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  • Memini, volat irreparabile tempus

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Scriptorium e certosini

guigo

« Ad scribendum vero, scriptorium, pennas, cretam, pumices duos, cornua duo, scalpellum unum …» Guigo

Ho deciso di realizzare questo articolo con l’intento di chiarire un dubbio, o meglio ancora, di stabilire a chi ancora incorre in errore il rapporto dei certosini con lo scriptorium. Innanzitutto, precisiamo di cosa parliamo, per scriptorium si intende letteralmente “luogo di scrittura”, e comunemente questo termine è usato per indicare la stanza dei monasteri medievali europei dedicata alla copiatura dei manoscritti degli amanuensi monastici, prima dell’introduzione della stampa. Uno scriptorium, dunque, era situato in un’area adiacente o annessa ad una biblioteca. In altre parole, la presenza di una biblioteca all’interno di un monastero implicava la vicina esistenza di uno scriptorium.

Ma non nelle certose!

I certosini, difatti, concepivano il loro lavoro di copiare testi religiosi come il loro lavoro missionario per valorizzare la Chiesa, ma la rigida solitudine dei certosini imponeva che il lavoro manuale dei monaci fosse praticato all’interno delle loro singole celle. Furono molti i confratelli certosini che si dedicarono a questo laborioso compito di trascrivere testi, ed anche rilegarli. Per poter svolgere questa mansione, ogni cella era attrezzata con una stanza dedicata a tale scopo, con pergamene, una penna, un calamaio e un righello. Basti pensare, che Guigo nella redazione delle “Consuetudines Domus Cartusiae”, indica con precisione la dotazione personale del monaco certosino in cella. « Ad scribendum vero, scriptorium, pennas, cretam, pumices duos, cornua duo, scalpellum unum …»

Guigo, inoltre, consigliava ai confratelli di stare attenti ai libri che ricevevano dalla biblioteca per copiare:

« Lasciate che i fratelli si prendano cura che i libri che ricevono dall’armadio non si sporchino di fumo o di sporcizia; i libri sono come il cibo eterno delle nostre anime; mi auguro che siano custoditi con la massima cura e realizzati con il massimo zelo»

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Una lettera di Guigo I

"Dom Guigo riceve la visita di San Bernardo alla Grande Chartreuse"

“Dom Guigo riceve la visita di San Bernardo alla Grande Chartreuse”

In questo articolo, voglio proporvi la lettura di una lettera scritta da Guigo I, che come saprete è stato il quinto priore della Grande Chartreuse. Egli poté dare ai certosini le ”Consuetudines Domus Cartusiae” redatte tra il 1127 ed il 1128, non fu un legislatore, ma semplicemente colui che trascrisse l’esempio e le parole del Maestro Bruno. Sono diverse le missive che egli indirizzò ai suoi amici, tra i quali Pietro il Venerabile e Bernardo da Chiaravalle, i quali espressero parole di lode nei suoi confronti. La lettera che vi propongo oggi, fu indirizzata ad un personaggio non identificato, ma presumibilmente il cardinale Haimeric, cancelliere della Chiesa romana. Guigo si rivolge a costui, per esortarlo ad unirsi a lui nella solitudine della vita certosina, e per farlo descrive le peculiarità di tale scelta. Una vita radicalmente consacrata solo a Dio, volta alla ricerca della solitudine del deserto, che implica un assoluto distacco materiale e spirituale dal mondo. Questa lettera fu scoperta dal benedettino Andrè Wilmart, che la pubblicò nel 1936. Essa rappresenta una importantissima testimonianza, poichè si riferisce agli albori dell’Ordine certosino, ed ai primissimi insegnamenti del Maestro Bruno.

Al Reverendo. . .

