Cari amici di Cartusialover, vi offro oggi un’articolo attinente a questo triste periodo che stiamo vivendo, una clausura coatta a causa del terribile virus che affligge il mondo intero. Trattasi di un’intervista effettuata dalla rivista spagnola Diario de Burgos al Padre Priore della certosa di Miraflores in Spagna, su questo periodo storico inaspettato. Proviamo a trovare conforto dalle sue sagge parole.

Padre Pedro Iglesias de Paul
Ora proviamo dapprima a conoscerlo.
Padre Pedro Iglesias de Paul tra 4 mesi compirà 40 anni di vita claustrale nella certosa di Miraflores. Da un anno e mezzo, a seguito dell’elezione a Priore, avvenuta il 31 ottobre 2018 nel capitolo che lo ha eletto, egli è diventato, dall’ 8 novembre, il superiore di una comunità di 15 monaci compreso lui.
Egli è nato a Cadice 62 anni fa, in una famiglia composta da 8 fratelli, il padre è stato un militare è per questo che egli ha trascorso la sua infanzia a Madrid, dove ha lasciato molti amici. Da giovane ha coltivato diverse passioni, come la pallacanestro e l’amore per la chitarra, dopo gli studi iniziò a fare il giornalista, ma ben presto si dedico all’insegnamento presso la facoltà della Universidad Complutense di Madrid. Fino a quando, all’età di 23 anni, sentì la chiamata alla vita contemplativa “ Quando parlai a tutti della mia decisione di entrare in certosa tutti si stupirono, poichè io fino a quel momento non ero amante della solitudine” ma…Dio mi afferò e mi condusse a Burgos dove ancora oggi sono assolutamente felice“
“La vita è un armonia, una unità. Il vero certosino è colui che unisce corpo, anima, orazione e comunità” nel caso di Dom Pedro, è anche allegria e passione letteraria, in una successione di giorni totalmente improntati al silenzio.
Quella che segue, è la traduzione in italiano dell’intervista concessa al Diario de Burgos del 22 marzo 2020, al Padre Priore Dom Pedro Iglesias de Paul in questi giorni della terribile Pandemia di coronavirus.
Sono momenti di grande inquietudine, come li state vivendo?
E’ tutta una sorpresa, che dalla stampa ci viene chiesta un sensibile collaborazione in questo tempo di terremoto sanitario, economico, sociale e vitale che tutti viviamo e soffriamo.
E, che siamo dinanzi ad una situazione eccezionale, mai vissuta prima…
Si, è un’esperienza drammatica, con la novità che è di dimensione planetaria. Per questo credo che non sia tempo di fare un’intervista su come vivono giorno per giorno i certosini, su qual’è il senso della nostra vita di silenzio contemplativo, se serve a qualcosa o cose del genere. Suppongo che la quarantena obbligatoria di tanta gente nelle proprie famiglie, la proibizione di poter convivere con gli amici, la chiusura delle scuole, dei parchi, dei bar, delle chiese, degli stadi dei lavori…potrebbe essere stato il pretesto ideale per andare a chiedere a “gli esperti in solitudine”, ai certosini.
Come si sopravvive con la propria solitudine in quattro pareti per svariate settimane?
Questo “noviziato” per “decreto reale” agli apprendisti eremiti non lasceranno conseguenze psicologiche postvirus? Ci diranno, persino, per caso la stessa solitudine mi aprirà ad esperienze spirituali inspiegabili ed inedite fino a ieri al mio stesso cuore?
Ci saranno Dom Pedro persone che si stanno ponendo queste domande…
Succede, che quando c’è un incendio si chiamano i pompieri. Quando c’è una pandemia, si mobilita tutto il personale sanitario, e quando si decreta la “clausura generale”, dunque si chiama un certosino. Ma ok, purché tu non mi chieda la previsione di auto guarigione che si incontra nelle riviste (dice scherzando)
Tranquillo, non è mia intenzione. Che cosa è per lei la solitudine?
E’ qualcosa di troppo nostro per poterla gestire, e tantomeno per poterla sublimare.
Vorrei mettere la solitudine come materia obbligatoria, non valutabile, dall’asilo ai centri per anziani. Tutti abbiamo quel pungente ricordo di quando da piccoli ci castigavano alla solitudine “nella tua stanza senza dire una parola!”, senza uscire oggi con gli amici, fine settimana in casa senza telefono nè televisione a causa dei cattivi voti a scuola. Ma non ci hanno mai assegnato il premio per gustarci un buon momento o un pomeriggio pieno di solitudine assoluta e umanizzante. Nella vita di oggi, quanti desiderano avere la propensione solitaria nel proprio percorso educativo, propensione che ti insegnerà a vivere con te e senza te stesso.
