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Commemorazione dei defunti dell’Ordine Certosino

1

Oggi, 14 novembre, è il giorno nel quale si commemorano i defunti dell’Ordine certosino, ed ho deciso di celebrarlo in maniera particolare.
Nel ricordare tutti i defunti certosini, colgo l’occasione per parlarvi di un Padre deceduto alcuni mesi orsono: Dom José Manuel Rodriguez Vega, del quale vi proposi una gradevole intervista.
Vi offro oggi la sua biografia ed il ricordo dei suoi confratelli nel giorno della sua dipartita terrena.

Che Dio lo abbia in gloria e che San Bruno lo accolga come merita.

Manuel Rodriguez Vega, nacque a Valdesoto, comune di Siero, il 3 febbraio 1929, in una famiglia molto cattolica formata dai genitori e cinque figli, quattro maschi e una femmina. La sua adolescenza e giovinezza saranno trascorse in un ambiente sociale fortemente intriso dei valori della Fede. Per questo il nostro giovane sarà attratto da una vita di totale consacrazione a Dio. Con la sua radicalità e fedeltà che poi lo caratterizzarono, lui, che aveva iniziato gli studi universitari in Medicina Veterinaria, decise di interromperli per entrare nella certosa di Santa Maria di Miraflores, nel 1950. Nel giorno della proclamazione del dogma della Assunta, iniziò il Postulato come Sacerdote certosino.
Nella solennità di San Giuseppe del 1951 ricevette l’abito certosino. Così aggiunse al suo nome di quello di Giuseppe e questo stesso Santo Patriarca ora, 71 anni dopo, come Santo Patrono della Santa Morte, venne a chiamarlo proprio quando si stava celebrando la novena in sua memoria. Il 24 giugno 1953, emise la professione di monaco certosino. Tre anni dopo farà la sua professione solenne. Sarebbe stato ordinato sacerdote di Gesù Cristo nella cattedrale dall’arcivescovo di Burgos, il 22 marzo 1958. Aveva allora 29 anni.
Nella Certosa di Miraflores, il priore Dom Bernardo Sánchez lo nominò sacrestano l’anno successivo, 1959, e in tale posizione rimarrà fino a quando non sarà inviato dal Capitolo Generale del 1965 come padre procuratore alla Certosa di Santa Maria Scala Coeli, alle sollecitazioni del Priore di questa Certosa, Dom Pedro de Soto Domecq, che stimava molto le qualità di Dom José Manuel, che desiderava avere al suo fianco per dare impulso alla crescita della recente Certosa del Portogallo.
Succederà a Dom Pedro come Priore di questa Certosa. Infatti, il 18 giugno 1973, all’età di 44 anni, Dom José Manuel fu eletto dalla Comunità, carica che avrebbe svolto in modo molto soddisfacente per quattro anni, tornando poi, nella stessa Scala Coeli, al suo precedente ufficio di P. Procuratore.
Durante quei quattro anni nel priorato della giovane comunità portoghese, toccò a lui vivere il tragico evento della rivoluzione dei garofani. Poiché Scala Coeli si trovava in una zona del paese molto segnata dall’influenza comunista e soprattutto dall’attuazione della riforma agraria, che avrebbe espropriato numerosi possedimenti in mano ai legittimi proprietari, conseguenzialmente erano in pericolo anche gli ottanta ettari della certosa. Ma grazie alla saggezza ed alla bonomia, alla diplomazia e alla simpatia di “Padre Manolo”, i certosini di Scala Coeli furono rispettati nei loro possedimenti, conservandoli nella loro interezza. All’ufficio di Padre Procuratore, Padre Josè Manuel aggiunse quello di Antiquior di quella certosa dal 29 novembre 1982 al 13 maggio 1986. In quella festa della Vergine di Fatima, disse addio al Portogallo per andare ad aiutare Santa Maria di Porta Coeli, 57 anni. Dapprima fu nominato sacrestano e vicario. Due anni dopo, lo stesso Priore, Dom Isidoro María Alonso, in occasione della festa della Vergine del Monte Carmelo nel 1989, a sessant’anni, lo fece ritornare all’inquietudine della ricerca. A Scala Colei aveva trionfato con gli animali ma a Porta Coeli c’erano solo gatti… e migliaia di aranci. Tuttavia, è andato avanti di nuovo, migliorando l’irrigazione, plastificando i serbatoi d’acqua, aumentando anche le piantagioni e vendendole a buon prezzo.
Il Capitolo Generale del 1991 ha concesso misericordia a Dom Isidoro María Alonso, che fu inviato a Scala Coeli. Quello stesso Capitolo nominò Dom José Manuel come Padre Priore di Porta Coeli.

