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  • Memini, volat irreparabile tempus

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Dom Porion sulla Candelora

Biagio Belotti (certosa garegnano)

Oggi 2 febbraio ricorre la “Candelora” cioè la festività che celebra la Presentazione al Tempio di Gesù, raccontata nel Vangelo secondo Luca. La “Purificazione di Maria Vergine” avvenne quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, dunque il 2 febbraio, Giuseppe e Maria portarono il Bambino al Tempio di Gerusalemme. Durante questa visita, Giuseppe e Maria incontrarono Simeone, che predisse loro che Gesù sarebbe stato la “luce per illuminare le genti”. Durante la festività i credenti, prendendo ispirazione da queste parole di Simeone, portano in chiesa delle candele per farle benedire. Per questa ricorrenza ho scelto per voi, cari lettori, una omelia di Dom Jean-Baptiste Porion, rivolta alla comunità certosina di cui era priore. E’ un testo alquanto lungo, che non ho voluto dividere poichè leggerlo e meditarlo, tutto d’un fiato, riesce ad infondere una condizione di serena beatitudine.

stelle sette x

Nel giorno stesso della Purificazione siete stati incoraggiati a meditare questo mistero, ma mi sembra che possiamo farlo ancora. Era l’umiltà di Maria che ti veniva detto allora, e si poteva vedere anche nella Purificazione la festa della luce, mostrando il rapporto che la Chiesa voleva stabilire tra le parole di Simeone e la benedizione del fuoco. – Oggi vogliamo ricordare un mistero più profondo e vedere nella Purificazione la festa del sacerdozio della Beata Vergine. Consideriamo prima ciò che sappiamo dalle Scritture delle azioni di Maria quel giorno. Arriva davanti al Tempio, giovanissima madre di forse sedici anni, avvolta nei suoi veli sotto i quali nasconde Gesù Bambino. San Giuseppe, suo sposo e custode, l’accompagna portando le due colombe in una gabbia e le cinque monete d’argento in una borsa. Possiamo dunque imitare la sua meditazione e indovinare i suoi pensieri! Davanti alla piazza del Tempio, porge una colomba al sacerdote, viene aspersa di acqua lustrale. Poi avanza sui gradini per offrire le cinque monete d’argento e la seconda colomba. Infine, entra nel Tempio, ed eccola alla presenza del Padre, verso il quale tende il suo Figlio, il Figlio di Dio e suo Figlio. E in questo piccolo essere sa che è racchiusa tutta l’umanità: tutte le fatiche, tutte le sofferenze e tutte le gioie dei cristiani sono già nel cuore di Gesù, e Maria offre al Padre tutti i figli che avrà. Probabilmente ci pensa, sa che il suo gesto ha un valore, una portata infinita. Già in quel momento ci amava nel suo cuore verginale, ci offriva al Padre. Tutta la nostra vita, in verità, deve consistere nel prepararci ad essere così offerti. Tutte le nostre azioni ed i nostri pensieri devono essere tali che la Beata Vergine possa presentarli a Dio. La prima condizione per arrivare a questa sublime offerta è dunque quella di condurre una vita pura e retta. Per noi certosini la rettitudine è ovviamente nel modo tracciato dalla regola. È un grande vantaggio condurre una vita molto semplice come la nostra, dove non hanno posto quegli imbarazzi, gli intrighi e le ambizioni che turbano il cuore delle persone nel mondo. La nostra vita è come pane azzimo, tutto puro e tutto bianco, che il sacerdote consacrerà. Un certosino che fa semplicemente il suo dovere è ben disposto a questa offerta ed a questa consacrazione. La seconda condizione è la solitudine del cuore. Il nostro cuore è un tempio più grande di quello di Gerusalemme. Dobbiamo essere soli in questo tempio con Dio e con la Beata Vergine: perché Lei non turba la nostra solitudine con Dio, ma ce la assicura. Là deve regnare un grande silenzio e una grande calma: nessun rumore, soprattutto nessuna discussione. Se siamo insoddisfatti dei nostri superiori e colleghi, se diamo loro giudizi, e se siamo interiormente occupati a lamentarci, a confrontare situazioni e persone, allora il tempio del nostro cuore non è quieto, l’offerta di ciò che facciamo e di ciò che siamo non può aver luogo. Nessuna curiosità o impazienza. Non solo il nostro cuore non dovrebbe essere occupato dalla preoccupazione per gli altri, ma non deve essere occupato dalla preoccupazione per noi stessi. Certo, dobbiamo pentirci dei nostri peccati, e soprattutto fare del nostro meglio per migliorare ogni giorno, ma il pensiero delle nostre imperfezioni non deve in alcun modo preoccuparci: è a Dio che dobbiamo pensare, e non a noi stessi. Rallegrarci di essere qui, preoccuparci di esserlo: finché queste cose ci occupano, Maria non può esercitare in noi il suo sacerdozio verginale. La solitudine del cuore così intesa è molto vicina all’abbandono, terza condizione perché l’anima diventi offerta gradita a Dio nelle mani di Maria. Dobbiamo darle il dono delle nostre cure, affidarci a lei per tutto, raggiungere la spensieratezza di un bambino. Il Vangelo ce lo intima con tale forza da far sembrare timide tutte le parole umane in questo. Non preoccuparti per il domani, dice Nostro Signore (Matteo 6:25), né per il tuo cibo, né per il tuo vestito, né per la tua salute. (Matteo 6, 28 e 31; Luca 12, 22) Siate come gli uccelli ei fiori, che sono lasciati solo alla mano di Dio e che portano alla perfezione. (Matteo 6, 28) Non voltarti neanche indietro, non perdere tempo a considerare le tue azioni passate. (Luca 9, 62) Lascia che la tua destra ignori ciò che sta facendo la tua sinistra. (Matteo 6, 3) Infine san Pietro, nel capitolo 5 della sua prima Lettera, riassume questo insegnamento in un ordine: Getta a Dio tutte le tue preoccupazioni, e il verbo che usa qui è quello che designa propriamente l’azione di gettare in mare ciò che ingombra una nave minacciata di naufragio. Mettiamoci, ad occhi chiusi, nelle mani della Beata Vergine perché si prenda cura di noi e ci offra a Dio. Siamo in gioia e dolci spirituale, chiudiamo gli occhi, fingiamo nel nostro comportamento di ignorarlo; siamo nella tristezza e nell’abbandono, richiudiamoli e sappiamo abbandonarci. Non meravigliarti se siamo apprezzati, ciò non riguarda l’anima ad occhi lucidamente chiusi; non giudichiamo la perfezione o l’imperfezione dei nostri fratelli: è comunque una cosa che faremmo meglio a lasciare a Maria. – O miei cari Fratelli, chi si abbandona così, posso assicurarvi che la Beata Vergine non tarda a prenderlo tra le sue braccia, ad elevarlo al Padre. Tutta l’arte di passare da questo mondo a Dio è saper chiudere gli occhi e affidare a Maria la propria condotta. Non si deve credere, inoltre, che l’abbandono sia contrario alla generosità. Chi è sinceramente abbandonato è docile alle ispirazioni della grazia. Possiede ciò che l’abate de Saint-Cyran chiama flessibilità nelle mani di Dio: è un dono dell’infanzia. Il bambino è facilmente guidato da sua madre. Le tre condizioni del sacrificio mariano che abbiamo enumerato: raccoglimento, abbandono, generosità, vanno sempre insieme e sono inseparabili nella verità. Questo dunque saremo, per prepararci ad essere offerti da Maria nel Tempio: fedeli, tranquilli, semplici e fiduciosi, ciechi come si diventa in un eccesso di luce. Poi ci prenderà. Ogni nostra azione offerta da Lei al Padre avrà un valore infinito. Non ci sono più piccole cose per un’anima così abbandonata: tagliare il pane, sbucciare le mele, spazzare le scale, cantare un cantico, tutto questo è immenso, perché è nelle mani di Maria. Possiamo anche dire, senza contraddirci, che per un’anima abbandonata non ci sono più cose grandi: ciò che sembra una montagna, un enorme ostacolo a chi si dirige e si prende cura di sé, è un accidente insignificante. anima abbandonata. Che non mi stimino, che mi riconoscano un povero, o che mi prendano per un mascalzone: l’uomo che si possiede è completamente sconvolto, come può giustificarsi? Un nuovo zelo per la giustizia e la verità – o la menzogna – lo strinse miseramente a questa notizia. Il figlio di Maria se ne accorge appena. Non sono affari suoi: tiene gli occhi chiusi e la mano nella mano di sua madre, si lascia condurre dove vuole – Poiché, inoltre, presto ci solleva tra le sue braccia, non vediamo più ciò che sembra così terribile per gli altri . Siamo davvero intrappolati nel fuoco incrociato. Conoscete questa espressione, presa dal linguaggio militare, che designa la situazione di un esercito attaccato sia alle spalle che davanti. Ma per noi è il fuoco dell’amore che ci assedia da tutte le parti: davanti a noi il volto del Padre, la Santissima Trinità che ci attende, e dietro di noi l’amore verginale di Maria che ci offre a Dio. La vita spirituale consiste proprio nell’essere condotto, sollevato e portato via da queste mani materne per essere presentato all’Altissimo. È cosa dolce sentirsi abbandonati in mani pure: siccome si è certi di non smarrirsi, che sicurezza dà questa stessa purezza! E queste mani hanno anche il potere di purificarci. Abbiamo già proposto questa interpretazione della solennità di cui celebriamo l’ottava: è la celebrazione della purificazione dell’umanità. Maria non aveva bisogno di essere purificata, ma ne avevamo bisogno tutti per accogliere Gesù, la luce del Padre. Solo un cristallo puro, infatti, lascia penetrare la chiarezza. Così Maria è andata al Tempio, non per se stessa, ma al posto nostro, a nome nostro, per comunicarci la sua purezza verginale e perché noi accogliamo Gesù. Per questo l’Immacolata è stata vista inginocchiata umilmente davanti al Tempio; e il prete che l’asperse d’acqua lustrale fu senza dubbio sorpreso di questa madre, quasi bambina, il cui volto era più chiaro, più puro dell’aurora. Deve essersi fermato, esitante, forse intuendo che quell’acqua non era destinata a Maria, ma zampillava sull’umanità intera, prostrata nell’ombra, assetata di perdono. Così Maria ha voluto comunicarci qualcosa della sua grazia e far riverberare su di noi le onde del suo cuore immacolato. Finalmente ci solleva tra le sue braccia, ed eccoci faccia a faccia con il Padre. Ci osserva costantemente e noi lo osserviamo. Questo faccia a faccia è la forma più alta della vita interiore; così san Paolo definisce il Cielo: non lo vedremo più, dice, nello specchio delle creature, ma faccia a faccia. (1 Corinzi 13:12) Quando viviamo sotto il suo sguardo, tutto ciò che facciamo è illuminato, tutto diventa più chiaro e trasparente. Appena ci viene in mente un cattivo pensiero, di rabbia, per esempio, di risentimento, di vendetta, si diffonde un’ombra, non siamo più sotto lo sguardo di Dio. La Scrittura usa spesso questa espressione: Ambulavit coram Deo: camminava sempre sotto gli occhi dell’Altissimo, per rendere la chiarezza e la bellezza di una vita veramente offerta a Dio. Ma anche noi lo guardiamo: ci svela il suo vero volto, che è quello dell’amore. Non abbiamo più paura, non siamo più obbligati a distogliere lo sguardo, come facevamo prima che la Beata Vergine ci purificasse dalla paura e ci fissasse nella fiducia. Guardiamo Dio in faccia. Lo sguardo di Dio e lo sguardo dell’anima si intersecano e si fondono nell’Unità eterna.

