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Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 26)

preghiera comune monache1

LIBRO 4
L’Ordine
CAPITOLO 26
Il governo delle monache

1 I primi Priori dell’Ordine, volendo assicurare la continuità e la stabilità del proposito certosino, decisero di comune accordo di tenere un Capitolo Generale alla Grande Chartreuse; tutti posero le loro case sotto l’autorità di questo Capitolo con il potere di mantenerle o di riportarle sulla retta via, e le promisero obbedienza, ciascuno in nome proprio e in nome della sua comunità. Così si rafforzò per sempre il vincolo di carità che unisce le case e tutti i membri dell’Ordine, decisi a camminare insieme gioiosamente sulla strada che conduce a Dio. (St 31.1)
2 Su richiesta della Santa Sede, il Capitolo Generale dell’Ordine del 1973 ha deliberato che le monache tengano un proprio Capitolo Generale, presieduto dal Reverendo Padre, il quale, in quanto Ministro generale, è incaricato di mantenere l’unità dell’ Ordine. Le monache, pur volendo pienamente restare unite alla famiglia certosina, hanno da allora preso decisioni che le riguardano in completa autonomia. (cfr St 31,15)
3 Il Capitolo Generale si svolge ogni due anni. Priore e Visitatrici di monache devono andare lì. Una priora impedirà ai delegati di venire a professare i voti solenni. Se una casa non ha una priora, il Reverendo Padre può invitare un membro professo di voti solenni di quella casa a venire al Capitolo. Le monache così presenti al Capitolo hanno tutti i diritti e le funzioni di priora. In Capitolo vengono anche le monache scelte dal Consiglio Generale. (St 31.2)
4 L’Assemblea che riunisce il Reverendo Padre, le priore, le Visitatrici delle monache, le tre monache elette dal Consiglio Generale (27.2) e le altre monache che possono essere membri del Definitorio (27.3) è chiamata Assemblea Plenaria. È presieduto dal Reverendo Padre. Ha il potere di prendere tutte le decisioni, tranne quelle che rientrano nel Definitorio. Solo le suore votano. Il Reverendo Padre può annullare un voto se esso implica l’unità dell’Ordine e le sue osservanze fondamentali. I Visitatori sono presenti come consulenti. Tuttavia, quando è richiesta la maggioranza dei due terzi dei voti, tutti i membri dell’Assemblea Plenaria partecipano alla votazione. Le monache che sono membri dell’Assemblea esprimono anche voti di carattere consultivo sulle domande che i definitori sottopongono loro: in questo caso le monache che sono membri del Definitorio non votano. (St 31.3,18)

5 Il Definitorio, la cui presidenza è assicurata dal Reverendo Padre, è composto da quest’ultimo, dal Visitatore delle monache e da quattro membri eletti, come si dirà altrove (27.3 e Regolamento dell’Assemblea). Nessuno degli eletti può essere definitore durante due Capitoli successivi. Il Definitorio decide ciò che riguarda le persone e le case. Ad ogni Capitolo generale, le madri priore chiedono misericordia, secondo la sottomissione che tutte gli hanno promesso e che gli devono; così il Definitorio potrà deliberare sulla loro continuazione in carica o sulla loro deposizione. Secondo la nostra tradizione, la priora esercita il suo ufficio purché, a giudizio del Capitolo generale, sia idonea ad esercitarlo per il bene della comunità. (St 31.4)
14 Il Reverendo Padre, cioè il Priore di Grande Chartreuse, è il Ministro generale dell’Ordine. È eletto dalla comunità di Chartreuse, ma questa elezione assume valore di legge solo se è stata accettata dai priori, priore e rettori dell’Ordine riuniti a tale scopo nella Grande Chartreuse. Va come segue. (St 31.11)
15 Dopo l’elezione, gli scrutatori informano tutti i priori, priore e rettori dell’Ordine di riunirsi presso la Grande Certosa, per accettare o rifiutare l’elezione. In caso di rifiuto, la comunità di Chartreuse può, se lo desidera, fare una seconda elezione. Se il collegio formato da priori, priore e rettori rifiuta ancora l’elezione, o se la comunità di Certosa ha rinunciato a questa seconda elezione, questo collegio propone altri tre monaci, tra i quali la comunità di Certosa sceglierà il Reverendo Padre. Colui che viene eletto dovrebbe essere accettato dal collegio. Chiunque sia stato eletto e accettato come Reverendo Padre non può rifiutare l’ufficio. (St 31.12)
18 Tutti coloro che nell’Ordine esercitano l’autorità avranno sempre come norma suprema lo spirito e le leggi della Chiesa nella loro comprensione delle tradizioni dell’Ordine. Le priore, che hanno il diritto di aspettarsi una pronta obbedienza dalle loro monache, daranno loro stesse un esempio appropriato, sottomettendosi con umiltà alle decisioni del Capitolo generale o del Reverendo Padre, e astenendosi dal criticarle. Per promuovere la piena comunione del nostro Ordine con il Sommo Pontefice, il Reverendo Padre invierà ogni sei anni alla Sede Apostolica una breve panoramica della situazione e della vita dell’Ordine. (St 31.19)