In questa posizione rimarrà per 14 anni ininterrottamente, ricevendo misericordia soltanto nel Capitolo del 2005. Dom José Manuel aveva allora 76 anni. Dal Capitolo tornò a Porta Coeli, dove il nuovo Padre Priore, dom Bruno Maria Gándara, lo nominò Padre Procuratore e Antiquior. Il successore di D. Bruno, D. Pedro María Castro, lo cessò nella carica più onorifica di Antiquior ma gli lasciò l’attività dell’ufficio del P. Procuratore, nel novembre 2011. La Visita Canonica del 2012 lo ha rilasciato dalla carica di Padre Procuratore e gli ha restituito il titolo di Antiquior.
Il Capitolo Generale del 2013 lo nomina Rettore della Certosa di Montalegre. Il capitolo in seguito lo conferma col titolo di Priore. In seguito, nel 2017, gli fu concessa misericordia, quando manifestò la diminuzione delle sue forze, all’età di 84 anni, lo inviò a Porta Coeli su sua espressa richiesta. Stava arrivando la malattia che lo avrebbe accompagnato fino al giorno della sua morte: una demenza senile di tipo Alzheimer.
Pertanto, nel giugno 2017, è giunto a Porta Coeli ed è stato presto nominato Antiquior, carica che ha ricoperto fino al giorno della sua morte, ritrovandosi progressivamente con una salute sempre più precaria man mano che il morbo di Alzheimer progrediva e lo rendeva perdere in gran parte le notevoli capacità mentali di cui Dio lo aveva dotato. Infine, lo scorso 14 marzo 2022, Nostro Signore, nella sua bontà e infinita misericordia, volle chiamarlo alla sua Divina Presenza, ponendo fine alla sua dolorosa ascesa al Calvario, vissuta in modo particolarmente intenso negli ultimi anni e mesi della sua lunga vita terrena.

Il ricordo dei confratelli
Padre José Manuel ci lascia il ricordo di un certosino che fu profondamente amante della sua vocazione, di monaco fedele, che servì con generosa dedizione l’Ordine Cartusiano e le diverse comunità con cui visse, in lavori e incarichi difficili come quelli di Visitatore, Priore e Procuratore. Fino alla fine dei suoi giorni, quando aveva quasi completamente perso la percezione della realtà, a causa della sua malattia, Dom José Manuel aveva vissuto a testimoniare un grande amore per la vita certosina ed il desiderio di vivere fedelmente le esigenze della nostra vocazione. Indubbiamente, questi ultimi cinque anni della sua esistenza terrena, in cui i suoi rapporti si sono sempre più ridotti, gli hanno permesso di approfondire sempre più quel rapporto intimo e personale con il suo amato Signore, in una semplice e fervente preghiera, in una quiete dell’anima , in un riposo contemplativo in Dio. D. José Manuel ci lascia il ricordo di una persona retta e leale, fedele e sacrificata.
In questi ultimi cinque anni, ci ha sempre colpito vedere che non si è mai lamentato della sua condizione, che ha accettato con pace e spirito soprannaturale e, se si è pentito di qualcosa, è stata la sua impossibilità di andare a Mattutino. Ci provò più volte, ma la sua debolezza non gli permetteva di dormire bene e questo gli rendeva molto difficile continuare a partecipare alle sante Veglie notturne. Allo stesso modo accettò con pace e rassegnazione il momento in cui, a causa del suo stato mentale, non poteva più celebrare la Santa Messa.
Fino alla fine della sua vita mantenne il suo amore filiale per la Vergine Maria, e la sua tenerezza devozione alla sua “Santina”, la Vergine di Covadonga, sotto la cui immagine, in un bel dipinto appeso sopra il suo letto, donò la sua anima eletta al suo Creatore, morendo nella solitudine della sua spoglia e povera cella certosina.