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Natale 2022

Natale disegno cartolino

Cari amici lettori di Cartusialover, intendo in questo articolo fare a tutti voi, i miei auguri di Buon Natale affinchè la luce dell’amore proveniente dalla nascita di Nostro Signore raggiunga voi oggi e sempre. 

Ai miei auguri si aggiungano, come di consueto, quelli della comunità certosina di Serra San Bruno….

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Voglio donarvi una sublime omelia di un padre Priore certosino rivolta alla sua comunità monastica nel Natale del 2000. Meditiamo su queste parole semplici ma profonde ed edificanti. Abbandoniamoci alla luce di Nostro Signore!

B U O N   N A T A L E

Ancora una volta, ritroviamo sul cammino della nostra vita la festa del Natale, la celebrazione dell’amore ineffabile del nostro Dio, che fa cose nuove. La luce di Betlemme – dolce e luminosa – risplende su di noi. Oggi la nostra celebrazione ha qualcosa che tocca i cuori in modo particolarmente consolante, perché possiamo ammirare, alla luce di Betlemme, l’onnipotenza divina posta al servizio di un amore infinito per noi uomini.

Celebriamo oggi il dono ineffabile di questo Salvatore, un dono che supera ogni aspettativa: non era necessario che l’onnipotenza si riducesse all’estrema impotenza di un neonato. Dio fatto figlio è un mistero d’amore che supera ogni immaginazione, ogni ragione. La nascita di Dio sulla terra esige da noi uno sguardo semplice e limpido, se vogliamo entrare nella luce di Betlemme con gioia e frutto spirituale.

Cosa ci rivela questa luce di Betlemme? Rivela che l’evento più sublime della storia dell’umanità si svolge in estrema semplicità. Dio aveva tanti altri modi di fare la propria volontà, ma no; sceglierà il più semplice possibile. Una semplicità stupenda, che confonde il nostro orgoglio.

È la luce di Betlemme che ci insegna a leggere lo sviluppo dei piani divini nella nostra vita. Abituati come siamo a cercare le novità e ad apprezzare le cose che fanno spettacolo, non sempre riusciamo a cogliere la preferenza di Dio per le cose semplici e umili. Dio usa il più semplice e ordinario, non il più comodo, né il più brillante.

Un’altra luce da Betlemme: silenzio e solitudine. Dio ha offerto a Maria e Giuseppe silenzio e solitudine, per quale motivo? Non c’era posto per loro nella locanda. Così Maria ha partorito nell’intimità, nella solitudine, come era giusto che Dio nascesse tra gli uomini. Possiamo immaginare Maria calma e serena nelle avversità e conforme ai disegni del Padre.