Guigo, l’ultimo dei servitori della croce che sono in Certosa; vivere e morire per Cristo. In generale, sono convinto che questo sia particolarmente felice, non chi aspira a distinguersi in un palazzo con alte onorificenze, ma chi sceglie di condurre una vita rustica e povera nel deserto, a cui piace indulgere con l’applicazione alla saggezza nel tempo libero (contemplativa), che desidera rimanere seduto, da solo, in silenzio. Perché brillare di onori, essere alti nella dignità, secondo me, è qualcosa di non molto pacifico, soggetto a pericoli, esposto a problemi, sospetto per molte persone, ma sicuro per nessuno. Gioiosa all’inizio, imbarazzata dall’uso, è triste per finire. Applaude gli indegni, dispiace il buono e, il più delle volte, gioca l’uno con l’altro. Mentre rende molti infelici, non dà a nessuno felicità o appagamento. D’altra parte, la vita povera e solitaria, dolorosa all’inizio, diventa facile man mano che si avanza lì e, alla fine, diventa celeste. Nelle avversità è fermo, nell’incertezza sicura, nel modesto successo. Sobrio nel suo cibo, semplice nel suo ambiente, contenuto nelle sue parole, casto nelle sue maniere, molto degno di ambizione perché sei meno ambizioso. Spesso si sente in colpa per i peccati commessi (in passato), evita i peccati attuali e fa da guardia a quelli che verranno. Si fida della misericordia, non si fida dei suoi meriti; aspira ai beni del cielo e disdegna quelli della terra. Cerca con tutta la sua forza costumi puri, è attaccata a loro con costanza e li mantiene perennemente. Si concede il digiuno a causa dell’usanza della croce, ma accetta di mangiare a causa dei bisogni della carne; ha entrambi con la massima discrezione, perché obbliga la ghiottoneria ogni volta che vuole mangiare e la vanità ogni volta che vuole digiunare. Si applica agli studi, ma soprattutto alle Scritture e alle opere spirituali, dove il midollo del significato lo occupa più della schiuma di parole. E ciò che ti sorprenderà, e ciò che loderai di più, è che in questo modo è continuamente nel tempo libero contemplativo (in ozio) perché non è mai inattiva (oziosa). Infatti, moltiplica le funzioni del suo servizio così tanto che manca spesso il tempo rispetto all’occupazione (negoziazione) delle sue varie attività. E lei è seconda più spesso per mancanza di tempo che disgusto per il lavoro. Ma cos’altro posso dire? È un bel soggetto consigliare il tempo libero contemplativo, ma una tale esortazione richiede uno spirito che appartiene a se stesso e che, consapevole di se stesso, disprezza essere coinvolto negli affari pubblici o in quelli degli altri, che combatte in pace per Cristo, in modo che si preoccupi di non essere sia un soldato di Dio che un difensore del mondo, il quale dà per scontato che non può gioire ora con il mondo e regnare in futuro con Dio. Ma piccole sono queste cose e altre simili, se tu ti ricordi chi ti ha invitato a bere, e colui che ti invita a regnare. Volente o nolente, devi seguire l’esempio di Cristo nella sua povertà se vuoi partecipare a Cristo nella sua ricchezza. “Se soffriamo con lui”, disse l’apostolo, “regneremo anche con lui; se moriamo con lui, vivremo anche con lui. »(II Tim., 2, 11-12, cfr. Rom., 8, 17). Lui stesso, dopo essere intervenuto anche tra i due discepoli che hanno chiesto di sedersi uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra, ha risposto: “Puoi bere il calice che sto per bere?” (Mt., 20, 22). Con ciò intendeva dire che si arriva al banchetto promesso ai patriarchi e al nettare delle ciotole celesti dal calice dell’amarezza terrena. Ma poiché l’amicizia nutre la fiducia e tu, il mio unico amico in Cristo, mi sei sempre stato caro non appena ti ho conosciuto, ti consiglio, ti avverto, ti chiedo, poiché tu sii prudente, saggio, istruito e molto abile, per rimuovere dal mondo questo piccolo della tua età che non è ancora consumato e non tardare a bruciarlo per Dio, come un sacrificio serale, mettendolo sul fuoco di la carità. Quindi sarai te stesso, seguendo l’esempio di Cristo, sacerdote e anche vittima di un odore gradevole per Dio e per gli uomini. Ma affinché tu possa vedere meglio dove sta arrivando tutto lo slancio di questo discorso, indico brevemente alla saggezza del tuo giudizio qual è il desiderio della mia anima contemporaneamente al suo consiglio: quello in un uomo con un’anima generosa e nobile, ti impegni a seguire lo scopo del nostro ordine in vista della tua salvezza eterna e che, essendo diventata una nuova recluta di Cristo, guardi montando una guardia divina, nel campo dell’esercito celeste, dopo aver cinto l’anca la tua spada, a causa delle paure della notte. Poiché ciò di cui si tratta e ciò che ti chiedo è una cosa onesta nella sua impresa, facile nella sua realizzazione, favorevole al suo completamento, ti prego di portare a compimento un tale “affare” legittimo come molti lo zelo che il favore della grazia divina ti concederà. Per quanto riguarda sapere dove e quando dovresti farlo, lascio la scelta alla tua sagacia. Inoltre, non credo affatto che un ritardo o un ritardo sia vantaggioso per te. Ma su questo argomento non mi dilungherò ulteriormente, affinché questo discorso rozzo e non istruito ti offenda nell’uomo di palazzo e nella Curia. Lascia che questa lettera abbia una fine e una misura, ma la mia affettuosa carità per te non avrà mai né misura né fine.

