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Ridotti al nulla

cartuxa noite (1)

Cari amici, ho scelto per l’articolo di oggi un testo di Dom François Pollien, estratto da un libro contenente una Antologia di autori certosini. Spero sia di vostro gradimento, considerato che tutti i suoi scritti sono una vera e propria miniera di ricchezze spirituali.

Ridotti al nulla

Se il Divino, penetrando nell’anima, non trovasse lì nulla che non fosse puro e pulito, questa non sperimenterebbe altro che estasi e beatitudine; invece, non trova un’anima candida, ma molte radici dell’umano nelle profondità più intime della volontà e l’intelligenza; e dato che proprio l’anima è già molto purificata dalle operazioni precedenti e il suo istinto divino si sono sviluppati, cattura più profondamente il senso dell’orribile contrarietà esistente tra bene e male. L’orrore che provavo nella prova delle tentazioni sarà tanto più intimo non appena vede che il male non è nella sua regione sensibile, ma nelle cime più spirituali del suo essere.
Proprio perché la sua purezza sta aumentando, sperimenta il supplizio delle proprie impurità.
Così si verifica, per esperienza, la profonda verità contenuta nelle affermazioni di Sant’Agostino, che dice che la pena del peccato, immediatamente contratta, rimane nascosta fino a quando non appare la luce del giudizio.
Per un felice privilegio questa luce del giudizio splende già in queste supreme purificazioni, invece di essere riservata all’istante che segue la morte e lasciare al Purgatorio la cura delle ultime punizioni. E così si realizza la parola di San Paolo che dice che se ci giudicassimo noi stessi, non saremmo giudicati.
Il Signore ci giudica e ci punisce affinché non siamo condannati con il mondo (1 Co 11,31-32).
Un’altra causa di dolore intenso è l’impotenza a cui sono ridotte le facoltà dell’anima.
Prima la volontà, poi l’intelligenza sono come annientate nel loro movimento naturale: arrivano progressivamente a non potere nulla (…).
Nessun movimento naturale, umano, separato, può sopravvivere: l’unione vuole tutto.
È quindi necessario che sparisca fino all’ultima impronta delle abitudini di volere e vedere fuori da Dio e per disimparare completamente il suo modo umano di agire, le facoltà sono ridotte a non potere assolutamente nient’altro da sole. Non si può esprimere quanto sia angosciante questa impotenza perché si verifica nel momento stesso in cui l’anima, innamorata del divino, vorrebbe lanciarsi molto di più verso Lui. (…)
L’anima conosce e sente il divino: lo conosce e lo sente con un’intensità così come non l’ha mai conosciuta né senso. D ‘ altra parte conosce e sente il suo male, il suo doppio male attuale: quello dell’umano, che è come incastrato nelle sue facoltà più elevate, e l’impotenza a cui condanna la stessa necessità della sua totale liberazione. Ecco da dove vengono le sue sofferenze. Fino ad allora non poteva provare nulla del genere, perché non si conosceva fino a quelle profondità, e il divino non le lanciava i suoi grandi attacchi dall’alto, lei invoca pietà come il malato sotto i colpi del chirurgo e solleva a Dio il suo rimpianto. Ma Dio continua la sua strada, come il chirurgo; è necessario continuare.
L’ anima ha un’intensa ricerca di sé, non ha nemmeno la consolazione del cieco, che può almeno palpare le pareti. La sua disperazione assomiglia a quella dell’ubriacone che vacilla e immagina che tutti dubitino con lui o prova ancora lo stordimento indescrivibile di un immenso terremoto, in cui tutto crolla e anche sullo stesso pavimento sembra mancare sotto i piedi.
Trova soccorso da parte di Dio?
Lo cerca ma non lo trova, lo chiama e non risponde grida e la sua voce si perde nell’immensità della catastrofe. Tutto gli sfugge, anche Dio stesso..
Ricorda come il nostro Signore sulla croce arriva a non vedere nemmeno il Padre, di cui si sentiva abbandonato:è stato il supplizio più crudele, di cui si è lamentato solo (Mt 27,46). Niente è così angosciante come questo vuoto in cui il più alto vertice dell’anima sembra essere separato dalla propria vita.

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La vita interiore di F. Pollien cap.IX

LA VITA INTERIORE

semplificata e ricondotta al suo fondamento

Dom François Pollien

copertina libro

CAPITOLO IX

RIEPILOGO GENERALE

538. Alleluia. Deo gratias. Amen. – 539. L’unità. – 540. La vita. – 541. Comandamenti alla mia portata. – 542. Via fa­cile. – 543. Preghiera.

538. Alleluia. Deo gratias. Amen. – Al termine della corsa, dando uno sguardo generale ai tre luoghi di idee percorse, io vedo emergere in ciascuna di esse un punto, come un faro luminoso. Nella prima, la gloria di Dio, che predomina come fine; nella seconda, il grazie che apre la via alle operazioni di Dio ed alle mie; nella terza, l’occhiata dell’esame di coscienza, che adatta alla grazia e dirige l’uso dei mezzi.

Per dare a ciascuno la sua veste liturgica, dirò che la prima si sintetizza nell’Alleluia, la seconda nel Deo gratias e la terza nell’Amen.

Alleluia, lodate il Signore, glorificate Dio. Anima mia, elevando questo grido dal tuo intimo, che puoi dire di più per formulare il tuo canto?

Deo gratias, grazie a Dio; grazie per quel che compie e per quello che domanda; grazie assoluto di viva conformità alla sua azione e direzione. Questo grazie è la formula più perfetta per conservarti e spronarti nella tua via, o anima mia.

Amen, col suo duplice significato di assenso e di affermazione. Amen, così sia, per tutte le sollecitazioni e gli impulsi della grazia. Amen, in verità, per dare all’occhiata il suo orientamento e la sua efficacia e porla nella luce di colui che si è chiamato: l’Amen, il testimone fedele e verace (cf. Ap 3, 14). Ecco dunque, anima mia, il motto per farti corrispondere ai mezzi di Dio, per illuminarti circa l’uso dei tuoi.

In queste tre esclamazioni della tua preghiera, tu hai il triplice segnale della tua pietà, che ti rammenta il tutto del tuo fine, della tua via e dei tuoi mezzi.

539. L’unità. – Ed ecco in che modo la pietà è ricondotta all’unità del fine, della via, dei mezzi, di tutto. Non vi è che un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, dice il grande apostolo. Non vi è che un solo Dio e Padre di tutti, che è sopra di tutti e verso il quale dobbiamo elevarci; che è in noi tutti per elevarci a lui; e che si serve di tutte le cose come mezzi per condurci a lui (Cf . Ef 4, 5-6).

Com’è facile a un’anima che ha compreso ciò, progredire con questo mezzo, su questa via, verso questo fine! La pietà così compresa, così liberata dalle molteplici complicazioni, nel cui dedalo ci si smarrisce troppo spesso, non è forse alla portata di tutte le anime avide di perfezione? Essa mi appare grande, è vero, infinita come Dio, ed io vedo un po’ meglio l’estensione di quella sentenza del Salvatore: « Siate dunque perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste » (Mt 5, 48). Quanto è semplice questa grandezza nella sua unità!

540. La vita. – Qui dunque l’unità è dappertutto, come pure la vita. Il capitolo che apre e spiega la prima Parte è intitolato: La vita. In realtà, che cosa ho io fatto nei quattro libri che compongono questa prima Parte, se non meditare sugli elementi, sull’ordinamento, sulla crescita e sul coronamento della mia vita? La seconda Parte mi ha mostrato le vie della vita; i mezzi di essa costituiscono l’oggetto della terza Parte. L’opera intera è intitolata: La vita interiore. Questa, infatti, ho cercato continuamente e senza tergiversazioni. Ho cercato la vita nelle sue sorgenti; ma la vita con Dio, interiore, non la vita di agitazione esteriore, la quale, separata da lui, non è che lo sciupio dell’esistenza.

Mio Dio! da questa meditazione mi sembra di aver attinto un vero desiderio di vivere, ossia di crescere sempre e con tutti i mezzi. Conoscere, ma in voi, per mezzo vostro, per voi; crescere continuamente, senza riposo, fino all’eternità del riposo nella pace.

541. Comandamenti alla mia portata. – « Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire sì che lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire sì che lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica. Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male… Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui » (Dt 30, 11-20).

542. Via facile. – « Ci sarà una strada appianata e la chiameranno Via santa; nessun impuro la percorrerà e gli stolti non vi si aggireranno » (Is 35, 8).

Ecco davanti a me questo sentiero della perfezione, ecco questa grande via della santità. Pochi sono quelli che sanno trovarla (cf. Mt 7, 14), poiché colui che è ostacolato dalla ricerca di se stesso e delle creature non la conosce affatto. Batte le vie molteplici e difficili delle creature, ma ignora la via di Dio (cf. Sap 5, 7). Questa non è difficile; è unica, diritta, breve, facile, sicura. Vi si può camminare senza timore, avanzare senza pericolo. Non si richiede né la sagacia del giudizio, né l’abilità dell’esecuzione. Il più semplice, il più ignorante, il più stolto stesso, non corre rischio di smarrirvisi. Essa è alla portata di tutti. Ascoltiamo dunque tutti il consiglio del saggio Tobia: « In ogni circostanza benedici il Signore e domanda che ti sia guida nelle tue vie e che i tuoi sentieri e i tuoi desideri giungano a buon fine » (Tb 4, 19).