La povertà è un’altra luce di Betlemme. Trova una povera Madre, un uomo giusto, una coppia santa e ignorata. La luce di Betlemme insegna che il distacco dona serenità al cuore. Il confine tra il necessario e il superfluo non è violato continuamente anche nelle Certose? Non ne abbiamo mai abbastanza. Sempre nuove esigenze. Ma quando si possiedi molto e se ne gode, compaiono disillusione e disagio, ed allo stesso modo, la serenità e la gioia fuggono dal cuore. La luce di Betlemme può chiarire questa confusione che è dannosa per la vita spirituale.

Davanti alla grotta di Betlemme, possiamo e dobbiamo scoprire la bellezza del cammino di Dio verso di noi. In questa visione serena il cuore sarà calmo, l’anima troverà pace e l’intelligenza comprenderà – alla luce di Betlemme – il perché di tante cose che Dio fa o permette. Pace nel cuore, perché la luce di Betlemme insegna che la causa di ciò che non si comprende è sempre l’amore divino.

La serenità di Maria ci serva di conforto e di modello. Celebriamo la Natività del Signore nel silenzio, nel raccoglimento; e così la luce di Betlemme potrà irradiarsi nei nostri cuori. La luce di Betlemme illumini i nostri cuori, cari fratelli!

Gli eventi della vigilia di Natale – dolorosi per i cuori di Maria e Giuseppe – devono essere per noi uno stimolo ad adattarci generosamente ai disegni divini.

Auguro a ciascuno di voi qui presenti di essere sereno nella povertà di Betlemme, felice nell’obbedienza che ci unisce a Gesù, e incoraggiato nella castità che permette al cuore di dilatarsi e di avvicinarsi a Dio e di vivere nella sua intimità, come Maria e Giuseppe.

Indubbiamente è un programma esigente! La luce che emerge dal presepe ci rafforzi, ci consoli nella desolazione ed illumini il cammino.

Omelia per l’Immacolata

0 Immacolata con S. Bruno S.Antelmo (Mozzillo 1807)

Per l’odierna celebrazione della Festa della Immacolata Concezione, è mio desiderio offrirvi una profonda Omelia di un Padre Priore certosino pronunciata l’8 dicembre del 1995. Essa è estratta dal libro “Palavras do deserto”.

copertina Palavras do silencio

Omelia Immacolata 1995

L’Arca dell’Alleanza era un simbolo della presenza di Yahweh nel suo popolo eletto e del valore che Dio attribuiva alla sua alleanza. Era anche la manifestazione dell’infinito rispetto che il Popolo doveva avere per la presenza del Dio Altissimo e viverci in essa.

Oggi la Chiesa celebra l’Arca della Nuova ed Eterna Alleanza, e Dio ha voluto per lei una bellezza morale e spirituale molto più grande, incomparabilmente più grande. Riempiendo Maria di grazia e di una prerogativa eccezionale, Dio ha preparato la futura Madre di suo Figlio, fin dal primo momento della sua esistenza, ad essere l’Arca degna e santa della Nuova Alleanza, tutta pura e santa, “ricoperta dell’oro più puro “.

È il senso profondo dell’unico privilegio di cui Dio ha adornato l’anima della Madre del Redentore. Tuttavia, non vorrei soffermarmi su questo aspetto del mistero di Maria. Vorrei piuttosto mettere in primo piano il significato originario del privilegio, quello che riguarda Dio e non la creatura, l’autore della grazia e non il suo destinatario. Perché se Dio ha fatto questa eccezione a favore di Maria, è stato innanzitutto perché Dio merita un’Arca dell’Alleanza degna di sé.

Parlando del privilegio della Beata Vergine, è facile cadere nell’errore di insistere più sulla grazia di Maria che sulla grazia di Dio. L’Immacolata Bellezza di Maria è totalmente e fondamentalmente orientata al rispetto dovuto a Dio. In Maria contempliamo una creatura scelta da Dio e per Dio.

Alla luce dell’attuale Magistero della Chiesa, la categoria fondamentale in cui dobbiamo cercare di comprendere la santità di Maria Immacolata non è quella del privilegio, ma quella della fede. L’anima di Maria Immacolata è stata straordinariamente arricchita dai doni dello Spirito Santo, che sono come i gioielli più preziosi che Dio può elargire all’uomo. Ma perché tutto questo? Perché il ruolo di Maria, la sua vocazione la chiamava al mistero sconcertante del distacco e della totale fedeltà a Dio nel suo cammino di fede.

Anche Maria, come Gesù, imparò l’obbedienza (Eb 5,8). Avanzò in essa, attraverso prove e sofferenze, tanto da poter dire di lei con piena fiducia: non abbiamo una Madre che non possa avere compassione per le nostre debolezze, le nostre stanchezze, le nostre tentazioni; al contrario, lei stessa è stata provata in tutto, a nostra somiglianza, tranne che nel peccato. E qui sta la grandezza di Maria. Niente è stato facile per Maria. Ha dovuto combattere e vincere l’oscurità e la fatica; non era esente dalla lotta o dalla fatica di credere e di camminare.

Infatti, la grandezza spirituale di una creatura davanti a Dio non si misura tanto da ciò che Dio gli dona, quanto da ciò che Dio gli chiede. Infatti, Dio dà in proporzione a quanto chiede o chiederà. E la tua richiesta è un grande dono per noi. E cosa ha chiesto Dio a Maria, per la quale, inoltre, l’ha anche preparata con la sua Immacolata Concezione, se non il sacrificio totale del cuore, l’obbedienza silenziosa al disegno di Dio? Indubbiamente abbiamo qui il fondamento della devozione a Maria Immacolata: la Madre di Gesù era una serva fedele, obbediente, umile. Fedeltà costante, frutto perfetto del suo concepimento senza peccato.

La devozione a Maria Santissima non è contemplazione “angelica”, né sentimento superficiale, ma legame affettivo profondo con quella che abbiamo ricevuto come Madre, ai piedi della Croce, legame radicato nella fede e nella certezza assoluta che Maria Santissima ha portato alla pienezza della perfezione l’ineffabile grazia della sua Immacolata Concezione, nel suo mirabile cammino di fede, obbedienza e fedeltà assoluta al Padre.

Arca Immacolata dell’Eterna Alleanza, prega per noi!

Amen.

Mistero Pasquale, Mistero Trinitario (2)

crocifissione

Oggi, venerdì santo, il giorno in cui i cristiani commemorano la passione e la crocifissione di Gesù Cristo, ecco per voi la seconda parte del testo “Mistero Pasquale, Mistero Trinitario”.

Il mistero di Cristo, che è il mistero di Dio che si dona a noi, è nascosto ai nostri occhi superficiali. Solo Dio può farsi capire. Quante volte nel Vangelo (Lc 18,32; Mc 8,17; ecc) sta scritto: “E non capivano quello che diceva…”; i suoi occhi erano chiusi ed anche le sue orecchie, soprattutto quando si trattava di predizioni della passione e morte.

