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L’articolo odierno è rivolto a tutti i miei lettori, ma soprattutto a coloro che seguono questo blog dal 2010, allorquando pubblicai un’articolo su “La Monachella di San Bruno“. Ebbene, trascorsi diversi anni la causa di beatificazione di questa pia donna, è andata avanti fino alla recente proclamazione di beata, avvenuta lo scorso 3 ottobre. Il 18 dicembre 2017 papa Francesco aveva autorizzato la promulgazione del decreto con cui Mariantonia Samà è stata poi dichiarata Venerabile e, il 10 luglio 2020, quella del decreto relativo a un miracolo ottenuto per sua intercessione, aprendo la via alla sua beatificazione.
Un breve video riassume la vita della neo beata Mariantonia Samà, ed a seguire una preghiera da rivolgere alla Monachella di San Bruno.
Dopo questa breve precisazione, voglio parlarvi in questo articolo a lei dedicato dei suoi ultimi attimi di vita e dei suoi molteplici miracoli, che si associano ai più noti, da me già menzionati. Proverò inoltre a rispondere ad alcuni interrogativi, celebrandone la sua memoria.
A Santa Rosellina, difatti vengono attribuiti prodigi accaduti sia quando era ancora in vita che successivi alla sua morte.
Si narra che nel 1310, quando era ancora in vita operò un leggendario prodigio liberando il fratello Hélion, Comandante dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, prigioniero dei Saraceni sull’isola di Rodi, pare che sia stato miracolosamente liberato dalle catene e trasportato in Provenza! Riferì di aver avuto una visione di sua sorella che gli apparve in una nuvola di rose.
Ma veniamo alla descrizione del suo ultimo giorno di vita terrena.
Rosellina aveva nel 1328 abbandonato il suo incarico da Priora, a causa delle sue debilitate condizioni fisiche, e difatti nel mese di gennaio del 1329 si aggravò. Le cronache narrano che in una fredda mattina del 17 gennaio, fu colta da una febbre violenta e che, nonostante la sua leggendaria energia, non riuscì a reggersi in piedi. Rimase dunque distesa sul suo letto di paglia e chiese di poter ricevere l’Eucaristia, tra le consorelle raccoltesi intorno a lei. Queste, non vollero credere che l’ora della sua fine era vicina, e si ritirarono per svolgere le loro solite occupazioni. Rimase vicino a sè la sola sorella Marguerite che sentì mormorare Rosellina con una flebile voce: “Addio, sorella mia, vado dal mio Creatore” e chiuse gli occhi per sempre!
La narrazione prosegue, indicando che nella cella si diffuse una luce soffusa, ed al contempo si udirono suoni soprannaturali, come il suono delle campane percepite in lontananza. Sorella Marguerite vide comparire in un alone i tre santi dell’Ordine certosino: san Bruno, il fondatore, sant’Ugo di Grenoble e sant’Ugo di Lincoln, tutti e tre con in mano un turibolo. Queste tre figure erano sovrastate dall’apparizione della Vergine, che aveva tra le braccia il bambino Gesù.
Estasiata da questa prodigiosa visione, sorella Marguerite rivolse lo sguardo a Rosellina e la vide alzarsi sul letto, stendere le braccia verso quelle figure, per poi ricadere lentamente esanime. All’età di 66 anni la sua vita terrena caratterizzata da un costante sacrificio, da digiuni, veglie ed austerità, si concluse.
San Bruno, il fondatore, Sant’Ugo di Grenoble e Sant’Ugo di Lincoln, tutti e tre con in mano un incensiere e la Vergine Maria, portando il bambino Gesù tra le braccia (Dipinto di Valère Bernard)
Rosellina sembrava riposasse, il suo viso così radioso, i suoi occhi così luminosi che tutti, prostrandosi, non poterono fare a meno di renderle omaggio come una persona privilegiata dal cielo. Il corpo mantenne la sua flessibilità, le pupille la loro luminosità e chiarezza. Santa Rosellina rimase così per giorni, contemplata con rispetto non solo dalle sue consorelle, ma da tutta la popolazione dei dintorni che era accorsa alla notizia della sua morte. Tutti volevano rendere un ultimo tributo alla loro benefattrice, soprattutto gli sfortunati ed i derelitti che lei aveva sempre aiutato. Pellegrinaggi formati da tutti i paesi vicini, da Les Arcs, Trans, Flayoscs, Draguignan, da Muy e persino da Fréjus si diressero presso la certosa a La-Celle-Roubaud. Per tre giorni una pio corteo composto da uomini, donne, infermi, ammalati, anziani e bambini entrò in certosa. Nonostante il freddo, la pioggia, la stanchezza, i pellegrini volevano vedere Rosellina un’ultima volta. Davanti alle spoglie miracolosamente conservate, i malati e gli infermi, innalzati dalla fede, osarono avvicinarsi, toccare le mani della Santa, contemplare i suoi occhi, implorare la loro guarigione.
I prodigi
I miracoli ebbero luogo nella cella. I malati furono liberati dai loro malanni, i paralitici riacquistarono la libertà di movimento, i ciechi riacquistarono la vista. L’ esaltazione collettiva durò fino all’ora in cui la santa fu portata nel chiostro dove sarebbe stata sepolta nel cimitero.