543. Preghiera. – Mio Dio, Padre della mia vita, fate che, in tutta la perfezione accessibile al mio essere, oggi e tutti i giorni della mia vita, docile alla grazia del vostro Spirito Santo e fedele ai miei mezzi di santificazione, resti incessantemente conforme alle disposizioni della vostra Provvidenza ed esatto nei doveri del mio stato, affinché per voi prima di tutto, e per voi solo, io cresca in Gesù Cristo, mediante l’operazione della verità nella carità, e mi rallegri della somma ed unica gloria del vostro nome.

Così sia.

ATTENZIONE: Da oggi nella sezione Download è disponibile l’intero libro di  Dom François Pollien “La vita interiore, semplificata e ricondotta al suo fondamento” in formato PDF da poter scaricare.

 

 

La vita interiore di F. Pollien cap.VIII

LA VITA INTERIORE

semplificata e ricondotta al suo fondamento

Dom François Pollien

copertina libro

CAPITOLO VIII

GESÙ CRISTO

532. Invocazione. – 533. L’Incarnazione. – 534. La Redenzione. – 535. La vita mistica del Cristo. – 536. Questo libro è una prefazione. – 537. Non è che una prefazione.

532. Invocazione. – O mio Gesù, finora ho parlato assai poco di voi. Quanto è difficile parlar bene di voi e quanto poco so parlarne io! Vorrei contemplarvi e conoscervi per dire qualche cosa di voi. Ma, come Simon Pietro, lo stupore m’invade e non so far altro che gettarmi ai vostri piedi e dirvi: O mio Maestro, allontanatevi da me che sono peccatore! (cf. Lc 5, 8).

Ho parlato poco di voi e tuttavia non ho cercato qui che una sola, unica cosa: il segreto di divenire simile a voi. Ho cercato le profondità di questo segreto, poiché mi sembra che sia un segreto profondo. Non ebbi affatto l’ambizione di conoscere, come i santi, quale ne sia la larghezza, la lunghezza e l’altezza (cf. Ef 3, 18). Sono troppo piccolo per giungere a queste dimensioni. Ho voluto almeno trovare qualche cosa della profondità, cercare i fondamenti ed i primi elementi della carità, per arrivare, in seguito, a coglierne tutte le dimensioni.

533. L’Incarnazione. – Non mi sono dunque soffermato a contemplare la vostra sacra Persona e, nella sua unità, l’unione della divinità all’umanità. Non sono affatto risalito a questa prima legge della creazione, la cui integrità conteneva e continua a contenere l’idea completa di Dio. Là voi esistevate prima di ogni altra cosa, primogenito di tutte le creature (cf. Col 1, 15); capo del corpo, di cui gli eletti, angeli e uomini, dovevano essere le membra; re del creato, che universalmente era destinato a servirvi ed a formare la vita dei predestinati in voi. Neppure mi sono fermato finora a considerare il mistero della vostra Incarnazione, causa primordiale della creazione, che contiene la pienezza dell’idea creatrice, la forma completa di tutto ciò che sarebbe avvenuto dall’inizio fino alla consumazione dei secoli; luce vera che illumina ogni uomo (cf. Gv 1, 9); luce che lo illumina su Dio, su se stesso e su tutte le cose; luce, non solo di questo mondo, ma dell’eternità; luce che non ha bisogno del sole, né della luna per risplendere, perché il suo splendore è la gloria di Dio, e voi ne siete la fiaccola (cf. Ap 21, 23). Seduto ancora all’ombra, non ho potuto accostarmi all’irradiazione del vostro sole nel suo meriggio; la luce tuttavia mi è venuta da voi, diffondendosi parzialmente sull’incertezza dei miei passi.

534. La Redenzione. – Non ho contemplato neppure il mistero della vostra Redenzione, per mezzo del quale avete restaurato la gloria del Padre vostro e la felicità dei vostri fratelli, degradati dalla prevaricazione; per mezzo del quale ci avete restituita la grazia e la speranza della gloria. Non ho contemplato il sacrificio in cui avete offerto tutto voi stesso, spargendo il vostro sangue per la Chiesa che amate, al fine di santificarla, dopo averla purificata nel battesimo di acqua, mediante la parola di vita, per possederla gloriosa, senza macchia, senza difetti, ma santa e immacolata (cf. Ef 5, 26). Non ho contemplato nemmeno il mistero della sofferenza, iniziata col vostro annientamento nella carne, continuata durante i trentatré anni della vostra vita mortale, consumata sul Calvario; lungo martirio, in cui i vostri occhi hanno versato abbondanti lacrime su tante miserie, il vostro cuore ha accettato molteplici immolazioni, la vostra vita ha subito ogni sorta di umiliazioni e di privazioni, l’anima vostra ha portato il peso di tutti i peccati del mondo, che vi causarono un’agonia di sangue. Non ho contemplato la vostra Passione, con gli inesprimibili tormenti dell’anima e del corpo; la vostra Croce, strumento allora dei vostri ultimi supplizi e ora delle nostre benedizioni; infine, ultima testimonianza di amore dataci dopo morte, la piaga del vostro sacro costato, fonte aperta alla casa di Davide e agli abitanti di Gerusalemme, per lavare il peccato e l’impurità (cf. Zc 13, 1); sorgente divina in cui si alimentano i sacramenti. Non ho contemplato tutte queste munificenze della vostra carità, che soddisfa ai rigori della giustizia e che innalza al disopra di essa la misericordia; ne ho scorto appena qualche piccolo segno. E tuttavia non è proprio questo il grande sacramento della pietà, che è stato manifestato nella carne, giustificato nello Spirito, svelato agli angeli, predicato alle nazioni, creduto nel mondo, elevato nella gloria? (cf. 1Tm 3, 16).

535. La vita mistica del Cristo. – La vita che vivete in noi e che ci fate vivere in voi, quale estensione dei misteri della vostra Incarnazione e Redenzione; l’intimo delle comunicazioni in cui, divenuto nostro ceppo, noi siamo i vostri tralci; questo mistero della Chiesa universale, animata dal vostro spirito, dilatata dalla vostra linfa, che per mezzo vostro dà frutti di santità, prepara quaggiù le glorie eterne, forma nel suo seno i figli dell’immortalità e si avvia verso il numero completo dei predestinati, nei quali risplenderà in eterno la glorificazione voluta dal Creatore; questo termine della Chiesa eterna, in cui voi sarete tutto in tutti (cf. Col 3, 11 ), perché questa sarà la vostra vita manifestata nelle vostre membra; queste meraviglie così nascoste ora, perché troppo intime, così splendide lassù, poiché risplenderanno nella loro luce, così reale, poiché sono le nostre più sostanziali realtà; di tutto questo che cosa ho io considerato? Soltanto qualche barlume. Secondo quanto mi ero proposto in principio (n. 11), io non ho dunque trattato nessuna delle altezze di questi grandi segreti, né di voi, né della Chiesa, né della mia vita, né degli esseri creati.

536. Questo libro è una prefazione. – Ma se non ho visto le vette, ne ho forse toccate le basi o, per lo meno, le ho cercate. L’unione con voi, mio Dio, non è stata preparata ovunque? I suoi fondamenti non sono stati posti? Che ha voluto, che ha cercato la prima Parte? La subordinazione dei miei interessi, anche eterni, all’interesse di Dio; la limitazione del creato e dei suoi piaceri ad un compito esclusivamente strumentale, per il servizio della gloria suprema e della mia felicità in essa (Libro I); l’ordinamento del mio essere e della mia vita nell’unità della pietà (Libro II); la mia crescita per Dio mediante l’eliminazione di ciò che è falso dominio dell’umano (Libro III); le vette dell’unità, in cui mi consumo in Dio mediante la scomparsa di tutto ciò che m’impedisce di essere tutto suo (Libro IV). E così, cercando nel creato soltanto quello che si riferisce e mi conduce a Dio, io giungo finalmente a fondere, senza confonderli, i due oggetti della mia ricerca: la sua gloria e la mia felicità, nell’unità di un fine unico. Unione senza confusione né divisione: ecco lo scopo principale della prima Parte. E non è proprio questa la formula stessa del grande dogma della vostra Incarnazione? « Il dogma veramente centrale del cristianesimo, dice Solov’év, è l’unione intima e completa del divino e dell’umano, senza confusione e senza divisione ». Gli intenti del fine erano dunque tesi verso di voi.

Che cosa hanno cercato gli sforzi della via, nella seconda Parte? Di sottomettere la mia azione alle vostre leggi (Libro I), il mio essere alla vostra azione (Libro II), e, infine, di fondere queste due azioni in una sola, di cui voi siete il motore ed il direttore (Libro III). Anche qui, dunque, tutto si conchiude nell’unione.

Nella terza Parte, infine, gli sforzi del lavoro spirituale che miravano a mortificare le tendenze umane (Libro I) e ad orientare le aspirazioni divine (Libro II), non hanno cercato la loro vita nella vostra grazia? (Libro III). Voi siete dunque il mezzo unico al quale si collega l’economia degli strumenti.