riposa in pace

R E Q U I E S C A T IN P A C E

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Dom Pedro de Soto y Domecq (2)

La vita monastica

1 pedro

Dom Pedro con Giovanni di Borbone

Prosegue oggi il racconto della storia della conversione di Pedro de Soto y Domecq. Ho terminato lo scorso articolo con l’ingresso, nel novembre del 1947, dell’ormai maturo aristocratico tra le mura della certosa di Miraflores. All’età di quarantacinque anni, egli decide di isolarsi dal mondo e di dedicare il resto dei suoi giorni alla ricerca di Dio, nel silenzio di una cella monastica. Ora proverò a ricostruire la sua nuova vita, quella monastica attraverso alcune testimonianze di alcuni confratelli che lo hanno conosciuto. Cominciò il suo percorso da novizio il 18 marzo del 1948 e successivamente fece la professione temporanea il 25 marzo del 1949 sempre a Miraflores, dove nello stesso giorno del 1953 fece la professione dei voti solenni. A seguire fu nominato diacono il 19 settembre del 1953, ed ordinato sacerdote il 13 marzo del 1954. Celebrò la sua prima messa il 15 marzo 1954, all’età di 51 anni. Poco dopo, il 22 maggio del 1955, fu nominato procuratore. Nel Capitolo Generale del 1963, fu nominato primo priore della certosa portoghese di Scala Coeli ad Évora.
Vari sono gli aneddoti raccolti sulla sua lunga vita claustrale, del primo periodo, un suo confratello ci narra che durante il noviziato il suo Maestro, per testare la sua vocazione fu molto rigido nei suoi confronti. Un giorno di ritorno dallo spaziamento settimanale, Pedro aveva i piedi insanguinati a causa delle calzature (fatte dagli stessi monaci artigianalmente e senza differenza fra il piede destro o sinistro!), egli dunque chiese umilmente al Padre Maestro di essere fornito di scarpe più comode per evitare questo inconveniente, ma gli fu risposto con tracotanza: «Perché sei venuto in Certosa, per vivere da gentiluomo o per fare penitenza?».
I suoi primi anni in clausura furono quasi eroici, egli che conosceva gli agi di una vita da ricco, dovette patire il freddo, la fame e le condizioni di vita spartana ed austera.
Ma piano piano egli si integrò al punto di essere nominato procuratore, ed in quella veste mostrò tutte le sue capacità.
In quegli anni la certosa di Miraflores aveva poche risorse economiche, ne aveva soltanto per arrivare fino a maggio, il resto dell’anno era sovvenzionata dalla Grande Chartreuse. Dom Pedro decise di inventarsi qualcosa per risollevare le sorti economiche del monastero, e quindi aprì un enorme allevamento di polli, pare fossero undicimila!
Con la sua oculata amministrazione, qualche anno dopo, la certosa divenne autosufficiente. Si distinse anche per aver formato oltre venti Fratelli conversi, indirizzandoli al meglio nella vita monastica.
Ormai, aveva fatto tanta esperienza ed aveva attirato a se le attenzioni dei superiori, fu così che nel 1963 fu nominato primo priore della nuova fondazione certosina in Portogallo, Santa Maria Scala Coeli a Évora.
Chiamò subito come collaboratori due giovani di Miraflores: un asturiano che aveva studiato medicina veterinaria, per aiutarlo a creare un pollaio ed un caseificio, e l’altro per aiutarlo a gestire la comunità come suo vicario.

