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Una meditazione sulla Natività della Beata Vergine Maria

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Oggi, nel giorno della Festa della Natività della Beata Vergine Maria vi propongo una meditazione concepita da un Priore certosino e rivolto alla propria comunità. A voi la lettura di questo prezioso testo, su cui meditare!

Hortus conclusus, soror mea sponsa, hortus conclusus, fons signatus.

Sei un giardino recintato, sorella mia, moglie mia, un giardino recintato, una fontana sigillata.

( Cantico dei Cantici)

Essere contemplativo è ricevere la Parola divina) concepirla spiritualmente e mantenere una vita con essa. La Vergine è dunque il modello dei contemplativi, è la madre della verità, come è della bellezza e dell’amore. Sta a noi imitarla come figli generosi e fedeli. Ciascuno dei simboli che ci aiutano a comprendere il mistero della missione di Maria sono anche simboli dell’anima che ama e possiede Dio nella solitudine interiore: Torre d’Avorio, Casa d’Oro, Fontana d’Argento, Specchio di Giustizia, Arca dell’Alleanza. .. Le virtù di Maria, i doni che manifesta e i doni che risplendono in lei, sono per eccellenza le virtù, le condizioni e i privilegi della vita contemplativa. Secondo l’inno che cantiamo alla vigilia di ciascuna delle sue feste, Maria si distingue per la sua dolcezza da tutte le donne, tra tante vergini e madri alle quali Dio ha concesso mitezza, mitezza che, inoltre, è forza e potenza. Ma tutto ciò che è verginale o materno, Maria, la nuova Eva spirituale, lo possiede in alto grado. È stato detto che la mitezza è l’epitome di tutte le virtù cristiane: è fatta soprattutto di pazienza e buona volontà, di rispetto e amicizia per tutte le anime e anche per tutti gli esseri, perché i miti sono anche per gli esseri inanimati. È, in fondo, uno secondo la volontà di Dio, un tenero accordo con tutto ciò che esiste; è anche il primo atteggiamento per esigere, riveduta nella forma che assume, da chi desidera purificare e liberare la propria visione interiore. Non c’è vita contemplativa senza un’enorme pazienza. La luce entra solo nelle anime pacifiche; la tranquillità è la prima disposizione necessaria per rendere trasparenti le profondità dello spirito. L’arte di contemplare le cose divine è un’arte tranquilla. La mitezza è fatta anche di indulgenza e di misericordia, di lucidità che illumina gli esseri nella sua divina chiarezza, fissando da loro solo le ragioni che abbiamo per fidarci e amare. San Giovanni della Croce ha sottolineato chiaramente quanto sia indispensabile questa buona volontà per ogni progresso interiore. La nostra vocazione è tutta verginale e mariana: Maria non ha dovuto condannare il mondo, è stata infranta contro la sua mitezza: così deve essere un’anima contemplativa, la cui missione non è giudicare gli uomini ma riposare in Dio. Un’altra virtù che si ammira in Maria, e che dobbiamo amare sopra ogni altra cosa, è la purezza. Maria è come l’incarnazione della purezza, e la purezza, d’altra parte, è così legata alla sapienza che si potrebbe chiamare la virtù essenziale del contemplativo. Non si tratta solo di combattere i peccati della carne, ma di quella delicatezza di spirito che ci fa riservare alle gioie più alte. Essere puri è: saper stabilire e conservare la solitudine dell’anima con il suo Dio, è ricostituire dentro di sé il Paradiso. Sappiamo come la Vergine Santa sia prefigurata in paradiso per riposarsi, riserva inaccessibile al secolo, luogo di delizie, senza macchie, senza conflitti, dove è posto il nuovo Adamo. Questa figura designa anche l’anima contemplativa, un giardino chiuso dove regna la felicità immediata di ricevere la vita divina in un ritiro paragonabile a quello che senza dubbio regnava agli albori del mondo sulla natura immacolata. Non ci deve essere niente e nessuno tra Dio e l’anima, solo questa libertà verginale del primo momento. Allora avviene e si ripete una nuova creazione: la generazione dell’Uomo-Dio in noi. Cosa possiamo dedurre praticamente da queste brevi riflessioni sulle somiglianze che devono legare la nostra anima a quella di nostra Madre? Decidiamoci di chiuderci alle strane preoccupazioni e, attraverso il raccoglimento, penetreremo nelle sorgenti più profonde del nostro essere e, come Maria, ci riserveremo alle gioie più belle; conserveremo questa gioia attraverso le sofferenze, le separazioni e le tribolazioni, perché raggiunga la sua pienezza, diffonda la sua azione consolatrice e finisca per fondersi nella gioia di Dio che rimarrà come una realtà unica quando la figura di questo mondo sarà scomparsa.