Inoltre, nell’opera intera, quasi ad ogni pagina, le vostre parole non sono state la lampada dei miei passi, la luce dei miei sentieri? (cf. Sal 118, 105). Esse però sono state la mia lampada, non il mio sole; ho seguito solo dei sentieri, non la via regia; ma voi siete stato la mia luce; ed i miei sentieri erano diretti verso di voi.

537. Non è che una prefazione. – Qui si trova dunque la sostanza della vita cristiana, dal suo primo germe fino al suo pieno sviluppo. Ma non si trova che lo scheletro del corpo, l’armatura dell’edificio, le radici dell’albero. O Gesù, voi siete la vite ed io il tralcio (cf. Gv 15, 5). Voi siete il capo ed io sono il membro (cf. Ef 1, 22). Voi siete la pietra angolare, il fondamento (cf. Ef 2, 20), ed io sono una piccola pietra dell’edificio (cf. 1Pt 2, 5). Debbo crescere in voi, essere edificato su di voi, per l’eterna gloria del Padre vostro e Padre mio, Dio vostro e Dio mio. Voi siete il mio fine, poiché in voi debbo con­sumarmi nell’unità. Dovrò dunque studiare la vostra vita eterna in Dio e la vostra vita mistica nella Chiesa, per contemplarvi il mio fine.

Voi siete pure la mia via. Infatti, siete venuto in mezzo a noi a vivere la nostra vita, adempiendo la volontà del Padre che vi ha mandato, per condurci alla vita eterna mediante gli esempi della vostra condotta e le parole del vostro insegnamento. Nessuno va al Padre se non per mezzo vostro (cf. Gv 14, 6). Dovrò dunque studiare la vostra vita mortale ed i vostri insegnamenti, per trovare in essi la mia via.

Nella vostra umanità, avete voluto diventare mediatore fra Dio e gli uomini (cf. 1Tm 2, 5), ossia avete voluto farvi nostro mezzo vitale, meritandoci, con le vostre sofferenze e la vostra morte, le grazie della vita. Dovrò dunque studiare le vostre sofferenze e la vostra morte, per trovarvi i mezzi della mia vita…

Voi siete il ceppo ed io il ramo, voi il corpo ed io il membro. Il ramo vive con l’albero e della vita dell’albero; il membro vive col corpo e della vita del corpo. Così, o Gesù, mia vita, io vivo in voi e di voi. Da voi ricevo il sangue divino e la linfa divina. Da voi attendo la mia crescita.

Voi siete dunque il mio fine, la mia via, il mio mezzo. Voi stesso l’avete detto: « Io sono la via, la verità e la vita » (Gv 14, 6). Dio non mi ha dato con voi ogni altra cosa? (cf. Rm 8, 32). O Gesù, conducetemi con voi in quelle vie della pietà in cui servirò, amerò e vedrò Dio nell’enigma della vita presente e nella luce della vita eterna. Amen. Fiat!

La vita interiore di F. Pollien cap.VII

LA VITA INTERIORE

semplificata e ricondotta al suo fondamento

Dom François Pollien

copertina libro

CAPITOLO VII

LA SANTA VERGINE

527. La Madre della mia pietà. – 528. Ti saluto, o Maria. – 529. Piena di grazia. – 530. Il Signore è con te. – 531. Tu sei benedetta fra tutte le donne.

527. La Madre della mia pietà. – So quanto ho bisogno della grazia e quanto sono debole da me stesso; so a quale profonda umiltà Dio mi chiama e come ne sono lontano. Quando si è davanti a tali altezze e si esperimenta in sé tanta debolezza, conforta il sentire la mano di Dio continuamente presente ed operante. È consolante confidare in questa divina Provvidenza, che, con le opere del suo beneplacito, vivifica la nostra morte, fortifica la nostra debolezza, anima la nostra inerzia, esalta la nostra umiltà. Conforta altresì vedere, proprio all’apice della santità, una Madre incomparabile, che si piega verso di me per sostenermi colla sua mano, incoraggiarmi col suo cuore, dirigermi col suo sguardo! Maria è lassù, vicinissima a Dio, regina dell’umiltà, madre della divina grazia, Madre del mio Dio e madre mia. Ella si china verso di me per dirmi: Sono io la madre del puro amore e del timore e della cognizione ossia della pietà, poiché queste tre cose costituiscono la pietà. Sono anche la madre della santa speranza, poiché la pietà, che io in quanto madre formo e nutro in voi sulla terra, sboccerà pienamente in cielo.

Quaggiù la formazione, lassù il godimento. Sono vostra madre per il tempo e per l’eternità. Ho per voi tutte le grazie, quelle della via e quelle del fine; tutte le speranze, quelle della vita eterna e quelle della forza per conseguirla. Oh! venite dunque a me voi tutti che mi bramate, venite ed io vi riempirò del frutto del mio seno. Il mio spirito, che vi darà la vita, è più dolce del miele, e l’eredità che vi darò è più soave del favo di miele (cf. Sir 24, 13).

528. Ti saluto, o Maria. – O dolce e santa Madre, voglio venire a te; sì, voglio mettere la mia mano nella tua, il mio cuore nel tuo, il mio sguardo nel tuo. Com’è vivo il desiderio e com’è impellente il bisogno che ho di vivere la vita di pietà, i cui tesori sono in te! Ti saluto, Maria, ti saluto Regina, madre della misericordia. Tu sei la mia vita, la mia dolcezza e la mia speranza; ti saluto. Figlio della morte, esiliato dalla vita divina, a te grido, a te sospiro gemendo e piangendo in questa valle di lacrime. Oh! sì, madre e protettrice mia, volgi verso di me i tuoi sguardi pieni di misericordia. Sii la madre mia, produci in me quella vita che non posso generare da me stesso. Questa vita di Dio tu puoi produrla in me, giacché sei la Madre di Dio; puoi produrla, poiché la possiedi in una pienezza incommensurabile, perché Dio ti ha detto di essere la madre mia e ti ha dato per me tutte le ricchezze della vita. Madre del mio Dio, madre della grazia e madre mia, fammi vivere per mezzo di Dio, con Dio, in Dio.

529. Piena di grazia. – Fin dal primo istante della sua Immacolata Concezione, Maria, preservata da ogni macchia, fu adorna di grazie adeguate alla sua vocazione, fu piena di grazia. Durante il corso della sua esistenza terrena, fedele alla sua vocazione, ella ha costantemente riferito all’unica gloria dell’altissimo, ciò che da lui aveva ricevuto.

Nessuna particella del sacro dono andò perduta, nessuna andò sviata, nessuna fu resa inutile. L’immensità dei talenti ricevuti ha fruttificato integralmente, senza che nessuna colpa, nessuna imperfezione, nessuna distruzione, nessuna adesione alle creature sia venuta ad arrestarne lo slancio. Maria, fin dall’inizio, era consumata nello stato di unità ed all’apice della santità. Preservata dalla colpa originale, non ebbe mai bisogno di alcuna purificazione. Nessun dono divino fu mai assorbito in lei dalle necessità dello spogliamento; tutto dunque contribuì ad accrescere il tesoro dei suoi meriti, della sua glorificazione e della sua dilatazione in Dio. Quale vita, quali meriti, quale santità! … Ella fu piena di grazia. In me le malattie dell’anima assorbono tante risorse vitali; in lei nulla fu assorbito. Io lascio passare sterili tanti istanti della mia esistenza. Ella, al contrario, utilizzò nella loro assoluta pienezza tutti gli istanti che Dio le concesse.

Avendo così bene impiegato i doni di Dio, ella può insegnarmi ad utilizzarli. Posta al vertice della via, ella può indicarmi il modo di camminare in essa. Modello perfetto di tutte le virtù, può attrarmi con l’odore dei suoi profumi; madre perfetta, può elevare i suoi figli; specchio di giustizia, può correggere i miei difetti. Oh, sì, posso ben avere confidenza in una tal madre! Dio mi ha fatto suo figlio ed io sono sicuro che la madre mia non lascerà, troppo lontano e troppo indegno di lei, un figlio che desidera amarla, esserle vicino e rassomigliarle. Quanto più ella è elevata e perfetta, tanto più ho fiducia in lei. Le madri non amano di essere separate dai loro figli e perciò ecco a quali altezze ella vuol farmi salire.

530. Il Signore è con te. – Nessuna è madre se non dà la vita. La maternità suppone una comunicazione di vita. Maria è madre ed è Madre di Dio, poiché da lei è nato Gesù che si chiama il Cristo (cf. Mt 1, 16). Ella ha dato la vita a colui che è la vita del mondo. Ella è perciò, in modo eminente, la madre della mia vita, poiché la mia vita è Cristo (cf. Fil 1, 21), il quale è venuto per essere il capo del corpo, di cui tutti i redenti diventano le membra. Egli è il ceppo, di cui io sono il tralcio. Essendo Maria madre del ceppo, è dunque anche madre dei tralci. Per il privilegio della sua divina maternità, Maria è posta nell’intimità divina, al disopra di tutte le creature. Angeli e uomini, tutto è inferiore a lei, poiché nessuna dignità, né angelica, né umana è paragonabile alla dignità di Madre di Dio. Il Signore è con lei ed ella è col Signore in un modo sovreminente. Per essere elevata a tale dignità, Maria ebbe una pienezza di grazia ed una pienezza di umiltà, davanti alle quali vengono meno le grandezze degli angeli e degli uomini. Le grandezze della Madre di Dio!… tutti i secoli le hanno cantate e non hanno detto ciò che sono. Tutti i secoli le canteranno, come ella stessa predisse (cf. Lc 1, 48), ma non diranno ciò che sono. Nessuna creatura potrà mai dire ciò che è la Madre di Dio e qual grazia e quale umiltà l’hanno fatta tale.

