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La ricetta “ricostituente” certosina

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Come anticipatovi nel precedente articolo, ecco la originale “soluzione” certosina, ovvero una ricetta dedicata ai monaci malati.
Fin da quando è stato concepito, il trattato “De Esu Carnium”, dunque, è circolato all’interno delle biblioteche delle certose, diventando una sorte di manifesto identitario a cui rifarsi e condiviso da diversi medici che hanno scelto di indossare l’abito certosino. In questo ambito monastico, non bene identificato fu realizzata una particolare ricetta, palesemente ispirata ai dettami di Arnaldo di Villanova e espressamente dedicata ai Certosini ammalati ai quali “è assolutamente vietato l’uso della carne”.

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La ricetta “ricostituente” certosina

I principali componenti di questo ricostituente, sono proprio quelli consigliati da Arnaldo, vino e tuorlo d’uovo, ma la ricetta è arricchita da un’ulteriore preparazione a base di zucchero, perle polverizzate e foglia d’oro, con l’aggiunta eventuale di acqua di rose e cannella. Una ricetta anonima, elaborata in ambiente certosino, che consiste in un rimedio considerato particolarmente efficace per i monaci ammalati che dovevano riacquistare le forze senza infrangere il divieto di nutrirsi di carne.
Ecco il testo originale in latino e la sua traduzione in italiano.

Restaurativum pro Carthusiensibus infirmis qui sunt privati omnino esu carnium.

Recipe vitelle ovorum recentium duo vel tria vinum vernacie vel tyri vel

vini rubei dulcis vel optimi malvatici untias tres. Conquassentur et conmi-

sceantur vitella cum dicto vino. Et omnia simul mixta ponantur in una scu-

tella vitreata. Deinde ponatur scutella in aqua ferventi semper miscendo

cum uno colceari id quod est in scutella ne coaguletur sed deveniat admo-

dum lacteris. Postea detur infirmo. Sed prius imponatur in dicto brodio

medium colear pulveris infrascripti: Recipe margaritarum idest perlarum

que sint pulverizate untiam I, idest dragmam unam. Zuchari finissimi vel

optimi untiam unam; folia auri fini numero // decem. Misce […] et medium

coclear ut predictum […] restaurativo. Et nota quod si infirmus esset febri-

citans adde aque rosate untias II. idest dragmas duas in supradicto restau-

rativo. Quod si infirmus posset sumere ova coquantur ipsa recentia in cine-

ribus ut sint mollia ad modum lacteris. Et dentur simpliciter vitella ovi cum

cocleari pleno dicto pulvere. Postea dentur unzie due vel tres de predicto

vino optimo. Et sic infirmus restaurabitur. Potest etiam poni de predicto

pulvere in omni cibo quia mirabiliter restaurat et laetificat. In casu autem

quod non possent reperiri predicta vina, recipe de vino quod habes et po-

ne in eo de zucharo tantum quod fiat dulce. Ponatur ad ignem ut zucharus

resolvatur. Quo ab igne remoto ponatur in eo parum de optimo cynamomo

ad quantitatem unius agmidole quod vel sit minutatim incisum vel bene

pulverizatum. Et si loco zuchari haberes confectionem que dicitur Manus

Christi adhuc melius.

Explicit restaurativum pro Carthusiensibus valde optimum in infirmita-

tibus constitutis arduis. Expertum mirabilis!

“Ricostituente per i Certosini infermi che sono completamente sprovvisti di cibo”.

Prendete tuorli di uova fresche, due o tre once di vino primaverile o gomme di del vin rosso dolce o tre once della migliore malvatica. Si pesti il tuorlo d’uovo, e si mescoli col detto vino. E lascia che siano tutti mescolati insieme in una ciotola di vetro. Poi si mette il piatto in acqua bollente, mescolando sempre con una mano, in modo che quanto c’è nel piatto non si coaguli, ma diventi un composto di latte. Più tardi sarà dato ai malati. Ma prima si metta la polvere di sotto nel detto mezzo brodio: La ricetta delle perle, cioè delle perle, si polverizzi 1 oncia, cioè un dramma. Un’oncia del miglior velluto; le foglie d’oro sono in numero limitato // dieci. Mescolare […] e un cucchiaio medio come detto […] riparatore. E nota che se fosse malato di febbre, aggiungi 2 once di acqua di rose. cioè due dramme nel suddetto restaurativo. Ma se il malato potesse prendere le uova, dovrebbero essere cotte fresche nella cenere in modo che siano morbide come il latte. E gli viene semplicemente dato il tuorlo di un uovo da riempire a cucchiaiate di detta polvere. Dopo si danno due o tre once del miglior vino. E così i deboli saranno restaurati. Puoi anche mettere la suddetta polvere in qualsiasi alimento perché ripristina e rallegra meravigliosamente. Ma nel caso che i predetti vini non si trovino, fate una ricetta del vino che avete e metteteci solo zucchero quanto basta per renderlo dolce. Si pone sul fuoco per sciogliere lo zucchero. Tolto dal fuoco, mettici dentro un po’ della migliore cannella, della grandezza di un pizzico, o tritata finemente o polverizzata finemente. E se invece dello zucchero aveste una caramella chiamata la Mano di Cristo, sarebbe ancora meglio: è chiaramente un ricostituente per i certosini, ottimo nei casi di gravi infermità. Un’esperienza meravigliosa!

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Dialogo con San Bruno 11

6 dialogo

Proseguono le domande del certosino giornalista a San Bruno in questa immaginaria intervista. Apprezziamo la acuta domanda e la risposta esaustiva.

Influenze negative: come uscirne incolumi?

CG – Padre, tu sai che durante il nostro pellegrinaggio siamo soggetti ad infinite influenze negative, nonostante la nostra buona volontà. Cosa dobbiamo fare per uscirne incolumi?

