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La Chartreuse aux chartreux!

Saint-Pierre-de-Chartreuse,_Grande-Chartreuse,_les_chartreux_en_promenade,_p34_L'Isère_1900-1920

Cari amici, lo scorso 29 aprile vi ho narrato la triste espulsione subita, nel 1903, dai monaci certosini dalla Grande Chartreuse, con il conseguenziale esilio della comunità monastica in Italia, a Farneta.

La certosa di Farneta diventava così la Casa Generalizia dell’Ordine.

Ebbene, dopo trentasette anni di esilio, nel 1940, i certosini poterono tornare in Francia grazie all’audacia del Padre Generale, Dom Ferdinand Vidal.

Ma chi era costui?

Dom Ferdinand Vidal

Clément Vidal nacque a Saint-Vincent-d´Olargues (Hérault) il 30 gennaio 1883. Dopo gli studi al seminario maggiore di Montpellier, fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1907. Decise di enrare nei certosini nel 1913, ed emise la professione alla certosa spagnola di Montalegre l’8 settembre 1914. Fu dapprima maestro dei novizi e poi Vicario di questa casa, fu poi fu inviato in Francia l’8 ottobre 1928, per presiedere alla riapertura della certosa di Sélignac.

Divenne poi assistente del superiore della certosa di Tarragona il 14 ottobre 1929 e poco dopo svolse il ruolo di procuratore della Grande Chartreuse (in esilio). È stato eletto priore della Grande Chartreuse (a Farneta) il 2 marzo 1938. Il 21 giugno 1940, durante la guerra mondiale, riuscì a venire in Francia ed a reinsediare, come vedremo, la comunità certosina alla Grande Chartreuse.

Il ritorno della comunità della Grande Chartreuse fu opera sua, è stato lui a progettarlo ed a realizzarlo. Ha avuto la grande gioia e la pesante responsabilità di riportare i certosini nella culla del loro Ordine.

Il Capitolo Generale del 1967 gli concesse, come vedremo, la misericordia. Dom Vidal morì alla Grande Chartreuse il 3 febbraio 1976.

Ma come si svolsero i fatti che consentirono il reintegro dei certosini?

Il 2 marzo 1938, la comunità di Chartreuse, con sede a Farneta, elesse come Generale dell’Ordine, il suo Procuratore, Dom Ferdinand Vidal.

Le popolazioni dei paesi de Delfinato non si erano mai rassegnate all’allontanamento coatto dei certosini, anzi al contrario mostrarono una toccante tenacia nel preparare e facilitare il loro ritorno.

Nel 1912, un giornalista di Grenoble, il signor Léon Poncet, attirò l’attenzione di tutta la Francia sulla situazione critica della Grande Chartreuse, i cui edifici abbandonati minacciavano la rovina. Questo appello fu raccolto da letterati, artisti, giornalisti, politici che risposero con eloquenti appelli a favore della conservazione del famoso monastero di Grenoble. Tutto questo clamore fece si che Léon Bérard, allora Sottosegretario di Stato per le Belle Arti, stabilì che la Grande Chartreuse e le sue dipendenze fossero classificate tra i monumenti storici. Anche il vescovo di Grenoble, monsignor Caillot, per evitare rigurgiti antireligiosi, contribuì incoraggiando il ritorno dei certosini nella culla del loro Ordine. Il 29 maggio del 1927, a seguito di una imponente campagna di propaganda che coinvolse l’opinione pubblica, si riunirono a Voiron circa cinquemila persone che chiedevano a gran voce la restituzione della “Chartreuse aux Chartreux!“.

Ma a questo movimento per il reintegro vi era l’opposizione politica dei fautori delle leggi antireligiose, che avevano anche previsto di trasformare il monastero in un “Centro universitario estivo”, ciò suscitò indignazione generale e forti proteste.

La rinascita della Grande Chartreuse come casa madre dei certosini divenne nell’opinione pubblica, un obiettivo da raggiungere a tutti i costi ed al più presto.

Gli eventi che fecero seguito ne accelerarono il ritorno, difatti quando scoppiò la guerra del 1939, ed i monaci erano ancora in esilio a Farneta, il governo italiano fece sapere attraverso il Vaticano che se l’Italia si fosse trovata coinvolta nel conflitto, il clero francese non si sarebbe dovuto preoccupare.

Nel maggio 1940 le cose andarono diversamente, sebbene Benito Mussolini avesse ufficialmente assicurato ai certosini francesi la sua personale protezione, se l’avessero richiesta, il Reverendo Padre Dom Vidal non ritenne opportuno ricorrere ad essa. Decise di lasciare l’Italia senza indugio. La Divina Provvidenza aveva creato l’occasione per far recuperare la propria culla all’Ordine!