“Meditationes”

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471. Chi si comporterà in tal modo, avrà le realtà superiori per la sua gioia, quelle uguali come compagne e quelle inferiori le avrà al suo servizio. Egli sarà devoto verso Dio, buono verso il prossimo e sobrio nei riguardi del mondo; sarà servo di Dio, amico degli uomini e signore del mondo; sarà sottomesso a Dio, senza orgoglio nei confronti del prossimo e senza soggezione del mondo; egli ricondurrà gli esseri inferiori al servizio di quelli intermedi, per la gloria delle realtà superne. Non sarà empio, blasfemo e sacrilego nei confronti di ciò che è superiore; nè arrogante, geloso e iracondo con i suoi eguali e non sarà curioso e crudele verso gli esseri inferiori. Egli non accetterà nulla da chi è inferiore, nulla dai suoi eguali, ma tutto dagli esseri superiori. Caratterizzato dall’impronta delle realtà superne, egli imprimerà la sua nelle cose inferiori; mosso dagli esseri superiori, egli muoverà quegli inferiori; soggetto a ciò che gli è più grande di lui, assoggetterà ciò che gli è inferiore; egli che segue le realtà superiori, sarà seguito da quelle inferiori; posseduto dalle prime, possederà le seconde; trasfigurato a immagine delle realtà superne, trasformerà quelle inferiori a propria somiglianza.

472. Questa è la perfezione alla quale ci sforziamo di giungere in questa vita, ma non la otterremo in maniera perfetta se non nella vita futura. Tale perfezione la otterremo con maggior pienezza quanto più la ricerchiamo ora con più grande fervore. Allora non vi sarà alcun motivo del corpo che non venga dall’anima, e così, nè nell’anima nè nel corpo, vi sarà moto alcuno che non venga da Dio. Non vi sarà più nè il peccato, cioè la perversione della volontà, nè la pena per il peccato, cioè la corruzione, la sofferenza e la distruzione della carne. Lo spirito nudo aderirà alla verità nuda: non vi sarà bisogno di alcun discorso, di nessun sacramento, di alcuna immagine o esempio per comprenderla. Là, in effetti, ” l’uomo non istruirà più il suo simile, dicendogli: Conosci il Signore. Poichè tutti mi conosceranno – dice il Signore – dal più piccolo al più grande” (Ger 31, 34) e ” tutti saranno ammaestrati a Dio” (Gv 6, 45).

473. Se l’anima fosse molto pura, vedrebbe chiaramente, già in questa vita mortale e da se stessa, le vie della virtù e della giustizia nella stessa verità e sapienza di Dio. Essa vederebbe inoltre che non solo lei, anima umana, è immortale, ma al momento della risurrezione, che anche la carne lo è. In effetti, contemplerebbe questa stessa risurrezione in Dio, Verbo e Sapienza. Siccome, però l’anima dell’uomo non poteva percepire tutto ciò a causa dell’impurità, un’anima umana fu unita al Verbo. Quest’anima ha ricevuto, in tutta la sua pienezza, il Verbo di Dio: essa divenne in tutto conforme e somigliante a lui e ricevette, tutta intera e totalmente, da lui solo, la sua impronta, come sta scritto: ” Ponimi come sigillo sul tuo cuore” (Ct 8, 6). plasmata interamente a somiglianza del Verbo, come la cera prende forma del sigillo, essa era in grado di farci conoscere in sè il Verbo stesso di Dio. Noi, però, eravamo ciechi a tal punto che non solamente non potevamo vedere il Verbo di Dio, ma neanche la sua anima umana. Per questo motivo le fu uniti anche un corpo.

474. Prendi queste tre realtà: il Verbo di Dio, la sua anima e il suo corpo. Se potessimo vedere bene la prima, non avremmo bisogno della seconda, se potessimo almeno vedere la seconda, non avremmo bisogno della terza. Siccome però, non potevamo vedere nè la prima, nè la seconda, cioè il Verbo di Dio e la sua anima, è stato aggiunto il corpo. E così. ” il verbo di Dio si è fatto carne e abito fra noi” (Gv 1, 4), nel nostro mondo esteriore, al fine di introdurci un giorno, almeno in questo modo, nel suo regno interiore.

475. Un’ anima razionale, provvista di un corpo carnale, è stata unita al Verbo di dio, e per mezzo di questa carne, ella insegnò, operò, soffrì tutto ciò che era necessario per istruirci e correggerci. Solo in essa si è trovato quello che abbiamo esposto più sopra, cioè la devozione a dio, neanche in minima parte; nulla ha amato di più, nulla altrettanto, nulla che sia risultato inferiore in confronto a Dio.