Per questa nascente certosa, Dom Pedro impiantò un pollaio per ottomila volatili, inoltre costituì una mandria di vacche di razza Charolaise che divenne la migliore della Penisola, con il miglior stallone Charolaise del mondo, una medaglia d’oro! Grazie al suo ingegno, ideò la prima diga costruita alla periferia di Évora. Si narra che Vasco Maria Eugénio de Almeida, Conde de Vill’Alva, ovvero colui che donò i terreni ai certosini, ebbe a dire: “Padre, sono un ingegnere agricolo, sono il proprietario e sono cresciuto qui, non mi è mai venuto in mente di realizzare questo, ed un monaco viene a migliorare la mia fattoria, sono incredulo” e Dom Pedro gli rispose candidamente: “La preghiera dovrà pur avere qualche utilità“.

mandria

giornale medaglia d'oro

Dom Pedro benedice acque per diga
La principale preoccupazione e occupazione di Dom Pedro era il noviziato, poichè voleva contribuire a far rifiorire Scala Coeli. Dei sei certosini portoghesi professi o donati, cinque furono da lui ammessi e formati. Successivamente l’Ordine spostò il noviziato a Miraflores.
Come avrete capito il suo lavoro fu incessante, e soprattutto far sviluppare una nuova certosa in ogni suo aspetto lo provò molto nel fisico. Inoltre la sua insufficienza tiroidea appesantiva tale condizione, i suoi confratelli narrano che era corpulento ed aveva le palpebre gonfie a causa di questa malattia.

Per tale motivo, chiese misericordia, che gli fu concessa il 3 luglio del 1972, e che lo portò a ritirarsi a Porta Coeli, a Valencia, dove morì di cancro il 28 agosto del 1980.

firma
Questi due miei articoli sono volti alla memoria di un uomo, che stravolto dagli urti della vita ha saputo non abbandonarsi alla confusione ed alla propria dissoluzione, ma dopo aver incontrato Dio nel dolore, ha voluto dedicare per ben trentatré anni la sua esistenza alla gloria di Dio tra le mura certosine.
Vada una prece alla sua memoria.

Dom François Maresme

BenQ Digital Camera

Nell’articolo odierno voglio farvi conoscere la figura di uno dei Priori Generali dell’Ordine certosino, il valenciano Dom François Maresmes.

François Maresmes (in valenciano Francesc Maresmes) nacque a Sagunto (Valencia) verso il 1377. Entrò nella certosa di Porta Coeli nel 1402, e ben presto, nel 1406 ricoprì gli incarichi di procuratore e poi di sacrista. Da subito si fece apprezzare per le sue doti, che portarono a ricordarlo come “uomo di misericordia libera, di rinomata prudenza e studioso degno di lode “. Pertanto la comunità lo elesse Priore nel 1414. In questi anni si è in pieno “grande scisma d’occidente“, pertanto in quel caos, come saprete, anche i certosini si trovavano divisi.

Dom François Maresmes, ricoprì un ruolo determinante, difatti nel 1418, partecipò insieme ad un gruppo di monaci che riuscirono a raggiungere un’accordo con la Grande Chartreuse per riottenere la riunificazione dell’Ordine certosino delle sette certose iberiche. Ottenuto questo importante risultato fece ritorno a Porta Coeli l’11 aprile del 1419 per annunciare l’esito positivo della vertenza.

Dom Maresmes fu poi nominato il 15 maggio 1419 dal Capitolo Generale, visitatore della provincia della Catalogna, dove profuse un grande impegno. Si occupò attivamente dei primi sviluppi della certosa di Montalegre. Nel 1425, fu poi nominato priore della certosa di Val de Christo e cercò di riportare sotto l’autorità di Roma gli ultimi sostenitori di Benedetto XIII. Nel 1433 si recò al Concilio di Basilea dove rappresentò i certosini in compagnia di altri priori dell’Ordine, si narra che il pontefice Eugenio IV intendeva nominarlo cardinale, ma egli rifiutò rivendicando la volontà di continuare la severa vita monastica certosina. Abbandonò poi il priorato di Val de Christo e si trasferì come semplice monaco alla Grande Chartreuse, ma dove fu chiamato ad essere coadiutore del vecchio Priore Generale Guillaume III de La Motte. Successivamente, nel 1437, fu eletto Priore della Grande Chartreuse e Generale dell’Ordine, incarico che svolse fino al 23 gennaio del1463, giorno della sua morte.