Inoltre, anche i diplomatici francesi ne consigliarono la partenza.

Il 23 maggio il Reverendo Padre ha inviato al Sig. Georges Mandel, allora Ministro dell’Interno, un telegramma con questo testo lapidario: “Invitato a lasciare l’Italia, con la comunità francese, chiedo a Vostra Eccellenza di mettere a nostra disposizione il monastero della Grande Chartreuse”. Il 29 maggio, Dom Vidal affrontando i rischi di questo esodo, arrivò a Grenoble con un piccolo gruppo di confratelli francesi, e si stabilì vicino a Voiron, a Orgeoise, nella piccola residenza dei Fratelli conversi responsabili della fabbricazione del famigerato liquore.

La risposta a quel telegramma non arrivò direttamente, ma a seguito di varie intermediazioni, vi fu una intenzione verbale che consentì il rocambolesco ritorno.

Essendo l’esercito tedesco giunto a Bourgoin, l’indomito Dom Vidal essendo intenzionato a tornare al monastero prima del loro arrivo, decise di farlo informando il governo della sua decisione e dei motivi che l’avevano motivata.

La sera del 20 giugno, con Dom Bernard e Dom Michel, il Reverendo Padre Dom Vidal arrivarono in automobile a Saint-Pierre-de-Chartreuse, dopo aver attraversato i posti di blocco preparati per fermare i tedeschi in avvicinamento.

Fu così che venerdì 21 giugno, i tre Padri, dopo aver celebrato la Santa Messa nella chiesa di Saint-Pierre-de-Chartreuse, si sono presentati alla porta principale del monastero, accompagnati dal signor Villard, sindaco di Saint-Pierre e consigliere generale di Isère. Su richiesta del sindaco, le guardie hanno aperto, e finalmente i poveri certosini varcarono la soglia del loro convento. Essi si recarono dapprima al cimitero, dove i Padri e Fratelli defunti, sotto la loro croce, attendevano il ritorno e la preghiera dei vivi.

La pia catena fu ripresa dopo trentasette anni di silenzio ed esilio. I Padri si recarono poi nelle loro celle, più povere di quanto non fossero mai state, per riprendere la preghiera che era stata interrotta per troppo tempo in questi luoghi. Il 22, la Messa è stata celebrata nella chiesa del monastero da un commosso ed emozionato Reverendo Padre Generale. Poco dopo, il 6 agosto, a seguito di un accordo sommario, il gruppetto in attesa a Voiron venne ad occupare le poche celle abitabili. La vita regolare riprese presto nella sua integrità, in particolare l’ufficio divino cantato giorno e notte, prima nella Cappella dei Morti, poi, poco dopo, nella chiesa conventuale. Dopo trentasette anni, il deserto è tornato in vita.

Trentasette anni: una breve pausa nei nove secoli di storia della Grande Chartreuse!

Alla fine dell’ottobre 1940 il ministro dell’Interno, per “regolarizzare una situazione di fatto” che considerava “moralmente lesiva della dignità dello Stato”, insistette affinché i certosini presentassero domanda di autorizzazione. I Padri potevano rispondere solo chiedendo il riconoscimento legale, che era stato loro concesso da una legge speciale (21 febbraio 1941). Un accordo (11 marzo 1941) giunse a precisare i “termini di concessione all’Ordine dei Certosini di edifici dipendenti dal demanio noto come Grande Chartreuse”.

Essendo il monastero e gli annessi classificati come monumenti storici nel 1912, la suddetta convenzione ha determinato in particolare le condizioni in cui si sarebbero svolti i lavori di riabilitazione e manutenzione degli edifici, salvaguardando la solitudine e il silenzio dei monaci.

Padre Dom Ferdinand si occupò attivamente di risollevare la certosa dalle sue rovine, prima nel pieno della guerra mondiale, poi attraverso le molteplici difficoltà del dopoguerra. Fu fatto un lavoro considerevole  grazie alla competenza ed alla comprensione dell’amministrazione delle Belle Arti.

Nel 1947 il Reverendo Padre poté finalmente convocare regolarmente il Capitolo Generale presso la Casa Madre, l’ultimo si era tenuto, nella Certosa di Farneta, nel 1938.