531. Tu sei benedetta fra tutte le donne. – Piena di grazia, nel privilegio incomparabile della sua immacolata verginità, entrando nell’intimità del Signore, per il privilegio ancor più incomparabile della sua divina maternità, Maria è benedetta fra tutte le donne per il privilegio della sua maternità umana. La grande benedizione della donna è di essere madre. Maria è madre più di tutte le donne, poiché ella è la madre di tutte le anime santificate. Dio si serve di lei per dare la vita soprannaturale ai suoi eletti. Poiché l’ha fatta distributrice universale della grazia, l’ha stabilita canale delle grazie. Il nostro Padre celeste volle che tutti i suoi favori passassero per il cuore e per le mani di una madre, affinché i suoi figli gustassero tutte le dolcezze della famiglia.

Io appartengo alla famiglia di Dio (cf. Ef 2, 19). Dio, mio Padre, mi dà tutto per mezzo di Maria mia madre. Quale anima oserebbe scoraggiarsi se comprendesse un po’ il cuore del suo Dio ed il cuore della sua madre? Mio Dio, confido in voi; sono certo che voi mi farete santo. Madre mia, benedetta fra tutte le donne, io mi getto nelle tue braccia e per mezzo tuo spero di ottenere la grazia e la forza, la virtù e la vita, la purezza e la gloria. Col tuo aiuto diventerò degno di te e di Dio, degno di cantare con te le lodi del nostro Padre comune e di godere in lui, con te, la beatitudine eterna.

La vita interiore di F. Pollien cap.VI

LA VITA INTERIORE

semplificata e ricondotta al suo fondamento

Dom François Pollien

copertina libro

CAPITOLO VI

I SACRAMENTI

522. Segni sensibili. – 523. I sette sacramenti. – 524. I germi deposti. – 525. I diritti conferiti. – 526. I tesori accumulati.

522. Segni sensibili. – Ecco i grandi serbatoi e i grandi canali della grazia, istituiti da Gesù Cristo per il nutrimento soprannaturale delle anime. Da essi soprattutto si attinge la vita divina, poiché da essi scorre in maggior abbondanza. Piacque al Salvatore usare questi mezzi sensibili, per versare sugli eletti di Dio i torrenti della sua vita. Come in Gesù Cristo, i due estremi sono uniti nei sacramenti. In lui, la natura divina e la natura umana sono unite insieme; nei sacramenti, la grazia divina è unita al segno sensibile che la produce. Perché? Per proclamare ed attuare, da un’estremità all’altra della creazione, la grande idea divina, quella che ha presieduto alla grande opera e l’ha determinata: l’unione. Dio si è unito all’uomo nella persona di Gesù Cristo; ecco il punto culminante dell’opera divina. Egli unisce la sua grazia e l’incorpora a segni materiali: ecco l’estremo opposto della creazione. Così ogni creatura si trova conglobata in una corrente divina. Questa vita soprannaturale, che è così sublime, l’attingo da creature che sono inferiori a me. La sollecitudine dell’amore ha saputo fare per così dire il giro del mio essere, e ricondurmi, dal lato inferiore e materiale, la grazia che deve spiritualizzarmi. Partita dalle altezze supreme, essa scaturisce al disotto di me, per trasportarmi verso le sommità, in cui essa ha la sua sorgente prima.

523. I sette sacramenti. – Vi sono sette sacramenti, ossia sette sorgenti di vita, sufficienti alle necessità divine della mia esistenza terrena. Anzitutto il sacramento iniziatore e seminatore dei germi eterni, il battesimo, che di un figlio di Adamo fa un cristiano, un figlio di Dio, un figlio della Chiesa e dell’eternità. La confermazione feconda i germi battesimali, recando all’anima i sette doni dello Spirito vivificatore. L’eucaristia nutre la pianta sacra di una sostanza che non è altro che la sostanza stessa del Figlio di Dio e del Figlio dell’uomo: nutrimento regale della vita divina nel cristiano, poiché Gesù Cristo ne ha la pienezza.

La penitenza ripara i guasti, guarisce le malattie ed anche la morte, poiché cancella il peccato mortale, che è la morte dell’anima. Meraviglioso rimedio, che guarisce sempre, che non si esaurisce mai, che non inganna mai; sempre facile, sempre pronto, sufficiente per tutte le malattie e per tutte le morti, non esigendo dal malato o dal morto che il sincero desiderio di guarire o di rivivere. L’unzione degli infermi, suprema consacrazione e ultima purificazione della vita terrena, preparazione alla vita eterna, sulla cui soglia l’anima si trova posta. Infine, i due sacramenti sociali per eccellenza; sacramenti, non più dello sviluppo individuale, ma della moltiplicazione sociale: l’ordine che consacra i propagatori della vita divina; il matrimonio, che perpetua la vita umana. Dio ha dato ad ogni vita il potere di crescere e di moltiplicarsi.

524. I germi deposti. – Ho ricevuto i sacramenti ed ho partecipato ad essi; che frutti ho ricavati? Nei sacramenti vi sono tre ricchezze, nelle quali non ho abbastanza fede; ecco perché non ne ricavo vantaggi soddisfacenti. Non ho fede sufficiente né nei germi deposti, né nei diritti concessi, né nei tesori accumulati. Infatti, i sacramenti producono la grazia santificante coi germi delle abitudini che l’accompagnano, la grazia sacramentale con i diritti che le sono inerenti e la grazia attuale con i tesori che ne derivano. I germi deposti. Tutti i sacramenti producono la grazia santificante; il battesimo e la penitenza la causano nelle anime che ne sono prive; gli altri sacramenti l’aumentano; in quale misura? Secondo la capacità dell’anima, poiché i sacramenti hanno, per se stessi, un’efficacia illimitata; sono un oceano da cui si può attingere senza mai diminuirlo; sono la fonte santa che getta sempre per tutti, e da cui ognuno porta via secondo la capacità del recipiente che ha portato. Alla grazia santificante sono connesse le abitudini infuse delle virtù cristiane: germi divini, deposti in principio dal battesimo e ingranditi in seguito dalla linfa dei sacramenti ricevuti. Se avessi veramente la fede pratica in questi germi e in questa linfa, la terra dell’anima mia non resterebbe così sterile ed io produrrei, per la gloria di Dio, ben altri frutti.

525. I diritti conferiti. – I sacramenti producono la grazia sacramentale. Che cos’è questa grazia? E’ un diritto fondato sulla grazia santificante, in virtù del quale posso reclamare e ricevere, a tempo opportuno, i soccorsi della grazia attuale, utili allo sviluppo dei frutti del sacramento. Ogni sacramento ha il suo fine ed il suo frutto; questo fine dev’essere conseguito e questo frutto preservato. Perciò, per il privilegio stesso del sacramento, io acquisto un diritto ai soccorsi necessari per la consecuzione del suo fine. Nei tre sacramenti del battesimo, della cresima e dell’ordine, questo diritto è basato anche su un carattere indelebile. Il battezzato ha diritto ai soccorsi che debbono “preservare la sua dignità di cristiano; il cresimato ha diritto a quelli che mantengono la sua forza di soldato di Cristo; il penitente ha diritto a quelli che mantengono la sua guarigione; chi riceve la comunione ha diritto a quelli che sostengono gli effetti del nutrimento divino; il malato ha diritto a quelli che prolungano la sua purificazione fino all’istante della morte; il sacerdote ha diritto a quelli che sono richiesti per il suo ministero; il coniugato ha diritto a quelli che sono necessari alle immense responsabilità della paternità.

Se sapessi conservare i miei diritti e reclamarli! Certo, se Dio me li dà, non è perché io vi rinunzi. Egli m’impone dei doveri perché li adempia; mi conferisce dei diritti perché me ne serva. Gli uni sono correlativi agli altri; se non uso gli uni non adempirò gli altri. No, non ho abbastanza fede in questi sacri diritti, ne ignoro troppo il valore; non penso né ad avvantaggiarmene, né a farli valere. I miei diritti trascurati fanno avvizzire i frutti dei sacramenti.

526. I tesori accumulati. – Ogni volta che ricevo un sacramento, questo produce nell’anima mia una scossa salutare, in quanto illumina la mia mente, infiamma il mio cuore e irrobustisce le mie potenze. È l’impulso divino dato alla mia vita. Se avessi fede in Dio, nella sua grazia, negli strumenti della sua grazia, sarei io così freddo, così pigro, così restio a ricevere soprattutto i due sacramenti che dovrebbero essere la quotidiana alimentazione e riparazione del mio interno? Tutti i tesori, in fatto di alimenti e di rimedi, si trovano in essi. Tutto m’invita ad usarli: la miseria che io sento, la facilità che mi è offerta, le esortazioni che mi sono rivolte, gli esempi che ricevo, l’esperienza fatta da me e da tanti altri, i desideri della Chiesa e quelli di Dio.