Solo nella preghiera profonda possiamo capire, perché la preghiera è amore, l’amore è comprensione dall’interno. C’è, per così dire, un’incapacità di percepire il disegno misterioso di Dio, ancor più particolarmente riguardo alla vulnerabilità di Dio in Cristo e in se stesso (perché è amore), Dio senza difesa, come Dio nella sua passione. Dio in Gesù diventa vulnerabilità, perché è amore.

Posso dire che mi ci sono voluti 50 anni di vita religiosa per raggiungere la soglia del mistero e capirne un po’, molto poco la sua profondità. La passione e la morte di Gesù rivelano l’amore del Padre per Gesù, l’amore del Padre per noi, l’amore di Gesù per il Padre e l’amore divino del Redentore per noi.

Ecco, io vengo a fare la tua volontà, o Dio”.

Gesù rivela lo Spirito Santo, rivela il suo amore per il Padre, il Padre rivela la sua fiducia in Gesù. E resterà per sempre che l’ultima e decisiva espressione di questo amore divino e tenero è l’esaurimento di un povero uomo svuotato del suo sangue: rivelazione della vulnerabilità di Dio. In quel momento della morte di Gesù, si rivela ciò che è vissuto eternamente in Dio.

È difficile capirlo senza amore; se l’amore è assente dal nostro cuore, non c’è possibilità di comprensione. È lì che possiamo vivere la nostra partecipazione al mistero pasquale, il nostro ‘passaggio’ nella notte dei sensi, nel buio della tomba, dove dobbiamo lasciare le nostre forze (immaginazione, intelligenza, memoria, volontà), nella tomba da cui possiamo uscire luminosi con Gesù. Solo la Parola di Dio può illuminarci, trasformarci e rivelarci ciò che è superiore alla nostra intelligenza.

Il mistero pasquale ci supera e non penetra nella conoscenza umana, come dice l’Apostolo (Ef 3,19), è la rivelazione definitiva della Santissima Trinità.

San Tommaso d’Aquino definisce “Conoscenza per connaturalità”. È l’amore che fa conoscere Dio, la conoscenza conduce all’amore. Non si può conoscere Dio senza amarlo. Chi non lo ama è perché non lo conosce.

Ciò che si rivela nel mistero pasquale è un mistero che esiste in Dio, prima della creazione del mondo. L’esaurimento di Dio nell’incarnazione. Esaurimento totale del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre. Il ruolo del Crocifisso Risorto consiste proprio nel rivelare in modo drammatico e definitivo la Passione del Padre.

Gesù soffre, perché già nella Santissima Trinità c’è una passione d’amore che ha condotto il Verbo al seno a Maria e l’uomo Gesù alla morte di croce.

Si nota la difficoltà di spiegare l’incomprensibile, l’inspiegabile (al di sopra della conoscenza umana). Le parole si moltiplicano per cercare di concepire l’inconcepibile. Dio soffre o non soffre? Risposta: Dio ama.

Il mistero pasquale può essere compreso solo nell’amore e attraverso l’amore.

Mistero Pasquale, Mistero Trinitario

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Ultima cena (Ottavio Semino) certosa Pavia

Cari amici, eccoci giunti anche quest’anno al Triduo pasquale. Ebbene ho scelto per voi un testo del 1989 tratto da un’omelia di un padre priore certosino rivolto alla sua comunità e sul quale vi invito a meditare. Ho diviso il testo in due parti che saranno pubblicate oggi giovedì santo e domani venerdì santo.

Cari fratelli,

Il mistero pasquale si presenta ancora una volta agli occhi dei cristiani, e soprattutto alla loro meditazione, alla loro celebrazione festiva. Un mistero che implica soprattutto un’azione potente e un gesto grandioso di Dio stesso, attraverso il quale il Padre ci salva, attraverso un apparente fallimento – un apparente fallimento della missione di Gesù. È un annuncio silenzioso e meraviglioso di Dio: non c’è empietà umana che possa porre un limite all’amore infinito di Dio. Com’è bello prolungare la nostra meditazione su questa verità! Il peccato umano non pone limiti a Dio. La grandezza e la potenza di Dio si manifestano nel suo amore sovrano. La passione di Gesù, la sua morte e risurrezione insegnano che l’amore di Dio è, e sarà sempre, il più grande.

Il mistero pasquale è un mistero trinitario che possiamo chiamare eterno. Tutto è già vissuto e condiviso in Dio eternamente. La sofferenza immane e disumana di Gesù è una manifestazione umana, esteriore, storica dell’infinita tenerezza in cui Dio vive eternamente. Una cosa è certa: la dimensione trinitaria della croce di Gesù, della sua passione e risurrezione, in cui il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono coinvolti in modi diversi, ma veri.

A proposito, i nostri Statuti ci invitano alla preghiera contemplativa, all’umile tensione contemplativa di una vita silenziosa, dove il nostro cuore partecipa alla pienezza del mistero in cui Cristo, crocifisso e risorto, ritorna al seno del Padre.

Sì, il mistero dell’amore di Gesù martire, morto e risorto, lo possiamo comprendere solo nella preghiera. Bisogna ricordare che un minimo grado di intimità con Gesù e con il Padre può essere raggiunto solo attraverso la partecipazione alle sue sofferenze, conformandosi alla sua morte (Fil 3,10). Non si tratta necessariamente di camminare alla ricerca della sofferenza, ma di saper accogliere con saggezza, con coraggio, con fede, con amore, la piccola sofferenza che avviene nella nostra vita, perché ci unisce – con la preghiera in modo speciale – a Gesù nel suo mistero pasquale, nella sua obbedienza al Padre attraverso le mille mediazioni umane e le circostanze impreviste e, talvolta, previste della nostra vita quotidiana.

Sì, il mistero pasquale, il mistero trinitario in cui il Padre ha compassione perché il Figlio soffre, ci insegna che la sofferenza ha in sé il suo significato e la sua soluzione, alla luce della passione e della risurrezione, opera del divino Spirito Santo. La sofferenza con fede ci fa scoprire la ragione della sofferenza, la preghiera illumina il cuore e comprendiamo che non siamo capaci, dopo il peccato, di camminare con Dio e di progredire nella santità, senza sofferenza, senza rinuncia, senza croce. È chiaro, quindi, perché la sofferenza cessa di essere un problema per i Santi e diventa una grazia, come dice l’Apostolo: «A voi è stata data la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1, 29). È un onore per noi essere trattati dal Padre come ha trattato l’amato Figlio, non è solo un onore, è la manifestazione di un amore di predilezione.

Alla luce della fede che ci viene dal mistero pasquale, dall’ingiusta sofferenza del Figlio di Dio e dalla tenerezza del Padre che lo accompagna nella sua passione e lo risuscita, siamo convinti che non c’è preghiera inutile, per quanto miserabile possa essere, né c’è un problema senza soluzione, né contraddizione o sofferenza che non sia per il nostro bene, che non sia partecipazione al mistero pasquale, attraverso il nostro inserimento – attraverso il battesimo e l’Eucaristia – nel mistero pasquale del Signore Gesù, mistero trinitario della nostra salvezza e santificazione.

