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Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 32a)

in chiesa

Statuti 32 a

Ricezione di una conversa o di una novizia o donata

6 La postulante, al termine della sua prova, viene presentata alla comunità nel giorno stabilito (cfr 11,9). Preliminarmente compila e firma un questionario relativo al suo ricovero (vedi n° 2). (cfr St 36,6)

7 Il giorno della sua accoglienza, la postulante, prostrata in capitolo davanti a tutta la comunità, chiede misericordia. La priora, con indosso la stola bianca, lo invita ad alzarsi; poi la postulante chiede, per amore di Dio, di essere ammesso alla libertà vigilata sotto l’abito monastico, come il più umile servitore di tutti. La priora, dopo aver fatto un’esortazione, le spiega che, durante il noviziato, potrà ritirarsi liberamente e che, da parte nostra, manterremo la libertà e il diritto di dimetterla se, dopo aver esaminato la questione davanti a Dio, non lo riteniamo adatto al nostro modo di vivere. Se la postulante dà il suo assenso, si inginocchia ai piedi della priora e pone le mani giunte nelle sue; la priora, in nome di Dio e dell’Ordine, in nome proprio e in quello delle sorelle, l’accoglie nella comunione dell’Ordine. Quindi la candidata viene vestita con la cocolla della novizia (in questo momento si può anche rimettere il velo bianco) ed è ammessa a ricevere il bacio della pace, prima dalla priora, poi da tutte le altre monache. La novizia viene quindi condotta dal capitolo alla chiesa, mentre la comunità canta il Salmo 83. La priora cammina prima, accompagnata dalla novizia; poi arriva la comunità, la più anziana in testa. Giunta alla chiesa, la priora prende per mano la novizia e la conduce al margine del presbiterio; la novizia vi si prostra e prega. La priora si collocherà nell’ultimo stallo del coro di destra, se la disposizione dei locali lo consente. Tutti si inginocchiano nelle forme, in coro, e cantano la strofa: Veni, Sancte Spiritus; finito ciò, tutta la comunità si inchina alla misericordia; il vicario, con indosso la cocolla ecclesiastica e la stola bianca, dice un versetto e aggiunge una preghiera. Dopodiché, la novizia si alza, fa un profondo inchino e va al suo posto nel coro. (St 36.7)

Professione di voti semplici

8 Il giorno prima del giorno in cui la novizia deve emettere i voti, semplici o solenni, prima dei Vespri, oppure la mattina dello stesso giorno, va al capitolo per chiedere misericordia, prostrata alla presenza di tutta la comunità; quando la priora le dice: Alzati, si alza e chiede di essere accolta nella professione come la più umile serva di tutte. Poi, sempre in piedi, ascolta l’esortazione della priora. Nel giorno della professione, le reliquie dei santi vengono esposte sull’altare. (St 36.8)
9 Quando si tratta della professione temporanea, prima di Terza la maestra delle novizie pone la nuova cocolla sui moduli davanti ai futuri professi. Dopo il Vangelo, o il Credo se cantato, omessa la preghiera universale, il futuro professato, portando nelle sue mani la nuova cocolla, avanza fino al bordo del santuario; dopo un profondo inchino, vi depone la cocolla e resta eretta. Il vicario, che celebra, si avvicina e recita le preghiere indicate nel rito. Poi, stendendo la mano, benedice la cocolla posta davanti alla futura professa, mentre recita l’opportuna preghiera. Finita la benedizione, asperge la ciotola con acqua santa. Poi, il futuro professo si inginocchia e recita con voce intelligibile (se sono più di loro, recitano insieme) Salmo 15: Guardami, fino al versetto: Signore, la mia parte, non compreso. La priora, aiutata dalla maestra delle novizie, toglie poi la cocolla della novizia mentre il vicario dice: Il Signore ti spogli del vecchio e delle sue opere. La priora la riveste della lunga cocolla, e il vicario continua: E che vi rivesta dell’uomo nuovo creato, santo e giusto in verità ad immagine di Dio. Se ci sono più novizi, il vicario ripete queste parole per ciascuno. Quindi la novizia legge la formula della professione (12.4) scritta su un foglio che tiene in mano. Se ce ne sono diversi, la formula deve essere letta da ciascuno separatamente. Fatti i voti, la professa lascia la sua formula nelle mani della priora e riprende il salmo, dal versetto: Signore, mia parte, a Gloria al Padre… Amen. Poi fa un profondo inchino contemporaneamente alla Priora e alla Maestra delle Novizie e tornano ai loro posti. (St 36.9)