L’autore del dipinto che ho inserito in questo articolo, e che ritrae Dom Francesc Maresmes, fu un suo confratello certosino di Porta Coeli, tale Dom Ginés Diaz. Questi realizzò molte opere per la sua certosa tra il 1620 ed il 1650, tra questi una serie di tele raffiguranti la vita di San Bruno, che si trovano nella sala capitolare della certosa, ed alcuni ritratti, tra cui quello di Fray Juan de Nea e quello di Francesc Maresmes, entrambi attualmente conservati nel Museo delle Belle Arti di Valencia. Dom Ginès Diaz morì a causa di un’indigestione causata dall’acqua infetta di un pozzo nel 1654 nella certosa di Via Coeli, dove era Vicario. Alla sua morte il Capitolo Generale del 1655, gli accordò dei suffragi particolari!

Oggi a Sagunto, la sua città natale, vi è una strada a lui dedicata ed un monumento con un suo busto eretto a sua memoria in una piazza della cittadina.

Maresme sagunto

Fratello Francisco de Aranda (seconda parte)

Fratello Francisco de Aranda

Donato di Porta Coeli

Aranda

Prosegue il racconto della vita di Francisco de Aranda…

La condizione della donazione differisce in molti punti dallo stato di converso. In effetti, grazie alla loro professione, sono veri religiosi, mentre gli altri non lo saranno mai. Ne consegue che la formazione di quest’ultimo non richiede la stessa cura o la stessa profondità spirituale. Tuttavia, ogni candidato alla donazione è sottoposto a un esame di un anno

Durante questi dodici mesi, che possono essere estesi, per volontà del priore, il principiante donato sperimenta in qualche modo le sue forze psichiche e morali. Iniziato a poco a poco nella vita ordinaria, è presto in grado di vedere se questa esistenza risponde ai suoi gusti, i suoi bisogni e i superiori, dalla sua parte, sono chiamati a parlare con la conoscenza della causa a favore o contro la sua ammissione. Parallelamente a questo lavoro, il novizio ne sta perseguendo uno più importante. Fatto già maestro nelle scienze umane, deve imparare le basi del catechismo religioso, sapere che lo stato e l’abito non ci santificano affatto, se non ci applichiamo per acquisire una grande umiltà di spirito, un sincero amore per l’abiezione, una rinuncia perfetta alla nostra volontà propria, anche in azioni sante. Il nostro aspirante ha avuto la fortuna di cadere nelle mani di un uomo famoso: Dom Bonifácio Ferreri. Quando entrò anche in questa casa, all’età di quarantuno anni, aveva appena emesso i voti, quando il nostro futuro donato debuttò come postulante. Prima di assumere il governo di Porta Coeli, per trasferirsi da lì alla Grande Chartreuse il nuovo Priore fu incaricato, oltre alla gestione della certosa, di dirigere i Fratelli. Basti dire che, non appena è stato investito nell’abito, Francisco Aranda si è dato con tutto il cuore per lavorare, senza mai scendere a compromessi; a chi non piacevano i termini medi, né la lentezza. «Parla, mio venerabile Padre, dice, senza considerare chi sono o da dove vengo. Sono pronto a soffrire. Abituato a seguire i miei capricci e fare, un po ‘più o meno la mia volontà, vai da me, quindi penso che costerà molto, che la sofferenza conta per un’anima che pone la cura del suo futuro in Dio! Quindi ho chiesto tutto ciò che ti piace. Con l’aiuto della grazia, trovami docile da bambino. »Mantenne la parola. L’estrema purezza delle sue intenzioni, la delicatezza della sua coscienza, la cura con cui veglia su tutta la sua condotta, quel ricordo abituale e, così profondo che non riesce a distrarre senza sforzo il suo spirito dalla meditazione mattutina, quella costante generosità in presenza di sacrificio, questo amore di Dio che tende costantemente verso un’unione più intima, tali sono le caratteristiche di questa figura virile. Il tempo non farà altro che evidenziarlo. Un principiante non potrebbe offrire migliori garanzie. Quindi è stato ammesso alla donazione senza il minimo accenno di difficoltà. Da quel giorno, il buon Fratello attraversò una serie di incidenti molto curiosi, di cui avremmo il diritto di essere sorpresi, se non sapessimo che non si è mai allontanato, dal controllo dell’obbedienza. Ecco, inoltre, le linee principali del programma, che ha dovuto presentare, e questo secondo le istruzioni formali inviate dal reverendo padre generale, Guillaume de Raynaud e che sono state rapidamente confermate, in seguito da Dom Bonifácio Ferreri. Sebbene donato, occupava una cella nel chiostro, con la facoltà di uscire, di volta in volta, per aiutare i conversi. Seguì i religiosi del coro e cantò la prima lezione nei giorni festivi. Per poter seguire esattamente le cerimonie, era stato montato un cappuccio nella sua tuta – un’appendice che non esisteva allora per i conversi. Nella mensa, dove si mescolava ai religiosi. a sua volta leggeva. Ammesso alle deliberazioni del capitolo, aveva il diritto di voto. Infine, non è stato escluso dalle ricreazioni o dallo spaziamento. Questo insieme, come si può vedere, costituiva una specie di vita mista, in relazione alla vita del coro religioso e a quella dei conversi: esistenza singolare, è necessario confessare, ma cara e regolata, nei minimi dettagli, dall’autorità superiore. In ogni caso, per quanto ampi siano i suoi privilegi, il caro Fratello non era religioso.

