
Negli ultimi mesi dello scorso anno, vi ho raccontato e testimoniato con interviste, testi audio, e video, la chiusura della certosa portoghese di Santa Maria Scala Coeli di Evora. Una storia che ci ha rattristato tanto.
Ma da quel 3 novembre scorso, giorno del trasferimento degli ultimi quattro certosini non vi ho più parlato di loro. Ebbene, un giornalista della rivista portoghese “Expresso“, ha provato a scrivere una missiva a Dom Antao Lopes, l’ex Priore della soppressa certosa chiedendogli le sue condizioni in questo terribile periodo di pandemia. Inaspettatamente, ha ricevuto una risposta che è stata pubblicata sulla rivista per cui lavora, e che io oggi vi propongo, tradotta dal portoghese.

Facciamoci confortare dalle sagge parole dell’anziano certosino.
Noi, i quattro certosini di Scala Coeli, restiamo così giovani o così vecchi come quando eravamo a Évora. Due spagnoli (ed il portoghese), nonagenari, si trovano alla Certosa di Montalegre, vicino a Barcellona. Così ben curati e, quindi, così sani, come in Évora. Ed io, con più di ottant’anni, sono tornato alla mia certosa a Burgos, che avevo lasciato 66 anni fa. Ugualmente ben conservato… Noi siamo capaci di “durare”. Un mio co-novizio spera di compiere 100 anni questo novembre, se il virus non lo trova: vive nascosto nella cella. In Spagna ci sono circa ottocento conventi di clausura. Di loro, solo quattro (tre delle Clarisse, uno dei Carmelitani) hanno lasciato entrare il virus. La domenica delle Palme non c’era ancora nessun defunto. Vantaggi della clausura! Questo ci rassicura.
Hanno trascorso alcuni giorni di “ritiro” con noi. Abbiamo sempre rifiutato, in modo da non perdere il nostro ritiro. Lo dico perché molte persone ci invidiano. Certo, una settimana è facile. Ma hanno trascorso molte settimane. Ancora meglio! Iniziare costa, come mi è costato il noviziato. Ma con il passare del tempo, ci abituiamo a tutto. Penso, quindi, che per molte persone questa esperienza sarà una scoperta positiva. È già troppo se scoprono se stessi, sostenendosi più di prima.
Posso dirvi il nostro segreto, ciò che ci rende non solo rassegnati, ma anche felici nella nostra solitudine, nelle nostre celle. Direi che ci sono due consigli, uno esterno e l’altro interno. Innanzitutto, essere sempre occupato. Il monaco deve spazzare la sua cella, lavare i suoi vestiti, riparare, segare il legno che brucia; (abbiamo provato, secoli fa, a cucinare ognuno, ma per alcuni questo era un pericolo di morte, per fame o avvelenamento). Tuttavia, quando parlo di occupazione, mi riferisco alla preghiera e alla lettura. Dedichiamo un terzo della giornata al lavoro ed un altro terzo alla vita spirituale.
Alcuni suppongono ciò che intendo, altri non sospettano nemmeno. Il certosino non è solo, non vive da solo. Né è sufficiente la fede nell’esistenza di un Dio. È necessario ricordare la presenza di Dio. Ora, quando ci si pensa, la solitudine cambia, la solitudine cambia da deserto a paradiso. Dio basta, con Lui non abbiamo bisogno di nessun altro.
Commenterò una delle notizie che stiamo ricevendo: il divieto o l’impossibilità della liturgia eucaristica per il popolo di Dio. Ora noi, i certosini, non abbiamo Gesù Sacramento nelle nostre celle (come alcuni parroci nelle loro case), perché viviamo dalla fede nella presenza di Dio nelle nostre anime. E quella presenza ci rende felici. I cristiani cercano di vivere nella grazia di Dio e Lo sentiranno in loro, nei loro cuori. Forse dirò una barbarie, ma non è mia, è una citazione letteraria: ‘Non mi sono mai sentito più solo di quando ero con gli uomini.’
Soluzione al problema della solitudine…Al contrario, credere e sapere che Dio è in me, nella mia anima, è un’idea che non fallisce. Ovviamente, funziona meglio quando abbiamo la coscienza pulita. Ma anche quando dubitiamo di noi stessi, leggiamo nella Scrittura che “anche se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore”. Significa che, in compagnia di Dio, non siamo soli e con Lui siamo felici.
Quando ci hai scritto, hai ripreso il nostro motto che “il mondo continua a girare, ma la croce rimane” e hai detto che ora anche il mondo si è fermato. Questa tua idea è originale. Altri scrittori hanno confrontato la clausura dei monaci con l’attuale confinamento di tutti. La tua allusione all’arresto, ci fa pensare ad un altro aspetto della crisi, che può essere utile. Per me, che sono spagnolo, l’idea è più chiara, perché ciò che in Portogallo si chiama “disoccupazione”, la tragedia temuta per ora, qui si chiama “paro obrero” (interruzione del lavoro). La disoccupazione riceverà un aiuto economico statale. Il “paro” non ha medicina vitali per gli umani, necessaria per la salute psicologica. Anche con i sussidi, il “paro” sarà un dramma per molti, specialmente per i giovani, tanto o più di questo confinamento forzato, con cui hanno imitato la libera clausura dei certosini.
Vorrei dare un consiglio: impegnatevi ad aiutare gli altri. C’è il volontariato, c’è la Caritas. Forse il mondo bloccato, ma impegnato ad aiutare, può portare meglio la Croce che, come noi, i certosini, ricordiamo, Dio ha messo sopra il mondo.

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