
Cari amici, oggi ricorre l’anniversario della traslazione delle reliquie del nostro amato San Bruno, dalla chiesa Matrice di Serra alla Certosa avvenuta il 30 maggio 1857.
Dopo il terremoto del 1783 vi fu un fallito tentativo di ripristino della Certosa nel periodo 1840-1844, la comunità certosina si era poi finalmente nuovamente insediata nel complesso monastico di Serra il 4 ottobre del 1856. Il successivo 30 maggio, le reliquie di San Bruno, conservate dopo il sisma nella Chiesa Matrice, rientrarono solennemente nella Certosa.
Attraverso il testo di un documento ex manuscripto trovato negli archivi della certosa di Trisulti, vi riporterò fedelmente quanto avvenne.
Documento 6
Traslazione reliquie di San Bruno 1857
ex Manuscripto Trisulti
Il giorno 30 maggio in Serra 1857 La storia dei nostri giorni, la quale registra tanti e si svariati avvenimenti, onde raccomandarli alla memoria dei posteri, non deve passar sotto silenzio, una cronica religiosa, i di cui fatti accaduti nel giorno 30 Maggio in una città della Calabria offrono senza dubbio un vero interesse per coloro che in tanto smarrimento di uomini e cose, prendono di mira segnatamente i gloriosi progressi della Santa Religione nostra. Quel giorno festa civile di tutto il popolo delle due Sicilie per l’onomastica solennità del più magnanimo e munificente dei Monarchi il glorioso Ferdinando II, fu doppiamente festività per i cittadini di Serra, per la ricorrenza della solenne traslazione delle Reliquie del loro principale patrono S. Brunone, nell’antica e tanto celebrata Certosa dei Santi Stefano e Bruno del bosco, testé ripristinata dell’inesauribile pietà del nostro Sovrano. Erano scorsi 90 anni da che le sacre ossa di quel gloriosissimo Eroe del Cristianesimo fondatore dell’illustre Ordine monastico dei Certosini, non formavano più il sacro deposito in quel venerando Santuario, eretto vivendo il Santo, or sono otto secoli da Ruggiero il Normanno, prima conte di Sicilia e di Calabria. L’ire sacrileghe della straniera invasione, l’avevano scacciate dalla loro sede, che restò vedova dei suoi abitatori; ed abbandonata al furore del saccheggio e delle rapine. I Serresi raccolsero in Ospizio il simulacro del Santo, coll’urna delle sue reliquie, e ne difesero con ingegnose premure il possesso contro gli attentati di una genía depredatrice. Ripristinata la Certosa con Reale rescritto del 22 giugno 1856, mercé l’infaticabile sollecitudine del tanto benemerito Padre Priore D. Vittore Felicissimo Francesco Nabantino. Questi solerte sempre più nel volere conseguire la sua santa impresa, dopo di aver preso possesso della casa nel dì 4 ottobre ultimo, sotto gli auspici di S.M.R. Duca di Calabria Principe Ereditario, rivolse tutte le sue cure a ripristinare in mezzo ai ruderi della Certosa delle abitazioni per prendervi stanza la famiglia certosina; ed edificare insieme una cappella ove potessero essere collocate decentemente le Sacre Reliquie del Santo Patriarca. Nessun altro giorno potea esser prescelto per la solenne cerimonia della traslazione delle Reliquie, che il giorno onomastico dell’augusto e pio Monarca, il quale mercé il suo provvido decreto della ripristinazione della Certosa, restituiva nella sua vetusta e gloriosa dimora, l’Esule illustre che era stato bandito in tempi calamitosi. Nulla si è trascurato perché la cerimonia riuscisse degna del Santo al di cui culto era destinata, e per la volontà del giorno in cui doveva celebrarsi. Il fasto e la pompa dei riti religiosi accompagnati dalle manifestazioni di giubilo d’un popolo immenso formavano un concorso di quelle circostanze felici che rappresentano la vera idea di una festa nel più alto senso della parola, in tutto il suo apparato brillante, in tutta la corrispondenza degli affetti che destano le più care e tenere commozioni del cuore, ed alleviano lo spirito con la seducente prospettiva dei più sublimi pensieri. Alcune copie del programma concernente la