Perciò potè dire: ” Compio sempre la sua volontà” (Gv 8, 29), cioè quella del padre. Quanto al prossimo, ella lo ha amato perfettamente, come se stessa. Anima dotata di ragione, non ha respinto nessuna di quelle cose che erano inferiori a sè, ma tutto, ossia la vita vegetativa, la vita della carne e il corpo stesso, ha offerto, ha offerto per l’utilità del prossimo. Ella ha sopportato per noi i dolori più atroci, quelli che si oppongono alla vita dei sensi, la morte, che va contro la vita del corpo, e le ferite inferte contro il tuo stesso corpo. Al riguardo del mondo, ella ha usato una tale sobrietà e un tale disprezzo che il Figlio dell’uomo non aveva dove posare il capo(Mt 8, 20). Ella non ha ricevuto nulla dagli esseri inferiori, nulla da quelli uguali a sè, ma tutto da quelli superiori, cioè dal Verbo di dio al quale era congiunta in una unità personale. Ella non fu istruita, al fine di comprendere, o infiammata, in ordine all’amore, nè tramite segni sacri, nè per mezzo di parole o di esempi, ma unicamente nella presenza del verbo di dio. Per mezzo di essa, lo stesso Verbo e sapienza di dio ci ha mostrato in una triplice forma, cioè per mezzo dei sacramenti, delle parole e degli esempi, ciò che dobbiamo fare e sopportare e il fine per cui facciamo tutto questo.

476. L’uomo non doveva seguire che Dio, ma non poteva imitare che un uomo. Allora l’uomo fu assunto, affinchè, seguendo ciò che poteva, imitasse ciò che doveva. Allo stesso modo non gli era utile conformarsi se non a Dio, a immagine del quale è stato creato, ma non poteva conformarsi se non a un uomo. Per questo Dio si fece uomo, affinchè, conformandosi a tale uomo, come gli è possibile, l’uomo si conformi a Dio, come gli è utile.

F I N E

“Meditationes”

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466. La vera perfezione della creatura dotata di ragione è di stimare ogni cosa nella misura in cui è giusto che lo sia. Essa, dunque, deve essere stimata secondo il valore del suo essere, poichè valutarla più o meno di quanto merita significa commettere un errore. Ora ogni essere si situa, per natura, al di sopra, al fianco o al di sotto di questa creatura dotata di ragione. Al di sopra: Dio; a fianco: il prossimo; al di sotto: tutti gli altri esseri.Essa deve pensare a Dio così grande quanto è giusto stimare che lo sia: egli, infatti, deve essere considerato secondo la sua grandezza. La creatura non potrà,però, avere un’idea di Dio conforme alla sua grandezza, se non conoscendo quest’ultima, ma solo Dio può conoscere perfettamente quanto è effettivamente grande. Infatti, quanto è più eccellente la sua essenza rispetto alla nostra, tanto la conoscenza che egli hadi se stesso supera ciò che noi possiamo sapere di lui. Di conseguenza, come il nostro essere, paragonato al suo, è un nulla, così la nostra conoscenza, a confronto con la sua, non è che cecità e ignoranza. Solo la conoscenza che egli ha di se stesso è perfetta e uguale alla sua essenza. Per questo il signore ha detto: ” Nessuno ha conosciuto il Padre, se non il Figlio” (Mt 11, 27). Come solo la conoscenza che egli ha di se stesso è perfetta ai suoi occhi, così solo l’amore che egli ha per se stesso è totalmente secondo il grado della sua grandezza, poichè solo lui la conosce perfettamente.

467. Ritorna ora alla definizione che hai proposto all’inizio. Esaminata con più attenzione, è chiaro che non si può applicare alla creatura dotata di ragione, ma a Dio solo. Poichè, senza parlare delle altre creature, lui, e lui solo, come abbiamo visto, si conosce e si ama in modo conforme alla propria grandezza. Qual’è, dunque, la perfezione della natura dotata di ragione? Stimare tutti gli esseri come è giusto, a partire da se stessa: quelli superiori, cioè Dio, quelli eguali, cioè il prossimo, e gli inferiori, cioè gli animali e tutto il resto. Impara a stimare le cose in questo modo.

468. Niente deve essere preferito a Dio, nulla eguagliato a lui, nulla, nè per metà, nè per un terzo, nè per una minima parte qualsiasi, fino all’infinito, deve essere paragonato a lui. Che nulla, dunque, sia stimato più di lui, niente quanto lui, nulla come lui, sia per la metà, sia per una minima parte qualsiasi, fino all’infinito. Nulla deve essere amato più di lui, nulla quanto lui, nulla come lui. Il Signore stesso ha detto: ” Amerai il Signore Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente” (Lc 10, 27). Ciò significa che non devi amare nient’altro per godere e trovarvi conforto. Così accade per le realtà superiori.

469. Tutti gli uomini sono uguali per natura, cioè secondo la loro essenza; ognuno, dunque, deve stimare gli altri al pari di se stesso. Di conseguenza, come l’uomo non deve presumere di paragonarsi agli esseri superiori, cioè a dio, o amare se stesso più di quanto non ami lui, così non dovrà preferire alcun uomo a dio. E come, per la propria salvezza, non deve preferire le cose inferiori, nè paragonarsi a esse, così non dovrà anteporle alla salvezza di qualsiasi altro uomo. Tutto ciò che l’uomo deve fare o soffrire per la propria salvezza eterna, egli lo deve fare o sopportare per la salvezza di tutti gli uomini. In effetti, il Signore dice: ” Ama il prossimo tuo come te stesso” (mt 22, 39, Lc 10, 27).