SB – Figlio, non ignoro che il tuo esodo attraverso il deserto è pieno di pericoli, come fu dei primi certosini e sarà di quelli che verranno. Tali pericoli e contingenze fanno parte della spiritualità del deserto e devono essere considerati. Per contrastarli, ovviamente, e farli competere a nostro vantaggio. Quello che non deve mai fare è prenderli come pretesto per sminuire la tua generosità e fedeltà all’amore di Dio. Sai bene che Dio aspetta da te la totalità del tuo amore e non altri servizi che ti separino da quella totalità. “Ad altri spetta servire Dio. Il tuo ufficio è unirti a Lui, “adderere Deo”, ti ha ricordato il nostro amico Guglielmo di S. Thierrcheio. A quale fortuna più grande puoi aspirare? Questa adesione non merita tutti gli sforzi? Come ti ho ricordato prima, con parole ho scritto a Raul: “Non c’è niente di più giusto e di più utile che amare il Bene, l’unico Bene, Dio”. Ecco la “parte della nostra eredità”, ecco il nostro posto, il nostro compito vocazionale, il nostro ufficio. Ecco perché ti sbagli completamente quando cerchi di cercarlo altrove, di metterlo in un altro posto, in un’altra occupazione, in un’altra attività, per quanto santa possa essere, se questo ti separa dalla tua totale resa e dedizione a Dio. È vero, «Dio ci ha scelti per unirci a Lui, attraverso un intimo amore, nella solitudine» In questa “scelta” sta la sorgente iniziale del nostro amore; corrispondere a lui è la meta di questo amore. Per raggiungere questo, non dimenticate mai questo: Dio è l’unico Bene, la somma Bontà, senza mescolanza di alcun genere, senza limiti da nessuna parte, senza errori di alcun genere; e solo in quel Bene e Bontà infinita il nostro cuore troverà il suo riposo e la sua felicità, la sua tranquillità e la sua felicità, poiché fu creato per esso.

Cammina, dunque, con decisione verso questa meta della tua vocazione contemplativa. E, poiché questa è una “vocazione d’amore”, “camminate nell’amore”, nella purezza del vostro amore, aiutandovi amorosamente in tutte le vostre prove, tentazioni, fatiche e gioie. Tutto è grazia e ogni grazia è amore; e quando questa grazia è ricambiata, fa crescere l’amore. «Dio è Amore», ci ha detto San Giovanni, e questa è stata la sua più grande rivelazione. Davanti a questo Dio d’Amore, nulla può sopravvivere se non è rivestito d’amore, se non lo porta con sé, se non è amore. Infatti qui, nel Regno dell’Amore, non si può entrare se non somigliandoci, trasfigurandoci, identificandoci e trasformandoci in Dio mediante l’amore. E Dio è così buono che, affinché potessimo raggiungere questo obiettivo, «l’amore di Dio è stato versato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato» (Rm 5,5). E Lui si dona a noi proprio perché lo possediamo e lo amiamo con lo stesso amore con cui lui ama se stesso. Questo Amore, che è il “Bacio” e il “Legame” tra il Padre e il Figlio, è anche quello che ci unisce, ci assomiglia e ci trasforma in Dio; ci rende “Dio” per partecipazione e “figli dell’Altissimo” (Sal 81,6). Sant’Agostino, e prima di lui san Leone, ci avevano assicurato: «Il Figlio di Dio si è fatto uomo, per fare l’uomo Dio» (Sermone della Natività). Quindi, l’amore deve modellare tutto ciò che fai, sopportare le tue sofferenze e ravvivare tutte le tue virtù. Senza amore nulla ha valore. Per questo «la santità è amore». Perché questa santità sopravviva nell’eternità, scompariranno la fede e la speranza, ma resterà intatta la carità, l’amore che ci ha aperto le porte del Regno e ci ha resi simili a Dio. È la suprema manifestazione della Bontà di Dio.

Pasqua tra i certosini

Certosa di Vedana

Cari amici, in questo Sabato Santo, in attesa della veglia di questa notte che dà inizio al tempo pasquale, voglio offrirvi il racconto di un’esperienza vissuta in una certosa.

Ecco per voi il racconto di due giovani parroci, Don Nilo e Don Luciano i quali trascorsero la notte del Sabato Santo della Pasqua 1965 con i monaci certosini presso la Certosa di Vedana. Vi lascio a questa coinvolgente narrazione.

PASQUA

dell’anno del Signore 1965 fra i “Certosini”

“Quando l’orologio segna le 22 e 15, riprendiamo la macchina ed a lenta andatura ci avviamo per la strada che porta a Vedana. Ci pare di essere davvero ben disposti: anima e corpo in forma, per la veglia Pasquale. Mancano dieci minuti alle 23 quando ci presentiamo al portone della Certosa. Il fratello ci ha sentito e, dalla finestrella aperta in alto a sinistra, manda una voce: – Vengo, vengo subito! -Se non fu necessario attendere a bussare, vuol dire che siamo ospiti graditi. Bene, bene!Il portone fu, questa volta, completamente spalancato perché potessimo entrare con l’automobile. Prese le nostre cose sotto il braccio, ci dirigiamo alla cella del padre Procuratore. Silenzio, pace! La rara illuminazione crea ombre gigantesche.

Uno dopo l’altro si odono i lenti rintocchi delle ore ventitré e sembrano animare ed infondere respiro alle maestose mura del Convento. Dal giardino pensile di fronte alla Chiesa, ad ondate sempre più intense, sale e si diffonde per i corridoi e per i chiostri, quasi incenso di primavera un delicatissimo profumo di viole. “Profumo di viole nella Certosa!”. L’esclamazione mi viene spontanea.- Quale soave preparazione alla preghiera!… – soggiunse don Luciano. Rimaniamo alquanto in silenzio a contemplare. I mistici racconti delle cento emozioni sono di gran lunga superati.

Passano così quasi venti minuti…Ecco i monaci! Escono da tutti gli angoli, vestiti di bianco, gravi nell’incedere. Uno alla volta si dispongono nei loro stalli del Coro. Ci disponiamo anche noi, con la cotta tutta sgualcita., sui posti già indicati al mattino: sono quelli che si incontrano, subito a sinistra, dopo aver superato la porta del coro dei fratelli laici. Al primo posto, verso il centro della Chiesa, si mette don Luciano; al secondo il padre dell’ordine di S. Domenico. Il terzo stallo del coro è per me. Non si sbaglia. Osservo il domenicano: è un uomo imponente, dall’andatura solenne; ha la faccia larga, capigliatura ondulata e candida come il vestito. Sembra un vecchio leone; a stento sta nella sua tana. Il colore del volto è caratteristico di chi dovrà andare in paradiso per infarto cardiaco.

Alle 23 e 30, con precisione cronometrica, inizia il rito. Quattro lunghe letture, tratte dai libri del Vecchio Testamento, introducono la meditazione sulla storia della nostra salvezza; alla fine di ognuna viene eseguito, in canto gregoriano, il responsorio. I monaci sviluppano la melodia nel gregoriano antico, piuttosto semplice e primitivo. Davvero cantano con un filo di voce; troppo piano. Seguono le Litanie dei Santi. A volte ci sono invocazioni speciali, proprie dell’ordine certosino. La supplicazione – “Sancte Bruno, ora pro nobis” -, l’ho cantata volentieri e quel nome mi ha richiamato il volto di alcuni amici dei quali, da tempo, non so nulla.