festa, sparse per dintorni, incitavano gran numero di forestieri ad assistervi, e nel mattino del giorno memorando le piazze e le strade di Serra riboccavano di una folla innumerevole di devoti, tra cui molti infermi venuti appositamente ad acquistare la guarigione. Accresceva la pompa della festa la presenza di Monsignor Vescovo di Squillace l’illustre fu Concezio Pasquini, il quale non dissimile di quel suo antico predecessore, tanto largo di riverenza e di affetto verso S. Brunone mentre viveva lasciò la sua Sede Vescovile, seguito da Reverendi Canonici, e da numeroso clero, per compiere anch’esso un tributo della sua speciale ed ereditata venerazione per il Santo Anacoreta, con quella esuberanza di cuore che tanto caratterizza il Venerando prelato. Altri distinti personaggi e soprattutto gli ufficiali della Colonia Militare di Mongiana, con alla testa l’egregio Comandante Tenente Colonnello Cav. Raffaele Malograni, accompagnato dalle Reali truppe di presidio di quel Opificio metallurgico vollero anch’essi decorare la festa con la loro dignitosa presenza e nello sfarzo delle splendide divise, far palese il comune entusiasmo di sentimenti religiosi e civili, così potentemente ispirati dalla nobile circostanza. Dopo un solenne triduo celebrato con luminarie per tutta la città con sparo di mortaletti, concerti musicali e suoni prolungati di campane, spuntava l’alba di quel giorno salutata da Salve, dall’acclamazioni e dalle grida di plausa di un popolo immenso che riempiva la navata della Chiesa Madre, già sontuosamente addobbata e risplendente di mille ceri accesi in bella mostra dinanzi al simulacro del Santo, con l’urna delle Reliquie adorna di rabeschi ricamati in oro e di ghirlande come ancora dinanzi all’augusta effige del Re esposta tra ricchi fregi e festoni. Non tardava a sopraggiungere Monsignor Vescovo in compagnia della famiglia certosina, di numeroso clero e di tutte le autorità amministrative, giudiziarie e militari, che presero luogo nei posti appositamente preparati. Tosto la cerimonia incomincia. La Messa pontificata dal Vescovo, con accompagnamento di canto e di concerti musicali e immediatamente seguita da un’orazione panegirica pronunziata dal molto R.do P.dre F. Geremia da Rocca Scalogna. Quest’orazione ricca di tutti i pregi della Sacra eloquenza e profondamente sublime in quel valentissimo Oratore, e molto più toccante per le peculiari circostanze di cui era scopo, destava un entusiasmo indicibile nell’uditorio che non tardò a manifestarla armonizzando ad una voce le note di un solenne Te Deum cantato con tutta la religiosa esultanza dai tanti cuori intimamente commossi dai più vivi sensi di amore e di gratitudine. Già si apprestava l’istante della Processione che era disposta in questo modo. Un plotone di soldati doveva aprire la marcia, dietro a cui venivano a lunga e doppia fila le tre Confraternite della città con i loro stendardi spiegati e vestiti in abito da cerimonia, e con ceri accesi in mano. In seguito gli Ufficiali di Mongiana in uniforme, quindi una banda musicale dietro di cui seguivano il Clero con la Croce inalberata, vestiti dei più ricchi paramenti sacri, in compagnia di Monsignor Vescovo in abiti pontificali. Immediatamente l’urna delle Reliquie sostenuta dai PP. Certosini sotto ricco baldacchino portato da quattro decurioni, e fiancheggiato da doppia fila di soldati, seguiva pure la statua in argento di S. Bruno sostenuta da fratelli Certosini. Procedeva dietro alla statua il Padre Priore D. Vittore Nabantino vestito con la cocolla ecclesiastica, portando egli in mano una Reliquia di S. Stefano, ed un’altra di S. Brunone, incastonata in ricca teca d’argento. Dopo di lui le Autorità Amministrative e giudiziarie ed altre distinte persone, e quindi un’altra banda musicale ed un plotone di Gendarmi e di soldati chiudevano la marcia. Un popolo immenso accompagnava il corteo. Le prolungate salve dei mortaletti, le campane suonanti a