Nel 1967, giunto ad una veneranda età a padre Dom Ferdinand, il Capitolo Generale gli concesse la grazia di poter concludere i suoi giorni nel ritiro della cella. Accettando la sua richiesta di dimissioni, di incarico generalizio che si ricorda per essere è stata una dei più lunghi nella storia dell’Ordine, il Capitolo ha voluto esprimergli la sua gratitudine a nome di tutti i certosini: “Vogliamo mostrare la nostra gratitudine al nostro Reverendo Padre Dom Ferdinando, raccomandandolo alle preghiere di tutti e invocando su di lui le benedizioni del Signore. Per ventinove anni rimase a capo dell’Ordine. Per grazia di Dio, ha restaurato l’antica dimora della casa di Chartreuse; e soprattutto ha dato a tutti noi l’esempio di fedeltà, di gentilezza sempre paterna e di ammirevole pazienza ”.

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Il “cardinale della pace” e La Valsainte

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In un precedente articolo, da questo blog, vi ho già parlato del privilegio del cardinale svizzero Charles Journet, che ottenne di essere seppellito nel cimitero della certosa di La Valsainte. Oggi, invece vi parlerò di un altro cardinale che per trentacinque anni è stato sepolto sull’altare maggiore della certosa svizzera.

Ma ciò, come fu possibile?

Proverò ad illustrarvi questa vicenda, che portò il cardinale spagnolo Francisco de Asís Vidal y Barraquer a trovarsi in certosa nel giorno della sua morte.

Egli nacque a Cambrils, a sud di Barcellona il 3 ottobre del 1868. Dopo aver completato gli studi liceali ed in seguito aver conseguito la laurea in giurisprudenza, esercitò la professione forense per qualche tempo, ma nel 1895 decise di entrare in seminario a Barcellona. Ordinato sacerdote il 17 settembre 1899, esercitò il ministero nella curia della sua diocesi. Il 10 novembre del 1913 fu consacrato vescovo titolare di Pentacomia e l’anno successivo nominato amministratore apostolico della diocesi di Solsona. Il 7 maggio del 1919 fu inviato alla sede arcivescovile di Tarragona. Nel concistoro del 7 marzo 1921 Papa Benedetto XV lo elevò al rango di cardinale.

Durante la sua attività, in Spagna vi furono eventi politici che ne determinarono il corso della sua esistenza. Fu dapprima accusato ingiustamente di essere catalanista e quindi avverso alla monarchia, mentre successivamente, allo scoppio della guerra civile nel 1936, conobbe personalmente gli orrori della persecuzione anticlericale. Il 21 luglio 1936 lasciò il suo palazzo arcivescovile e fu trasferito a Poblet, dove fu arrestato due giorni dopo da elementi della FAI (Federazione Anarchica Iberica) e imprigionato a Montblanch, ma riuscì a farsi liberare ed il 30 luglio si imbarcò a Barcellona per l’Italia, passò per Roma e in seguito si stabilì nella Certosa di Farneta, vicino Lucca, dove vi rimase fino al 1939. Trascorse un periodo tra le mura certosine, dedicandosi al silenzio ed alla preghiera, riuscendo a conciliare i suoi impegni.

Il “cardinale della pace”, come era ribattezzato Vidal y Barraquer si rese protagonista di un episodio che lo costrinse a rimanere in esilio per il resto della sua vita terrena. Difatti egli si rifiutò di firmare la lettera collettiva dell’episcopato spagnolo che rappresentava l’approvazione di una delle due parti in lotta. Il suo atteggiamento pastorale non gli permise di escludere nessun cittadino spagnolo dalla sua attività a favore della pace. Il cardinale addirittura si offrì come ostaggio per evitare gli eccessi dei suoi compatrioti. Per questa sua decisione, il governo del dittatore Francisco Franco si oppose al suo ritorno a Tarragona, una volta terminata la guerra. E’ singolare che nonostante la lontananza forzata dalla sua diocesi, Papa Pio XII non chiese mai le sue dimissioni, tenendolo sempre a capo dell’arcidiocesi. Si narra che gli inverni li trascorreva a Farneta, mentre nel periodo estivo si recava alla certosa svizzera di La Valsainte. A causa delle turbolenze della guerra mondiale, decise di rimanere nella certosa elvetica ritenuta più sicura poichè sita in territorio neutrale.

Lunedì 13 settembre del 1943, all’età di 74 anni il cardinale Francisco de Asís Vidal y Barraquer, morì in esilio.