La benedizione del fuoco, dell’incenso, del Cereo, dell’acqua, non ci fu: la liturgia dei monaci esclude, o meglio non ha mai conosciuto tutto questo. È solo elevazione mistica pura e semplice senza eccessivi simbolismi. È comunque delicata, come il profumo di viole che si diffonde dal giardino e penetra anche in Chiesa. Viene cantata la S. Messa. Un vecchio monaco rivestito di ampio manto bianco, con lunghissima stola pendente da un lato, serve il sacerdote celebrante fungendo da Diacono; canta anche il Vangelo.

Mi fece impressione il momento centrale della Messa…All’elevazione dell’Ostia, tutti, in ginocchio, dimostravano visibilmente al “Signore Dio dell’Universo” la loro fede e la loro adorazione. Alla elevazione del Calice, mentre il diacono con un cereo acceso nella mano destra, sollevava con la sinistra la ricca pianeta del celebrante e con forte battito del piede dava un segnale convenuto, i monaci si prostravano a terra. Sembravano quasi annientati sotto la potenza del Signore. Forse qui s’addiceva la vecchia traduzione, “Signore, Dio degli eserciti”!…

Nuovo battito di piede del Diacono e tutti sono ritti ed a mani giunte. A questo rituale, altamente espressivo, don Luciano ed io non ci siamo perfettamente associati. Ci siamo accontentati di raccoglierci con umiltà per adorare il Signore presente sotto i due elementi così bene rappresentativi dell’attività e della letizia umana: il pane ed il vino. Abbiamo ricordato tutti, parenti, superiori, amici. Alla comunione, un monaco esce dal Coro, si distende sul gradino del presbiterio, sotto il grande candelabro di destra, e sembra invocare la misericordia di Dio, con maggiore umiltà di quella usata, a suo tempo, dal centurione.

Usciamo tutti e ci disponiamo genuflessi, in semicerchio, intorno all’altare. Ricevo l’ostia consacrata dalle mani del celebrante; poi, mentre sto per abbassare la testa, don Luciano mi offre un grande calice. Ho compreso all’ultimo momento; è la santa comunione anche sotto le specie del vino. Il rito è solenne e suggestivo; il silenzio della notte lo rende penetrante di commozione. Il padre domenicano sembra estasiato: è in ginocchio con le braccia aperte ed alzate: non si muove. Lo diresti una statua di Michelangelo scolpita nel marmo di Carrara.

Ritornati sugli stalli del Coro diciamo grazie al Signore. È una stupenda visione di pace: – “Beata pacis visio”! -La Messa è subito finita: s’avvia quindi l’Ufficio divino. Spente quasi tutte le luci; dalla grande lampada che scende dall’arco del presbiterio si diffonde una luce tremolante. Sulla predella dell’altare è collocato un candeliere a cinque braccia, sulle quali ardono altrettante candele. Don Luciano, il magnifico padre dell’ordine di S. Domenico ed io leggiamo i testi su un unico antifonario di proporzioni notevoli. Ogni tanto, secondo il bisogno, vi collochiamo sopra, il Salterio o il libro degli Inni.

Anche i monaci sono a gruppi di tre. Solo è invece il padre Priore (Dom Thomas Marie). A turno i padri intonano i canti ed eseguono le letture. Il primo notturno comprende sei lunghi salmi, quattro lezioni e quattro grandi e solenni responsori. Qui nessuno ha fretta di terminare la liturgia: non l’abbiamo neppure noi… Aveva proprio ragione il padre Priore: “… Non abbiamo mai, mai fretta di terminare la preghiera…”! Il “Gloria Patri” è scandito con ostentata lentezza mentre ci si inchina assai profondamente; il palmo delle mani deve toccare le ginocchia.

Una cosa richiamò la nostra attenzione: di tanto in tanto, ora qua ora là, un monaco chinava la testa sulla pagina del Salterio, apriva le mani, e dava un bacio al testo. Era una riparazione pubblica ad una distrazione accolta durante il canto. Per ben due volte la causa del gesto tanto significativo siamo stati noi! Forse questa era la ragione principale per cui il padre Priore non voleva metterci in Coro. Le ore passano. Fuori, nel mondo, la gente dorme. Nessuno pensa che anime innamorate di Dio, ogni notte siano vigilanti in preghiera anche per quelli che non pregano mai. Questa è davvero un’azione altamente benefica e largamente sociale!

Il latino dei testi è alquanto diverso da quello usato sia nel vecchio, come nel nuovo salterio del Breviario romano. Alcuni responsori sono da noi completamente sconosciuti. Davanti al grande leggio collocato nel mezzo del Coro s’avvicendano i monaci per il canto delle lezioni. Al termine, il grosso volume è ricoperto, in segno di rispetto, da un velo di seta bianca. Il secondo notturno si sviluppa con schema simile al primo. I frati sono quasi sempre ricoperti il capo dal cappuccio, la cui ombra conica proiettata sotto il soffitto crea strani ed enormi fantasmi. Una lezione è cantata dal monaco che al mattino s’era ferito alla testa mentre attendeva al lavoro. Portava una medicazione. Lo guardo bene, forse ha la febbre; certamente soffre per il dolore, ma è sereno.

Il più serafico fra tutti, veramente in estasi celestiale, appare il piccolo olandese(Dom Tarcisio Jan Geijer). Per lui la preghiera è tutto, è gioia, è paradiso; non ha alcuna fretta di terminarla. Il terzo notturno è più breve: comprende tre cantici, quattro lezioni e quattro responsori. Lettore al leggio centrale è, questa volta, il Rev.mo Superiore. Segue il Te Deum con melodia abbastanza nota; quindi il canto del Vangelo con l’orazione. Come previsto, la preghiera liturgica continua con le Lodi. Al posto del solito cantico ve ne sono tre. L’inno è quindi eseguito sulla melodia del Veni Creator Spiritus. Al Bendictus avviene l’incensazione dell’altare da parte del padre Priore. Indossa un ampio manto bianco e porta una lunga e ricca stola.

Il rito è solennissimo. Penso che il gran sacerdote dell’antico testamento non dovesse impressionare di più nei suoi gesti ieratici! Le volute di fumo odorante si susseguono rapide; il turibolo è letteralmente lanciato in alto con arte finissima e con notevole frequenza. Gli occhi di tutti sono rivolti là: all’altare di Dio. Avviene poi l’incensazione di ciascun monaco; quindi anche di noi. Questa non fu però eseguita dal padre Priore. Ancora qualche minuto e la preghiera è, questa volta, terminata…

Sono le tre e dieci del mattino di pasqua dell’anno del Signore 1965.- Regina Coeli laetare. Alleluja. -Lenti, uno dopo l’altro, i monaci fanno profondo inchino al Santissimo e per vie diverse se ne vanno alle celle. A dire il vero tutti ci hanno salutato con un sorriso. Non credo abbiano riportato, di noi, cattiva impressione .Il padre Priore ci accompagna alla porta della Chiesa”.