CONTINUA…

Il Pastore buono

El-Buen-Pastor Pedro Orrente

Eccoci giunti ad iniziare la settimana che ci condurrà alla Domenica di Pasqua. Voglio offrirvi una deliziosa omelia del certosino Dom Tarciso Geijer, concepita nel 1968 nella certosa di Vedana ed offerta ai suoi confratelli.

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Il pastore è tutto per le sue pecore: la loro vita, il loro nutrimento; la loro custodia è interamente nelle sue mani; e se il pastore è buono, sotto la sua protezione non hanno nulla da temere e nulla verrà loro a mancare. Gesù è il pastore buono per eccellenza: egli non solo ama, nutre, custodisce le sue pecorelle, ma dà ad esse la vita e la dà a prezzo della sua. Mediante l’Incarnazione il Figlio di Dio viene sulla terra in cerca degli uomini che, simili a pecore erranti, si sono allontanati dall’ovile e sperduti nella tenebrosa valle del peccato.

Viene come pastore amatissimo che, per meglio soccorrere il suo gregge, non teme di condividerne la sorte. L’epistola odierna ce lo presenta così, in atto di caricarsi i nostri peccati per guarirci con la sua Passione, come disse San Pietro: «Egli stesso ha portato i nostri peccati sul suo corpo, sul legno della croce, affinché, morti al peccato, viviamo per la giustizia, risanati dalle sue piaghe. Infatti, eravate come pecore erranti, ora siete ritornati al pastore e duce delle anime vostre». «Io sono il buon pastore – ha detto Gesù – e per le mie pecore do anche la vita». Nell’ufficiatura del tempo pasquale la Chiesa canta ripetutamente: «È risorto il buon Pastore, che diede la vita per le sue pecorelle e si degnò morire per il suo gregge».

Come si potrebbe meglio sintetizzare tutta l’opera della Redenzione? E questa appare ancor più grandiosa quando, dalla bocca di Gesù, sentiamo dichiarare: «Son venuto perché abbiano la vita e l’abbiano più abbondantemente». Veramente egli potrebbe ripetere a ciascuno di noi la questione di Dio al suo popolo per il profeta Isaia: «Che cosa avrei potuto fare per te che non te l’abbia fatto?». Oh, se la nostra generosità nel darci a lui non avesse limiti come non ne ha avuti la sua nel darsi a noi!

Gesù dice ancora: «Io conosco le mie pecore e le mie conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre». Benché non si tratti di uguaglianza, ma di semplice similitudine è però tanto confortante e glorioso per noi vedere come Gesù ami paragonare le sue relazioni con noi alle sue relazioni col Padre. Anche nell’ultima cena ha detto: «Come il Padre ha amato me, così anch’io amo voi». E ancora: «Come tu Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano uno in noi». Questo ci mostra come tra noi – le pecore – e Gesù – nostro Pastore – non vi sia solo un rapporto di conoscenza, ma anche di amore e più ancora di comunanza di vita, simile a quello che esiste tra il Figlio e il Padre.

E a tali rapporti col nostro Dio – tanto profondi che ci fanno partecipare alla sua stessa vita intima – noi giungiamo proprio mediante la grazia, la fede e la carità che il buon Pastore ci ha acquistato dando per noi la sua vita. Ecco dunque, che tra il buon Pastore e le sue pecore si stabilisce un’intima relazione di conoscenza amorosa, tanto intima che il pastore conosce ad una ad una le sue pecore e le chiama per nome ed esse riconoscono la sua voce e lo seguono docilmente. Ogni anima può dire: Gesù mi conosce e mi ama non in modo generico ed astratto, ma nella concretezze dei miei bisogni, dei miei desideri, della mia vita; e per lui conoscermi ed amarmi significa farmi buono, avvolgermi sempre più nella sua grazia, santificarmi. Appunto perché mi ama, Gesù mi chiama per nome: mi chiama, quando nell’orazione, mi apre nuovi orizzonti di vita spirituale, oppure mi fa conoscere meglio i miei difetti, la mia miseria; mi chiama quando mi rimprovera o purifica mediante la sofferenza e quando mi consola e mi incoraggia infondendomi nuove forze e fervore; mi chiama quando mi fa sentire il bisogno di maggiore generosità, quando mi chiede dei sacrifici o mi concede delle gioie e più ancora quando desta in me un più profondo amore per lui. Di fronte alla sua chiamata il mio atteggiamento deve essere quello della pecorella affezionata che sa riconoscere la voce del suo Pastore e sempre lo segue. Così sia!

(Certosa di Vedana, 1968 Tempo di Pasqua….Omelia di P. Tarcisio Geijer)

Celebrando San Giuseppe

Cappella San Giuseppe (certosa San Martino)

Cari amici, oggi celebriamo la festività dedicata a San Giuseppe. Quest’anno è un pò speciale, poichè il Santo Padre, ha dedicato il 2021 allo sposo della beata Vergine Maria. Il Papa, infatti, lo scorso 8 dicembre ha indetto l’Anno di San Giuseppe, asserendo che: “Il mondo ha bisogno di padri

Per ben celebrarlo, voglio offrirvi una splendida omelia di Dom Pierre Marie Anquez, il Priore certosino che volle offrirla alla sua comunità il 19 marzo del 2001.

Su San Giuseppe

omelia di Dom Pierre Anquez

Carissimi Fratelli,

In questo tempo di Quaresima, quando siamo tutti impegnati a rivedere il nostro percorso spirituale in preparazione alla Santa Pasqua, non c’è niente di meglio che cercare um esempio de vita per completare la nostra preparazione.

Su questa strada troviamo oggi il grande San Giuseppe, il Padre adottivo del Verbo incarnato, compagno amorevole e delicato della Madre di Dio. Il suo esempio può aiutarci, mostrandoci come deve essere la nostra azione davanti a Dio, in considerazione ed adempimento della nostra totale consacrazione a Dio.

Non so se avete notato che, tre volte, sulla stessa pagina del suo Vangelo (fine del primo capitolo e inizio del secondo), San Matteo scrive: “Giuseppe destatosi dal sonno, fece come l’angelo del Signore gli aveva ordinato”.

Mt 1,24: “destatosi dal sonno, fece come l’angelo del Signore gli aveva ordinato”.

Mt 2, 14: “Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto”.

Mt 2,21: “Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d’Israele”.

Perciò, San Giuseppe è sempre stato considerato un esempio di obbedienza, un uomo obbediente.

Dio ha voluto un uomo perfettamente obediente per dargli la dignità di prendere il posto del Padre celeste nella vita umana del suo Figlio incarnato. Grande dignità, basata su grande umiltà e obbedienza. Dio, nella sua bontà, ha formato il cuore di Giuseppe per il ruolo di figura umana del Padre celeste accanto a Gesù.

Dio chiede obbedienza a Giuseppe:

– una prima volta, dopo l’Annunciazione, per dirgli di prendere Maria per sua moglie;

– una seconda volta, per fuggire dall’Egitto;

– e una terza volta, per tornare in Israele.