E malgrado ciò sono freddo! Bisogna dunque dire che mi curo poco di vivere per Dio e secondo Dio. O sacri tesori, vi trascurerei io tanto se volessi avanzare nella pietà? Chi pensa ad arricchire non è così indifferente dinanzi allo scrigno da cui può attingere a piene mani. Bisogna che, d’ora innanzi, io abbia una fede più viva, più pratica e più efficace nei germi, nei diritti e nei tesori dei sacramenti.

La vita interiore di F. Pollien cap.V

LA VITA INTERIORE

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CAPITOLO V

LA PREGHIERA

516. Tutti gli esercizi sono produttori di grazia. – 517. Aspirazione ed espirazione dell’anima. – 518. Bisogna pregare sempre. – 519. Domandare nel nome di Gesù. – 520. Perché Dio si fa pregare. – 521. Il compito della preghiera nella pietà.

516. Tutti gli esercizi sono produttori di grazia. – Mi resta ora da considerare brevemente gli esercizi produttori della grazia. Ho già notato (n. 436) che gli esercizi che dispongono la mia anima alla pietà, che l’abituano a rivolgersi a Dio, ad avvicinarsi a lui e a sottomettersi alla sua azione, mi aprono per ciò stesso delle sorgenti di grazia. Che cosa è infatti la grazia attuale, se non un’influsso di luce, di movimento e di forza comunicata alle mie potenze dall’azione divina? Tutto ciò che mi sottomette a questa azione o mi avvicina ad essa, contribuisce ad aumentare, su di me e in me, gli impulsi divini della grazia attuale. Del resto, se il mio interno è purificato dalle sozzure del peccato mortale, ogni atto che mi avvicina a Dio è meritorio di nuova grazia santificante; ogni esercizio pio è quindi, in qualche modo, un canale della grazia.

517. Aspirazione ed espirazione dell’anima. – La preghiera è, in certo modo, l’esercizio più divino e più sostanziale; perché è l’espressione più formale del culto, il mezzo più diretto di avvicinamento a Dio, il canale inesauribile di grazia. È un mezzo universale, alla portata di tutte le anime, in qualunque situazione. È il primo rimedio di chi vuole rialzarsi, suprema potenza di chi è vicino al cielo, strumento di sovrana efficacia per elevarsi, lodare ed ottenere grazie.

Che cos’è la preghiera? È l’elevazione dell’anima a Dio, per glorificare il suo nome e ricevere i suoi doni. Elevazione che avvicina l’anima a Dio, slancio filiale del cuore che ha bisogno di parlare col Padre celeste. In questa elevazione del suo sguardo, del suo amore e del suo sforzo, l’anima ha un duplice movimento: di aspirazione e di espirazione; di aspirazione che attira i doni, di espirazione che si esala nella lode. La preghiera vuol ottenere e vuol donare: aspirare a sé il tutto di Dio, per vivificarsi; espirare il tutto del suo essere e della creazione, per glorificarlo. Piange le miserie dell’uomo e grida il suo nulla; canta le grandezze del Signore ed esalta la magnificenza delle sue opere; esprime i diritti del Padrone ed i bisogni del servo; dice tutto ciò che può essere detto al Creatore dalla creatura. Non è essa così l’espressione suprema della mia vita, il responsorio del mio canto all’antifona della parola creatrice? Dio ha parlato e tutto è stato fatto; io parlo e tutto si compie per il mio bene e da me per la gloria di Dio. Dio ha parlato e le creature hanno ricevuto i suoi doni per benedire il suo nome; io parlo e ricevo le sue grazie per magnificare la sua Maestà. Che atto immenso! Quanto è grande l’uomo quando prega! La preghiera è veramente l’espressione della pietà.

518. Bisogna pregare sempre. – La preghiera è quindi l’alimento vitale della pietà. L’anima pia si nutre di preghiera come i polmoni si nutrono di aria e lo stomaco di cibo. « Bisogna pregare sempre, senza stancarsi », dice il Salvatore (Lc 18, 1); come se dicesse: bisogna respirare sempre senza mai cessare. La mancanza di preghiera è, per la pietà, come la mancanza di respiro per i polmoni; è, in una parola, la cessazione della vita.

Come farò a vivere questa incomparabile vita della pietà e dilatarmi in essa, senza aspirare continuamente l’aria divina ed esalare me stesso in Dio? Sotto qualunque forma io la faccia, con atti interni od esterni, con parole mie o con formule, poco importa; l’essenziale è che io respiri. Questa respirazione non è necessario che si compia sotto questa o quella forma determinata, ma può farsi con ciascun movimento della mia attività vitale. Ogni atto della mente, del cuore e dei sensi può essere una preghiera; non dovrei forse dire che deve essere una preghiera? Si, deve essere perché nostro Signore dice: Oportet, bisogna. E perché sia tale, che cosa si richiede? Che questo atto sia un allontanamento da me ed un avvicinamento a Dio. La vita diventa così una preghiera, e la preghiera diventa vitale. Le formule non sono necessarie se non in determinate circostanze in cui sono comandate, oppure in quanto contribuiscono a mantenere la respirazione divina.

519. Domandare nel nome di Gesù. – La formula della preghiera perfetta, insegnata dal Salvatore stesso, mi ha già mostrato l’altezza e l’universalità del suo oggetto, poiché abbraccia tutti gli interessi di Dio e dell’uomo (nn. 75ss). Debbo ora vedere ciò che m’interessa soprattutto in questa terza Parte, cioè la sua potenza sul cuore del Padre per ottenere la grazia. E l’ottiene in virtù della promessa formale dell’autore stesso della grazia. « In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà » (Gv 16, 23). Gesù ha preso l’impegno solenne in suo nome, ed in nome del Padre suo; tutto ciò che sarà domandato verrà concesso. Ma, dice, ciò che sarà domandato in suo nome. Che cosa significa: in suo nome? Ne dà lui stesso la spiegazione: « Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato » (Gv 15, 7). La nostra dimora in lui ci incorpora a lui, ci rende suoi membri, e come tali ci dà il diritto di domandare in suo nome, di valerci dei suoi meriti, di far valere la sua potenza presso il Padre. Se poi le sue parole rimangono e vivono in noi, ci penetrano dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti, del suo Spirito, il quale pregherà in noi con gemiti inesprimibili (cf. Rm 8, 26), che saranno esauditi, perché Gesù ha offerto per questo le sue azioni, le sue suppliche ed il suo sangue, ossia ciò che conviene alla gloria di Dio ed alla pace degli uomini. Così noi abbiamo il senso divino dei beni da chiedere e dei mali da evitare e preghiamo in nome di Gesù. In queste condizioni la promessa è reiterata e tutto si ottiene.

« Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto » (Mt. 7, 7). Domandate la luce per la vostra mente vi sarà concessa; cercate il calore per il vostro cuore e lo troverete; picchiate alla porta della forza per la vostra azione ed essa si aprirà. Sì, mio Dio, domanderò, cercherò e busserò poiché desidero vivere. Domanderò per me, per gli altri, per tutta la santa chiesa di Dio. Vi sono tanti e così grandi interessi, per i quali debbo pregare. Aumenterò le mie domande, moltiplicherò le ricerche ed i colpi, affinché si attuino in me e per mezzo mio, secondo l’estensione della mia vocazione, i disegni per i quali l’amore vuol impiegare la mia vita.

520. Perché Dio si fa pregare. – Perché Dio si fa così pregare? Perché?… Non bisogna forse che io sia vicino a lui, affinché egli possa elargirmi i suoi doni? Lo scopo della mia vita non è forse di andare a lui? Se non mi avesse imposto l’obbligo di pregare, resterei costantemente in me ed abuserei dei suoi doni, lontano da lui. Spenderei così la mia vita come il figliuol prodigo, e finché mi resterebbe una risorsa da sprecare nel mio allontanamento, non ritornerei a lui. La necessità mi ci riconduce. Quando sento il bisogno e penso alle ricchezze della casa del Padre mio, mi alzo e ritorno, ossia prego (cf. Lc 15, 18). Dio aspetta che io sia vicinissimo a lui per abbracciarmi, ossia per darmi la sua grazia. Ecco perché mi fa attendere prima di esaudirmi. I mezzi dilatori che egli usa talora a mio riguardo non hanno altro scopo che questo avvicinamento più completo. Quanto è buono Dio, allorché mi sforza a pregare ed a pregare a lungo! In tal modo mi eccita ad elevarmi a lui, a stringermi a lui, ad entrare in lui. Mio Dio, quando comprenderò le vostre misericordie e la bellezza della preghiera?

521. Il compito della preghiera nella pietà. – Quale strumento di vita è la preghiera, con la sua triplice potenza di elevazione, di glorificazione e di intercessione!

Di elevazione; specialmente quando si unisce con lo strumento regolatore per eccellenza, cioè con l’occhiata. Mentre questa raddrizza, sorveglia e dirige, la preghiera può, con sicurezza e purezza, elevare, avvicinare e condurre al contatto divino. Con quale efficacia essa stabilisce questo contatto e lo rende progressivamente più continuo, più intimo, più totale!