470. Gli esseri inferiori sono tutti quelli che vengono dopo l’anima dotata di ragione, cioè la vita dei sensi, che l’uomo ha al pari degli animali; la vita vegetativa, comune con le piante e gli alberi e , infine, la sostanza dei corpi, con le loro forme e le loro proprietà, che egli possiede al pari dei metalli e le pietre. Come l’uomo non deve amare nulla più degli esseri superiori, niente deve porre a paragone con loro, così nulla deve considerare più basso delle cose inferiori, niente deve stimare più piccolo in paragone a loro. E’ quello che dice la Scrittura: ” Non amate il mondo, nè quello che è del mondo” (Gv 2, 15). Così devi pensare delle cose inferiori.

“Meditationes”

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461. Dio ha ordinato ai giudei come grave fatica quanto c’è di più grande e di più grande e di più desiderabile per gli uomini. Il culto di Dio. Ed è stata loro promessa come ricompensa ciò che è più vile e miserabile per l’uomo, cioè i beni terreni. Per i cristiani accade il contrario: a essi è stato ordinato di mettere sotto i propri piedi, come se fosse sterco, ciò che è stato promesso o donato ai giudei come ricompensa, cioè i beni di questo mondo, mentre è stato loro ordinato di amare ciò che ai giudei è stato imposto come un pesante fardello, cioè amare Dio.

462. Rifletti su ciò a cui devi applicarti per migliorare te stesso: non in quelle cose grandi e perfette, poichè in quel caso il progresso non è più possibile, nè a quelle che sono in uno stato disperato o del tutto vile, poichè non vi potrà mai essere alcun progresso. Si tratta dunque di agire in quelle situazioni medie, cioè quelle che non sono ancora totalmente buone, in cui rimane spazio per il progresso, nè tanto cattive che non siano suscettibili di un miglioramento.

463. Considera in che modo sei sottomesso ai pidocchi e ai topolini, tu che hai rifiutato di essere sottomesso a Dio con tutto il cuore.

464. Non vedi alcun essere che, nel suo genere, non abbia una certa bellezza e una certa perfezione naturale, e se quest’ultima fosse carente o venisse a mancare in qualche modo, tu ne saresti giustamente dispiaciuto. Per esempio, se ti accadesse di vedere un uomo con il naso mutilato, ne sentiresti subito un sentimento di ripulsa, poichè avverti ciò che gli manca per la perfezione naturale del viso umano. Così è per tutte le cose, sino alle foglie dell’ortica e di una pianta qualsiasi. Chi dunque potrebbe negare che l’anima umana abbia una certa bellezza e una propria perfezione naturale? Nella misura in cui queste sono presenti, giustamente le si apprezzano; allo stesso modo è giusto biasimarne l’assenza. Considera, l’aiuto di Dio, come la tua anima sia mancante di questa bellezza e di questa perfezione, e non cessare di esserne afflitto.

465. Qual’è la bellezza naturale dell’anima? Amare Dio. In che misura? Con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze( Lc 10, 27). E’ proprio della stessa bellezza amare il prossimo. Quanto’ Fino alla morte (Gv 15, 13; Fil 2, 8). Se non fai così di chi sarà il danno’ Non certo di Dio, forse lo sarà un poco per il prossimo, ma per te il danno sarà enorme. Infatti,la privazione di una bellezza o di una perfezione naturale è per qualsiasi cosa un danno.Se la rosa perdesse il suo colore o il giglio il suo profumo, per me, che provo piacere per quelle cose, il danno sarebbe minimo, ma per la rosa e il giglio il danno sarebbe più grave, perchè sarebbero in tal modo privati della loro naturale bellezza.

“Meditationes”