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Festività di San Bruno

Dies Natalis Bruno

Siamo giunti anche quest’anno al 6 ottobre, giorno dedicato alla celebrazione di San Bruno, cari amici ho scelto per voi un sermone capitolare di Dom Andrè Poisson. Il testo, un pò lungo ma molto ricco, fa un eccellente ritratto di Bruno.

Il mio spirito esulta nel Signore”

Il Capitolo Generale ci presenta San Bruno come il canale attraverso il quale, ancora oggi, ci arriva la grazia della nostra vocazione. Questa immagine ci porta a scorgere l’irraggiamento diretto che emana dalla sua persona, il quale ci trasmette il dono di Dio e nello stesso tempo ci rievoca una questione nella quale noi incappiamo ogni tanto: perché lo Spirito Santo non ha ispirato il nostro Padre, nella vita nel deserto, a donarci un insegnamento al quale noi potremmo ricorrere per guidare il nostro cammino?

Il vecchio teologo di Reims, l’uomo che per anni ha commentato la parola di Dio, quest’uomo di cui la grazia prima fu d’insegnare, non ha lasciato ai suoi figli che una corta lettera. Questo è tutto. Dobbiamo constatarlo con disappunto o non sarebbe forse meglio, per il nostro cuore, cercare in questo una volontà di Dio ricca di luce per meglio comprendere e vivere la nostra vocazione?

Cerchiamo, dunque, di vedere se la lettera di Bruno, ai suoi figli della Certosa, ci aiuta a comprendere perché non aveva insegnamenti da donarci sulla via contemplativa.

* * *

La prima constatazione sulla quale vorrei soffermarmi è che questa lettera s’indirizza proprio a noi. Se la confrontiamo con la lettera a Raoul le Verd, che appare più seducente in ragione della densità del pensiero che in essa ci si trova, come non essere colpiti dalla differenza di tono che implica un coinvolgimento totalmente differente del cuore di Bruno, in uno e nell’altro caso.

Il messaggio a Raoul è l’espressione di un’amicizia profonda, di lunga data, provata. La lettera ai suoi fratelli è la scottatura diretta di un amore scaturito dal fondo del cuore di Bruno. La differenza di tono salta agli occhi: per parlare a Raoul occorre essere formale, evitare di offenderlo se ci sono cose dure a dirsi, lo stile è accurato, la composizione è elaborata. Con i suoi fratelli – anche se probabilmente non li conosce tutti – è sufficiente comprendersi a mezze parole. Il cuore parla liberamente, poiché sa di essere in accordo con quello dei suoi corrispondenti.

La lettera a Raoul lascia trasparire una nota d’inquietudine, se non di angoscia, al pensiero che l’amico dei giorni antichi potrebbe, per la sua infedeltà, perdersi definitivamente. Per Bruno è un dovere di coscienza ricordarglielo. Con i suoi fratelli, al contrario, anche se ogni tanto deve raddrizzare qualche deviazione, non è che un’esplosione di gioia, d’allegria: con loro è in famiglia. Egli parla di ciò che vive in comunione con loro.

In breve, Bruno, pur lasciandoci percepire che egli pensa agli uomini molto concreti che vivevano allora nel deserto della Certosa, ci consegna il suo cuore in ciò che ha d’eterno, potremmo dire nel rispetto di chiunque conduce l’esistenza di cui ha gettato il primo seme qualche anno prima sotto l’egida di Sant’Ugo. La sua lettera è dunque proprio destinata a noi.

* * *

Quale aspetto di Bruno essa ci mostra in primo luogo? Egli è un uomo all’ascolto. In qualche modo egli scompare per divenire nient’altro che disponibilità, accoglienza profonda nei confronti dei suoi figli. Tutto ciò che scrive è espressione di questa attenzione intensa agli altri e della reazione immediata di gioia o d’amore che essa risveglia in lui.