Mancava ciò senza il quale l’anima non può diventare, la “cosa” del Signore, la sua proprietà autentica; assoluta; mancava il sigillo della professione. Questo inaspettato favore arrivò a porre fine, non solo alle sue intime ispirazioni, ma a ciò che avrebbe voluto, se avesse sognato qualcosa di diverso dalla pura e semplice donazione. La cerimonia si è svolta, come di consueto, durante la messa conventuale. Nonostante tutto, nulla è cambiato, né il suo nome né il suo titolo. Solo, era designato più che da questa denominazione generale: il donato, come se fosse l’unico in casa. Ovunque, veniva chiamata il donato di Porta Coeli; perché, – ci siamo affrettati a dirlo, ha acquisito, in breve tempo, una grande notorietà nelle province dell’ordine. Com’è stato? Diciamolo il più brevemente possibile. I tempi furono difficili nei primi anni del XV secolo. La Chiesa divisa dallo scisma stava attraversando una delle crisi più acute della sua storia. C’erano poi due papi, ognuno con i suoi sostenitori, quello di Roma e quello di Avignone. Gli ordini religiosi non potevano non seguire il Pontefice riconosciuto dalla sua nazionalità. I certosini gettati nella corrente erano anche raggruppati sotto l’obbedienza dell’uno o dell’altro, a seconda che fossero francesi o spagnoli, tedeschi o italiani. Bonifácio Ferrer, assolutamente devoto a Benedetto XIII, ancor prima di entrare in Porta Coeli, gli rimase fedele dopo la sua elevazione al Priorato della Grande Chartreuse. Il sovrano Pontefice, che lo conosceva come abile giurista e religioso come marchio, lo chiamò vicino a lui e lo fece suo intimo consigliere, lasciandolo solo di tanto in tanto per tornare al suo posto.