Non è senza motivo, ma la solitudine forzata prima del coronavirus è molto complessa da affrontare, come la fa lei?
E’ curioso, per un certosino, almeno per me, questa esperienza attuale di “confinamento” è soprattutto una meravigliosa formazione comunitaria. I certosini,
per questo motivo sono monaci contemplativi, abbiamo ben segnato il nostro territorio di solitudine orante …Bene, quello che questo virus ha causato all’interno della certosa, è una chiara terapia di comunità. Carta vetrata e pura candeggina, è vero, e con quante lacrime tutti abbiamo versato. Ma che gioia provare fastidio quanto dipendiamo gli uni dagli altri, quale allenamento di nuove palpitazioni che pensavo potessero sottrarmi dalla solitudine e dalla preghiera. Ora riesco a comprendere quello che scriveva un certosino che “il cuore di mio fratello è il mio eremo”, quello che per un monaco è come dire “sei sempre un fratello, la mia possibilità di Dio”. Un virus così piccolo può essere la scintilla che brucia; finalmente la goccia dei nostri cuori.
Non perde alcuna occasione per arricchirsi delle vicissitudini della vita, buona o cattiva.
Non voglio sdrammatizzare questo periodo ipercondensato di tragedia umana e personale, ma più che la semplice e spiegabile lamentela o la meno comprensibile voglia di incolpare qualcuno (i politici, l’imprevedibilità, la disumanizzazione del giorno per giorno) vedono un correttivo della Natura per irresponsabile o inevitabile e catastrofica deriva divina, si tratta della capacità di viverlo, di assumerlo, condividerlo, anche questa volta più che mai, con te stesso. Se c’è un’esperienza chiara per l’eremita nella sua piccola cella è sentire come si dilata il suo cuore; il quadrante dei battiti del suo cuore è sintonizzato, senza sapere come o quando, su ogni frequenza umana. E, naturalmente, una pandemia come quella che stiamo vivendo è una frequenza ferocemente umana. Assistiamo tutti con stupore a questa Quaresima secolare che è venuta involontariamente su di noi e non ci sono né catechismi né ricette universali che valgono. Forse, come quasi sempre, l’unico modo per affrontare responsabilmente il rischio rappresentato da questa imprevista situazione di isolamento e solitudine è con una parabola che lascia mille porte aperte a molte altre risposte personali.
Quale è la sua Dom Pedro?
Una delle saggezze monastiche tradizionali: “In quel convento era stata creata una situazione alquanto peculiare. Dato che era un luogo di passaggio per i pellegrinaggi, le autorità civili ed ecclesiastiche avevano decretato un periodo di quarantena, poiché un pellegrino era portatore di una malattia contagiosa non so proveniente da quale paese remoto. E, magari che fosse stata una quarantena. Erano stati confinati per un anno e mezzo e avevano adottato misure drastiche all’interno della comunità, ed era evidente che la convivenza monastica stava iniziando a crollare. Avevano troppa comunità e reciproca interferenza negli spazi personali, un sorta di molesta imposizione collettiva.
Come sembrerà questo a qualcuno…
Il padre maestro dei novizi lo sapeva e portò i giovani monaci nell’ampio frutteto per rimuovere e pulire il fondo e, soprattutto, per aerarli e per fargli rilasciare tossine, principalmente psicologiche e spirituali. La zappa e il faggio fecero più di ogni consiglio spirituale, la tensione fu allentata e svuotata dal sudore che scivolava dai loro corpi ascetici. Dopo il lavoro ci fu una pausa alla fontana e un’invitante cartoccio di pistacchi che il maestro estrasse dalla sua immensa bisaccia. Era tempo.
E cosa è successo?