Di glorificazione. Trasformata a poco a poco nei sensi, nel cuore e nella mente mediante le ascensioni verso Dio ed il contatto con lui, l’anima vive nella sua preghiera una vita più angelica; emula i cori celesti, vuole e può cantare sempre meglio l’inno di gloria di cui essi circondano il trono di Dio: « Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen » (Ap 7, 12),

Di intercessione. Per le sue ascensioni e le sue lodi, l’anima acquista l’onnipotenza di supplica; più essa è vicina a Dio, più è ascoltata; più benedice, più è benedetta. Così la sua preghiera può giungere ad ottenere una catena di grazie, quasi illimitata, per sé e per tutti. Quali e quante correnti crea l’efficacia della vera preghiera in un’anima che sa usare bene questo mezzo! E quali influssi propagati nel corpo della Chiesa intera, da un solo membro animato dal soffio divino!

La vita interiore di F. Pollien cap.IV

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CAPITOLO IV

LA MIA DEBOLEZZA

511. L’appoggio sopra me stesso. – 512. La caduta di san Pietro. – 513. Non stupirmi. – 514. Confidenza. – 515. Le rica. dute.

511. L’appoggio sopra me stesso. – Questa vita nuova mi è data dalla vite, di cui io sono il tralcio; la vita viene dalla linfa; la linfa dalla radice. Senza di essa non ho nulla; null’altro sono che un cadavere. Di che presumere? Di che inorgoglirmi? Se voglio presumere di me, mi separo dal ceppo, arresto la linfa, perdo la vita. Il membro che non può essere pienamente vivificato dall’anima, perde le sue forze, languisce e muore. Non capita ciò alla mia pietà? Ogni volta che, volendo confidare in me, agire da me e contare sulle mie capacità, dimentico di mangiare il mio pane, mi accorgo che i miei giorni svaniscono come fumo, le mie ossa si disseccano come fuscellini, le mie forze languiscono come il fieno, il mio cuore si estenua (cf. Sal 101, 4).

Se sapessi analizzare gli avvenimenti della mia esistenza, vedrei che ogni debolezza e ogni caduta è dovuta a questo oblio delle mie sorgenti vitali, causato dalla confidenza in me. Sono stato debole e sono caduto proprio quando ho voluto camminare da me stesso e abbandonare la mano di Dio. La misura nella quale ho lasciato la sua mano è quella esatta della mia catastrofe. La misura e il segreto di ogni debolezza stanno in questo. L’anima che confida nelle proprie forze cadrà sempre; quella che non si fida di se stessa non cadrà mai.

La misura e il segreto della forza sono anche qui. Quanto a me, dice san Paolo, « mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte » (2Cor 12, 9-10).

512. La caduta di san Pietro. – Qual forza conoscere la propria debolezza e qual debolezza credersi forte! Io sono un nulla, non posso nulla da solo; quanto meglio comprenderò e sentirò questo, tanto più sarò forte. Il più gran santo è colui che comprende meglio il suo nulla. Ad ogni evento e ad ogni cosa, in tutto e per tutto ho saputo abituarmi, dice san Paolo, perché posso tutto in colui che mi dà la forza (cf. Fil 4, 12). L’illusione più ostinata dell’uomo è di voler sempre contare sopra di sé. Questa presuntuosa confidenza non si guarisce se non mediante le cadute, se pur si guarisce.

Che esempio quello di san Pietro! (cf. Mt 26, 33-35. 69-75). Fu necessario che toccasse il fondo dell’apostasia per toccare il fondo del suo nulla e guarire dalla sua presunzione; non sarebbe guarito altrimenti. Le reiterate rimostranze del Salvatore furono impotenti a illuminarlo; tanto è cieca ed ostinata la presunzione! Mio Dio, quante volte sono caduto!… e quante volte ancora!… Giaccio continuamente in quell’abisso di disordine, che è la ricerca della mia soddisfazione a danno della vostra gloria. Vi ricado sempre!… Perché? Perché conto sempre su di me. Presunzione!… Orgoglio!… Le tante cadute mi hanno forse aperto gli occhi?… li aprirò finalmente? Dovrò cadere ancor più in basso, per vedere meglio il mio nulla? Mio Dio! guaritemi e preservatemi dalla presunzione.

513. Non stupirmi. – D’ora innanzi vigilerò per non appoggiarmi mai su me stesso. Come arrivare a non vedere, a non volere e a non fare nulla se non sotto l’influsso della grazia? Certo, non è opera di un giorno; arrivare a questo punto vuol dire toccare l’apice della santità, poiché dove semina solo la grazia miete solo la gloria di Dio.

A causa del fomite della concupiscenza che è in me, a causa delle mie abitudini e soprattutto dell’amor proprio, mi sentirò ancora portato ad appoggiarmi su di me, ad agire senza far conto della grazia, e cadrò. La ricerca della mia soddisfazione mi trascinerà più o meno nel disordine, secondo che avrò più o meno trascurato le mie sorgenti di grazia. Quanto meno mi stupirò, tanto meno mi turberò, fino a non scoraggiarmi più. Lo stupore, il turbamento e lo scoraggiamento dopo una colpa sono frutto dell’orgoglio. Si credeva buono e vedendosi cattivo se ne stupisce. Si credeva bello e, vedendosi deforme, ne è indispettito e turbato. Si credeva forte e, sentendosi debole, ne è scoraggiato. Si ostina a non voler andare alla sorgente che sola dà la bontà, la bellezza e la forza. Ascoltarlo è un male più grande della stessa caduta, poiché è una discesa nella caduta, che impedisce all’umiltà di ricavare, dalla caduta, i frutti di salvezza che essa sa trarre da tutto, anche dal peccato.

514. Confidenza. – Sono caduto perché mi sono appoggiato ad una canna spezzata qual sono io. Mi ci sono appoggiato ed essa mi è entrata nella mano e l’ha ferita (cf. Is 36, 6). Invece di stupirmi, di irritarmi, di scoraggiarmi seguendo gli incitamenti dell’orgoglio, che vorrebbe lasciarmi a terra e rialzarsi lui più robusto, io lo abbatterò mediante un grazie riconoscente, che mi getterà nelle braccia di Dio, il quale guarirà subito la mia ferita, e mediante la sua grazia, mi renderà la bontà, la bellezza e la forza. Parlerò all’anima mia caduta nella colpa e le dirò: « Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio » (Sal 42, 5). In tal modo, le mie mancanze spezzeranno il mio orgoglio e mi serviranno ad avvicinarmi a Dio.

515. Le ricadute. – E’ ancora un’astuzia e una illusione dell’orgoglio il persuadersi, per es. dopo un corso di esercizi, che ormai, grazie alle risoluzioni prese, non vi saranno più ricadute. Ho fatto propositi così belli! Ho preso delle risoluzioni così forti! Mi sento così deciso, così sicuro! « Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti, non sono tornato senza averli annientati. Li ho colpiti e non si sono rialzati, sono caduti sotto i miei piedi » (Sal 17, 38-39). Parole sante quando scaturiscono dalla confidenza in Dio. Ma questo bel fuoco di confidenza sarebbe superbia, se fosse attivato dal soffio dell’orgoglio (n. 361).

Le ricadute ci saranno ancora, finché vi sarà il ritorno su me stesso. Sarò ancora ferito nella lotta o forse atterrato; debbo aspettarmelo, debbo prevederlo. Le strade percorse dalle carovane di schiavi, nei grandi deserti africani, sono disseminate di ossa umane, avanzi dei cadaveri déi poveri schiavi caduti sulla via.

Nel cammino della perfezione, quanta energia si perde nei vari scontri in cui si è avuto la peggio! E, per chi vuol comprendere e distaccarsi da sé, quale lezione in queste cattive riuscite! Lezioni dure, forse, ma che divengono un beneficio per colui, che, invece di scoraggiarsi, vuole attingere nuova luce. Sconfitte del passato e miserie del presente devono dunque servire a convincermi che in me non v’è nulla di mio, ma che tutto ho per la grazia divina: potenza di protezione, fermezza d’appoggio, riparo contro il vento, ombra negli ardori del meriggio, preservazione da inciampi, soccorso nella caduta, elevazione dell’anima, lume degli occhi, salute, vita e benedizione (cf. Sir 34, 19).

La vita interiore di F. Pollien cap.III

LA VITA INTERIORE

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CAPITOLO III

NECESSITA’ DELLA GRAZIA

505. In generale. – 506. Per vedere. – 507. Per volere. – 508. Per agire. – 509. Noi non abbiamo il sufficiente. – 510. Vita nuova.

505. In generale. – Io mi devo elevare fino a Dio. Ma chi può elevarmi a lui se non lui stesso? Senza di lui non posso andare a lui. Nessuna creatura è all’altezza di Dio; nulla può elevarmi fino a lui. Ed io che posso fare? Con le mie sole forze non posso uscire da me stesso. Quando confido nelle mie forze, non esco da me, resto in me, nella ricerca di me. E quando, elevato a Dio, cesso di confidare in lui per confidare in me stesso, ricado in me; è la ricaduta nella ricerca di me; è il disordine.

Dio solo è la mia forza, il mio appoggio, il mio rifugio, il mio liberatore. Egli è il mio sostegno, il mio protettore, la forza della mia salvezza e il mio difensore (cf. Sal 17, 2-3). Io sono la vite, dice nostro Signore, voi i tralci. Colui che resta in me ed io in lui, questi porta molto frutto perché senza di me non potete far niente (cf. Gv 15, 5). Sant’Agostino fa notare che Gesù non dice: senza di me potete far ben poco, ma: senza di me non potete far nulla.