Cardinale Vidal

La cerimonia funebre fu caratterizzata da una solenne semplicità, il Padre Priore Dom Nicolas Barras e tutta la comunità certosina di La Valsainte si strinsero al feretro da loro composto, alla presenza di pochissimi amici, tra cui monsignor Charles Journet. Successivamente le spoglie mortali del cardinale furono sistemate sull’altare maggiore della chiesa della certosa, dove rimasero per trentacinque anni. Difatti, nel suo testamento egli espresse il desiderio che le sue spoglie potessero essere trasferite un giorno nella cattedrale di Tarragona, e sepolte vicino alla tomba del suo vescovo ausiliare, Manuel Borrás. Queste volontà testamentarie furono finalmente esaudite il 13 maggio del 1978.
Questa storia che vi ho voluto narrare fa luce su un personaggio dedito alla pace che visse in un periodo tormentato da violenze e persecuzioni, e che trovò ospitalità presso i certosini.

altare dove riposavano i resti

Oggi a La Valsainte vi è una targa che ricorda quella particolare sepoltura con l’iscrizione: “Ho amato la giustizia e ho detestato l’iniquità; ecco perché muoio in esilio. 13 settembre 1943 “. D’altronde va ricordato che il motto episcopale del cardinale Vidal era: diligite alterutrum” (“amatevi l’un l’altro”).

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La “casa rifugio” a Zepperen

Zepperen 1

Oggi vi parlerò della “casa rifugio” a Zepperen, della comunità certosina di Glandier, la quale svolse attività monastica in certosa fino al 1901, anno in cui una nuova legge impose la spoliazione, obbligando così i monaci ad abbandonarla.

Al 1 ° luglio 1901 a Glandier c’erano 37 religiosi, di cui 21 padri e 16 fratelli. Dom Pierre Ligeon, il priore ricevette il 22 agosto un invito dalla Grande Chartreuse per discutere con gli altri priori sulle misure da adottare contro quella odiosa legge.

Fu deciso che la comunità di Glandier doveva trovare un nuovo luogo dove recarsi, al di fuori dei confini francesi. Furono fatti vari tentativi, in Belgio, nei Paesi Bassi, in Spagna ed in Italia. Vano fu anche il tentativo di insediarsi nella antica certosa olandese di Roermond.

Alcune settimane dopo, Dom Albert Courtray, che era stato nominato il 2 novembre 1900. procuratore di Glandier individuò in Belgio, e precisamente in prossimità della cittadina di Sint-Truiden, nella provincia del Limburgo, in Belgio un castello da poter acquistare. Dopo una prima missione esplorativa di due monaci sul luogo, avvenuta il 19 settembre del 1901, fece seguito, poichè sollecitati ad abbandonare la certosa, un primo gruppo di confratelli, composto da Dom Mansuetus Bretoneiche, antiquior e responsabile del gruppo, Dom Auguste Hastraffer, Dom Alexis Sirois, Dom Ephrem Bruneel, Dom Pierre Anthouard e del fratello converso Jacques Marti, il 23 settembre raggiunse Zepperen. Con la partenza di questo primo gruppo terminò l’attività monastica a Le Glandier! Il 25 settembre giunse un nuovo scaglione che comprendeva altri dieci religiosi. Il vicario, Dom Hilaire Legrand, Dom Jean de la Croix Dufaître, Dom Félix Charvot, Dom Jean-Baptiste Lefebvre, Dom Léonce Choquette, Dom Basile Romans, Dom Grégoire Boutiron, Dom Gervais Gatineau, ed i fratelli conversi Georges Nora e Placide Scholastic.

Il giorno successsivo, giovedi 26 settembre un terzo gruppo guidato da Dom Joël Girandier, coadiutore, e composto da Dom Joseph de Cussé, Dom Hilaire Aurit, e dai Fratelli Michel Michel, Julien Lopez, Martin Rougemaître e Bernardin Escot si aggregò a Zepperen.

I fratelli del noviziato, Joseph Casnelnaud, Irénée Petit e Bruno Zurbach, erano stati promessi alla certosa di Montalègre in Spagna, pertanto lasciarono Glandier il 27 settembre in abiti civili.

Rimase l’ultimo gruppo, composto dal Padre priore, dal sacrestano Dom François d’Assise Marechal, dal Procuratore, Dom Albert Courtray e dai fratelli Alphonse Allen, Emmanuel Bélenguer, Victor Léonard, Hubert Bleylevens e Jean-Marie Raset, partì il 30 settembre da Le Glandier, lasciando definitivamente vuota la certosa.

Purtroppo, il frettoloso trasferimento non aveva consentito l’idonea trasformazione del castello di Zepperen alle necessità della vita monastica certosina. Dopo le pratiche burocratiche di acquisizione, non si era riusciti a rendere agevole la quiete monastica.

Il solerte Padre priore, riuscì già dal2 ottobre a recitare l’ufficio notturno in una cappella improvvisata, mentre i confratelli risiedevano in stanze che nulla avevano a che vedere con le loro amate celle. Piano piano, con grande pazienza e sacrificio, i monaci tutti dovettero adattarsi a quella difficile situazione, che non garantiva loro l’ideale isolamento e solitudine per svolgere la vita claustrale a cui erano abituati.