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Statuti delle monache dell’Ordine Certosino (cap. 32)

in chiesa

LIBRO 5

Riti e atti di vita certosina
CAPITOLO 32 

I riti della vita certosina

1 Chi entra nella famiglia certosina, al termine di una prima prova, viene accolta come novizia: ponendo le mani in quelle della priora, esprime la sua dipendenza ed entra nella comunità certosina; tutti la portano in cella o, se è una conversa o novizia data, in chiesa, per farle capire che la sua vita è essenzialmente consacrata alla preghiera. La professione, o a suo modo la donazione, è un impegno libero e personale: per questo si compie nell’emissione della formula della professione o della donazione. Prima di emettere i primi voti, il futuro professo indossa la cocolle del professo, che simboleggia la conversione della morale e la consacrazione a Dio; prima dell’atto irrevocabile della professione solenne, ha esortato le sue sorelle ad aiutarla con la preghiera. (St 36,1) È la priora che accoglie le monache nelle diverse tappe. Ma il vicario può anche pronunciare una predica se lo ritiene opportuno.

Accoglienza di una novizia del chiostro

2 La postulante, al termine della sua prova, viene presentata alla comunità nel giorno stabilito (cfr 11,9). In precedenza compila e firma un questionario le si chiede se ha emesso la professione in un altro istituto religioso, se è libera dai vincoli del matrimonio, se ha qualche difetto del corpo o della mente che è di ostacolo alla professione religiosa e se ha nessun debito. Deve sapere che se nasconde qualcosa mentre risponde al questionario può essere licenziata (estromessa), anche dopo la professione. (St 36.2)
3 Un altro giorno, essendo tutta la comunità riunita in capitolo, la postulante si prostra per chiedere misericordia. La priora la invita ad alzarsi; dice poi il postulante: Chiedo, per amore di Dio, di essere ammesso in libertà vigilata sotto l’abito monastico, come il più umile servitore di tutti, se voi, mia madre, e la comunità lo ritenete opportuno. Poi la priora le spiega il tipo di vita che desidera abbracciare. (St 36.3)
4 Se la postulante risponde che, confidando unicamente nell’amore di Dio e nella preghiera delle sue sorelle, intende soddisfare tutto questo nella misura in cui la bontà divina le concederà, la priora la informa che prima della professione potrà ritirarsi liberamente e che, da parte nostra, conserveremo la libertà e il diritto di rimandarla indietro, se, dopo aver esaminato la cosa davanti a Dio, non la riterremo adatta al nostro modo di vivere. Poi, se la postulante dà il suo assenso, si inginocchia ai piedi della priora e pone le mani giunte nelle sue; la priora, in nome di Dio e dell’Ordine, in nome proprio e in quello delle sorelle, l’accoglie nella comunione dell’Ordine. Poi la novizia riceve il bacio della pace, prima dalla priora, poi da tutte le altre monache. (St 36.4)
5 Lo stesso giorno, se possibile, la postulante veste l’abito in privato; poi all’ora stabilita, in chiesa, va al limite del presbiterio dove si prostra e prega. La comunità si inginocchia nelle forme, in coro, e canta il verso: Veni, Sancte Spiritus. Poi tutti si inchinano alle misericordie, e il vicario, vestito con la cocolle ecclesiastica e la stola bianca, dice un versetto e aggiunge una preghiera. Dopodiché, tutti conducono la novizia nella sua cella cantando i Salmi 83, 131 e 50. Se bastano uno o due salmi, non si dirà altro. Indossando la stola, la priora cammina per prima, accompagnata dalla novizia; poi viene la cellaria o un’altra suora che porta l’acqua santa, poi la comunità, la più anziana in testa. Arrivata alla porta della cella, la priora asperge la novizia e la cella dicendo: Possa la pace del Signore…; prende per mano la novizia, la fa entrare e la conduce all’oratorio. La novizia si inginocchia lì e prega. Quando la comunità ha terminato la salmodia, si recitano le preghiere indicate nel rito. Finite queste preghiere, la priora ingiunge alla novizia di seguire fedelmente la vita della cella e le altre osservanze del nostro Ordine; così, nella solitudine e nel silenzio, nella preghiera assidua e nella gioiosa penitenza, la novizia si renderà disponibile solo a Dio. Poi la priora la affida alla maestra delle novizie. (St. 36.5)