Bruno si lascia informare da Landuino: non solamente riceve da lui qualche notizia dei monaci che ha lasciato nelle montagne della Certosa, ma più ancora egli è impressionato dai sentimenti di fierezza, di felicità, d’affetto che il suo successore prova nei confronti dei suoi fratelli. Dal primo momento egli ha percepito il tono di confidenza che regna alla Certosa ed egli comunica in maniera del tutto naturale, poiché è in perfetta sintonia con i suoi fratelli.

Egli si mette dunque all’ascolto di ciò che vivono gli uni, nella loro solitudine stretta, gli altri, nella semplicità della loro obbedienza. Egli li vede, con gioia, restar fedeli al loro ideale, il medesimo ideale che lui stesso aveva fatto loro scoprire. “Ho appreso, – egli dice -; ho inteso Landuino dirmi; odo parlar di voi dal vostro priore e padre amorevolissimo”. (1.1 e 2.1). Bruno si lascia invadere dalla presenza dei suoi figli.

E immediatamente lo si sente all’ascolto di ciò che Dio ha fatto in loro: con più lucidità, senza dubbio, dei suoi stessi figli egli coglie quanto le loro opere buone o degne d’elogio vengono finalmente dal Signore che le ha compiute in loro. E Bruno insegna ai loro figli a mettersi, al proprio turno, all’ascolto dell’Onnipotente, al fine di scoprirlo nelle loro vie. Essi sono amati da Lui: è questa la loro vera ricchezza e non l’inflessibile rigore della loro osservanza, poiché questa viene dalla loro sola buona volontà. “Rallegratevi … della vostra beata sorte e dell’abbondanza di grazie che Dio vi ha prodigato” (1.3).

Bruno, pervenuto alla piena maturità della sua via contemplativa, è un uomo all’ascolto dei suoi fratelli e di Dio, al fine di entrare nel movimento dell’amore.

* * *

L’altro versante di questa piena disponibilità di cuore di Bruno è una tendenza spontanea all’azione di grazia. Scoprendo nei suoi fratelli le meraviglie di Dio egli esulta e, in due riprese, sono le parole del Magnificat che egli prende a prestito per esprimere i trasporti d’allegria da cui è ghermito. Solo l’umiliazione, che egli prova constatando la sua propria miseria, sembra inaridire il suo slancio trionfatore per lodare il Signore.

Perciò egli non può impedirsi d’invitare i suoi figli a rallegrarsi, a proprio turno, davanti alla loro beata sorte. E’ una vera litania di “Rallegratevi” che a loro indirizza. Poi egli compara la loro situazione privilegiata, puro dono gratuito del Cielo, a quella di numerose anime di buona volontà che hanno tentato in tutte le maniere di raggiungere lo stesso “porto nascosto”, senza successo, poiché ciò non era stato loro accordato dall’alto (cf. 1.3).

Il modo in cui egli addestra i suoi benamati fratelli laici a riconoscersi come dei privilegiati del Padre dei Cieli è ancora più delicato e persuasivo. Per coloro “che non sanno né leggere né scrivere, il dito potente di Dio scrive nei loro cuori, non solo l’amore, ma anche la conoscenza della sua legge” (2.2). L’obbedienza autentica che essi praticano con una piena generosità costituisce il frutto di questa divina scrittura deposta sulla loro anima ed essa ne garantisce la verità. Come non si sentirebbero portati anche loro a rendere grazie all’autore di tali doni?

* * *

Una constatazione s’impone davanti a queste reazioni di Bruno. Il suo cuore, che non cessa di volgersi verso Dio per ogni cosa, non sembra che pensare ai suoi fratelli. Il passaggio più impressionante della lettera, a questo riguardo, è la conclusione. Ci si aspetterebbe una sorta di esortazione all’interno della quale egli inviterebbe i suoi fratelli a volgersi verso Dio con più fervore. Niente di tutto questo. Bruno si accontenta di insistere con delicatezza, ma con forza, sulla carità che i fratelli della Certosa debbano manifestare, negli atti, al loro priore malato (cf.3.2-4).

Veramente il cuore di Bruno è tanto infiammato dell’amore di Dio quanto dell’amore per i suoi fratelli. Egli non si sente distratto da uno di questi amori a spese dell’altro. E’ chiaro che il primo e il secondo comandamento non sono che uno in Bruno.

E questo amore non è solamente un sentimento interiore: esso sente l’urgente bisogno di incarnarsi nel concreto della vita. Sia a livello della solitudine che a quello dell’obbedienza, egli riconduce i suoi fratelli all’essenziale della loro vita. E quando si tratta di manifestare amore a Landuino malato, i dettagli pratici non fanno difetto.