Zepperen interno

Breve fu la durata di quel soggiorno forzato, difatti il Capitolo generale del 1905 fu deciso di sopprimere Zepperen che rimase soltanto “una casa rifugio”, poichè non riuscì mai a garantire il silenzio e la solitudine cercata. Tra il maggio e l’agosto del 1905, i religiosi partirono per le certose a cui erano stati destinati, abbandonando per sempre il castello di Zepperen. Ma che ne fu di questa casa rifugio? Dopo un tentativo di insediarvi la comunità certosina femminile di Gard, come vi ho descritto in un precedente articolo, questa proprietà certosina fu venduta il 24 luglio del 1920 ai Padri Assunzionisti. Oggi, l’antico castello ospita l’Istituto Sint-Aloysius, ovvero un campus universitario.

Ho voluto narrarvi le vicissitudini di questi confratelli certosini alle prese con i trambusti derivanti da odiose leggi anticlericali, che videro turbata la serenità della loro vita eremitica.

Zepperen aerea

-Zepperen oggi

I Priori Generali sepolti in Italia

Nell’articolo di oggi voglio parlarvi della inconsueta sepoltura di tre Priori Generali dell’Ordine certosino. Difatti, contrariamente al solito, ovvero che colui che ricopre l’incarico di Priore della Grande Chartreuse è allo stesso tempo Priore Generale, e quindi alla fine dei suoi giorni è seppellito nel cimitero con le croci di pietra ad essi dedicato (nella foto).

Ma cosa ha impedito questa consuetudine?

A seguito della ignobile espulsione subita dai certosini della Grande Chartreuse il 29 aprile del 1903, frutto di odiose leggi anticlericali andate in vigore in Francia a seguito della Rivoluzione e che si concluderanno con la definitiva separazione tra Stato e Chiesa avvenuta nel 1905, la comunità espulsa trovò rifugio nella certosa di Farneta.

Fu così che il 10 novembre del 1903 l’Ordine certosino dovette riacquistare la certosa di Farneta, nel frattempo diventata proprietà privata. Difatti, l’eremo certosino toscano nel1806 a sua volta era stato soppresso, come tutti gli ordini religiosi dello stato lucchese, ed anche i certosini di Farneta furono così costretti ad abbandonare il monastero.

I monaci della Grande Chartreuse espulsi dalla Francia poterono così trasferirsi “in esilio” a Farneta. La certosa di Farneta diventava così la Casa Generalizia dell’Ordine ed in essa vi furono trasportati, tra l’altro l’importante archivio e la grande biblioteca provenienti dalla Grande Chartreuse..

Ma la piccola certosa, in disuso da un secolo, non era pronta per tornare alla sua antica destinazione. Si rese necessario l’ampliamento della casa per poter accogliere i Priori del Capitolo Generale e per ospitare la comunità della Grande Chartreuse. Un lavoro considerevole fu intrapreso e svolto con rapidità, nonostante le numerose difficoltà La vecchia struttura della certosa fu completamente rispettata e restaurata ed il numero delle celle fu triplicato, l’intero chiostro prese la graziosa forma di un immenso colonnato rettangolare, la cui profondità ricorda in qualche modo il chiostro della Grande Chartreuse. Sul fronte furono costruiti due grandi edifici, uno per gli ospiti e per i Priori ospiti del Capitolo Generale, l’altro per i Fratelli e per le obbedienze.

Nel 1903 e nel 1904, non potendo convocare il Capitolo Generale a Farneta, il Reverendo Padre ottenne dalla Santa Sede l’autorizzazione a riunirlo presso la Certosa di La Valsainte, in Svizzera. Fu lì che si tenne effettivamente l’incontro del 1904. Fu stabilito che il governo dell’Ordine, con il Reverendo Padre ed il Capitolo Generale, avrebbe avuto come sede Farneta.

Nel 1905, per la prima volta, si riunì a Farneta il Capitolo Generale.

Rara immagine del Capitolo generale del 1905 alla certosa di Farneta

Rara immagine del Capitolo generale del 1905 alla certosa di Farneta

I tre Priori Generali a Farneta dal 1903 al 1940

Tre quindi furono i Priori Generali che si susseguirono in questo periodo, e che quindi morirono e non furono sepolti nel cimitero delle croci di pietra della Grande Chartreuse.