Il reverendo padre avrebbe sacrificato tutto per riprendere il cammino nel deserto, ma era obbligato a obbedire e prolungare la sua permanenza ad Avignone. Non contento di avere di persona il Padre Generale nel suo palazzo, Benedetto XIII gli ordinò di mandare immediatamente il famoso Aranda, aggiungiamo che quest’ultimo era personalmente noto al papa. All’epoca in cui viveva nella corte di Aragona, era stato mandato in missione straordinaria al vicario di Gesù Cristo. Aveva manifestato, in questa circostanza, tanta scienza giuridica e un tal talento premuroso, che Benedetto voleva averlo sotto mano, soprattutto da quando aveva appreso, da Bonifácio Ferreri, i dettagli più edificanti sugli inizi del caro Fratello in carriera monastica. Quest’ultimo, dopo aver ricevuto il messaggio pontificio, ebbe un movimento di sorpresa. «Come, ha detto, il Santo Padre si degna ancora di ricordare il suo povero servitore! E, ora che mi conosce rinchiuso in una certosa, non ha paura di lanciarmi di nuovo nel mare politico, dove, ahimè! Ho sperimentato più di un naufragio. “Basta con le recriminazioni, mio buon fratello” disse il priore. In presenza di un ordine così elevato, oggi devi inchinarti e prendere la strada per la Francia. Dio sia con te! Ti benedico”Il Fratello si ritirò dalla culla della sua vita religiosa, con un cuore oppresso, pronto comunque a tutti i sacrifici, persino a morire lontano dalla cella. Appena arrivati al palazzo dei papi. fu portato negli alloggi di Benedetto XIII, il che lo rese l’ospite migliore e con grande sforzo nascose un sorriso alla vista di quella strana abitudine. Fu stabilita una vera intimità tra loro, molto presto il nuovo diplomatico fu iniziato per molto tempo nei più piccoli segreti del conflitto aperto. L’umile donato, uomo della sua parola, si comportò in quelle circostanze con l’ammirevole abilità che lo distingueva: interamente consegnato a Dio, durante gli esercizi spirituali, tutto consegnato, quando necessario, alla domanda in sospeso. Finché le sessioni del consiglio non lo richiedevano, lo abbandonava alla preghiera e allo studio. Diremo quanto Bonifácio Ferreri e lui erano felici di riunirsi? Che non è stato, ahimè! in solitudine! Quali ore deliziose il padre e il figlio hanno trascorso insieme, parlando sia dei vantaggi della vita contemplativa che di Porta Coeli, sia della tristezza del momento, del disordine della loro esistenza, hanno deciso tuttavia di rispettare fino in fondo la volontà del rappresentante di Gesù Cristo nella persona di Benedetto XIII. Era il 1407. I negoziati, sebbene condotti con entusiasmo da entrambe le parti, non raggiunsero il sindacato così impazientemente atteso da tutto il mondo cattolico. Aranda era ad Avignone da alcuni anni, sospirando per la cella, chiedendosi se non avrebbe dovuto rinunciare a tutto per sempre, quando fu improvvisamente chiamato in Spagna. Il re d’Aragona avanza a grandi passi e morirà senza figli. Ansioso di tagliare gli intrighi degli ambiziosi che stanno già contestando la corona, ignorando gli interessi della nazione, pensa a designare l’uomo di sua scelta, un successore che risponde allo stesso tempo alle speranze del paese. Ma, per paura, per scrupolo, d’altra parte, avendo domande più serie da esaminare, raccolse attorno al letto di morte i suoi migliori consiglieri, tra i quali si rammarica fortemente di non contare il suo fedele Aranda. Non è a Porta Coeli! Dovrebbe chiedere al papa di separarsi da lui? È improbabile che il papa lo permetta. Viene effettuato almeno un tentativo e pochi giorni dopo arriva il Fratello a Barcellona, giusto in tempo per porre una semplice domanda al paziente e prepararlo a lasciare il mondo. «Signore, dice, Vostra Maestà capisce, voglio credervi, tagliare la difficoltà nella giustizia buona e rigorosa o, in altre parole, segnalare all’attenzione degli elettori il candidato più vicino per sangue, della famiglia reale. – Tale è il mio pensiero, tale è la mia volontà, risponde l’uomo morente. – Ti rispetteremo, Signore; puoi credere nel tuo servitore dedicato. ”Successivamente, l’umile religioso si rivolge al campo della coscienza. Senza essere qualificato per esercitare questo tipo di ministero, parla al re del nulla della vita presente e delle meraviglie dell’altro mondo, con un accento di fede che fa scorrere molte lacrime. È il linguaggio autorizzato di un uomo che una volta possedeva le fortune più invidiabili e morì, dodici anni fa, di tutte le cose quaggiù. La persona morente ascolta attentamente queste considerazioni serie e, dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti con piena