Bruno ha incontrato Dio una volta per tutte e la sua relazione d’amore con Lui s’incarna nel vissuto reale. Non si ha assolutamente l’impressione di un uomo che si dispera in un agire esteriore a se stesso. Egli dimora in una comunione d’amore con l’unica sorgente di tutto il bene, fino nei dettagli concreti.

* * *

All’inizio di queste riflessioni ci domandavamo se la lettera di San Bruno ai suoi fratelli della Certosa, nella sua brevità, fosse sufficiente a trasmetterci il solo insegnamento esplicito che da lui potessimo avere. Ora cosa possiamo dire in proposito?

Questa lettera ci è indirizzata. Essa colloca davanti a noi una figura di monaco dai tratti possenti e dal cuore immenso. Egli è innamorato di Dio e dei suoi fratelli senza limite, al punto di dimenticarsi di sé stesso. Il suo amore per il Signore lo rinvia ai suoi fratelli. La sua tenerezza per i fratelli gli fa scoprire, in essi, un altro viso del Signore.

La sua via contemplativa – puramente contemplativa – non si sente appesantita dalla presenza viva e vivace dei suoi fratelli nel suo cuore. Egli non si accontenta di dire che gli è sufficiente amare Dio e che in Lui egli ama il mondo intero. I suoi fratelli sono degli esseri concreti che hanno un posto nella sua interiorità senza disturbare l’attenzione all’Altissimo. Al contrario, essi sono rivelatori del grande Amore di Dio per il solitario: tutta la sua vita contemplativa è fondata sull’armonia interiore ed esteriore, tra solitudine e vita fraterna.

In un secondo tempo, la stessa lettera ci manifesta la convinzione intimamente ancorata al cuore di Bruno: la via che egli ha tracciato nel cuore dei suoi fratelli associa in maniera radicale il dono puramente gratuito che il Signore loro elargisce di una vita di notevole pace, di silenzio e d’obbedienza e, nello stesso tempo, un’osservanza che deve essere austera, fedele, perseverante, stabile contro tutte le seduzioni esteriori.

Bruno non domanda niente di più ai suoi discepoli. Tutto il resto è questione di vocazione personale, chiamata a svilupparsi all’interno di un quadro saldo e ampio che egli stesso ha disegnato.

Senza dubbio la descrizione di questo quadro richiede un po’ di parole. Era necessario che Bruno ne dicesse di più? Non credo. Egli lascia a Dio la sua libertà e all’obbedienza il compito di far fronte alle necessità contingenti. Tutto il resto ci verrà da Bruno attraverso il canale segreto della sua santità.

Nostro Padre San Bruno, insegnaci nel segreto a rallegrarci sempre più della nostra beata sorte e dell’abbondanza dei benefici che Dio ci prodiga grazie a te. Amen.

6 ottobre 1983

Natività della Beata Vergine Maria

A Ghirardi Nativita di Maria Vergine

Per la ricorrenza odierna della Natività della Beata Vergine Maria, voglio offrirvi questa omelia di un Padre priore certosino, rivolta ai suoi confratelli.

 

Miei venerati padri e cari fratelli,

“Il Signore mi ha posseduto all’inizio delle sue vie, prima che formassi una creatura e segnasse il mio posto da tutta l’eternità, dai tempi antichi, prima che la terra fosse.”

La Chiesa applica alla Beata Vergine queste parole di saggezza. Per tutta l’eternità, Dio ha circondato Maria con infinito amore. Colui che sapeva che dopo la Creazione il mondo sarebbe caduto nel peccato, ha contemplato con amore la Vergine il cui libero consenso avrebbe permesso che l’Incarnazione e la Redenzione si realizzassero. Quindi quando, secondo il decreto di Dio, era tempo che Maria ricevesse l’essere e la vita, Dio si chinò su di lei con tutta la sua tenerezza paterna. Lo voleva senza macchia, non contaminato da ogni contaminazione, e lo riempiva di tutte le perfezioni umane in cui la bellezza e la grandezza di Dio si riflettevano il più possibile in una creatura. Alla fine gli diede la grazia santificante che gli avrebbe permesso di entrare nella vita divina.