  • 1892-1905 : Michele Baglin
  • 1905-1911 : Renato Herbault
  • 1911-1938 : Giacomo Maria Mayaud

Dom Michel Baglin

Alfred – Louis Baglin, nacque a Château-Gonthier (Mayenne), il 15 novembre del 1839. Egli fece la professione solenne nella certosa di Notre Dame de Pres a Montreuil il 3 giugno del 1883. Fu eletto priore di Valbonne, e successivamente, nel 1892 fu incaricato come Priore Generale alla Grande Chartreuse. Ebbe il compito di organizzare le case rifugio, durante l’espulsione subita nel 1901. Rimase in tale incarico fino al 1905, quando decise per motivi di salute di ritirarsi, ottenendo misericordia, gli fu restituita così la pace, il silenzio, la felicità nascosta e raccolta della vita di un semplice religioso, interamente consacrato a cercate solo Dio. Scelse di ritirarsi alla certosa di Calci, Si narra che un anno dopo, alcuni Priori, venuti al Capitolo Generale e di passaggio a Pisa, si fermarono per alcune ore nella certosa dove si era ritirato Dom Michel, volendo salutare di passaggio il loro ex Generale. Era l’ora del lavoro manuale e lo trovarono nel suo giardino, con un grembiule da lavoro, la vanga in mano, calzato con zoccoli terrosi e copiosamente sudato! La vita certosina ha questi contrasti e questa semplicità…

A Calci terminò i suoi giorni terreni il 20 gennaio del 1922 dove fu sepolto.

Dom Renè Herbault

René-Marie Augustin Herbault nacque a Fontevrault, nella diocesi di Angers, il 2 febbraio del 1844. Entrò nella Grande Chartreuse e fece la professione il 22 gennaio del 1868. Successivamente fu nominato Procuratore Generale a Roma, fu dunque eletto il 3 maggio 1905 Priore Generale della Grande Chartreuse esiliata a Farneta, come successore di Dom Baglin. Nessun fatto esterno molto saliente contraddistinse il suo generalato, egli è ricordato come un padre pieno di gentilezza. Religioso esemplare, con una modestia pari solo alla sua pietà, Dom René non ebbe la fortuna di vedere riaprire la Grande Chartreuse. Morì in carica il 14 dicembre 1911, dopo una brevissima malattia, e fu seppellito nel cimitero di Farneta.

Dom Jacques Mayaud

Pochi giorni dopo la morte di Dom René Herbault, si elesse Priore e Generale dell’Ordine Dom Jacques-Marie Mayaud, nato a Saumur, nella diocesi di Angers, il 28 novembre del 1855, e professo a Valbonne il 21 novembre 1887. Al momento dell’espulsione del 1903, Dom Jacques era al fianco di Dom Michel Baglin, di cui era lo scriba. Quando Dom René fu eletto Priore Generale nel 1905, Dom Jacques lo aveva sostituito a Roma come Procuratore Generale. Divenuto a sua volta Reverendo Padre nel dicembre del 1911, conobbe i tumulti della prima guerra mondiale. Dal 1915 al 1918 gli fu impossibile, nel blocco universale delle comunicazioni, convocare il Capitolo Generale.

Dom Jacques diresse e svolse in prima persona, l’opera di adeguamento degli Statuti certosini al nuovo Codice di Diritto Canonico, opera richiesta dalla Santa Sede. Nel 1930, Dom Jacques preparò anche con il Capitolo Generale, una nuova edizione dell’Ordinario o Cerimoniale Certosino.

Le sue infermità lo costrinse, all’inizio del 1938, a chiedere alla Santa Sede di accettare le sue dimissioni. Ottenne con soddisfazione misericordia il 19 febbraio. Dom Jacques morì il 29 ottobre dello stesso anno, e fu seppellito nel cimitero della certosa di Farneta.

Per completezza…

Il 2 marzo 1938, la comunità di Grande Chartreuse ospitata a Farneta elesse a Generale dell’Ordine, Dom Ferdinand Vidal, già procuratore dal 1930. Questi ebbe la pesante responsabilità seguita dalla grande gioia di riportare i certosini nella culla del loro Ordine, ma questa è un’altra storia che presto vi racconterò.

Soltanto nel 1940 la comunità poi poté rientrare in Francia, fatto che fu accelerato anche per l’ingresso in guerra dell’Italia contro la Francia. Con decreto della Santa Sede del 3 agosto 1940, la certosa di Farneta fu così costituita Casa regolare con proprio noviziato.