Ci augura: “Buona Pasqua, con tutto il cuore!”.È soddisfatto; in fondo ci siamo comportati bene, quasi come due monaci. Noi ringraziamo con le espressioni più belle e più giuste. Al padre procuratore, che gentilmente ci scorta fino al cortile sottostante, diciamo la nostra sincera letizia per aver passato alcune ore in paradiso. Anche noi abbiamo pregato senza alcuna fretta, proprio come i monaci della Certosa!- Me ne sono accorto, me ne sono accorto! – Fu la sua conferma.- Sfido io, ad un certo punto, la mia lentezza gli costò il bacio del Salterio. Ci saluta dicendo:- Arrivederci! -Il portone è aperto; un fratello laico che dice di essere nativo di San Donà di Piave (dunque un italiano e per di più un veneto!), aspetta la nostra partenza per chiudere…

Certosa di Vedana, Sabato 17 aprile 1965

Dialogo con San Bruno 10

6 dialogo

Continuano le domande del GC (il giornalista certosino) poste al nostro amato San Bruno, in questa fantasiosa intervista edita nel libro “Dialogo con San Bruno

Gli ostacoli ed i vantaggi della conversione.

CG – Padre, in Dio tu sai, con assoluta certezza, tutto ciò che riguarda i tuoi figli. Quindi, vorresti indicarmi alcuni di questi ostacoli?

SB – Ogni anima ha i suoi ostacoli personali; tuttavia, ecco alcuni di quelli che tendono ad essere comuni: un amor proprio nascosto che ti acceca e ti fa vedere tutto dal tuo punto di vista; questo ostacolo genera un attaccamento disorganizzato al proprio punto di vista ed è causa di innumerevoli discussioni. E poi anche un certo attaccamento alle creature e l’eccessiva attenzione ad esse riservata. Tutti questi ostacoli si oppongono all’amore del Padre; a quell’amore totale e sincero che Dio esige dal tuo cuore consacrato. È quindi necessario rinunciare a tutto per poter diventare discepolo della Divina Sapienza. Perché solo lei può farti vedere i tuoi errori, scoprire il tuo egoismo e darti la forza per vincere la tua codardia. Sì, sono tante le volte in cui conti sulle tue luci, quando ti affidi alle tue risorse, quando pensi di poter camminare con le tue forze, quando vuoi volare con le tue ali, quando già capisci cosa è la perfezione… Ma La Divina Sapienza dice il contrario: “Devi rinunciare a tutto ciò che credi di avere se vuoi rimanere alla sua scuola per imparare, sotto la guida dello Spirito, la filosofia di Dio, l’unica che dà la vera felicità” (Lettera a Raul). E questa Sapienza richiede, da parte tua, un cuore che si lascia istruire, che vuole ascoltare, che gli sta vicino. Così, il lavoro che presuppone lo sforzo, la rinuncia, la sofferenza, l’abnegazione accettata per la conversione all’amore, diventa fonte di utilità e di dolcezza, di bellezza e di fiducia.

Perciò, caro figlio, è necessario che tu ricominci ogni giorno; che ravvivi quel fuoco iniziale che ti ha spinto nel deserto all’inizio della tua conversione vocazionale. Non stupitevi della mia insistenza, perché è assolutamente necessario riattivare la forza di quegli impegni contratti con Dio, come se ogni giorno fosse il primo e l’ultimo che offri a Dio. Gli anni trascorsi devono essere come una preparazione al nunc coepi, da adesso comincio, perché ogni giorno diventi urgente per camminare verso il Signore e rimanere intimamente uniti a Lui nell’amore.

CG – Che vantaggio ha questo modo di vivere la nostra conversione?

SB – Ecco la principale: porsi in un atteggiamento permanente di dialogo intimo ed esperienziale con Dio. Infatti, ti ha chiamato e ti chiama, e tu rispondi; Egli si è impegnato con te e tu con lui; Lui ti illumina e tu vivi in quella luce; Ti dà la forza, e con essa cammini verso la conversione; Egli ti assiste, e tu progredisci nella purezza del cuore e fai fruttificare il primo dono. È una dipendenza totale che ha voluto instaurare con i suoi figli.

CG – Qual è il ruolo dell’amore in questo compito?

SB – Se qualche volta il motore dell’amore non funziona correttamente, allora devi far funzionare il motore del santo timore di Dio. È stato questo avvertimento che ho rivolto anche al mio amico Raul. Perché, vivendo da figli di Dio ed essendo a Lui consacrato per tutta la vita, la distanza infinita che intercorre tra Lui e te, tra la donazione che gli ha fato e ciò che per indolenza o per incoscienza non riesci a fare, devi muoverti e entrare in te stesso e incoraggiarti ad essere più fedele all’amore promesso. Sì, essere amato da Dio ed essere a Lui consacrato e contare per tutto sulla sua provvidenza deve essere per te uno stimolo potente ad essere generoso nell’amore. Sì, l’amore è la cosa più preziosa che l’uomo abbia. Agli occhi di Dio, questo amore è un tesoro di valore infinito, perché è la risposta che l’Amore infinito dà a se stesso in ognuno di noi. Solo alla luce dell’eternità possiamo comprendere tutta la grandezza di questo amore. Tuttavia, è già lì, nel mondo, che inizia questa comprensione. E il primo grado di questa comprensione è ammettere che vivere d’amore è darsi senza misura e che l’amore esige contraccambio, poiché il miglior corrispettivo dell’amore consiste nel poter amare l’Infinito, il Bene supremo. “Io stesso sarò la tua ricompensa, più grande di quanto si possa calcolare” (Genesi 15,1), disse il Signore ad Abramo.

Grangia di Talamanca de Jarama

01

L’approfondimento che oggi voglio proporvi è su di una importante grangia della certosa spagnola di El Paular. Conosciuta oggi, impropriamente, come Cartuja de Talamanca de Jarama essa è ubicata nella Comunidad de Madrid, al limite settentrionale dell’area urbana, i monaci certosini in progressiva espansione accumularono proprietà nella vallata e quindi decisero di realizzare questo complesso agricolo, motivati soprattutto dalle fertili condizioni del terreno della pianura del Jarama. I lavori di detto complesso dovettero iniziarono nel XVI secolo, modificando una preesistente enclave militare musulmana del IX secolo di cui si scorgono ancora le mura. Questa grangia si distingue per il suo grande valore storico e architettonico, oltre che per le sue notevoli dimensioni (18 mila mq)).
La sua importanza sta nell’aver conservato materiali, impianti e tecniche costruttive, utilizzate tra il XVI e il XVIII secolo, oltre a rispecchiare l’organizzazione economica delle certose, eminentemente agraria, basata sulla coltivazione dei campi e allevamento animale e, quindi, destinata allo stoccaggio di grano, vino, olio, aceto e diversi capi di bestiame.