Sin dal primo momento della sua concezione, Maria aveva quindi, con Dio e con ciascuna delle Divine Persone, rapporti di intimità, rapporti d’amore, germi di quelli che dovevano sbocciare pienamente quando, nel giorno dell’Annunciazione, pronunciò il “fiat” che l’avrebbe resa la madre di Dio.

Durante questo periodo, le tre Divine Persone prepareranno la Beata Vergine per questo ruolo. Innanzitutto il Padre, che gli affiderà il suo amato Figlio e in lui tutta la Creazione, vuole vedere in lei un cuore come il suo. Vuole che lei sia in grado, come lui, di dare e trasmettere amore. Quindi lo illuminerà con la luce della Parola. Gli mostrerà la sua grandezza e le sue infinite perfezioni; poi le rivelerà cosa sono l’uomo e il peccato e la necessità di colmare, con un Messia amorevole e sofferente, l’abisso che separa l’uomo da Dio. Maria vedrà quindi il ruolo dell’amore nel piano divino; si darà a questo amore, che afferrerà sempre di più la sua anima mentre la Parola la illumina di più.

Che nessun altro possa immaginare in questa vita molto nascosta e semplice cose straordinarie, rivelazioni ed estasi; il Vangelo non dice nulla al riguardo. Tutto ci porta a credere che fu solo nelle Scritture che Maria trasse, alla luce di Dio, gli insegnamenti che dovevano prepararla a diventare la madre del Messia. Inoltre, per i cuori puri la Bibbia è sia luce che amore, ed è stato lì che Maria ha trovato i grandi temi di cui ti ho parlato sopra e che dovevano formare il suo cuore.

La Bibbia per prima gli rivelò la trascendenza e la santità di Dio, di questo Dio che non possiamo vedere senza morire, di colui che è “tutto il resto”. Mosè deve avvicinarsi a piedi nudi solo dal luogo in cui, per la prima volta, il Signore gli parla. Questo apparirà in una grandiosa teofania nel Sinai e la gente tremerà. Ma questo Dio che sembra così lontano è ancora vicino alla sua Creazione. Se è davvero l’Onnipotente che, in una sola parola, ha creato i cieli e la terra, ed i Salmi e i Profeti esaltano su ogni pagina, è anche il Dio pieno di misericordia per la sua creatura, colui che “prova piacere nel ringraziare”, “la cui misericordia è eterna”. Ma soprattutto, la Scrittura rivela che Dio è Amore. Lo dice nella tenerezza con cui circonda Israele, il suo amato popolo, che ha scelto e amato con un amore eterno. È allo stesso tempo l’amore di un padre e l’amore di un marito.

Maria, in ogni momento, scoprì così gli attributi divini, si perse nella loro contemplazione e rispose con amore all’amore del suo Dio.

Ma mentre leggeva la Bibbia, Maria scoprì, di fronte alla grandezza di Dio, la miseria dell’uomo. Dall’inizio dell’umanità, ha visto la deplorevole caduta di Adamo ed Eva, ingannata dal serpente e che si abbandonano alla sensualità e all’orgoglio. L’amicizia con Dio è rotta e, ahimè! lo stesso dramma verrà rinnovato con una scala sempre maggiore nel corso dei secoli.

Ricordiamo l’omicidio di Abele, il diluvio e, nonostante le misericordie di Dio, le lunghe infedeltà di Israele nel deserto. Una volta nella terra promessa, il popolo eletto non si corregge, ahimè! Abbandona il suo Dio e si prostituisce alle divinità di Canaan. Come in un coro, nelle Cronache si legge sui re: “Ha fatto il male agli occhi di Yahweh” e David, il migliore di loro, era un adultera e un assassino.

Da tutto ciò, Marie ha sofferto profondamente. Aveva meditato troppo a lungo sulla grandezza e sulla bontà di Dio per non rabbrividire alla vista dell’offesa. Ma ciò che la rendeva ancora più dolorosa era che era stata letteralmente fatta a pezzi. Da una parte profondamente unita a Dio dai legami più puri, sentiva tuttavia solidarietà con la razza umana. Quegli uomini che avevano peccato erano i suoi fratelli. Oltre a ciò, tra i più colpevoli, trovò il nome dei suoi antenati, lo stesso sangue che aveva peccato le scorreva nelle vene. Figlia di Dio, era allo stesso tempo figlia di questo popolo colpevole. Fu una tragedia, una lacrima che prefigurò quella di Cristo, di Dio eppure dell’uomo, che portava i nostri peccati. Doveva condurre Gesù e Maria al Calvario per riparare la nostra razza e riportare tutto all’unità dell’amore.