Come per caso, chiese al novizio, Fratello Hugo, di passargli quella pigna per sgranare i pinoli con cui giocava. Lo prese in mano, lo guardò filosoficamente come un Amleto ecologico e chiese come se per se stesso o per tutti: “In quale momento i pinoli di questa pigna inizieranno ad essere una pineta?”. Sortì il suo effetto, dopo la sorpresa iniziale, i giovani novizi furono coinvolti nel dare risposte alla suggestiva domanda. Certo, quasi tutti peccati dal profondo o dal “misticismo”, alcune sciocchezze hanno fatto ridere tutti … era prevedibile. Alcuni hanno detto che quando iniziano a vedere se stessi e i loro focolai nel paesaggio, altri rispetto a quando l’Agenzia Ecologica Rurale lo dichiara un’area verde protetta, altri che quando diventa conveniente per il proprio legno o quando un poeta lo canta…
E, che non ci sono risposte facili…
Il maestro dette a tutti un pò ragione, ma alla fine dette la sua risposta: “quando hanno subito un uragano o un incendio insieme un’alba o una primavera. La pigna non importa quanto vicini siano i pinoli, non è una pineta fino a quando ognuno non si separa, seppellisce se stesso, germoglia con sforzo e contribuisce così con la propria individualità unica al tutto”. Al Maestro piacque scorgere che i volti dei novizi stavano riflettendo qualcosa simile alla comprensione, si sentivano coinvolti nella risposta, si vedevano come parte di essa nella situazione particolare del confinamento della comunità. “Sapete?, disse concludendo il Maestro, un poeta scrisse qualcosa del genere: Che differenza fa se gli alberi sono raggruppati per paura o necessità o per decreto o per… Ciò toglie un pò di bellezza alla pineta?
Raccogliendo i propri attrezzi in silenzio e con tranquillità recuperata, il gruppo di religiosi si incamminò verso il monastero al suono delle campane dei vespri. Tornarono tutti sentendosi tutti un pò più pineta”.
Oggi questa Burgos con strade vuote è immersa in un immenso uragano. Puoi inviare loro un messaggio?
Noi non siamo una cosa fuori dal mondo, non profetizziamo nè emettiamo sentenza su niente. Noi monaci soffriamo con voi nonostante viviamo uno stile di vita differente che intendiamo mantenere, e non solo perchè è diverso ma anche perchè è molto fragile. Se apriamo la certosa al mondo, questo ci travolge. Se metto il pc o internet nella cella, è finita la cella e la mia vita di preghiera. In certosa c’è una distanza che ti da una prospettiva della vita ed una tremenda tranquillità. La nostra vocazione è un dono di Dio, e la gente lo percepisce in noi
e non faccio prediche. Non siamo straordinari, viviamo ciò che siamo.
La ascolto con una certa invidia. Ci saranno molte vocazioni?
Siamo 15 monaci, di cui sette con più di 80 anni, che sono gli “immortali”. Il loro regime di vita è molto tranquillo, trascorre in delle celle che sono come ospedali. Un monaco nella sua residenza sarebbe morto, hanno bisogno del proprio regime di vita, delle campane…Qui non ci scrive molta gente attraverso internet, una sessantina di persone l’anno. La maggioranza non arriva qui per vocazione, vuole solo fare una esperienza. Ogni anno vengono 7, 8 o 9 a provare, ma quasi tutti se ne vanno piangendo.
Quale è la prova del fuoco?
La solitudine, la rottura con il mondo e con tutto. Che sia chiaro che noi monaci non siamo dei superuomini, ma si abbiamo raggiunto un equilibrio di vita. Qui la gente viene molto ferita, con problemi, e questo in una cella, 24 ore al giorno…
Non le preoccupa che un giorno per la prima volta in cinque secoli la certosa rimanga senza monaci?
Quaranta anni fà, quando arrivai, eravamo settanta. Abbiamo fondato molte altre case. Quindici monaci sono sufficienti.
Avete qualche necessità?
Molte, la certosa è immacolata. La giunta non ci aiuta molto. Abbiamo installato dei pannelli solari e non spendiamo nulla in elettricità. Rimaniamo aggiornati, ma con distanza dagli 80 mila che ci visitano ogni anno.
Ciò vi molesta?
No. In cella tutto è silenzio.
Come vede l’uomo di oggi dal silenzio della clausura?
Adoro la letteratura, la poesia e i saggi, ed anche attraverso i libri comprendo l’uomo di oggi, per l’umanità ha sofferto. Prego per loro. Ho una tremenda fiducia nel mondo di oggi, perchè offre tremende possibilità. E’ più aperto, più comprensivo con i difetti di tutti. Sono pieno di speranza. Mai il mondo è andato in così tante direzioni ed è una sfida. Anche la mia preghiera!

la comunità di Miraflores
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