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Sant’Ugo di Lincoln esorcizza un indemoniato

Sant'Ugo di Lincoln esorcizza un indemoniato

Oggi, per celebrare la ricorrenza della festività del santo certosino Ugo di Lincoln, voglio illustrarvi un dipinto che richiama la sua peculiarità di esorcista.

Vi ho ampiamente parlato, in precedenti articoli, del certosino Ugo di Avalon, divenuto poi Vescovo di Lincoln e di come è stato oggetto di moltissime raffigurazioni artistiche.

Tra il 1404 ed il 1407 il pittore italiano Gherardo Starnina realizzò per la certosa di Firenze questa tempera su tavola dal titolo: “Sant’Ugo di Lincoln esorcizza un indemoniato“, ovvero uno scomparto della predella di una pala d’altare. Questo episodio richiama uno dei tanti prodigi attribuiti al santo certosino. Provo a descrivervelo…

Al centro della scena un gruppo di eleganti personaggi conduce un uomo con i polsi e le caviglie legate davanti a un santo vescovo. Questi lo benedice con l’acqua santa e lo esorcizza, come mostra il diavoletto che fugge, svolazzando su di un tetto vicino colorato di un rosso acceso. Accanto al carretto con cui è giunto il moribondo posseduto, i carrettieri attendono, osservando incuriositi e spaventati il prodigioso intervento. Il carro ed i cavalli, raffigurati da posteriori, con le splendide architetture colorate che scandiscono la piazza, quinta scenica del miracoloso intervento del santo vescovo certosino, creano una gradevole spazialità. Questo tavola è possibile ammirarla al “Museo Poldi Pezzoli” di Milano.

Gherardo_Starnina

Non fu l’unica raffigurazione di Sant’Ugo di Lincoln del pittore Starnina, il quale volle il vescovo certosino a figura intera affiancato a San Benedetto, ed oggi esposto al “Nationalmuseum” di Stoccolma.

S. Ugo di Lincoln e S. Benedetto Nationalmuseum Stoccolma

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Dal Giappone una originale richiesta

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L’articolo odierno trae spunto da una e mail ricevuta dal Giappone, in essa un lettore del blog mi chiede informazione circa un liquore da lui bevuto ed acquistato in Italia tanti anni fa! In allegato alla missiva vi erano delle fotografie che hanno chiarito di cosa esattamente si trattasse. Ho dunque deciso di spiegare a lui ed a tutti voi la storia e l’origine di quella bottiglia da lui posseduta.

Trattasi dell’Amaretto, prodotto nella certosa di Farneta.

Ma da quando e fino a quando ciò avveniva?

Agli inizi degli anni Settanta fu impiantata l’attività di distilleria, utilizzando alcune ricette provenienti dalla vicina Certosa del Galluzzo di Firenze. Furono così prodotti diversi tipi di liquore, tra cui ricordiamo il Gran Liquore Certosa Verde, con 15 qualità di erbe, 5 tipi di scorze di agrumi, 45° C; il Gran Liquore Certosa Giallo, 300 C, digestivo con essenze di agrumi ed erbe aromatiche; la China, l’Amaro Certosino, il Nocino, l’Elisir di Caffè, e l’Amaretto del nostro amico nipponico, il Rhum, l’Alchermes e l’Elisir della Salute, realizzato secondo un’antica formula, con resine naturali ricavate da conifere e con 16 qualità di erbe tonico-digestive, lasciate in infusione nell’alcol a cui erano aggiunte le resine (48°C).

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Purtroppo, alla fine degli anni novanta, nuove normative in materia di igiene e di sicurezza degli impianti, che avrebbero costretto i religiosi a profonde e costose modifiche delle attrezzature, impedirono ai monaci di proseguire tale produzione. «La burocrazia – spiegò il Priore di Farneta – cominciava a richiedere un impegno troppo gravoso. Qui sono sempre stati impiegati metodi artigianali nella lavorazione e ci sarebbe stato difficile adeguarci alla nuova normativa. Ci avrebbe distolto dal nostro compito fondamentale, che è quello di dedicarci alla pregheria. Ora avremo più tempo per questo e ne siamo contenti, così come la casa madre in Francia». Dispiace per coloro che erano fedeli acquirenti dei nostri prodotti, aggiunse il Priore, «Ma quello che era importante era il dosaggio, la giusta miscela tra le erbe. La ricetta è passata nel corso dei decenni da fratello a fratello e che resterà un segreto custodito dalle mura del convento».

La chiusura della distilleria della certosa a Farneta segnò comunque la fine di un’epoca, ringrazio l’amico giapponese che mi ha dato la possibilità di raccontare una antica tradizione scomparsa.

Preziose dunque sono le pochissime bottiglie che ancora sono in circolazione.

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