distesa, i concerti musicali annunziavano il momento in cui il Santo abbandonava il suo domicilio provvisorio, ritornava nella pompa del trionfo nella sua casa prediletta e santificata delle sue virtù: risuonavano i canti religiosi, ed il corteo incominciava a procedere in mezzo alle vie stipate di gente, adorne di archi trionfali, e con le pareti delle case fiancheggianti adorne anch’esse di fiocchi di seta e di rabeschi di diversi colori ed iscrizioni allusive alla circostanza. Già il simulacro del Santo appariva fuori il vestibolo del tempio. Fu un istante in cui la folla alla vista del Santo trasportato dai figli suoi esultanti di tanta gioia per aver avuta la sorte avventurosa di sostenere quel caro peso cessò dai suoi canti per dare sfogo ad un irresistibile sentimento di tenerezza che costringeva a versare stille di dolce pianto. Era quello uno spettacolo sublime, la Religione nostra solamente poteva effettuarlo! Un temuto incidente interruppe la cerimonia, la pioggia incominciò a cadere a rovescio ed ostinatamente durava fin dopo le tre p.m. Ma la folla non si era dispersa per questo, quantunque fu fatta arrestare la processione. Nel frattempo che si stava aspettando che la pioggia cessava, ebbero luogo trattenimenti, furono tirati a sorte diversi maritaggi per povere donzelle e fatte copiose largizioni ai poveri ed ai carcerati. Finalmente parve che le nubi si diradassero e la processione si pose in marcia. Dopo poco giunse alle mura della Certosa, ed era uno spettacolo meraviglioso ed importante il contemplare quella calca di popolo immenso che copriva il lungo viale che da Serra mena al Cenobio. Altre salve ed appositi concerti in musica salutavano l’arrivo e l’ingresso del Santo nella sua propria casa, la quale sebbene coperta di rovine e frantumi, pure sembrava sorridere alla presenza del Santo Patriarca il di cui simulacro attraversava i chiostri e le volte infrante, quasi che presentasse l’influenza benefica di un più felice destino per il ritorno del suo fondatore le cui gloriose Reliquie sono novellamente il palladio di quella solitudine. Un ultimo salve ed il canto di un altro Te Deum annunciava che S. Brunone prendeva possesso della sua Certosa, e che la sua urna veniva collocata nel luogo destinato per il suo deposito. Era compiuta la cerimonia, ma la folla non si dissipava ancora, si voleva vedere un’altra volta le venerate sembianze del Santo Protettore. Il Padre Priore Nabantino commosso nel più profondo del cuore, cercò di soddisfare subito questo desiderio mostrando il simulacro del Santo dall’alto di una loggia ed aggiungendo la benedizione con la Reliquia. Questa benedizione fu accolta da tutti genuflessi tra lacrime di gioia e di tenerezza e grida fragorose di plausa in onore del Santo e dell’augusto Monarca, e queste grida festive risuonavano lungamente intorno, accresciute dall’eco delle rovine e dei silenzi delle selve circostanti. Il giorno terminava infine con una solenne Accademia poetica tenuta in un vasto salone all’uopo apparecchiato con l’intervento di nobili e con molte persone che tributarono ben meritati applausi di lodi a quella eletta schiera di giovani che caldi di generosi sentimenti fecero pompa con le loro ispirate poesie di quel nobile entusiasmo di cui riboccavano i loro cuori nella solennità di un giorno sacro al trionfo di S. Brunone ed al nome glorioso dell’immortale Ferdinando II. Oh qual giorno sarà scritto in bianca pietra dai cittadini di Serra ed incancellabilmente stampato sul frontespizio del libro dei fasti della ripristinata Certosa dei Santi, di quel Santuario che è tuttora il primo monumento religioso della Calabria.
Il Canonico Don Bruno M. Tedeschi
di Serra in Calabria alla Certosa di S. Stefano e Bruno del bosco
30 ottobre 1857
Filed under: Aneddoti, Reportage | Tagged: anniversario, cerimonia, certosa di Serra San Bruno, certosini, documento, reliquie, reportage, San Bruno, testo, traslazione | 1 Comment »