Maria, che doveva formare l’anima di Cristo, era spezzata e si chiedeva se un giorno non sarebbe venuto dove il mondo si sarebbe riconciliato con Dio e avrebbe riguadagnato la sua unità. E scrutando la Scrittura, ha scoperto il Messia.

Lo vide predetto fin dai tempi antichi, pieno dello Spirito di Dio, principe della pace, irradiante gloria, giustizia ma anche misericordia e amore, non estinguendo lo stoppino che ancora fuma, pieno di gentilezza per i poveri. Lo vide ancora più in profondità in Isaia, sopportando i peccati del mondo e riscattandolo con la sofferenza, divenne l’uomo del dolore.

Mentre studiava il Messia, Maria ritrovò i sentimenti del suo cuore e li sviluppò di giorno in giorno, era già unita a colui che doveva nascere da lei, ed era lì la sua preparazione divina a questo giorno in cui Dio gli affida il suo figlio.

Quindi deve essere di noi. Nella Scrittura dobbiamo scavare la grandezza di Dio, la miseria dell’uomo, l’amore e la scoperta di Gesù. Quindi potrà venire nel nostro cuore che sarà stato preparato come quello di Maria. Ma per questo è necessario leggere le Scritture con questa purezza dell’anima, questo desiderio di Dio che aveva dal giorno della sua nascita, che era la sua vita e doveva essere nostra. Così sia.

Natività della Beata Vergine Maria 1967

 

 

 

 

Preghiamo san Bruno

6Morte di Bruno (Vicente Carducho)

Morte di san Bruno (Vicente Carducho)

Nel giorno del dies natalis del nostro amato san Bruno, ecco per noi tutti una breve e semplice preghiera da recitare con assoluta devozione.

Oh Dio, che hai suscitato San Bruno per essere la luce della Chiesa per la sua dottrina ed il modello dei solitari, fai che io imiti questa profonda umiltà che lo ha portato a fuggire nel deserto per evitare gli onori che gli sono stati offerti; che io abbia questa attrazione per la penitenza, di cui era animato, questa unione perfetta con Te nella preghiera, questo allontanamento dal commercio del mondo, da cui era davvero staccato.

Oh Santo Ristoratore della vita solitaria, prega per noi, affinché seguiamo i tuoi esempi e camminando sulle tue orme nella via stretta, possiamo partecipare alla ricompensa con cui Dio ha coronato i tuoi lavori.

Così sia.

(Un certosino)

L’autore del bellissimo busto del fondatore dell’Ordine Certosino, Bruno di Colonia, è Cosimo Fanzago, già creatore di altri modelli per sculture in argento. Il nome dell’argentiere Biase Monte è invece attestato nei documenti di pagamento del 1638 e 1639. Il santo è ritratto con gli occhi rivolti al cielo in un atteggiamento estatico, con le braccia allargate. La mano sinistra regge un libro, anch’esso in argento, mentre la mano destra sembra dolcemente rivolta ai devoti osservatori.

L’ubicazione originaria è dubbia, di certo dalla cappella del Tesoro negli anni sessanta del Novecento è stata trasferita nella Sagrestia, per essere poi collocata successivamente sull’altare della cappella di San Bruno. Oggi ha trovato definitiva sistemazione nella cappellina privata del Priore, dove attrae con mistico magnetismo.

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Nella immaginetta inviatami dalla certosa di Serra vi è la riproduzione di un piccolo quadro dipinto, evidentemente, per la devozione privata nello stesso arco di tempo, è conservato nel priorato della Certosa. Esso raffigura un San Bruno giovane, senza barba con una aureola luminosa che spicca sul fondo scuro. Potrebbe essere opera di Dom Raffaele Baldegger un monaco tedesco che fu a Serra nel 1907 dove ricoprì la carica di vicario tra il 1918 e il 1932.
Lasciò alla certosa diversi studi, disegni e dipinti di buona qualità pittorica. Il suo lavoro terminò nel 1932, quando la morte lo colse nella certosa di Pavia.

B u o n a   F e s t a  di  S a n  B r u n o 

a

v o i   t u t t i

Per coloro che volessero seguire la S.Messa svoltasi a Serra in onore a San Bruno