Per tale motivo il 23 settembre del 1982, è stata dichiarata monumento storico artistico, dunque Bene di Interesse Culturale.
La proprietà è composta da vari fabbricati, attualmente tutti in cattivo stato di conservazione, è strutturata su due livelli ed è concepita intorno ad un chiostro a forma di elle, all’interno del quale troviamo diversi ambienti di interesse storico, come la cucina che ospita al piano interrato la cantina coperta da volte in mattoni, e la piccola ma deliziosa cappella, con bellissimi affreschi sul soffitto e sulle pareti.

A questi ambienti si aggiungono altre, costruzioni ausiliarie con strutture che mantengono solo una parte del loro perimetro in altezza muraria variabile e senza alcun tipo di copertura. In origine la grangia aveva dimensioni maggiori, ma quel che resta è sufficiente per comprenderne la grandezza e l’importanza che ebbe per quel territorio, non solo di rifornire la certosa di El Paular, ma vendere prodotti per una sana economia che ne garantisse la floridità economica.

Menzione a parte il suo caratteristico ed inconfondibile ingresso principale, che presenta un grande portone architravato con bugne, chiuso da due lamiere lignee con cassettoni e chiodi. Sull’apertura spicca un frontone curvilineo delimitato da una modanatura barocca e con lo stemma di Castilla y León.

La cantina, posta nei sotterranei della grangia, fu edificata nel 1703, secondo l’iscrizione posta nell’arco di accesso. È un quadrato lungo quattro sezioni per quattro di larghezza; ognuno di questi è coperto da volte a crociera in mattoni su pilastri quadrati. Lungo le sue pareti spiccano numerose grandi giare, la maggior parte delle quali incuneate con resti di reimpiego (capitelli e basi). L’edificio dispone anche di altri due magazzini.

Il fienile, risalente al 1799, posto al piano terra sopra la cantina e costituito da un vano di analoghe proporzioni, coperto con travi in legno e volta ad intonaco su pilastri.

La cucina, alla quale si accede attraverso un piccolo chiostrino porticato su montanti lignei con basamento.  Il pavimento della cucina è realizzato con macine in pietra.

La cappella, all’interno della quale vi sono ha dipinti murali sul soffitto e sulle pareti che rappresentano l’Immacolata Concezione, la Santissima Trinità, la Pentecoste e l’Agnello Mistico. Ai lati è presente un basamento in finto marmo su cui sono rappresentati Sant’Ugo, San Antelmo e la Maddalena, l’emblema della Casa dei Borbone e lo stemma certosino. Sull’altare vi è invece un bel dipinto raffigurante l’Immacolata Concezione.

Il definitivo abbandono di questa proprietà avvenne nel 1835 con il decreto di secolarizzazione e confisca emesso da Mendizabal, che costrinse la vendita di tutti i beni dei monaci e l’abbandono dell’area. La grangia di Attualmente di Talamanca de Jarama è di proprietà privata, pur conservando la sua utilità agricola e nota per essere stata utilizzata in numerose occasioni come set cinematografico.

La seconda vita

Per i suoi suggestivi ambienti, la Grangia di Talamanca de Jarama dopo esser diventata di proprietà privata è stata scelta, negli ultimi cinquanta anni, da produttori e registi come quinta scenica per rappresentare ambientazioni riguardanti il seicento spagnolo. Questa location ha visto Marlon Brando, Sigourney Weaver, Arnold Schwarzenegger, Viggo Mortensen, Natalie Portman tra i principali attori che hanno recitato in ruoli storici. Molte sono state infatti le riprese cinematografiche di film, serie televisive e spot pubblicitari, che hanno visto protagonista l’antica grangia certosina come sfondo per la spettacolarità di questo set. Alatriste, Conan il Barbaro, I fantasmi di Goya, I quattro moschettieri, Santa Teresa di Gesù, Farinelli, Capitan Alatriste, Curro Jiménez, Águila Roja, Los Gozos y las sombras, La Celestina, Cervantes, La Cocinera de Castamar, El Ministerio del Tiempo. Sono questi i titoli delle principali pellicole, come ricorda una didascalia all’ingresso del complesso. Nel 2003 e nata Talamanca de Cine, con lo scopo di utilizzare il cinema come risorsa turistica, e in questo modo preservare e diffondere l’ampio percorso storico-cinematografico di questa città. Vi è anche celebrato annualmente, nel mese di giugno, il TALAMANCA FILM FESTIVAL.

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A seguire, due brevi video che ci faranno apprezzare la bellezza e l’importanza di questo sito, antica proprietà certosina, ed oggi importante luogo per realizzazioni cinematografiche.

Dialogo con San Bruno 9

6 dialogo

Ancora domanda e risposta tra GC (il giornalista certosino) ed il nostro amato San Bruno (SB), nella originale intervista edita nel libro “Dialogo con San Bruno

Riferimento all’amore che ci incombe.

CG – Padre, vuoi indicarmi dei punti di riferimento di questo amore personale che ci incombe?

SB – Non è raro che, all’inizio della nostra conversione, sentiamo il nostro cuore ardere di un fuoco insolito e sconosciuto, che ci spinge a prendere sul serio la chiamata di Dio, la nostra rinuncia al mondo e il nostro ingresso in monastero per donarci interamente al Signore. Ma capita anche spesso che l’ideale contemplato come meta della vita e verso la cui conquista il monaco si gettò con tutto l’ardore di un nuovo amore si offuschi, si nasconda e ci sembri lontanissimo. Questo è causato dalla realtà di ogni giorno, così uguale, così monotona, così poco importante per i sensi che sono sempre desiderosi di “novità”, di stimoli. È chiaro che, di fronte a questa realtà concreta e ordinaria della vita monastica, può sorgere sulla superficie dell’anima un certo disordine, che prima i recessi profondi del cuore nascondevano sotto forma di amore per il mondo, di attaccamento a certe creature su cui abbiamo fatto affidamento, di inquietudine, insoddisfazione, stanchezza…

È la prova, figlio mio, che l’amore per il Padre non regna ancora in te con dominio indiscutibile e indisturbato; è una manifestazione di uno spirito fuorviato o di uno stato di spirito degenerato; è segno che il tuo amore non è completamente purificato dalle creature; è una dimostrazione che la radice del male non è stata estirpata, in quanto non è stata ancora individuata. Non ignoro che questa situazione può darti tensioni, dolore, sofferenza, scoraggiamento. Cosa fare? Ti dico ciò che ho detto anche a Raul, e con maggior ragione che a lui: «Seguite il consiglio divino, credete nella verità che non può ingannare e che manda a tutti questo salutare invito: «”Venite a Me, voi tutti che siete stanchi e oppressi ed io vi darò riposo”» (Mt 11. 26. Lettera a Raul).