monaca e acquasantiera

Testimonianza di una aspirante certosina

Testimonianza di una aspirante certosina

monaca certosina cartoon

Ecco per voi amici una inedita testimonianza, frutto di una chiacchierata con una aspirante monaca certosina. Ovviamente per rispettare la sua volontà le sue dichiarazioni resteranno anonime.

Ella ha risposto con estrema disponibilità e dolcezza ad una serie di domande che le ho posto.

  1. Come hai fatto a prendere contatti con una certosa femminile?

Ho deciso di prendere contatti con il Priore della certosa del mio paese, ovvero il Brasile, ed a lui ho chiesto come poter superare l’ostacolo della lingua per poter comunicare. Lui è stato molto gentile e mi ha messo in contatto con la Madre di una certosa in Italia. Non è stata difficile la comunicazione.

  1. Quale certosa preferivi tra quelle femminili?

Da subito ho provato una forte attrazione per la Certosa della Trinità in Italia. Ed è qui che ho inviato una lettera presentandomi.

  1. Come hai capito di essere incline allo stile di vita claustrale delle certosine?

Dopo alcune esitazioni, poiché credevo fosse solo un momentaneo innamoramento ed ero intimorita di dover andare in un altro continente. Ma un bel giorno il mio direttore spirituale mi pose di fronte ad una scelta: il Carmelo o la Certosa. Allora ho scelto la Certosa. Mi attira la vocazione al silenzio e alla solitudine, questa vita solo per Dio e, in Lui, per tutti gli uomini. E in Certosa il silenzio e la solitudine sono una caratteristica molto forte.

  1. Come hai affrontato l’idea di distaccarti dalla tua famiglia?

Quando ho deciso di andare in Italia, nonostante una serie di paure ed inquietudini, ho detto ai miei genitori di aver effettuato una scelta drastica. Non soffrivo per me, ma per loro, perché non volevo vederli soffrire. Sapevo che non sarebbero molto d’accordo.

  1. Come hanno reagito i tuoi genitori?

Mia madre è rimasta molto arrabbiata sapendo della clausura certosina, e addirittura mio padre ha provato un risentimento verso la Fede che gli portava via sua figlia.

  1. Quando è arrivato il giorno della partenza, cosa è successo?

Sono stata aiutata ad organizzare il viaggio in Italia dalla mia comunità in parrocchia ed anche dal mio papà, che mi ha accompagnata all’aeroporto nel dicembre del 2007.

  1. Giunta in Italia, chi ti ha accolto?

Sono arrivata in Italia per cominciare un periodo di tre mesi, ed ero visibilmente smarrita. Sono stata accolta in aeroporto da una coppia di volontari che mi hanno accompagnato fino alla Certosa della Trinità.

  1. Come ti è apparsa la certosa appena sei entrata?

Le consorelle e la priora mi hanno accolto con gioia ed amore, e pur non conoscendo la mia lingua mi hanno messo a mio agio da subito.