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456. Perchè vuoi essere amato dagli uomini? ” Certamente perchè mi siano di aiuto per quanto riguarda le mie preoccupazioni,” Tu, dunque, ti senti debole, quasi sul punto di soccombere alla loro violenza. E’ come se dicessi: ” Se è volontà degli uomini, morirò; se vogliono che io viva, vivrò”. Questo è falso. Tu, infatti, morirai in ogni caso, che essi lo vogliano o meno. Che cosa potresti fare per non morire? Desideri che gli uomini abbiano di te una grande e bella opinione, perchè possano amarti o temerti. Il fatto, poi, che ti amino o ti temano, ti interessa solo nella misura in cui essi ti possano essere utili. Al contrario, hai paura e orrore che gli altri abbiano di te una scarsa o cattiva considerazione e, di conseguenza, ti odino o ti disprezzino o, ancora, che ti nuocciano o che non ti siano utili. Ora, tutto questo deriva dall’esperienza della tua debolezza e della tua infermità, contratte non solo con l’esserti allontanato da Dio, ma anche attaccandoti e affidandoti a realtà fragili e instabili. Se, in effetti, non sentissi la loro bassezza o la loro debolezza, non temeresti e non soffriresti a causa loro. Ma temi e soffri per loro, quando periscono o ti vengono tolte: conosci, dunque, e avverti la loro bassezza e la loro fragilità. In tal modo, non puoi assolutamente giustificare l’amore o la confidenza che riponi in loro. E’ davvero sorprendente che si possa essere consapevoli della debolezza di una cosa e, ciononostante, appoggiarsi su di essa, o conoscere la sua bassezza e, non di meno, amarla e ammirarla. Quando, dunque, soffri o temi per essa, riveli in te stesso due sentimenti la cui coesistenza sembra impossibile: conosci e ti accorgi della debolezza e bassezza delle cose e tuttavia ti appoggi su di loro. In effetti, se uno di questi due sentimenti non fosse presente in te, cioè se tu non amassi le cose o se non conoscessi la loro indegnità, non soffriresti in alcun modo per la loro perdita.

457. A forza di regali e di preghiere si persuade il medico perchè si degni di dare i suoi consigli a colui il cui corpo è malato e la cui vita è in pericolo. Tuttavia, non si dà ascolto a Dio quando, senza essere remunerato o implorato, dona spontaneamente i suoi consigli e i suoi insegnamenti a coloro che sono in pericolo di perdere la vita eterna. Che cosa accadrebbe, domando, se egli ci ordinasse qualcosa che sia utile ai suoi interessi e non ai nostri? Se è male per un malato non seguire le prescrizioni di un medico, che è solo un uomo, come potrebbe essere bene il disprezzare i comandamenti di quel medico celeste che è Dio’ E se il ritornare in salute è sicuro per colui che osserva le prescrizioni di un uomo, potrà forse perire colui che segue i comandamenti di Dio?

458. Le prescrizioni di un uomo, il quale, a volte sbagliando, applica un rimedio momentaneo a un corpo necessariamente destinato a perire, si pagano a caro prezzo e si applicano con ogni cura, sopportando anche la sofferenza. I comandamenti di dio, invece, offerti gratuitamente, sono disprezzati, eppure egli, che non sbaglia mai, viene in aiuto a un’anima eterna, per una salvezza senza fine, e tuttavia si giunge a insultare colui che ci offre un tale dono.

459. Il potere secolare emana leggi non con la preoccupazione che siano utili agli uomini, ma con l’intenzione di servire ai propri scopi. Tali leggi sono temute al punto tale che nessuno oserebbe infrangerle, neppure in segreto. Al contrario, le leggi di Dio non sono promulgate per la sua utilità, ma solamente per la nostra salvezza. Esse, però, non sono temute come quelle di un potente di questo mondo, nè amate come quelle di un saggio. Per questo motivo esse sono pubblicamente violate e i trasgressori se ne vantano.

460. Quale ricompensa Dio dà agli angeli per il loro servizio? Forse quella dei giudei, cioè una terra dove scorrono latte e miele (Dt 6, 3) ? Perchè dunque lo servono? Perchè la loro felicità consiste nell’essere uniti a lui. Se, in effetti, un uomo, ancora avvolto in una carne mortale e fragile, ha potuto dire a Dio: ” Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra” (Sal 72, 25) e” Il mio bene è stare vicino a Dio” (Sal 72, 28), quanto più angeli possono dire le stesse parole!

“Meditationes”

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451. Quando avrai fatto o detto tutto, in bene o in male, al fine di non perdere questa vita, o perchè il tuo corpo non sia nè ucciso nè distrutto, potrai ottenere ciò in qualche maniera? Forse non morirà presto per una necessità ineluttabile e non sarà forse distrutto dai vermi in modo peggiore e più turpe di quanto possano fare gli uomini? Vive forse ancora qualcuno di coloro che, al tempo dei martiri, rinnegarono il Signore per timore della morte? Non hanno forse perduto ogni cosa, sia il Signore che hanno rinnegato sia ciò per cui hanno dichiarato di non conoscerlo, cioè questa vita e ciò che le appartiene? Sarebbe almeno una piccola consolazione se, avendo perduto Dio, l’uomo potesse mantenere ciò per cui lo ha abbandonato.

452. Voglia il cielo che sia così facile distinguere ciò che è degno di amore da ciò che non lo è, come lo è distinguere il bianco dal nero. Fà molta attenzione.

453. Quest’uomo ha dato tutti i suoi averi per l’approvazione degli uomini; quell’altro per il piacere del ventre e del palato. Chi dei due ha agito peggio? Non saprei dirlo con certezza, ma so che uno si è comportato come un porco, l’altro ha agito con volontà diabolica.