Sì, figlio caro, questa è la migliore risposta e il miglior consiglio per quando ti senti “stanco di lottare durante la notte” della tua conversione e non ne vedi i frutti immediati, senti la fatica del compito e, di fronte a esso, hai l’esperienza della tua impotenza o della tua debolezza. Perché, di fronte alle esigenze della tua conversione, non si tratta più di ogni persona che si purifichi, ma di andare a Gesù, sorgente di ogni purezza, perché ci ama, perché ha promesso di aiutarci e vuole rendere il nostro lavoro più leggero. Se il tuo fardello è pesante per te, vai da Lui e metti il tuo fardello nelle sue mani con la semplicità di un cuore di bambino, di un cuore filiale. Se lo fai, avrai l’esperienza di sentire la tenerezza del suo amore e della sua attenzione su di te. Siate novizi, giovani, anziani che hanno imbiancato il capo al servizio del Signore Gesù, solo da Gesù può venire la vostra salvezza. Di questo Gesù che, nonostante tutti i dolori che ti affliggono, continua a vivere in te e ti spinge verso la fine, di questo Gesù che ti incoraggia nella tua resa e cammina con te, portando il tuo peso. Solo con questo aiuto potrai uscire incolume e vittorioso da questa tentazione, da questo turbine di onde impetuose che cercano di impedirti di raggiungere “il porto nascosto, sicuro e pacifico” che ti aspetta.

Permettimi infine di ricordarti una cosa che conosci molto bene, ma che non dovresti mai dimenticare: l’opera di conversione, l’esperienza del tuo amore, il raggiungimento di quella purezza di cuore di cui abbiamo parlato, è opera di Dio, certo sì, ma è anche, allo stesso tempo, opera tua.

CG – Cosa intendi con questo?

SB – Semplicemente che devi impegnarti il più possibile, non risparmiarti gli sforzi per superare gli ostacoli che ti mettono in pericolo e superare tutti gli ostacoli che ti fanno inciampare. La parte di Dio non viene mai meno! Possa non essere la tua parte che fallisce.

Memoria liturgica di Santa Rosellina

santa Rosellina (Padula)

Cari amici di Cartusialover, spero siate stati in tanti a recitare la Novena per Santa Rosellina, di cui oggi ricorre la memoria liturgica per la Chiesa, voglio celebrarla con voi mostrandovi una curiosità.

A dimostrazione della diffusa devozione verso questa santa monaca certosina, vi parlerò oggi di una Parrocchia a lei dedicata nel centro della cittadina francese di Tolone. Vi ho narrato da questo blog, la venerazione dei fedeli, che spinse a costruire la Cappella Santa Rosellina, dove si conservano le sue spoglie mortali, e dovi vi è un’affresco realizzato nel 1975 da Marc Chagall, voglio altresì sottolineare la straordinarietà di questa devozione data dall’essersi tramandata immutata nei secoli.

Vi ho testimoniato, seppur non numerose, diverse Parrocchie nel mondo dedicate a San Bruno, ma una fede viva verso una monaca certosina provenzale vissuta nel XIV secolo, lascia davvero entusiasti!

Nelle immagini che seguono, potrete ammirare il monumentale affresco, alto più di sette metri, realizzato sull’altare maggiore di questa chiesa costruita circa ottanta anni fà, che raffigura fedelmente le tappe della vita di Rosellina. La statua in marmo sulla facciata esterna della chiesa e le vetrate che richiamano episodi della vita della certosina. La Parrocchia inoltre conserva alcune reliquie, venerate dai fedeli. In fondo alla pagina il link della Parrocchia, dove sarà possibile vedere la Santa Messa online!

Voir la célébration en direct vidéo

Il prodigioso solstizio alla certosa di Miraflores

retablo con luz

Oggi, come ogni anno, in questa data con il “solstizio d’inverno”, comincia l’inverno astronomico che si concluderà il 21 marzo. Nel solstizio d’inverno, vi è la notte più lunga ed il giorno più corto dell’anno.

Come sapete cari amici, lo scorrere del tempo ed il relativo studio per la misurazione dello stesso, è stato da sempre un elemento essenziale dei padri certosini. Essi infatti dedicavano molto tempo alla scienza della gnomonica, al fine di realizzare strumenti che consentissero loro di misurare il tempo con la luce del sole. In passato vi ho proposto vari esempi di meridiane ed altri orologi solari in varie certose, oggi vi voglio parlare di ciò che accade nella certosa di Miraflores, a Burgos nel giorno del solstizio d’inverno.

Da 523 anni, quando arriva il giorno o il periodo del solstizio d’inverno, ovvero il 21 dicembre, nella chiesa della certosa di Miraflores, un fenomeno astronomico può essere osservato, ma di cosa si tratta esattamente?

Il fenomeno astronomico

Intorno al 21 dicembre e poco prima del tramonto, tra le 16:45 e le 17:15, un raggio di sole penetra attraverso il grande oculo che presiede la facciata del tempio e attraversa diagonalmente l’intera superficie del tempio. Il raggio di sole sale lentamente da sinistra a destra e, per alcuni istanti, si ferma alla grande ruota centrale degli angeli che presiede la pala d’altare.

Bisogna fare una premessa necessaria per poter comprendere del tutto quanto avviene e perchè. Innanzitutto soffermiamoci sugli elementi

Il grande oculo

La chiesa della certosa di Miraflores, fu costruita dall’architetto tedesco Juan de Colonia tra il 1454 e il 1484, anche se fu suo figlio Simón a completare i lavori nel 1488. Questi è considerato uno dei grandi geni dell’arte castigliana, artefice quindi anche dell’oculo della facciata anteriore della chiesa elemento importante del fenomeno in oggetto.

Il Retablo

Il sole, come dicevo, entrando dall’oculo attraversa, con i suoi raggi, l’intera chiesa per giungere ad illuminare per pochi minuti un punto preciso dell’altare maggiore.