conoscenza, si addormenta con fiducia sul cuore del Re dei re. Non appena i confidenti del defunto tornarono dal funerale, si ritrovarono obbligati a soddisfare i loro ultimi desideri. Riunirono i tre parlamenti di Aragona, Valencia e Catalogna, composti da arcivescovi, vescovi e dei grandi di ogni regno. Questi, dopo lunghi dibattiti, nominano, a scrutinio segreto, nove deputati che investono con pieni poteri con l’effetto di proclamare il successore al trono. Fare la storia di questo atto solenne ci porterebbe troppo lontano. Basti pensare che tra questi nove commissari vi sono Don Bonifácio Ferreri per il regno di Valencia e Francisco de Aranda per l’Aragona. Nelle notizie precedenti era stato detto che il reverendo padre, con l’accordo di Benedetto XIII, si era ritirato in Spagna e che il capitolo generale era stato presieduto da lui a Valle de Cristo. Ora, leggiamo nella lettera di questo capitolo una nota più o meno simile a questa: “In considerazione dello zelo che Dom (sic) Francisco de Aranda sviluppa al servizio del papato e del nostro ordine, i celebranti diranno della loro intenzione una Messa dello Spirito Santo con la preghiera pretende; le non celebrità reciteranno i sette salmi penitenziali e convertiranno trenta volte Pater noster e Ave Maria. I delegati del parlamento, giustamente orgogliosi del proprio mandato, si sono dotati di tutte le garanzie necessarie per rimuovere, all’ombra, ogni sospetto. Sarebbe quasi un conclave. Aggiungiamo, in tuo onore, che la preghiera ha avuto un ruolo importante durante queste deliberazioni. Dopo otto giorni, il bambino di Castiglia, Don Fernando, fu nominato re d’Aragona, con l’unanimità dei suffragi. C’erano cinque pretendenti. nel paese fu riconosciuto che l’onore di questa soluzione davvero inaspettata proveniva in gran parte dal povero monaco, il cui talento diplomatico era proverbiale. L’Infante di Castiglia si congratulò con lui e, a testimonianza della sua simpatia, lo portò a Saragozza il giorno in cui fece il suo solenne ingresso in questa città (1413). Quasi immediatamente, il re ed il donato andarono a Morella, dove Benedetto XIII li stava aspettando, venendo espressamente a incontrare il sovrano sulle misure da prendere al fine di porre fine allo scisma. A seguito di questa intima conferenza, il papa è andato a presiedere il consiglio di Perpignan, accompagnato dal suo instancabile segretario. Da lì tornarono nel regno di Sicilia, dove rimasero fino all’inizio del 1417. È allora che il caro donato osa, un’ultima volta, chiedere riposo. L’età avanzata circa, settantadue anni, l’austerità dell’ordine praticata con perseverante rigore, varie malattie incurabili hanno reso difficile il suo lavoro, i suoi viaggi ancora più dolorosi. Benedetto XIII, accetta queste ragioni gli consente di tornare alla solitudine, imponendo così, in nome dell’obbedienza, l’obbligo di usare cibi grassi. Per comprendere la felicità degli umili religiosi, si deve aver vissuto quella vita frenetica, diametralmente opposta a quella del chiostro. Lasciamolo nelle gioie della cella e aggiungiamo che quest’anno il 1417 ha visto ristabilire l’unione con l’elezione di Martino VIII e promulgata dal concilio di Costanza. Non appena il Fratello fu consapevole della fine di queste dispendiose controversie, si sottomise rapidamente al legittimo Papa. Non ci si aspettava di meno da lui. Molto di più, scrisse al pontefice una lettera molto ferma, in cui lo esortava a rinunciare e riconoscere il nuovo vescovo di Roma. Benedetto, non volendo sentire nulla, insistette il vecchio donato. Ragioni, preghiere, lacrime, tutto era inutile. Il venerabile settuagenario non ha mai lasciato la casa per gli ultimi vent’anni della sua vita. Ottima preparazione per questa morte! Che felicità per tutti coloro che sono andati a cercarla, che si tratti di un consiglio, che si tratti di una parola di incoraggiamento! Con instancabile bontà, sempre accessibile, rispose ai secolari che si scusavano per aver disturbato i suoi esercizi: “Ma, no, non mi interrompi più del solito; Non smetto mai di pregare ”. In effetti, la carità, costringendolo a disperdersi, non interruppe la sua unione con Dio. Senza essere un regista qualificato, poiché non ha mai voluto ricevere ordini sacri, ha letto molto e la sua memoria è rimasta fedele fino alla fine, ha aggiunto un vero tesoro che, nonostante la sua umiltà, ha arricchito la sua conversazione. Durante il suo prolungato riposo scrisse un buon numero di trattati spirituali, tutti impregnati di unzione e significato pratico. Egli morì l’11 novembre del 1438, terminando una vita esemplare.