Senza di lui, non posso fare né poco né molto, non posso far nulla’.

506. Per vedere. – Se voglio, in particolare, convincermi della mia impotenza, non ho che da richiamare alla mia mente ciò che debbo fare e cioè: conoscere, amare e cercare Dio come mio fine, e la sua volontà come mia via. Ora, né la vista né l’amore né l’esecuzione, che costituiscono la pietà, sono in mio potere.

La vista di Dio, alla quale sono chiamato dal disegno misericordioso del mio Creatore, è assolutamente fuori della capacità naturale dell’occhio della mia intelligenza. Non parlo soltanto della visione eterna, a faccia a faccia, che sarà la grande beatitudine del cielo e che esisterà solo negli splendori della gloria. Parlo della vista semioscura della fede che penetra i misteri di Dio nella rivelazione della sua parola, della vista soprannaturale di Dio nello specchio degli esseri, e della sua azione nell’enigma dei loro movimenti. Da me stesso sono incapace ad avere il minimo raggio di questa vista.

Noi non siamo capaci, dice san Paolo, di pensare qualunque cosa da noi, come venisse da noi, ma ogni nostra capacità viene da Dio (cf. 2Cor 3, 5). Così, non soltanto non posso avere in me e da me la piena cognizione, ma nemmeno un semplice pensiero, un principio d’idea soprannaturale. Per vedere soprannaturalmente Dio nella sua parola, e l’azione di Dio nello specchio delle cose e nell’enigma dei loro movimenti, bisogna vedere nella luce di Dio. Questa sola dà all’occhio la penetrazione soprannaturale, l’estensione di vista che si chiama fede e con l’aiuto della quale esso scopre i misteri divini.

507. Per volere. – La mia volontà può forse, da se stessa, elevarsi a quell’amore di Dio che si chiama carità, che è la più divina delle virtù divine, l’anima e la vita di tutte le virtù e il vero vincolo d’unione fra l’uomo e Dio? « L’amore di Dio, dice san Paolo, è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » (Rm 5, 5). Esso è l’opera, il dono, il gran dono dello Spirito Santo. So che è Dio che opera in me il volere e il fare (nn. 335-339). So che la volontà e lo sforzo dell’uomo non giungono fino a quel punto, poiché solo la misericordia di Dio opera questa elevazione (cf. Rm 9, 16). La carità è talmente opera della grazia, che i teologi disputano se essa sia o no distinta dalla grazia santificante. Dunque, per volere il bene di Dio, amare la sua gloria, ho bisogno del suo impulso, senza del quale mi perdo deplorevolmente nell’amore di me stesso e delle creature per me. La grazia, che è la luce del mio occhio, a cui dà la vista della fede, è anche il calore del cuore al quale comunica l’impulso dell’amore.

508. Per agire. – Senza la grazia, sono talmente incapace a compiere la minima opera di salvezza, che la pronunzia stessa di una sua parola è superiore alle mie forze. « Nessuno, afferma san Paolo, può dire: Gesù è Signore, se non sotto l’azione dello Spirito Santo » (1Cor 12, 3). Se la semplice invocazione del nome del Salvatore, invocazione meritoria e santificante, che è un atto di pietà, sta ad un’altezza inaccessibile alle sole forze della mia natura, qual è l’opera, qual è l’atto del quale io sono capace? Con la forza di Dio posso tutto (cf. Fil 4, 13), poiché ciò che è impossibile alle mie forze di uomo è possibile a Dio (cf. Lc 18, 27). Con la forza di Dio posso perciò compiere le opere più soprannaturali della mia vocazione; ma con la sola forza delle mie facoltà naturali non posso elevarmi a nessun atto di vera pietà soprannaturale. Le mie potenze hanno bisogno di essere accresciute, sopraelevate dalla virtù soprannaturale della grazia, che le rende atte alle operazioni della vita divina.

509. Noi non abbiamo il sufficiente. – Con le mie facoltà naturali posso vedere, volere ed agire; ma non è affatto questa vista, questo amore e questa ricerca che costituiscono la pietà cristiana, la quale è un’opera essenzialmente soprannaturale, che suppone nell’anima una vita soprannaturale. Gli atti di questa vita soprannaturale si esercitano mediante le mie facoltà naturali, ma unicamente in virtù del principio soprannaturale che le anima. Le mie facoltà prestano alla grazia il concorso della loro azione. La grazia è l’agente principale, il motore essenziale, la causa vitale. Il mio corpo non agisce soprannaturalmente che in virtù della grazia. L’anima produce le opere naturali, servendosi degli organi del corpo; la grazia produce le opere soprannaturali, servendosi delle potenze dell’anima. L’anima non basta, da se stessa, per le operazioni della vita soprannaturale, come non basta il mio corpo per le operazioni della vita umana; entrambi posseggono gli elementi primi e sono come la materia di tale vita; manca loro la forma. Essi non sono capaci, secondo la profonda espressione di san Paolo (cf. 2Cor 3, 5). Nel corpo è impossibile la minima operazione vitale senza l’anima; così, nell’anima è impossibile la minima operazione soprannaturale senza la grazia, poiché la vita del corpo è l’anima, e la vita dell’anima è Dio.

510. Vita nuova. – La pietà è dunque una vita nuova, superiore, una vera creazione di Dio, poiché nulla vi è in me che possa darle origine. Quantunque il mio essere naturale sia elevato a questa partecipazione divina, tuttavia, la vita stessa non ha principio da me, ma è creata da Dio in me.

Una volta creato alla vita naturale, posso compierne gli atti. Una volta creato alla vita soprannaturale, posso fare altrettanto; ma Dio, mediante la sua grazia, li compirà con me, in modo che i suoi atti saranno più numerosi dei miei. Da me stesso sono un nulla, incapace di un’azione soprannaturale come lo sono della mia creazione. E’ la grazia, dice l’apostolo, che vi dà la salvezza mediante la fede; e questa non viene da voi, ma è dono di Dio; né dalle vostre opere, affinché nessuno se ne vanti, perché noi siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per fare le opere buone preparate da Dio in modo che noi possiamo praticarle (cf. Ef 2, 8).

La santa animazione alla pietà ed alle sue opere proviene dunque dal soffio di Dio. Questo è ancora il motivo per cui san Paolo la chiama nuova creatura (cf. 2Cor 5, 17), nuova vita (cf. Rm 6, 4), l’uomo nuovo che è stato creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera (cf. Ef 4, 24). Ciò che qui chiama giustizia e santità vera, altrove chiama: fare la verità nella carità (n. 90); sono questi ancora i tre termini della pietà. Perché io abbia questa nuova vita che è secondo Dio, simile a quella di Dio, questa vita che è la giustizia e la santità della verità, cioè la pietà, bisogna ch’io vi sia creato. Tutto deriva dalla grazia, tutto: verità, giustizia, santità, vista, amore e ricerca di Dio.

La vita interiore di F. Pollien cap.II

LA VITA INTERIORE

semplificata e ricondotta al suo fondamento

Dom François Pollien

copertina libro

CAPITOLO II

LA SORGENTE DELLA GRAZIA

501. I meriti del Salvatore. – 502. L’azione di Dio. – 503. I serbatoi. – 504. La mia azione.

501. I meriti del Salvatore. – Dono soprannaturale, la grazia è essenzialmente gratuita. Se è grazia, dice san Paolo, non è dunque prodotta dalle nostre opere, altrimenti non sarebbe più grazia (cf. Rm 11, 6). Data dal Creatore, perduta per il peccato, è stata riscattata dal Figlio dell’uomo, disceso dal cielo per venire a salvare ciò che era perduto (cf. Lc 19, 10). Questo mezzo divino della vita divina è dato agli uomini da colui che è l’Uomo-Dio e che, essendo Dio, si fece uomo, affinché, partecipando delle due nature, potesse elevare la natura umana alla partecipazione della natura divina. Nell’unione ipostatica delle sue due nature, egli è il vincolo d’unione, il mediatore fra Dio e gli uomini (cf. 1Tm 2, 5). Per mezzo di lui, Dio discende a me; per mezzo suo, io risalgo a Dio. « In lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità » e in lui io sono ricolmo dei doni della grazia (Col 2, 9), frutto del suo sangue. Piacque a Dio far abitare in lui ogni pienezza e, per mezzo di lui, riconciliare ogni cosa, e col sangue della sua croce pacificare ciò che è in terra e ciò che è in cielo (cf. Col 1, 19-20).

502. L’azione di Dio. – Gesù Cristo è la sorgente. Ma, per quali canali scorrono, fino al campo dell’anima mia, le acque della grazia? Ho già visto (nn. 341, 342) che, mediante le operazioni del beneplacito divino, si produce un immenso e perpetuo flusso di grazie. Le creature, che servono di strumento a Dio, sono dunque strumenti di grazia. Nei molteplici contatti che subisco, in tanti modi e ad ogni istante, ricevo una moltitudine di soccorsi soprannaturali, continuamente vari e rinnovantisi secondo i bisogni della vita. Oh, se mi adattassi a questa azione!