Nella seconda volta, l’angelo gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò”. Le ultime parole ci offrono un dettaglio importante: non c’è spazio minimo per Giuseppe fare la sua volontà e decidere cosa fare; l’angelo è molto chiaro: “finché non ti avvertirò”.

Non c’è spazio per la volontà dell’obbediente: “finché non ti avvertirò “. È così che Dio tratta i suoi amati figli: fammi anche avere il tuo discernimento, la tua azione e lascia a me la decisione.

Detto questo, mi sembra che l’obbedienza sia un aspetto della figura spirituale di San Giuseppe. Appena conosce la volontà del Padre, si conforma senza discutere, senza riflettere, senza preoccuparsi delle difficoltà che dovrà affrontare: Dio è con lui. Fa quello che Dio vuole.

Cari fratelli, lasciamoci guidare dall’esempio di San Giuseppe, per vedere cosa esige dalla nostra obbedienza la nostra vocazione monastica. Gli Statuti, infatti, hanno tutta una dottrina secolare sull’obbedienza; secolare, perché ci viene da San Bruno (nella sua Lettera) e da Dom Guigo, a 25 anni dalla morte del Fondatore. Dom Guigo, in ‘Costumes’, si esprime così: “Se chiunque decide di vivere sotto una regola deve praticare l’obbedienza con grande cura, dobbiamo praticarla con tanta devozione e sollecitudine quanto più rigoroso e austero è lo scopo che abbracciamo; se mancasse l’obbedienza – che Dio non voglia – tanti lavori sarebbero infruttuosi. Da qui la parola di Samuele: “L’obbedienza vale più delle vittime; la docilità è più preziosa che offrire il grasso delle pecore ”(statuti 10.11).

Il pensiero è chiaro: abbiamo deciso di vivere sotto una regola molto esigente e severa. Tocca a noi essere coerenti. Siamo impegnati, per scelta di Dio e anche nostra, su un cammino dove l’obbedienza è seguita con grande rigore. E l’intenzione ispiratrice di quel testo è nelle sue ultime parole: senza l’obbedienza tutti i nostri sforzi sono inutili, sarebbero privi di frutto.

Quindi siamo attenti a capire il suo significato spirituale, perché riguarda la nostra vita. È la nostra vita che è in gioco. Se non sappiamo obbedire, perdiamo tempo qui, nonostante tutti i nostri sforzi.

Ma perché un tale requisito? Risponde San Bruno nella sua lettera: “Perché la vera obbedienza è il compimento della volontà di Dio”. Ogni obbedienza ha sempre l’obiettivo e lo scopo di unirsi a Dio, oltre ai suoi intermediari e mediazioni; obbedire è adempiere quella che sappiamo essere la volontà del Padre nei cieli. E Gesù insegna: per seguirmi, rinuncia a te stesso, cioè alla tua volontà.

Per oggi basta convincerci e rinnovare la nostra convinzione che obbedire è ricevere – attraverso una guida umana – ricevere, ripeto, la tenerezza del Padre celeste che ci genera nella sua vita divina, come ha fatto con Gesù e per Gesù… “Alla ricerca di un atteggiamento di volontaria sottomissione”, che ci unisce a Gesù e al Padre.

L’obbedienza ci mette in contatto con Dio, contatto filiale che ci rende fecondi e ravviva ciò che facciamo: senza quella fecondità, c’è solo sterilità. “Senza obbedienza, non possiamo aspettarci alcun profitto” (Statuti 7.8).

L’obbedienza che promettiamo ci porta a imitare San Giuseppe: “Alzati e resta là finché non ti avvertirò”. Non sarà sempre facile, perché i nostri cuori sono ancora duri. Non sappiamo ascoltare l’angelo che parla così, attraverso il Priore, l’angelo che è Gesù stesso: il Priore agisce come Gesù.

Abbiamo anche, invece di uno, tre angeli che ci trasmettono ciò che Dio vuole da noi: gli statuti, la comunità, il Priore!

La nostra obbedienza finirà sempre per essere dolorosa, prima o poi. Giuseppe, in fuga in Egitto con il bambino e sua madre, com’è stata? E quella di Gesù, com’è stata? Obbedire è rinunciare a se stesso. Siamo ben consapevoli che l’obbedienza che Dio vuole da noi è quella di Gesù, che ha scelto per sé un’obbedienza dolorosa, che dovrebbe diventare la salvezza di tutti noi ed essere coronata nella sua risurrezione. Questa dolorosa obbedienza ci conduce, come Gesù, a una più grande unione con il Padre.

Se fai tutte le tue volontà prima di obbedire, dov’è l’obbedienza?

Se obbediamo quando tutte le circostanze sono favorevoli e abbiamo tempo per farlo, il lavoro sarà fatto, sì, ma non per obbedienza. Offriamo a Dio un’obbedienza senza bellezza che non interessa a nessuno … né a Dio.

Giuseppe si alzò durante la notte e partì per l’Egitto.

Chiediamo al nostro buon Padre San Giuseppe la sua filiale obbedienza. Chiediamola anche a Gesù e Maria.

Buon Natale 2020

25 Ancien retable du maître-autel de la Chartreuse de Strasbourg (I Nativité, II Adoration des Mages, III Circoncision). Vers 1470-1475. Noyer polychrome. Musée de l'Œuvre Notre-Dame de Strasbourg

Carissimi amici lettori di Cartusialover nel silenzio della notte stellata trascorsa, una luce possa diffondersi nella nostra grotta interiore, illuminandola e trasformandola. Sinceri Auguri per un Natale che ci trasformi, illuminandoci. Nasce Cristo e nasce la speranza, Lui ci porta la speranza, quella di cui oggi, più di sempre, ha bisogno l’intero genere umano.

Buon Natale pregno di salute e serenità

Ho scelto per voi, un’omelia di Dom Giovanni Giusto Lanspergio che credo sia edificante ed illuminante in questi tempi bui. A seguire una toccante preghiera.

Cristo, la luce della nostra vita

Omelia di Dom Lanspergio

Sermone 5, Opera omnia, 3, 315-317

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto sorgere una grande luce (Is 9,1).

Fratelli miei, è risaputo che siamo tutti nati nell’oscurità e che una volta vivevamo lì. Ma assicuriamoci di non rimanere lì più a lungo, ora che il sole della giustizia è sorto per noi.

Cristo quindi è venuto per illuminare coloro che dimorano nelle tenebre e nell’ombra della morte, per guidare i loro passi sulla via della pace. Di quale oscurità stiamo parlando? Tutto ciò che è nella nostra mente, nella nostra volontà o nella nostra memoria, e che non è Dio o non ha la sua sorgente in Dio, in altre parole tutto in noi che non è alla gloria di Dio e schermi tra Dio e l’anima, è l’oscurità.

Quindi Cristo, avendo la luce dentro di sé, ce l’ha portata in modo che potessimo vedere i nostri peccati e odiare le nostre tenebre. In verità, la povertà che scelse quando non riuscì a trovare posto nella taverna, è per noi la luce con cui ora possiamo conoscere la felicità dei poveri in spirito, a cui appartiene il Regno dei Cieli.