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Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 21)

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CAPITOLO 21

I malati

1 La malattia o la vecchiaia ci invitano a un nuovo atto di fede nel Padre, che attraverso queste prove ci rende più simili a Cristo. Siamo allora associati in modo speciale all’opera di redenzione, e la nostra unione con tutto il Corpo Mistico diventa più intima. (St 27.1)
2 La priora deve, in modo speciale, mostrare compassione piena di premura agli ammalati, alle sorelle anziane ed a coloro che sono nella prova. La stessa sollecitudine è raccomandata a tutti coloro che si prendono cura dei malati. Si procurerà loro caritatevolmente, secondo i mezzi della casa, tutto l’aiuto necessario o utile; anche i servizi più intimi che non sono in grado di rendere a se stessi saranno loro resi umilmente da altri, che si riterranno felici di aver ricevuto un tale ufficio. Le malattie nervose sono particolarmente pesanti da sopportare in solitudine: si cercherà ogni mezzo per sostenere coloro che ne soffrono, aiutandoli a comprendere che possono dare gloria a Dio, se dimenticano se stessi e guariscono con fiducia nella volontà di Colui che è il loro padre. (St 27.2)
3 Eppure, come dice san Benedetto, bisogna ricordare ai malati di stare molto attenti a non turbare le loro infermiere con richieste superflue o addirittura impossibili da soddisfare, o magari con mormorii. Né l’infermiera dovrebbe, con il pretesto della compassione, danneggiarli con sfrenata benevolenza. Il ricordo della vocazione che hanno abbracciato farà loro vedere che la differenza tra loro e gli uomini del mondo deve essere tanto grande nella malattia quanto nella salute. Dio non voglia che la malattia sia un’opportunità per loro di ritirarsi in se stessi, e che invano Dio sia venuto a visitarli. (St 27.3)
4 Sta dunque al malato meditare sulle sofferenze di Cristo, agli infermieri, ai suoi gesti di misericordia. Il primo sarà più forte nella prova, il secondo più disposto ad aiutare. Se tutti ricordano che è per amore di Cristo, alcuni che sono serviti, altri che servono, non ci sarà né arroganza da una parte, né negligenza dall’altra; ma ciascuno attenderà dallo stesso Signore la ricompensa del dovere compiuto, qui con la sofferenza, là con la compassione. (St 27.4)