Il cerchio di angeli (ruota angelica) che circonda il Cristo crocifisso della pala d’altare maggiore, il “retablo” capolavoro dello scultore Gil de Siloè e con policromia e doratura del pittore Diego de la Cruz, il quale utilizzò parte della prima spedizione d’oro che arrivava dall’America! In esso viene rappresenta la vita di Cristo, che viene mostrato crocifisso sulla grande ruota centrale circondato da angeli, da Dio, dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria. In cima alla croce c’è una figura peculiare, un pellicano, un uccello che metaforizza il sacrificio eucaristico perché in passato si credeva che nutrisse i suoi piccoli con ferite autoinflitte. Il tema di questa pala d’altare, commissionata dai monaci, è quindi la celebrazione dell’esaltazione eucaristica e redentrice.

La congiunzione degli elementi

Per ottenere la precisa congiunzione degli elementi che fanno funzionare questo meraviglioso fenomeno astronomico, ovvero il sole, la data e la posizione dell’apertura (oculo) attraverso il quale entra il raggio di luce che illumina il centro della pala d’altare al solstizio d’inverno, vi è stato uno studio approfondito ed un’innegabile complicità artistica tra l’architetto del tempio, Simón de Colonia, e lo scultore della pala d’altare, Gil de Siloè. Ovviamente alla base di ciò l’imprescindibile committenza monastica certosina, custode della evidente intenzionalità teologica di questo straordinario fenomeno astronomico.

Un altro dato importante è, che la pala d’altare fu inaugurata alla fine di dicembre 1499, in coincidenza con il tempo del solstizio, che ne indica il chiaro intento celebrativo. Il costo totale della pala d’altare, compresa la doratura e la policromia di Diego de la Cruz, ammontava a 1.015.613 maravedí, un costo molto alto per l’epoca!

L’osservazione

E’ possibile accedere nella certosa per poter ammirare questo fenomeno poichè nel 1923, la certosa venne dichiarato Monumento Storico Nazionale. Un vero Pantheon Reale a causa dell’imponente altare maggiore ed il sontuoso sepolcro di alabastro che custodisce le spoglie dei fondatori, Giovanni II di Castiglia e di Isabella di Portogallo e del figlio l’infante Alfonso. L’attività monastica ha saputo coesistere egregiamente con questo luogo di interesse storico e artistico, che risulta essere uno dei principali monumenti di Spagna, consentendo l’accesso ai visitatori nella Navata centrale della chiesa ed al chiostro i quali possono essere liberamente visitati.

Non è ancora molto diffusa la conoscenza di questo spettacolare fenomeno, in questo luogo, ma sempre in numero più crescente decine di visitatori si accalcano armati di smartphone o di reflex cercando di catturare, per godere e fotografare, lo straordinario momento in cui un raggio di sole della sera, penetrando attraverso la finestra circolare della facciata della certosa, illumina il Retablo per pochi minuti, regalando ai presenti una suggestiva e magica atmosfera.

retablo 2

Va detto, che recenti studi, sviluppati dalla Università Complutense di Madrid hanno rilevato che anche nel periodo del solstizio d’estate, il 21 giugno, si sviluppano particolari giochi di luce intorno al sepolcro reale. Con l’avanzare del sole al mattino, si accendono le figure dei quattro evangelisti che circondano la tomba a forma di stella a otto punte. Questo fenomeno raggiunge il suo apice, in coincidenza con il giorno di San Giovanni 24 giugno, patrono del monarca. L’intensità della luce permette in quei momenti una visione privilegiata di questo sublime complesso scultoreo gotico.

Le immagini che seguono, ed un breve video spero saranno eloquenti e compendiose di quanto vi ho descritto.

luce oculo

luce oculo 2

luce oculo 3

luce oculo 4

retablo con luz

Dialogo con San Bruno 8

6 dialogo

Ancora domande del certosino giornalista a San Bruno. Si parla di tentazioni e vi sono diversi riferimenti alla Lettera a Rodolfo il Verde

“Tentazione comune?”

CG – Mi può dire come appare questa tentazione, questo pericolo?

SB – Questa tentazione assume molte forme e presenta una grande varietà di sfumature. Ma la sua essenza è sempre la stessa; mette sempre in gioco la scelta primordiale: l’amore di Dio, da una parte, e l’amore delle creature, dall’altra; la resa totale a Lui, o dispersione per le creature; l’integrità dell’amore per Dio, o un amore condiviso tra molte creature; una vita per Dio, o una vita per il mondo; o, come molto spesso accade, né per il mondo – perché non si può avere il mondo e vivere nel monastero – né per Dio – che si dona totalmente solo a chi si dona tutto a Lui.

C’è sempre stata questa tentazione nel mondo monastico, fin dai primi giorni della sua nascita nel deserto.

CG – Padre, vuoi dirmi come si può risolvere questo problema?

SB – Ognuno di voi deve risolverlo con la stessa procedura che ho indicato a Raul, non appena si rende conto che l’integrità del proprio abbandono o la purezza del proprio amore è minacciata, qualunque sia l’origine o la causa di questo pericolo.

Il tuo amore è per Dio, tutto per Dio, per Dio solo, e tutto nella tua vita deve tendere a quella realizzazione. Come ho detto a Raul, questo è l’unico modo per rispondere a Dio e per “liberarti dai vincoli del grande debito che gli devi”.

Questa è per te la realtà suprema, la grande utilità, il vantaggio supremo: amare soprattutto l’unico BENE, e amarlo con amore assoluto, senza misura, senza condivisione, senza lacune. Questo è, lo ripeto, l’unico modo per risolvere questo problema con la felicità, poiché è l’unica soluzione che ti permetterà di vivere l’amore monastico in tutta la sua purezza.

Ecco perché, in questo momento, posso solo dire a te, come a tutti i tuoi fratelli, ciò che ho detto a Raul in un altro tempo, anche se purtroppo senza alcun frutto per lui: “Tu sai bene con quale promessa sei vincolato e a chi. Onnipotente e tremendo è il Signore, al quale ti sei dato come offerta gradita e accettabile. Non ti è lecito, né è opportuno che tu gli menta… Non ti trattengano le ricchezze corruttibili, né la gloria carezzevole e seducente del mondo” (Lettera a Raul).

È vero che, per te, le ricchezze deperibili del mondo o le seduzioni della sua gloria non saranno più ciò che ti tenta e mette a rischio la tua resa, ma mille altre sciocchezze che, pur essendo pure bagattelle, lasceranno il tuo cuore vuoto e renderanno insensibile un gran bene: la pienezza amorosa della tua oblazione al Signore.

Il solitario si ritrova solo con il suo amore, che non può tradire e al quale deve rimanere fedele. Pertanto, il suo principio guida è questo: l’amore di Cristo, che è venuto a rivelare l’amore che il Padre ha per noi. A questo punto posso ricordarti ciò che ha detto anche Teresa de Jesus sulla santità, l’insigne compatriota di molti di voi: «es un asunto de mucho amor».