E non soltanto le operazioni del beneplacito, ma anche le regole della volontà significata sono per me delle grazie. Nel magistero dottrinale della Chiesa, che salvaguarda la verità; nell’organizzazione sacerdotale, che nutre la carità; nell’autorità disciplinare, che garantisce la libertà, quante grazie vi sono! I soccorsi soprannaturali mi arrivano dunque da ambo i lati della volontà divina.

Questi canali sono continuamente aperti e continuamente scorrono da essi le grazie necessarie. Essi non si arrestano; ma io, purtroppo, posso chiudermi, e allora le grazie che scorrono non entrano in me. Se mi tengo aperto, ricevo, secondo la mia misura, la pienezza di ciò che essi contengono per me.

503. I serbatoi. – Ma vi è di più. Nostro Signore ha istituito dei serbatoi speciali di grazie speciali, di cui basta nominare i due più grandi: la preghiera e i sacramenti. L’uno è alla portata di tutti; ad esso, ciascuno può attingere a suo piacimento, in ogni tempo, senza misura. L’altro è affidato soprattutto alla custodia della Chiesa, che ne ha l’amministrazione e che desidera solo versarne la sovrabbondanza nelle anime. Alla fine del libro si parlerà di questi due serbatoi.

504. La mia azione. – Io non posso, per stretto diritto, meritare la grazia prima, ossia quella che mi giustifica facendomi uscire dallo stato di peccato. Questa grazia è sempre assolutamente gratuita. Fino a tanto ch’essa non ha trasformato il fondo della mia natura, nessuno dei miei atti è proporzionato alla grazia per poterla meritare. Senza dubbio, gli sforzi fatti col solo concorso della grazia attuale hanno un certo merito di convenienza, ma non di stretto diritto, a ricevere grazie più abbondanti.

Al contrario, una volta che la vita divina è comunicata alla mia anima, ogni atto animato da questa vita diventa meritorio di nuove grazie. La grazia attuale e quella abituale possono così essere aumentate ad ogni istante, a misura che io faccio fruttificare le risorse vitali che sono in me.

La vita interiore di F. Pollien cap.I

LA VITA INTERIORE

semplificata e ricondotta al suo fondamento

Dom François Pollien

copertina libro

CAPITOLO I

NATURA DELLA GRAZIA

496. Che cos’è la grazia? – 497. La grazia attuale. – 498. La grazia abituale. – 499. Effetti della grazia santificante. – 500. Le due grazie combinate.

496. Che cos’è la grazia? – La grazia, dicono i teologi, è un dono soprannaturale e gratuito, che Dio fa alla creatura ragionevole, per condurla alla vita eterna. La grazia e come una effusione soprannaturale della virtù di Dio, che eleva l’uomo al disopra di se stesso, e abilita le sue potenze e il suo essere all’unione diretta con lui, per questa vita e per l’eternità. Essa è essenzialmente ed assolutamente soprannaturale, tale che nessuna creatura, né reale né possibile, non ha né può avere per sua natura diritto alla grazia. È al disopra di tutto. Anche per gli angeli, come per la Vergine, nonché per l’umanità santa del Salvatore, essa è un dono gratuito e affatto soprannaturale. Per la Vergine, per gli angeli e per gli uomini, è il mezzo dell’unione con Dio. Per essa, e solo per essa, la mia vita si unisce a quella di Dio, il mio movimento al suo.

497. La grazia attuale. – Vi sono due sorte di grazie: quella transitoria e quella stabile; quella di azione e quella di unione; quella del lavoro e quella della vita: la grazia attuale e la grazia abituale.

La grazia attuale è quella che unisce la mia azione a quella di Dio; è la grazia transitoria della via. In che consiste? Essa consiste in un impulso vitale impresso alle mie potenze, per farle agire con Dio. È una luce che aiuta la mia mente a vedere Dio, e gli esseri secondo Dio. E’ un calore che porta il mio cuore ad amare Dio e le creature per Dio. È una forza che aiuta le mie facoltà di esecuzione a servire Dio e a servirmi delle cose per Dio. Luce, calore e forza soprannaturale: ecco la grazia attuale.

Si chiama così, perché è attiva e spinge all’azione, perché è il soccorso attuale del momento presente; perché, infine, è data e ripetuta ad ogni atto. È come il tocco della mano di Dio, che mi aiuta in ogni azione richiesta dal dovere.

Questo tocco della mano di Dio, se mi previene, per suggerirmi il pensiero, ispirarmi il desiderio ed eccitarmi a cominciare l’atto che debbo compiere, è grazia preveniente. Se, invece, sostiene il mio occhio nella vista, il mio cuore nell’amore e le mie forze nell’esecuzione del dovere fino al suo perfetto adempimento, è grazia cooperante. Per essa si stabilisce e si mantiene il concorso della mia azione con quella divina. La grazia attuale, dunque, risultando dall’azione di Dio per suscitare la mia, sta nel mezzo; è il tratto di unione, il punto di congiunzione tra la mia cooperazione e l’azione divina.

498. La grazia abituale. – Se l’impulso della grazia attuale spinge alla vita, non comunica tuttavia la vita soprannaturale propriamente detta. La sua influenza transitoria non stabilisce la mia anima in uno stato divino. Questo stato è costituito da un’altra grazia, superiore a quella, cioè la grazia detta santificante, perché è quella che conferisce la santità, chiamata anche abituale perché è stabile, resta nell’anima e la costituisce nello stato di grazia.

Che cos’è questa grazia? San Tommaso la definisce un influsso della bontà divina nell’anima, la quale, per questa comunicazione, diventa pura e giusta, grata e simile a Dio, meritevole della vita eterna. Essa è il dono della vita divina, che fa vivere l’anima, la penetra, la trasforma e la vivifica, come l’anima vivifica il corpo.

499. Effetti della grazia santificante. – Essa mi rende puro; cancella le macchie e i difetti della mia povera natura; distrugge il peccato mortale, col quale non può stare assieme; toglie successivamente i peccati veniali, le imperfezioni e tutte le adesioni alle creature; è il grande strumento di purificazione. Mi rende giusto. Per essa, si formano in me le virtù divine, le abitudini soprannaturali. Per essa sono perfezionati i doni ed i frutti dello Spirito Santo e si attuano le beatitudini.

Mi rende grato e simile a Dio. Le adesioni alle creature producono delle deformità che alterano in me la rassomiglianza divina, secondo la quale sono stato creato. La grazia ricompone i tratti di somiglianza, e per essa io ridivento oggetto delle compiacenze eterne.

Conferisce alle mie azioni il loro valore meritorio. Senza di essa, nessun atto ha valore eterno; per essa, ogni atto della mia vita, per quanto piccolo sia, diventa meritorio della beatitudine infinita del cielo.

La grazia quindi edifica la mia vita in Dio e secondo Dio; stabilisce in me la pietà, mi dilata, m’ingrandisce in modo da dare a Dio quella gloria e da guadagnare per me la felicità, che sono il mio fine. Essa è la linfa della vita soprannaturale, che va sviluppando se stessa e me, per mezzo di ogni azione che compio in conformità con la volontà divina e sotto l’impulso della grazia attuale.

500. Le due grazie combinate. – Prima che si realizzi lo stato di santificazione, la grazia attuale eccita, spinge a fare atti che avvicineranno alla giustificazione; essa è allora un avviamento alla vita. Quando si ha già la felicità di vivere della vita divina, la grazia attuale mette in opera le forze di animazione soprannaturale, le esercita, ed esercitandole, le sviluppa. I suoi continui impulsi aiutino incessantemente a progredire, facendo utilizzare le risorse soprannaturali ricevute. Sotto l’influsso combinato di queste due grazie, si forma la pietà; entrambe concorrono all’opera.

L’una, più attiva, dà il movimento; l’altra, più stabile, dà l’inclinazione e la facilità. L’una, più varia, quadra col lato mutevole dell’esistenza; l’altra, più stabile, si addice al lato permanente della vita. L’una, transitoria, è specializzata per l’atto presente; l’altra, più generale, si estende come abitudine fondamentale a tutti gli atti. L’una, più simile a Marta, va e viene secondo le necessità; l’altra, più vicina a Maria, tiene l’anima più aderente a Dio. L’una, estende, aumenta l’energia delle mie facoltà, rendendo in esse possibili gli atti superiori alle loro forze naturali; l’altra, modifica, trasforma l’intimo del mio essere, dandogli un essere nuovo, una vita divina. L’una si unisce più direttamente alla pietà attiva; l’altra più profondamente alla pietà passiva; l’una opera specialmente sulle risoluzioni dei particolari (nn. 370, 480); l’altra sulla risoluzione fondamentale (n. 373) di docilità, cioè nell’accettazione dell’azione divina; e tutte due unite assieme formano la pietà completa. L’una raccoglie i materiali; l’altra li ordina; entrambe costruiscono.

Eccitata e sostenuta, in tal modo, dalla grazia attuale; nutrita, ingrandita e perfezionata dalla grazia abituale, la mia volontà si mantiene nella legge di Dio e vi si esercita giorno e notte. Posso allora paragonarmi all’albero piantato lungo il corso delle acque, i cui frutti appaiono nel tempo stabilito, e le cui foglie non cadono mai. Tutte le mie azioni prosperano per la gloria di Dio e per la mia felicità eterna (cf. Sal 1, 2-3).