Fratello João Olberri il taumaturgo di Valldecristo

La certosa di Valldecristo
Nell’articolo odierno vi racconterò le virtù esemplari di un fratello converso certosino, particolarmente devoto alla Madonna, come vedremo nel racconto che segue.
Originario della Navarra, questo buon fratello rivelò, fin dalla tenera età, grandi doni ed un gusto pronunciato per la pietà. Si ammirava in lui una grande purezza di anima ed un amore molto tenero per l’Augusta Madre di Dio. Come bambino, il suo candore angelico gli valse l’affetto di tutti. Più tardi le sue solide qualità ed il suo carattere già formato gli valsero la stima degli uomini seri.
Dopo aver terminato il corso di medicina, si stabilì come chirurgo presso l’ospedale di ‘Saragozza’, al fine di dare lì, regolarmente consulenze gratuite. Dall’esercizio della carità, il nostro giovane medico rivolse, con ancora più zelo, alla contemplazione delle cose divine. La sua fede cresceva in un modo meraviglioso.
Ma solo il pensiero dei pericoli che correva la sua virtù in mezzo al mondo, lo lanciò in angosce crudeli. Volendo a tutti il costo salvare la sua anima, bruscamente lasciò il suo paese e si ritirò alla Certosa di Valldecristo, nel regno di Valencia. Lontano, come si vede, dalla sua famiglia e delle sue relazioni; ma d’altra parte più vicino a Dio.
La sua prima formazione, il posto che aveva occupato nella società, il prestigio legato al suo nome, tutto doveva, a quanto pare, aprirgli la porta del chiostro e l’ingresso del santuario. Ma non si era mai convinto sull’idea di diventare un sacerdote. La grandezza degli obblighi del sacerdozio lo paralizzavano dalla paura. Felicissimo sarebbe di vivere la più umile vita dei conversi. Si aprì lealmente con il Priore. Esso, toccato dalla sua sincerità così come dalla sua generosità, lo accolse con sollecitudine e gli diede l’abito santo (1592).
L’anno seguente, il caro Fratello pronunciò i suoi voti, nel giorno dell’Immacolata Concezione, commosso fino alle lacrime per la coincidenza che gli permetteva di abbandonarsi di corpo ed anima nelle mani della Vergine Immacolata. Nulla avrebbe saputo esprimere l’amore che aveva per Maria. Nome benedetto che aveva costantemente sulle labbra. Il pensiero della Regina del cielo non lo lasciava, per così dire. Le sue meditazioni, le sue letture, le sue preghiere, tutte avevano per oggetto le grandezze e le misericordie della Madre di Dio. Chi potrebbe dire quante Ave Maria in ventiquattro ore lui pregava? Come pio cantava il ‘Tota Pulchra es’ in onore dell’Immacolata!
Ogni volta che il suo ufficio di infermiere lo chiamava al chiostro, si fermava davanti alla porta del capitolo, su cui si trovava una statua della Santa Vergine. Lì dava libero sfogo alla sua pietà filiale, senza trascurare, però, i doveri della sua obbedienza. Queste pie conversazioni si ripetevano così spesso che molti anni dopo di loro, il pavimento aveva ancora il segno delle sue ginocchia.
Sarà sorprendente che questa buona Madre riempia il suo devoto servitore di favori quasi inauditi? Lui deve, in particolare, alla sua speciale protezione, il fatto di non avere mai conosciuto le lotte profondamente umilianti che sono il segno distintivo di ogni figlio di Adamo, e di lasciare questa terra d’esilio con l’innocenza del suo battesimo.
Una notte in cui il santo uomo pregava nella cella del Priore, D. João Bellot, la Madre di Dio gli apparve; ma lei indirizzò la parola solo al Fratello converso, e questo per tre volte. La notizia si diffuse rapidamente nella comunità senza spaventare nessuno. Tuttavia, tutti notarono che, lontano di avere vanità con questa delicata attenzione di Maria, colui che era stato oggetto di tale grazia, da lì, si diventò marcatamente più umile. Era con una perfetta sincerità che si proclamava il più miserabile degli uomini e l’ultimo dei peccatori.