L’amore di cui Cristo ha testimoniato dedicandosi alla nostra istruzione ed esponendosi a sopportare per noi prove, esilio, persecuzione, ferite e morte in croce, l’amore che alla fine lo ha portato fa pregare per i suoi carnefici, è per noi la luce grazie alla quale possiamo imparare anche ad amare i nostri nemici.

È per noi la luce, l’umiltà con cui si è spogliato assumendo la condizione di servo (Fil 2,7) e, rifiutando la gloria del mondo, ha voluto nascere in una stalla piuttosto che in un palazzo e resistere una morte vergognosa su una forca. Grazie a questa umiltà possiamo sapere quanto sia detestabile il peccato di un essere di melma, un povero ometto di nulla, quando è orgoglioso, si glorifica e non vuole obbedire, mentre vediamo il Dio infinito, umiliato, disprezzato e consegnato agli uomini.

È leggera anche per noi, la dolcezza con cui sopportava la fame, la sete, il freddo, gli insulti, i colpi e le ferite, quando come un agnello veniva condotto al macello e come una pecora davanti al tosatore non ha aperto la bocca (Is 53,7). Grazie a questa gentilezza, infatti, vediamo quanto sia inutile la rabbia, oltre che la minaccia, quindi acconsentiamo a soffrire e non serviamo Cristo fuori dalla routine. Grazie a lei conosciamo tutto ciò che ci viene chiesto: piangere i nostri peccati nella sottomissione e nel silenzio e sopportare pazientemente la sofferenza quando si presenta. Perché Cristo sopportò i suoi tormenti con tanta dolcezza e pazienza, non per i peccati che non ha commesso, ma per quelli degli altri.

Pertanto, cari fratelli e sorelle, riflettete su tutte le virtù che Cristo ci ha insegnato con la sua vita esemplare, che ci raccomanda con le sue esortazioni e che ci dà la forza di imitare con l’aiuto della sua grazia.

Preghiera

Dio eterno e onnipotente, dirigi la nostra vita secondo il tuo amore, affinché nel nome del tuo diletto Figlio possiamo portare frutti in abbondanza. Da Gesù Cristo.

O Signore nostro Dio, volevi che tuo Figlio prendesse la nostra carne per diffondere la tua luce tra coloro che dimorano nelle tenebre. Concedici la grazia di una conversione più totale e rifletteremo sui nostri fratelli la chiarezza del tuo Regno. 

Amen

Auguri

Pasqua 2020

Resurrezione (vetrata certosa Miraflores)

Resurrezione (vetrata certosa Miraflores)

Carissimi amici, per la nota tragica pandemia, le celebrazioni per la Santa Pasqua sono state annullate. Come di consueto da questo blog vi propongo omelie o sermoni. Quella che oggi vi offro, fu realizzata da un priore certosino e rivolto alla propria comunità, credo che mai come in questo triste periodo, possa colmare quel vuoto lasciatoci dall’assenza di celebrazioni. Buona e serena Pasqua a tutti voi, con l’auspicio che tutte le creature di questa terra possano risorgere da questo morbo, che ha falcidiato tante persone.

Esultiamo Gesù è risorto!

Le donne andarono subito alla tomba, per ungere Gesù morto. “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui.” Il più grande e importante evento dell’intera storia dell’umanità! Cambiamento radicale, non solo nel corpo di Gesù, ma nella storia dell’umanità, per la quale, come dicono i santi Padri, sono state aperte le porte dell’eternità.

La tomba aperta e vuota! Cristo vive! Gesù è risorto! È la grande verità che riempie di contenuto la nostra fede. “Non abbiate paura” dice l’Angelo. Cristo vive. Gesù è Emmanuele: Dio con noi per sempre. Ed il suo regno non avrà fine (Lc 1,33). Questa grande e gloriosa verità riempie anche i nostri cuori di consolazione, gioia e pace. E quella verità è la rivelazione definitiva di Dio stesso. Non c’è più posto per un’altra. Dio non può rivelare una cosa più bella, più ammirevole di sè. La risurrezione di Gesù è la vittoria dell’amore sul male e sulla morte, è l’ultima e definitiva rivelazione della natura di Dio. Dio è amore. Dio ama l’umanità e la salva. Dio non abbandona i suoi figli: “Anche se questa donna si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,15). Dio è fedele a se stesso e alle sue parole.

Punto culminante della rivelazione dell’essere di Dio” (Dives in Misericordia n.53). Pienezza della rivelazione di Dio, che ha la conseguenza: non esiste alcun male che possa limitare l’amore divino. Non c’è peccato così grande da poter paralizzare il cuore del Padre o indurire la tenerezza dell’amore divino. Resuscitando suo Figlio, il Padre rivela l’amore infinito che vive tra il Padre ed il Figlio nella Santissima Trinità, un amore che si chiama Spirito Santo e si riversa su di noi oggi. Dopo la crudele Passione e l’orrenda morte del Verbo Incarnat, Dio continua a trovare le sue delizie tra i figli degli uomini (Pr 8,31).

Tali erano i disegni dell’Eterno Padre: Gesù, morendo sulla croce ed essendo risorto, ci rivela e ci dà lo Spirito Santo che apre i nostri occhi e cuori sull’amore infinito che non può essere superato o indurito. Cristo è vivo. Per sempre vivo. In un modo speciale, cari fratelli, vive in mezzo a noi, in noi. Non solo nella sua presenza eucaristica, rinnovata ogni mattina, Gesù vive in mezzo a noi ed in noi: posso e devo scoprire Gesù vivo in ogni fratello che mi si avvicina. La nostra vocazione di cristiani e, ancor più, di consacrati, è di proclamare con la nostra vita, la vita e la regalità di Cristo, come ho già detto tante volte. Anche il nostro silenzio e la nostra clausura con Gesù sono un annuncio silenzioso e, allo stesso tempo, che grida: Gesù vive! Gesù è risorto!

La nostra vita, cari fratelli, il nostro seguire Gesù nel deserto, la nostra preghiera, la nostra fedeltà quotidiana nel silenzio e nell’amore fraterno, tutto questo proclama la nostra fede nella risurrezione di Gesù e rafforzeranno la fede del popolo di Dio di fronte a questo mondo angosciato e disorientato, pieno di violenza e generatore di tante sofferenze. La nostra serenità proclama la verità su Gesù risorto.

La tomba è vuota, ma Gesù vive in me. Nella mia povera vita e miseria, sono una presenza vivente di Gesù, nella sua Chiesa, nella nostra comunità. Se è così, come effettivamente è,, non devo solo provare a vivere in un atteggiamento di amore generoso, come Gesù mi insegna, ma anche sforzarmi di far conoscere Gesù, attraverso di me, per far conoscere il suo amore divino, attraverso del mio umile amore umano.

In altre parole, abbiamo scritto con la nostra umile vita queste parole del Vangelo che ho citato all’inizio: la tomba aperta e vuota: “Non è qui – è risorto!”

Auguri

 

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Natività della Beata Vergine Maria

A Ghirardi Nativita di Maria Vergine

Per la ricorrenza odierna della Natività della Beata Vergine Maria, voglio offrirvi questa omelia di un Padre priore certosino, rivolta ai suoi confratelli.