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5 Come poveri di Cristo, ci accontentiamo del medico ordinario della casa, o, se necessario, di uno specialista della zona. Se una suora ha bisogno di consultare uno specialista oltre al medico abituale, la priora può permetterle di recarsi in uno dei paesi vicini designati dai Visitatori con l’approvazione del Capitolo Generale o del Reverendo Padre; ma deve tornare lo stesso giorno. Se il medico ritiene necessario il ricovero immediato, senza avere il tempo di chiedere il permesso al Reverendo Padre, ne sarà informato. Quando il medico visita un paziente, di solito rimane da solo per il consulto; può tuttavia richiedere la presenza della priora o di un’altra suora. (St 27,5)
6 I nostri pazienti, condannati alla solitudine, ricevono il più possibile le cure di cui hanno bisogno in cella. Se capita che certi medici, in modo sconsiderato, incoraggino uscite o indichino trattamenti contrari al nostro scopo, non dovremmo tenerne conto: noi soli, infatti, risponderemo davanti a Dio dei nostri desideri. Guardiamoci anche dall’abusare dei rimedi, a danno della perfezione, della nostra stessa salute e del bilancio familiare. (St 27.6)

7 In tutte queste occasioni, affidiamoci docilmente alla volontà di Dio, e non dimentichiamo che la prova della malattia ci prepara alle gioie dell’eternità. Diciamo allora con il salmista: mi sono rallegrato quando mi è stato detto: andremo alla casa del Signore. (St 27.7)

3

Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 16)

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Capitolo 16

La priora

1 La priora, sull’esempio di Cristo, è tra le sue sorelle colei che serve; li guida secondo lo spirito del Vangelo e secondo la tradizione dell’Ordine che lei stessa ha ricevuto. Si sforza di essere utile a tutti con la sua parola e con la sua vita. In particolare, sarà esempio di pace contemplativa, stabilità, solitudine e fedeltà alle osservanze della nostra vocazione. (St 23,5)
2 In ogni luogo, i paramenti della priora, come il suo seggio, non sono distinti da alcun segno di dignità o di lusso; non indossa nulla da cui sembri essere la priora. (St 23.6)

L’elezione della priora

3 Può eleggere la sua priora qualsiasi casa dell’Ordine in cui vi siano almeno sei professe abilitate ad eleggere. L’elezione deve essere fatta entro quaranta giorni; trascorso tale termine, il Reverendo Padre o il Capitolo generale nomina la nuova priora. Hanno voce attiva per l’elezione tutti i professi di voti solenni che risiedono nella casa, a norma del capitolo 34 n° 2. (St 23,1)

La priora al servizio delle sorelle

7 La priora dovrebbe mostrare la sollecitudine di una madre per tutti. Le visiterà, di tanto in tanto, nella cella e nelle loro obbedienze. Se qualcuno verrà a trovarla, la sua accoglienza sarà piena di carità; tutti la troveranno sempre disposta ad ascoltare. Sarà tale che le sue monache, specie nei momenti di prova, possano ricorrere a lei, come a una madre di cuore buonissimo, e, se lo desiderano, aprirle l’anima spontaneamente e in piena libertà. Non si arrenderà alle visioni umane, ma si sforzerà con le sue monache di ascoltare lo Spirito in una comune ricerca della volontà di Dio, di cui ha ricevuto la missione di essere interprete per le sue sorelle. (St 23.8)
8 La priora non deve permettere, per farsi amare, un allentamento della disciplina regolare: ciò non sarebbe costruire la casa di Dio, ma distruggerla. Al contrario, governi le sue monache come figlie di Dio, cercando di sviluppare in loro un atteggiamento di libera e amorosa sottomissione che le renda più pienamente conformi, nella loro solitudine, al Cristo obbediente. (St 23.9)
9 Le monache, a loro volta, ameranno la loro priora in Cristo e la rispetteranno, mostrando sempre la sua umile e deferente obbedienza. Avranno fede in colei che, nel Signore, ha ricevuto la custodia delle loro anime; e poiché dobbiamo credere che ella tiene per noi il posto di Cristo, lasceranno ogni preoccupazione nelle sue mani. Lungi dall’essere sagge ai propri occhi e fare affidamento sul proprio giudizio, volgeranno il loro cuore alla verità e ascolteranno gli avvertimenti della madre. (St 23.10)

