconti,  cugina e seconda moglie di Gian Galeazzo. Stefano diffuse nel Milanese la devozione alla Madonna delle Grazie, importata dall’Oriente nel 1378 e sostenuta da papa Urbano VI per impetrare l’aiuto della Vergine nella risoluzione dello scisma della Chiesa occidentale. Maconi sostenne Caterina, la quale non riuscendo ad avere figli, (una figlia era nata e morta nel giugno 1385), convincendola  di fare voto alla Madonna delle Grazie, e di mettere ad ogni eventuale figlio come secondo nome Maria. La Duchessa, seppur confortata dal certosino, continuava ad avere gravidanze a rischio, e l’8 gennaio 1390, all’approssimarsi di un nuovo parto, su suggerimento di Maconi fece voto di costruire una Certosa presso Pavia se fosse sopravvissuta: “Et giunto l’anno mille trecento novanta a punto, a otto di gennaio, Caterina mogliera di Giovan Galeazzo, Conte di Virtù, votandosi sotto forma di testamento ordinò che in una villa del Pavese, dove spesse volte andava, si dovesse fabricare un monasterio di Certosini con dodici monaci, et in caso di parto morendo, pregò il marito che volesse adempiere tali ordinationi raccomandandogli la sua famiglia specialmente i fratelli e le sue sorelle.” Il bambino morì, ma Caterina si salvò e mantenne il voto. Pertanto furono così iniziati i lavori per la costruzione della certosa di Pavia, la cui prima pietra fu posta il 27 agosto 1396, e fu  dedicata alla Madonna delle Grazie (Gratiarum Carthusia). Possiamo quindi affermare, che se Caterina, fu fundatrix et fautrix, il beato Maconi ne fu l’ispiratore, contribuendo alla realizzazione della meravigliosa certosa pavese ed istituendone la particolare devozione a Maria. La  forte personalità di Maconi gli permise, di diventare Priore Generale (1398-1410) in un periodo particolarmente lacerante per la Chiesa occidentale, egli si impegnò fortemente per eliminare le divisioni derivanti dal Grande Scisma d’Occidente. Dopo aver dato le dimissioni da Priore Generale (1410) egli ritornò alla sua amata Pontignano, e poi giunse a Pavia, ricoprendo l’incarico di Priore. Morirà il 7 agosto 1424, nella certosa di Pavia, come semplice monaco, poichè egli già da tre anni aveva smesso di ricoprire l’incarico di massima autorità della comunità monastica. È venerato come beato dall’ordine certosino, che lo commemora l’8 dicembre. In conclusione, va detto che  Santa Caterina aveva intuito con estrema lungimiranza le capacità di quel giovane senese, che le fu discepolo per tanti anni, esortandolo alla vita monastica certosina, e che risultò essere una figura fondamentale per lo sviluppo dell’ordine di san Bruno.