Sì, di un amore integrato da quella purezza di cuore tanto apprezzata dalla tradizione monastica; di un amore incessante, come incessante è la tua donazione a Dio e incessante anche la tua conversione dei costumi; di un amore continuo, come continuo ed eterno è l’amore con cui Dio ci ama.

Ma né questa purezza, né questa donazione, questa conversione e questo amore cesseranno di esigere il tuo sforzo personale. Te lo dico per mia esperienza personale.

Dom Pedro de Soto y Domecq

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L’insondabile disegno Divino

Cari amici lettori, di storie simili a quelle che sto per narrarvi sembrano far parte di romantiche fantasie o leggende metropolitane, ed invece sono fatti accaduti realmente.

In passato, vi ho già raccontato fatti riguardanti improvvise conversioni, che hanno spinto diversi uomini a cambiare radicalmente vita, abbandonando tutto per abbracciare la vita eremitica certosina.

La storia che voglio farvi conoscere è alquanto lunga, pertanto l’ho divisa in due articoli.

Il personaggio di cui voglio parlarvi oggi è Pedro de Soto y Domecq, V Conde de Puerto Hermoso, nato il 15 ottobre del 1902 a Jerez de la Frontera, in Spagna in una notabile famiglia aristocratica. Dedicò la sua giovinezza agli studi con estremo profitto, laureatosi in Scienze Economiche divenne poi avvocato, e fu avviato alla carriera diplomatica.

Fu assegnato come segretario d’Ambasciata nelle rappresentanze della Spagna a Londra nel novembre 1922 ed a Washington nel marzo del 1925, svolgendo incarichi importanti egli ebbe la fiducia e la stima di re Alfonso XIII collaborando nella Segreteria particolare del re, nel settembre del 1927. Successivamente, nel 1931, a seguito della proclamazione della Repubblica il giovane Pedro, “per non servirla“, si congedò interrompendo la carriera diplomatica, e ponendosi al comando degli affari e delle cantine di famiglia, dirigendo la nota Bodegas Domecq.

Bodega Domecq

Ecco quindi il profilo di un giovane rampante e di successo, con una carriera spianata e proiettata verso una esistenza agiata e senza patemi. Gli ambienti che il giovane Pedro era solito frequentare, erano salotti, locali di prestigio, casinò e circoli sportivi di alto rango, egli si appassionò infatti al gioco del polo. L’immagine che ho inserito in questo articolo ci mostra, nel 1930, un sorridente conte Pedro de Soto nel tipico abbigliamento da polo, con il berretto e la stecca. Un bel giovane aitante e radioso.

PEDRO DE SOTO DOMECQ

Come spesso accade in narrativa, ecco giungere un colpo di scena volto a modificare radicalmente gli esiti futuri della vita di questo giovane.

Si racconta, che Pedro viveva a Madrid, e da scapolo e viveur in una delle tante feste a cui partecipava, conobbe una bella signorina dell’alta società, i suoi impegni sociali ed il lavoro lasciarono il posto ad una vita più dedicata a questa giovane donna. Rimase affascinato da questa ragazza, che lo fece inaspettatamente innamorare perdutamente a detta degli amici. Una notte mentre rientravano da una festa a cui avevano partecipato rimasero coinvolti in un terribile incidente d’auto nel quale la sua amata rimase uccisa. A seguito di questo tragico evento Pedro abbandonò la sua vita mondana, divenne un’altra persona perdendo il suo carattere gioviale ed allegro, la tristezza e l’apatia presero su di lui il sopravvento. Confessò ai suoi amici più intimi di avere un profondo senso di colpa per quello che era avvenuto, attribuendosi le responsabilità dell’incidente a causa della sua scellerata imprudenza.

Riprese a lavorare con il cuore contrito, ed oltre ai suoi viaggi di lavoro aveva un solo interesse, recarsi quotidianamente al cimitero per pregare e deporre fiori freschi sulla tomba della sua sventurata amata. Il suo autista lo vedeva in ginocchio davanti alla lapide piangere a dirotto ed implorando alla defunta di perdonarlo, una scena straziante. Si narra, inoltre, che ogni qualvolta andasse al camposanto, udiva in lontananza un bizzarro suono di campanello che lo incuriosiva. La sua profonda indole religiosa, in questa fase della sua vita, cominciò a prevalere, e spinse Pedro a cercare luoghi che lo aiutassero a pregare.

Una mattina, il conte di Puerto Hermoso salendo sulla sua lussuosa automobile disse al suo fidato autista: “..portami a Burgos“, stanotte ho fatto un sogno molto sereno, ho sognato che dovevo andare a Burgos per ascoltare la Messa.

Essi si recarono direttamente alla Certosa di Miraflores, e fu qui che avvenne un fatto prodigioso per il suo animo, successe che udì in lontananza lo stesso bizzarro suono di campanello, che riconobbe essere esattamente lo stesso suono che sentiva sempre nel cimitero. Meditò a lungo su questo singolare episodio e lo interpretò come un segno della Provvidenza, ma soprattutto lasciando la certosa si rese conto che la pace e la serenità, impossessandosi di lui, erano giunti a lenire i suoi tormenti.

Aveva raggiunto le condizioni per poter ascoltare la chiamata di Dio alla vocazione religiosa.

Ormai deciso ad abbandonare tutto, volle congedarsi con il mondo con un gesto nobile verso il suo fidato ed amato autista e maggiordomo. La mattina del 21 novembre del 1947, gli ordinò di preparare l’auto più lussuosa che possedeva, una Rolls Royce per partire a breve. Una volta in viaggio, da Madrid chiese di avviarsi in direzione nord verso Burgos. Giunti in quella città indicò di deviare verso la certosa di Miraflores, dove fermatisi, i due scesero e dopo un lungo e caloroso abbraccio Pedro consegnò alcune lettere in buste chiuse, al fidato autista con le disposizioni da eseguire. Con passo deciso bussò alla certosa, il monaco portinaio lo fece entrare, e varcando poi l’ingresso Pedro scomparve dietro il portone che si chiuse alle sue spalle.

Una lettera fu consegnata alla famiglia, un’altra alla sua servitù e l’ultima destinata all’autista, il quale prontamente la apri, scoprendo con grande stupore che gli era stata regalata la Rolls Royce, e che già era stata trasferita a suo nome, così come la licenza di taxi per guadagnarsi da vivere, e come ringraziamento per i tanti anni al suo fianco. Pianse di fronte a questo estremo atto di generosità, non unico…difatti si apprese in seguito che Pedro de Soto y Domecq aveva donato tutto il suo patrimonio ai poveri.

rolls royce silver wraith

Questa avvincente storia continua nel prossimo articolo…non perdetelo!