10 Le giovani monache di clausura, all’inizio del loro soggiorno tra i professi di voti solenni, le converse subito dopo la professione perpetua, e le donate che hanno appena lasciato la direzione della padrona, non devono essere lasciati a se stessi e a i capricci della propria volontà; ci penserà la priora, perché secondo l’esperienza questi anni sono decisivi per una vocazione e da essa dipende tutto il futuro. Durante colloqui molto semplici, potrà aiutare queste suore come una madre, e anche come una sorella. Infine, avrà cura, per quanto possibile, di non incaricare nessuno troppo presto, soprattutto se si tratta di farne una economa. (St 23.11)

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11 La priora assicurerà che le monache ricevano una solida formazione dottrinale, spirituale, biblica e liturgica adeguata alle loro necessità spirituali. Ella farà anche in modo che ciascuno sappia trovare nella lettura dei nostri Statuti lo spirito che deve permeare tutta la loro vita.
12 Poiché i libri sono il nutrimento perpetuo delle nostre anime, la priora volentieri li fornirà alle sue monache. Il cibo che fa per loro è soprattutto la Sacra Scrittura, i Padri della Chiesa, i provati autori monastici. La priora fornirà anche altre opere solide, scelte con cura e adattate alle esigenze di ciascuna. Nella solitudine, non leggiamo per aggiornarci con tutte le nuove idee, ma per nutrire la nostra fede nella pace, e mantenere la preghiera. La priora potrebbe anche, se necessario, vietare un’opera alle sue monache. (St 23.15)
13 La sua sollecitudine sarà particolarmente attenta verso le malate, e verso coloro che soffrono tentazioni o altri dolori: perché sa per esperienza come talvolta la nostra solitudine possa essere gravata di prove. (St 23.13)
18 La priora, prima di affrontare una questione importante concernente l’obbedienza di un’officiante ascolterà quest’ultimo e si sforzerà di prendere una decisione di comune accordo con lei. Le officianti accetteranno sempre le sue disposizioni con filiale deferenza. Avrà l’affetto di una madre per conoscerli con le loro difficoltà, per aiutarli, per sostenere la loro autorità davanti a tutti e, se necessario, per correggerli con carità. Eviterà di apparire preoccupata solo del buon ordine esterno, ma obbedendo lei stessa allo Spirito, manifesterà a tutti l’amore di Cristo. Perché la pace e l’armonia nella casa dipendono in larga misura dall’unità di vedute e dalla comunione esistente tra le officianti e la priora. (St 23.19)
21 Quando la vecchiaia o la malattia impediscono ad una priora di vegliare sul suo gregge e di dargli l’esempio di una vita regolare, lo riconoscerà umilmente e, senza attendere il Capitolo generale, chiederà pietà al Reverendo Padre. Esortiamo i definitori a non mantenere le priore sopraffatte dall’età o dalle infermità. (St 23.23)
22 L’ufficio di priora richiede un sacrificio di sé non comune: ella applicherà a sé le parole di Guigo: Dio ti ha fatto serva dei tuoi figli. Quindi non cercare di fargli fare ciò che ti piace, ma ciò che è bene per loro. Tuo dovere è prestarti ai loro bisogni e non piegarli alla tua volontà, perché ti sono stati affidati per metterti, non al di sopra di loro, ma al loro servizio. (St 23.25)

Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 14)

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LIBRO 3

La comunità

CAPITOLO 14

La celebrazione quotidiana della liturgia

1 Dopo aver descritto la vita della monaca in ascolto di Dio in cella o al lavoro, parliamo ora, con l’aiuto di Dio, della comunità. La grazia dello Spirito Santo riunisce persone solitarie per farne una comunione nell’amore, a immagine della Chiesa, una e diffusa in tutti i luoghi. (St 21,1)

2 Nostro padre san Bruno, entrando nel deserto con sei compagni, seguì le orme di questi antichi monaci totalmente consacrati al silenzio e alla povertà dello spirito. Fu però grazia propria dei nostri primi Padri di introdurre in questa vita una liturgia quotidiana che, pur conservando l’austerità della vocazione eremitica, la associasse espressamente al canto di lode che Cristo Sommo Sacerdote ha affidato alla sua Chiesa. Manteniamo questa liturgia propria, come concessa alla nostra vita solitaria e contemplativa. (St 21,2)