454. la nutrice sa che il bambino sarà felice se gli si dona un passero; ella avrà tanta più cura che non gli venga dato, quanto più sa che sarà per lui motivo di felicità. Certo, gli uomini desiderano la gioia per sè e per coloro che amano. Perchè, dunque, quella nutrice non la desidera per il bambino, ma, oltre tutto, sta attenta che egli non possieda l’oggetto che brama, come se ciò fosse un grande male? Ella vuole senza dubbio la gioia del bambino. Perchè, allora, sottrargli ciò che lo renderebbe felice? Perchè agisce così, se non per il fatto che è consapevole della tristezza che subentrerà dopo il momento di gioia? Ella conosce bene tutto ciò: l’anima del fanciullo proverà poi una pena tanto più grande quanto più è intensa la gioia precedente. Ella misura la grandezza della tristezza che verrà a partire dalla gioia che si sperimenta al presente. Da questo fatto, che cosa ci suggerisce di fare quella donna, se non di evitare come peste e veleno tutte le gioie che saranno seguite dai dolori e, inoltre, di non prestare attenzione alla loro dolcezza effimera, bensì di considerare l’amarezza che la loro assenza farà nascere in noi? Così sono tutte le gioie di questo mondo: Perchè, allora, non farò in modo di evitare, per questo motivo e con previdente cautela, di possedere una vigna, un prato, una bella casa, un campo? Perchè non tenersi lontano dall’oro, dall’argento, dal favore e dagli elogi degli uomini e altre simili cose? Oh, chi darà a questo bambino decrepito e insensato, che è il genere umano diffuso nel mondo intero, una grande nutrice molto saggia e forte, che, con uguale sollecitudine, gli tolga quelle gioie o lo distolga da esse, dato che sono il seme di sofferenze future? Ma da dove viene questo grande gemito che riempie il mondo intero, se non dal fatto che questa nutrice così buona e forte non cessa mai, da se stessa o per mezzo di altri, di sottrarre al genere umano, o di non concedergli, la causa delle sofferenze, cioè i beni terreni, proprio come il passero tolto al bambino?

455. Che cosa fanno i vescovi, i preti e gli altri ministri di questa nutrice, nell’esercizio del loro ministero, se non distogliere questo bambino insensato dalle gioie perniciose allorchè lo istruiscono, lo ammoniscono, gli fanno promesse, lo minacciano, accogliendolo all’eucaristia o negandogli i sacramenti? Da questi motivi proviene l’attuale conflitto tra il nostro vescovo e il conte. Il conte, in effetti, è il bambino. Il vescovo svolge il ruolo della nutrice fedele. Il passero è l’oggetto del contrasto. Il bambino, fiero della forza del proprio corpo e del numero dei suoi seguaci, disprezza la nutrice, indebolita dalla malattia e dall’età, e si rallegra per cose pericolose. La pena della nutrice è tanto più grande quanto più ama il fanciullo. Ella non è gelosa della gioia del bambino, ma prevede le sofferenze che ne deriveranno.

Sì, davvero: le sofferenze del mondo sono quelle del bambino, afflitto per la perdita di un passero.

“Meditationes”

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446. Quanto colui che adora il Creatore è lontano da chi rende culto alla creatura, tanto colui che ama il Creatore è distante da chi ama la creatura. Intendo amare nel senso di gioire e riporre la propria fiducia, non nel senso di venire in aiuto.

447. Nessuno diventa migliore se prima non è corretto e chi rifiuta il rimprovero non vuole migliorare se stesso. E’ scritto infatti: “Chi detesta la correzione è sciocco” (Pr 12, 1), ” Chi ascolta i consigli è padrone del proprio cuore” (Pr 15, 32).

448. Vi è una sola ragione per la quale tu possa desiderare il favore e l’approvazione degli uomini: quando li vuoi aiutare in vista di un vero bene. Il medico buono e pio desidera, in certi casi, la simpatia e la confidenza del suo malato, non certo per il proprio vantaggio, ma per il bene del suo paziente. Infatti, un vero bene e un vero male non possono essere mai fatti o imposti a qualcuno senza il suo consenso.

449. La vera salvezza dell’uomo consiste unicamente nel volere, cioè amare, ciò che deve, e volerlo o amarlo nella giusta misura. Inversamente, il vero male è solamente il fatto che non vuole, cioè non ama, quello che deve, o di non volerlo o amarlo nella debita misura.

450. Hai sofferto del fatto di essere stato disprezzato o trattato con poco riguardo. Così facendo, hai dimostrato di aver meritato di essere umiliato e denigrato: tutto ciò ti è capitato, dunque, giustamente. Se tu non lo avessi meritato, non avresti temuto e sofferto di essere disprezzato o trattato con poco riguardo. Ed è proprio perchè temi il disprezzo e ne soffri, e solo per questo, che devi essere disprezzato ed umiliato. Veramente, non teme di essere disprezzato e schernito se non chi è degno di esserlo.