 

Miei venerati padri e cari fratelli,

“Il Signore mi ha posseduto all’inizio delle sue vie, prima che formassi una creatura e segnasse il mio posto da tutta l’eternità, dai tempi antichi, prima che la terra fosse.”

La Chiesa applica alla Beata Vergine queste parole di saggezza. Per tutta l’eternità, Dio ha circondato Maria con infinito amore. Colui che sapeva che dopo la Creazione il mondo sarebbe caduto nel peccato, ha contemplato con amore la Vergine il cui libero consenso avrebbe permesso che l’Incarnazione e la Redenzione si realizzassero. Quindi quando, secondo il decreto di Dio, era tempo che Maria ricevesse l’essere e la vita, Dio si chinò su di lei con tutta la sua tenerezza paterna. Lo voleva senza macchia, non contaminato da ogni contaminazione, e lo riempiva di tutte le perfezioni umane in cui la bellezza e la grandezza di Dio si riflettevano il più possibile in una creatura. Alla fine gli diede la grazia santificante che gli avrebbe permesso di entrare nella vita divina.

Sin dal primo momento della sua concezione, Maria aveva quindi, con Dio e con ciascuna delle Divine Persone, rapporti di intimità, rapporti d’amore, germi di quelli che dovevano sbocciare pienamente quando, nel giorno dell’Annunciazione, pronunciò il “fiat” che l’avrebbe resa la madre di Dio.

Durante questo periodo, le tre Divine Persone prepareranno la Beata Vergine per questo ruolo. Innanzitutto il Padre, che gli affiderà il suo amato Figlio e in lui tutta la Creazione, vuole vedere in lei un cuore come il suo. Vuole che lei sia in grado, come lui, di dare e trasmettere amore. Quindi lo illuminerà con la luce della Parola. Gli mostrerà la sua grandezza e le sue infinite perfezioni; poi le rivelerà cosa sono l’uomo e il peccato e la necessità di colmare, con un Messia amorevole e sofferente, l’abisso che separa l’uomo da Dio. Maria vedrà quindi il ruolo dell’amore nel piano divino; si darà a questo amore, che afferrerà sempre di più la sua anima mentre la Parola la illumina di più.

Che nessun altro possa immaginare in questa vita molto nascosta e semplice cose straordinarie, rivelazioni ed estasi; il Vangelo non dice nulla al riguardo. Tutto ci porta a credere che fu solo nelle Scritture che Maria trasse, alla luce di Dio, gli insegnamenti che dovevano prepararla a diventare la madre del Messia. Inoltre, per i cuori puri la Bibbia è sia luce che amore, ed è stato lì che Maria ha trovato i grandi temi di cui ti ho parlato sopra e che dovevano formare il suo cuore.

La Bibbia per prima gli rivelò la trascendenza e la santità di Dio, di questo Dio che non possiamo vedere senza morire, di colui che è “tutto il resto”. Mosè deve avvicinarsi a piedi nudi solo dal luogo in cui, per la prima volta, il Signore gli parla. Questo apparirà in una grandiosa teofania nel Sinai e la gente tremerà. Ma questo Dio che sembra così lontano è ancora vicino alla sua Creazione. Se è davvero l’Onnipotente che, in una sola parola, ha creato i cieli e la terra, ed i Salmi e i Profeti esaltano su ogni pagina, è anche il Dio pieno di misericordia per la sua creatura, colui che “prova piacere nel ringraziare”, “la cui misericordia è eterna”. Ma soprattutto, la Scrittura rivela che Dio è Amore. Lo dice nella tenerezza con cui circonda Israele, il suo amato popolo, che ha scelto e amato con un amore eterno. È allo stesso tempo l’amore di un padre e l’amore di un marito.

Maria, in ogni momento, scoprì così gli attributi divini, si perse nella loro contemplazione e rispose con amore all’amore del suo Dio.

Ma mentre leggeva la Bibbia, Maria scoprì, di fronte alla grandezza di Dio, la miseria dell’uomo. Dall’inizio dell’umanità, ha visto la deplorevole caduta di Adamo ed Eva, ingannata dal serpente e che si abbandonano alla sensualità e all’orgoglio. L’amicizia con Dio è rotta e, ahimè! lo stesso dramma verrà rinnovato con una scala sempre maggiore nel corso dei secoli.

Ricordiamo l’omicidio di Abele, il diluvio e, nonostante le misericordie di Dio, le lunghe infedeltà di Israele nel deserto. Una volta nella terra promessa, il popolo eletto non si corregge, ahimè! Abbandona il suo Dio e si prostituisce alle divinità di Canaan. Come in un coro, nelle Cronache si legge sui re: “Ha fatto il male agli occhi di Yahweh” e David, il migliore di loro, era un adultera e un assassino.

Da tutto ciò, Marie ha sofferto profondamente. Aveva meditato troppo a lungo sulla grandezza e sulla bontà di Dio per non rabbrividire alla vista dell’offesa. Ma ciò che la rendeva ancora più dolorosa era che era stata letteralmente fatta a pezzi. Da una parte profondamente unita a Dio dai legami più puri, sentiva tuttavia solidarietà con la razza umana. Quegli uomini che avevano peccato erano i suoi fratelli. Oltre a ciò, tra i più colpevoli, trovò il nome dei suoi antenati, lo stesso sangue che aveva peccato le scorreva nelle vene. Figlia di Dio, era allo stesso tempo figlia di questo popolo colpevole. Fu una tragedia, una lacrima che prefigurò quella di Cristo, di Dio eppure dell’uomo, che portava i nostri peccati. Doveva condurre Gesù e Maria al Calvario per riparare la nostra razza e riportare tutto all’unità dell’amore.

Maria, che doveva formare l’anima di Cristo, era spezzata e si chiedeva se un giorno non sarebbe venuto dove il mondo si sarebbe riconciliato con Dio e avrebbe riguadagnato la sua unità. E scrutando la Scrittura, ha scoperto il Messia.

Lo vide predetto fin dai tempi antichi, pieno dello Spirito di Dio, principe della pace, irradiante gloria, giustizia ma anche misericordia e amore, non estinguendo lo stoppino che ancora fuma, pieno di gentilezza per i poveri. Lo vide ancora più in profondità in Isaia, sopportando i peccati del mondo e riscattandolo con la sofferenza, divenne l’uomo del dolore.

Mentre studiava il Messia, Maria ritrovò i sentimenti del suo cuore e li sviluppò di giorno in giorno, era già unita a colui che doveva nascere da lei, ed era lì la sua preparazione divina a questo giorno in cui Dio gli affida il suo figlio.

Quindi deve essere di noi. Nella Scrittura dobbiamo scavare la grandezza di Dio, la miseria dell’uomo, l’amore e la scoperta di Gesù. Quindi potrà venire nel nostro cuore che sarà stato preparato come quello di Maria. Ma per questo è necessario leggere le Scritture con questa purezza dell’anima, questo desiderio di Dio che aveva dal giorno della sua nascita, che era la sua vita e doveva essere nostra. Così sia.

Natività della Beata Vergine Maria 1967