3 Come nella sinassi dei monaci anziani, i momenti salienti della nostra liturgia sono le veglie notturne, alle quali sono legate le lodi mattutine, la celebrazione eucaristica conventuale e le lodi serali. Per questi Uffici ci incontriamo in chiesa. (St 21,3)

4 Quando ci riuniamo per la santa Eucaristia, l’unità della famiglia certosina trova il suo compimento in Cristo presente nella preghiera. (St 21,4)

5 La preghiera notturna è quella in cui viene posta una guardia santa e perseverante in attesa del ritorno del Maestro, per aprirgli appena bussa. Le lodi serali sono celebrate mentre il giorno calante invita l’anima al sabato spirituale. (St 21,5)

6 Le altre Ore canoniche della Liturgia si recitano abitualmente nelle celle. La domenica e le solennità nel coro si cantano Terza, Sesta e Nona. (St 21,6)

7 La vita solitaria è libertà dell’anima: la liturgia, quando è celebrata nel segreto della cella, ne riceve l’impronta e si armonizza così più profondamente con le aspirazioni del nostro cuore, senza mai cessare di essere un atto di vita comune. Al suono della campana, tutti pregano contemporaneamente, facendo dell’intero monastero una lode alla gloria di Dio (cfr. anche 41,17). (St 21,7)

8 Quando le monache celebrano l’Ufficio divino, sono la voce e il cuore della Chiesa. È lei che, attraverso il suo ministero, presenta al Padre, in Cristo, l’adorazione, la lode, la supplica e l’umile richiesta di perdono dei peccati. Questa funzione così importante, le monache svolgono certamente per tutta la vita, ma in modo più esplicito e ufficiale nella sacra liturgia. (St 21,8)

9 La monaca medita incessantemente le Sacre Scritture fino a farle diventare parte del suo essere. Quando, durante la liturgia, è la Chiesa stessa che ce li dispensa, noi li riceviamo come il pane di Cristo. (St 21,9)

10 La liturgia conventuale è per lo più cantata. Il canto gregoriano che ci è proprio è un elemento del patrimonio del nostro Ordine che conserviamo fin dall’inizio; sappiamo che queste melodie sono portatrici di interiorità e sobrietà spirituale. (St 21,10)

11 L’Ufficio divino delle monache di clausura è quello descritto nei nostri libri liturgici. La partecipazione delle monache laiche alla santa liturgia può avvenire in diversi modi (44.11), ma è sempre una preghiera pubblica della Chiesa. (St 21.11)

12 Oltre all’Ufficio divino, i nostri Padri ci hanno trasmesso l’Ufficio della Beata Vergine Maria, le cui Ore precedono solitamente l’Ora corrispondente dell’Ufficio divino. Con questa preghiera celebriamo l’eterna novità del mistero di Maria che genera spiritualmente Cristo nei nostri cuori. (St 21,12)

13 Il Signore ci ha chiamati ad essere alla sua presenza rappresentanti di tutta la creazione. È quindi nostro dovere intercedere per tutti: per i nostri fratelli, i nostri genitori, i nostri benefattori, e per tutti i vivi e tutti i defunti. (St 21,13)

14 La liturgia della riconciliazione è una Pasqua perpetua del Signore; peccatori in cerca del suo Volto, lo celebriamo frequentemente per essere ogni volta rinnovati da lui. La qualità della nostra vita di preghiera, infatti, è strettamente legata a una pratica personale, assidua e consapevole del sacramento della Penitenza. (St 21,14)

15 Essendo la nostra vocazione quella di rimanere incessantemente desti alla presenza di Dio, tutta la nostra vita tende a trasformarsi in una liturgia ininterrotta. Ciò diventa a volte più esplicito: quando offriamo la preghiera ufficiale della Chiesa, o quando seguiamo l’inclinazione del nostro cuore. Questa diversità non è fonte di divisione, perché è sempre lo stesso Signore che, esercitando in noi il suo sacerdozio, prega il Padre nell’unico Spirito. (San 21.15)