“Meditationes”

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441. La prima cosa che un medico fa durante il trattamento del malato è di studiare e scrutare con cura il male stesso. Successivamente, una volta conosciuta la malattia, applicherà il rimedio conveniente.

442. Se sei felice di conoscere tramite l’esperienza le proprietà e le forme dei corpi, come il caldo e il freddo, il dolce e l’amaro, quanto più felici devono essere quegli oggetti che sentono tali esperienze in se stessi. Infatti, l’essere di una cosa supera l’impressione che essa produce sugli altri. Prendiamo, per esempio, il calore che in se stesso è qualcosa di più del piacere che dona. Di conseguenza, se per te è buona cosa essere riscaldato, è cosa ancora migliore essere il calore stesso.

443. Dio dà alcuni comandamenti perchè ci sono utili, per esempio: ” Ama il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore” (Mt 22,37). In tal modo ci viene comandata la stessa felicità. Altri ci sono utili proprio perchè ci sono stati prescritti: “Non mangiare dell’albero della scienza del bene e del male” (Gn 2, 17). In effetti, questo comandamento non sembra essere stato posto perchè ci è utile, ma perchè attraverso di esso l’uomo impari l’obbedienza. Poichè, anche se quel’azione non fosse utile in sè, sarebbe comunque molto utile all’uomo l’essere sottomesso e obbediente a Dio. Al contrario, anche se mangiare di quell’albero non fosse nocivo per l’uomo, sarebbe mortale per lui resistere a Dio.

444. Chi si dispera o si irrita per la perdita di un oggetto di questo mondo, dimostra che meritava di perderlo. Allo stesso modo, chi si irrita o si abbatte per aver ricevuto un insulto, dimostra di averlo meritato: voleva infatti essere lodato tanto quanto non voleva essere insultato.

445. Tu non dubiti che i piaceri carnali dovranno necessariamente perire. Per questo non dovrebbero essere desiderati. Perciò o non devi desiderare assolutamente nulla, o devi aspirare ardentemente ai soli beni eterni.

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436. Non bisogna auspicare il possesso dei beni terreni, ma il buon uso di essi. Dice infatti la Scrittura: ” Chi si preoccupa di aumentare le proprie ricchezze non sarà esente da colpa” (Pr 28,20).

437. Nulla è più vicino a una cosa che se stessa. E’ dunque sorprendente che l’anima dell’uomo possa conoscere qualsiasi altra cosa meglio e più intimamente di se stessa. Se qualcuno, infatti, tenendo in mano un coltello, o un qualsiasi altro oggetto, e si mettesse a cercarlo, susciterebbe certamente il riso di tutti coloro che lo vedono. Che cosa ha l’anima tanto vicino a sè come essa stessa? Che cosa può conoscere meglio, se non se stessa? Come potrebbe conoscere una cosa qualsiasi, se non conosce se stessa?

438. Vedi come vendi l’amore e gli altri sentimenti della tua anima per un pò di denaro, come si venderebbe il vino in un’ osteria. E considera come compri i favori, l’amore e gli altri sentimenti o affetti dell’anima umana, per unpò di denaro, come si compra il vino in un’osteria.

439. Quando una persona si imbarca per una traversata in mare, tutti coloro che la amano vivono nel timore e piangono. Tale persona non sembra essere minacciata che da un pericolo: il naufragio. Come si dovrebbe temere e piangere per colui che entra in questo mondo,cioè quando nasce! Infatti, può accadere che colui che si è imbarcato scampi dai pericoli del mare, ma è impossibile che colui che è venuto al mondo possa sfuggire ai pericoli di quest’ultimo. Chi potrebbe fare il conto dei pericoli corporali, per non parlare di quelli spirituali? Infatti, finchè viviamo noi li temiamo, e non solamente due o tre, ma tutti, dovendo necessariamente morire a causa due uno di essi. Sarebbe dunque meglio per noi soffrire per uno solo di essi, e non temere gli altri, piuttosto che avere paura di tutti senza speranza di scappare.vediamo bene la sorte avversa degli uomini: volendo fuggire i pericoli, vi si dirigono contro. Chi ha pensato di essere sfuggito alla febbre, si trova destinato alla paralisi o alla gotta, o un’altra malattia, per soffrirne ed essere ucciso. In luogo di un solo pericolo, gliene sono capitati due o più.

440. Lo scarafaggio riesce a vedere ogni cosa durante il volo, e non sceglie ciò che è bello o sano o duraturo, ma dove scorge letame maleodorante, là subito si posa, disprezzando tutte le cose belle. Allo stesso modo il tuo animo percorre con lo sguardo il cielo e la terra e tutto ciò che di grande e di bello vi è in essi, ma non aderisce a nessuna di queste meraviglie, anzi, le disprezza e abbraccia con piacere quelle cose vili e sordide che si presentano al suo pensiero. Vergognati di tutto ciò.