  1. Da chi era composta la comunità?

Vi erano dodici consorelle di cui io ero la più giovane avendo 21 anni, mentre la più anziana ne aveva 94.

  1. Come ti è sembrata la vita in certosa?

Essendo aspirante, la vita era molto diversa da quella che immaginavo! Essa non era tanto silenziosa e solitaria come credevo, cioè, ci sono i momenti per stare in silenzio e i momenti per parlare. Nella mia immaginazione credevo che il silenzio fosse totale o quasi. Ho vissuto in una cella e facevo quasi tutto quello che facevano le altre monache.

  1. Cosa facevi e cosa non facevi?

Facevo molti lavori fuori della cella, non partecipavo a tutti gli incontri del Noviziato, e non partecipavo a Mattutino tutte le notti. C’è una gradualità nel vivere pienamente la vita certosina, a poco a poco ci si inserisce nelle pratiche monastiche. Nonostante gli incontri in Noviziato, la formazione non avviene in gruppo, ma è personale. La Maestra delle novizie visita periodicamente le sue novizie nella loro cella, e così avvengono gli incontri di formazione individuale. Anche se gli incontri non avvengono più dopo la Professione Solenne, penso che la formazione nella vita monastica non finisce mai, così come in ogni stile di vita cristiana la formazione non finisce che con la morte. Dobbiamo in ogni caso lasciare che sia il Signore a plasmarci.

  1. Quanto era distante la realtà da della vita in certosa da come l’avevi immaginata?

La Certosa era abbastanza diversa da quello che avevo pensato, ma nel senso che viverla era molto meglio! Temevo la rigidità della regola, invece essa è austera, sobria in ogni senso ma non rigida e pervade la gioia e la discrezione. Tutto si fa per amore.

  1. Quanto ti ha spaventato il silenzio?

Al contrario mi ha attratto sempre di più. Molti entrano in Certosa pensando alle tante penitenze, al silenzio assoluto, alla solitudine assoluta, ma in effetti non è così. La Certosa è “una comunione di solitari per Dio”. C’è veramente molto silenzio e molta solitudine, ma c’è anche la vita comunitaria. Se ci sono delle urgenti comunicazioni si usano dei bigliettini da lasciare negli sportelli usati per l’introduzione del cibo nella cella.

  1. E la notte? Quanto dormivi?

Io dormivo circa 7 ore per notte, nel silenzio e nella solitudine della cella.

  1. Il bilancio di questi tre mesi?

Ebbene, in questi tre mesi andavo a Mattutino due volte a settimana, non partecipavo ad alcuni incontri del Noviziato, né andavo in Capitolo alla domenica con la Comunità per la lettura degli Statuti. Andavo in refettorio e agli spaziamenti. All’inizio c’è un po’ meno di solitudine, perché si devono imparare tante cose!

  1. Come ti è sembrato tornare a casa?

Nel marzo del 2008 faccio ritorno in Brasile, con il dolore nel cuore, tornata con la convinzione ferma di fare ritorno al più presto in certosa. Tutti i miei parenti ed amici mi hanno accolta calorosamente con un aria di festa, ma io ero cupa ed innervosita che tutte quelle persone non capivano la mia sofferenza.

  1. Cosa ti mancava?

Il silenzio, mi sentivo come un pesce fuor d’acqua. Ebbi ed ho ancora la sensazione di non appartenere più a questo mondo.

  1. Ora cosa farai?

Dovrò attendere per poter entrare definitivamente, ma nel frattempo sono esposta a tutte le prove che il Signore vorrà inviarmi, affinché possa Lui compiere i suoi disegni d’amore per me.

Grazie

a questa amica che ha voluto concedermi questa preziosa intervista, nutro la certezza che essa rappresenti un valido contributo per tutti coloro che sono attratti dalla ricerca di Dio all’interno di una certosa.

Possa san Bruno illuminare il prosieguo del cammino di questa giovane aspirante monaca certosina.