La “casa rifugio” di Burdinne

Burdinne castello

Oggi voglio raccontarvi la travagliata storia della comunità monastica femminile della certosa francese di Notre Dame du Gard, fondata nel 1870 nei pressi di Amiens. Purtroppo, a seguito di nuove leggi anticlericali le consorelle certosine furono espulse e costrette ad abbandonare la certosa. Nel 1903, Dom Dosithée Baudechon, direttore della tipografia situata nella certosa di Tournai aveva acquistato nel 1903, per l’Ordine, un castello di proprietà della famiglia Douxchamps-Zoude, situato nella piazza pubblica nel centro del paese. Fu così che il 12 ottobre del 1906, la comunità di trentatrè religiose, composta da 22 monache, 9 sorelle converse e due sorelle donate, partirono da Le Gard per giungere a Burdinne, in Belgio, dove ricevettero asilo. Qui ripresero la loro vita claustrale nella nuova struttura che conservava il nome di “Notre Dame du Gard”, ma venne però tecnicamente considerata una “casa rifugio”. Dopo qualche anno, nel 1909 fu deciso di aprire un noviziato, mentre il Capitolo Generale del 3 ottobre del 1919, prese la decisione di trasferire le monache da Burdinne a Zepperen nella casa di rifugio della certosa di Glandier, poi fu invece annunciato che le consorelle sarebbero rimaste ancora a Burdinne. Soltanto nel 1920 la nuova priora Madre Marguerite Gouzien, espresse il desiderio di lasciare Burdinne e di fondare una nuova certosa autonoma. A metà giugno del 1927, il Priore Generale Dom Giacomo Maria Mayaud, chiese alla priora di visitare un edificio nell’Aveyron. La struttura parve abbastanza idonea alle esigenze delle monache, e dunque fu deciso di acquistarla. I lavori per la nuova certosa iniziarono immediatamente, pertanto il 3 aprile del 1928, le certosine di Burdinne partirono per insediarsi a Nonenque. Questa era una antica abbazia cistercense riadattata agli usi certosini, le consorelle provenienti da Burdinne si trasferirono ed intitolarono la nuova certosa a “Notre Dame del Precieux Sang”. Il peregrinare di questa comunità monastica era finalmente terminato, ancora oggi Nonenque è una delle due certose femminili francesi dove la vita monastica si svolge nella più assoluta quiete.

Ma che ne fu del castello di Burdinne per anni casa rifugio? Ebbene esso fu venduto e dopo aver avuto diversi proprietari è stato di recente oggetto di restauro.

La vita a Burdinne

Sicuramente non fu facile adattarsi a vivere la vita monastica certosina in un castello situato nella piazza principale del paese e di conseguenza luogo di ritrovo e di chiasso in occasione di sagre e feste. Ciononostante i sacrifici delle certosine furono notevoli, e riuscirono tra tante difficoltà a trascorrere ventidue anni in un luogo poco consono al raccoglimento ed al silenzio certosino. In questo periodo, la comunità che visse questo esilio a Burdinne aveva un’età media di 54 anni, quindi fu un gruppo alquanto giovane. Esse dettero un notevole contributo anche alla popolazione locale, infatti si narra che aiutavano famiglie numerose, davano cibo ai poveri, cucivano, rammendavano calze, riparavano gli abiti a coloro che li introducevano attraverso una “ruota” posta in un locale annesso alla portineria nel cortile del castello. Tutto ciò, non compromise mai lo svolgimento della vita claustrale. Come in ogni comunità femminile vi fu una piccola rappresentanza maschile composta da due padri e e due fratelli conversi. Il padre vicario e il padre coadiutore erano al servizio delle monache per la loro formazione, la loro direzione spirituale e per i sacramenti. I due fratelli laici avevano la funzione di dare un aiuto materiale. Le cronache locali ricordano ancora che un fratello era specializzato nel riparare orologi e l’altro si dedicava con zelo a fare la spesa comprando latte ed uova dai contadini locali.

In questo ventennio le certosine dovettero affrontare anche i patimenti e le turbolenze della prima guerra mondiale. Si narra di un episodio nel quale l’intervento di una di loro risparmiò la distruzione dell’intero paese. Alcuni soldati tedeschi erano stati uccisi in un imboscata in una fattoria, pertanto fu ordinato che per rappresaglia l’intero paese doveva essere dato alle fiamme. Ma grazie ad una monaca presente in certosa di nazionalità tedesca e pare forse conoscente di un soldato germanico, la quale mediò grazie alla conoscenza della lingua e riuscì a dissuadere e rabbonire i militari, che risparmiarono il paese ed i suoi abitanti. La Provvidenza aveva trovato il modo di evitare inutili spargimenti di sangue!

Anche se per soli ventidue anni, la presenza delle certosine fu apprezzata ed ancora ricordata nel piccolo paesino belga.