Come infermiere, il Fratello João fu ammirevole per la dedizione e pazienza. Affrontava tutte le fatiche e tutti i pericoli, ogni volta che si trattava di cercare sollievo o consolazione per uno dei suoi fratelli. I doni dello spirito e del cuore che gli avevano conquistato tante simpatie presso l’ospedale di Saragozza, li impiegò con zelo insieme ai malati di Valldecristo. Per questo, come gli erano affezionati!
Era, infatti, alle preghiere del santo, più che alla scienza del medico, che la voce pubblica attribuiva le guarigioni fatte da sua cura.
Un certosino di una certosa vicina (Porta Coeli) era troppo malato, i suoi confratelli disperati chiedevano al Priore di mandare Olberri, il cui nome era conosciuto nei quatro angoli del regno. Questo si affretta, si indirizza alla cella del moribondo, e con un sorriso sulle labra: «Coraggio, venerabile Padre, dice. Recupererai la salute – Credi questo? Rispose il malato a bassa voce. Il mio stomaco rifiuta qualsiasi cibo. – Non importa, ribatte l’infermiere. Dimmi cosa ti piacerebbe prendere in questo momento? Quello che vuoi». Subito il Fratello preparò una zuppa a cui si unisce un tranquillante. Il malato appena bevve la zuppa, sperimenta un miglioramento molto significativo. Il giorno dopo era in piedi e riprendeva la vita comune.
L’eco di queste meravigliose guarigioni, allo stesso tempo che aumentava di dieci volte il numero di consultazioni, conquistava al suo pio autore il riconoscimento in tutto il paese. L’umiltà del nostro taumaturgo impressionava più di ogni altra sua virtù. Lui provò a cambiare questo stato di cose. Solo utilizzava farmaci comuni sulla proprietà di cui era impossibile ingannarsi. Appena sotto il pretesto di non molestare la delicatezza di un paziente, per ammorbidire l’amarezza di un rimedio, cambiava gli ingredienti, convinto che sarebbero meno efficaci. Vane combinazioni! I pazienti si curavano con e contro tutto.
Il segno della croce, tracciato dalla mano del santo converso su un organo o un membro sofferente, rimuoveva immediatamente il dolore, anche se fosse il più acuto. Spesso, prima che il malato aprisse la bocca, l’infermiere indicava la parte dolorosa del corpo e esponeva i sintomi della malattia che soffriva. Inoltre, illuminato da una luce soprannaturale, gli accadeva penetrare nelle profondità dell’anima e rivelare le miserie più intimi.
La reputazione dell’uomo di Dio cresceva di anno in anno. Molto spesso provava a fuggire da questa folla di importuni. Sapevano che lui aveva una sollecitudine estrema. Ognuno usava e abusava. Le persone che lo avevano consultato raccontavano le meraviglie. «Si tratta di un santo, dicevano di tutte le parti; un santo che legge le coscienze e ci dà consigli di alto livello».
Ma dopo quarantotto anni di occupazione, il vecchio infermiere fu costretto a fermare la pratica del suo zelo. Una malattia dolorosa lo mantenne, un anno intero, attaccato al letto. Lui che aveva fatto, come a giocare, tanti notevoli cure, dové rassegnarsi al martirio dell’impotenza, martirio crocifiggente per un uomo che sviluppò così grande attività. Questo martirio, lui sopportò con questa calma, questa pia rassegnazione che sapeva così discretamente ispirare i moribondi.
Poco prima di spirare, l’uomo di Dio fu favorito con una visione. Un religioso, morto pochi giorni fa, gli apparve, chiedendogli di accompagnarlo nella gloria. Immediatamente il buono Fratello intona il ‘Nunc dimittis’, e la sua anima, rompendo l’ultimo anello che lo legava a terra, prese il volo e riposò in Dio i lavori dell’esilio. Eravamo agli inizi dell’anno 1641.
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