Papa Pio VI esiliato in certosa

Ritratto_di_Papa_Pio_VI

L’episodio storico che oggi vi racconto riguarda un triste periodo, nel quale, a seguito dell Rivoluzione Francese, il Papa venne esiliato nella certosa di Firenze.

Gian Angelo Braschi salì al soglio di Pietro nel 1775, dopo la morte di Clemente XIV scegliendo il nome di Pio VI.

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Certosa di Firenze entrata dell’appartamento di Pio VI

Egli a seguito della Rivoluzione Francese, si rifiutò di riconoscere i moti parigini, difatti quando ai sacerdoti fu richiesto un giuramento di fedeltà al regime, il papa condannò come scismatica la Costituzione. Le relazioni diplomatiche furono interrotte e la chiesa francese fu profondamente divisa. Il 15 febbraio 1798 il generale Berthier entrò in Roma, proclamò la repubblica romana e, deposto il pontefice (considerato come un capo di stato), lo costrinse a ritirarsi in Toscana. L’esilio del Papa cominciò nel permanere alcuni mesi a Siena, presso gli agostiniani, ma poi fu trasferito nella certosa di Firenze. II primo giorno di giugno del 1798, alle ore 7 partì da Siena per giungere in certosa alle ore 16, dove fu accolto con gran calore ed affetto dalla comunità monastica. Fu ospitato nella foresteria, composta da tre grandi ambienti, oggi detti anche “Appartamento del Papa” in ricordo del pontefice che vi soggiornò in reclusione. Vi si trovano una grande sala, uno studio e una camera da letto, con numerose opere d’arte e oggetti appartenuti a Pio VI. Durante tutto il periodo che egli stette alla certosa, non uscì mai da quel luogo, nel quale non si dava accesso nè ai fiorentini, nè ai forestieri. La sua residenza fu guardata a vista da due commissari francesi. Ebbe rari incontri, i principali vennero immortalati in stampe, che vi propongo in questo articolo e che riguardano la visita di S. A. Ferdinado III Granduca di Toscana, avvenuta il 5 giugno. 

PIO VI 1

 

L’altra visita immortalata, è quella delle maestà Sarde che rendono omaggio al povero Papa. Entrambi le visite si svolgono sotto lo sguardo vigile dei certosini.

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Nel frattempo le sue condizioni di salute peggioravano, difatti la sua paralisi faceva spaventosi progressi, ed egli soffriva moltissimo specialmente a motivo di dolorose vesciche sulla cute. La sua infermità divenne severa al punto che Pio VI perse l’uso delle gambe e non fu più in grado di reggersi in piedi. Sua Santità non potè più aver la consolazione tanto grande di celebrare la S. Messa. L’ascoltava nondimeno ogni giorno, e di tanto in tanto si comunicava alla Comunione del celebrante. Nella mattina del dì 27 marzo, dopo nove mesi e 28 giorni di reclusione, trascorsi in certosa il General Gaultier e il Ministro Rheinard, che avevano assunto il supremo comando della Toscana, si presentarono al Pontefice per notificargli gli ordini ricevuti. Gli agenti francesi, incuranti della salute cagionevole del Papa gli ordinarono bruscamente di lasciare la certosa, per condurlo a dormire fuori Firenze in un albergo, l’indomani lo si fece partire prima dei giorno. Fu scortato da 200 soldati che lo trasferirono, con un estenuante viaggio, attraverso Torino e fu costretto ad attraversare le Alpi lungo sentieri innevati, giungendo a Briançon e poi a Valence. Pio VI morì prigioniero nella cittadella di Valence il 29 agosto 1799.

Pio Vi  riceve l' ordine di lasciare  la Certosa

Pio Vi riceve l’ ordine di lasciare la Certosa

Viaggio avventuroso, passaggio al Moncenisio di Pio VI

Viaggio avventuroso, passaggio al Moncenisio di Pio VI

Nella sua ultima lettera Quoties animo scritta il 13 agosto 1799, pochi giorni prima di morire, scrive queste parole: “Le tribolazioni che ci hanno molto colpito ci avrebbero sopraffatto, se la grazia di Gesù Cristo non ci avesse aiutato”…

Desidero inoltre condividere, ciò che scrisse Giovanni Paolo II, quando asserì che “gli ultimi mesi di Pio VI furono la sua personale via crucis”.

Ho voluto raccontarvi questo triste e drammatico episodio, nel quale i nostri amati monaci certosini furono impotenti testimoni e spettatori, che seppero coccolare il successore di Pietro con dedizione ed amore cristiano.

Morte_di_Pio VI a Valence

Morte di Pio VI a Valence