Qualche tempo dopo dal luogo della sepoltura avvenne quello che viene chiamato “l’odore di santità” difatti un dolce e potente profumo di rose si diffondeva prodigiosamente, pertanto le monache attonite lo condivisero con le massime autorità religiose.
Ottenuto il permesso di riesumare la salma fu fissata la data della cerimonia nell’11 giugno 1334, prima domenica dopo Pentecoste. Questa cerimonia di esumazione rivelò un grande miracolo. Dopo 5 anni trascorsi sotto terra, il corpo di santa Rosellina apparve intatto come nel giorno del suo funerale. Gli occhi azzurri in particolare, invece di essere stati spenti dalla morte, avevano conservato tutto il loro splendore e sembravano fissare gli astanti sbalorditi.
Fu allora che EIzéar de Villeneuve, nipote di Rosellina, che presiedeva la cerimonia in qualità di vescovo di Digne, ebbe l’idea di estrarre questi straordinari occhi dalle loro orbite e raccoglierli in un reliquiario per meglio esporli alla venerazione dei fedeli. Dalla sua riesumazione nel 1334 però vi sarà un vuoto di 280 anni, dove non si trovano più scritti riguardanti queste reliquie. Le vicende della certosa di la Celle Roubaud tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo narrano di un decadimento della disciplina da parte delle monache, che furono soppresse dal capitolo generale certosino nel 1420. La struttura ospitò vari ordini religiosi che si avvicendarono fino al 1504, quando la famiglia Villeneuve vi insediò una comunità francescana che sopravvisse fino alla rivoluzione francese. Verosimilmente, il corpo di Santa Rosellina in questi tempi travagliati fu cautamente nascosto nei sotterranei. Il corpo della santa riapparve solo nel 1614, è ancora interamente conservato, ad eccezione delle labbra, la cui carne cominciò a seccarsi.
Uno dei due occhi, ancora oggi visibili in un reliquiario datato 1883, non ha però più il suo aspetto naturale, ma perchè?
La colpa è di Luigi XIV, o almeno del suo medico personale, Antoine Vallot. Era il 1660. Il re si recava a Cotignac in compagnia di sua madre, Anna d’Austria. Non avendo il tempo di recarsi personalmente a Les Arcs, ma avendo sentito parlare del meraviglioso stato in cui era stato conservato il corpo di Santa Rosellina, mandò Vallot ad accertare la realtà di tutto ciò che veniva detto su questo argomento. Messo in presenza di occhi miracolosi, Antoine Vallot, per assicurarsi che non ci fosse inganno, non trovò niente di meglio che infilare un ago nei due angoli dell’occhio sinistro. Il risultato fu immediato: il miscredente rimase sbalordito. Il medico del re, a costo di quello che ancora oggi sembra un sacrilegio, ebbe la prova che gli occhi erano naturali e vivi 331 anni dopo essere stati rimossi dal corpo!
Nel corso dei secoli, i Bollandisti riferiscono di un marinaio di nome Blaise Blanc che per intercessione di Rosellina nel 1671 si salva dall’affondamento della sua nave nel Mar Ionio. Oppure della guarigione della bambina cieca di Jean Mayol, a Les Arcs,e riferiscono inoltre di un taglialegna di Callian, trascinato lungo un torrente da un albero caduto, e scampato prodigiosamente all’annegamento, invocando la pia certosina.
Tutti questi miracoli hanno fatto crescere nel tempo la devozione per santa Roselina, al punto che ancora oggi si svolgono delle processioni, le principali delle quali si svolgono il 17 gennaio per la festa della santa, la prima domenica di agosto e il 16 ottobre.
Ma quando fu canonizzata Rosellina?
Pare che avvenne già nel 1360, da papa Innocenzo VI ad Avignone, ma non fu mai ratificata da Roma, pertanto furono i certosini ad ottenere, l’autorizzazione al culto diocesano, masoltanto nel 1851, A seguito di ciò, l’Ordine chiese l’approvazione di questo culto in tutte le certose, e l’iscrizione della festa corrispondente nel calendario ordinario del loro rito particolare.
Il decreto di questa concessione fu firmato a Roma il 17 settembre 1857 dal cardinale Patrizi, presidente della Congregazione dei Riti.
Due anni dopo, il 27 settembre 1859, fu concessa l’indulgenza plenaria a chi visitava una chiesa certosina nel giorno della festa della Santa fissata per il 17 gennaio.
Cappella Santa Rosellina
Il corpo incorrotto della santa è oggi esposto alla vista dei fedeli e dei turisti nell’antica cappella della certosa di Celle Roubaud, divenuta Chappelle Sainte Roseline. Questa deliziosa cappella che ha un arredamento molto ricco tra cui stalli rinascimentali e stalli del coro datati 1635, vi sono inoltre statue lignee che raffigurano la certosina.
Fuori dal coro, sulla destra, la teca di cristallo in cui giace il corpo della santa miracolosamente conservato e il reliquiario dei suoi occhi (1883). Il mosaico di Marc Chagall, e le vetrate di Jean Bazaine e Raoul Ubac e un leggio in bronzo di Diego Giacometti che adornano questa cappella.
Nella cappella sono collocati anche alcuni ex voto dipinti, che testimoniano la fede degli abitanti in santa Rosellina e testimoniano i loro desideri che sono stati esauditi. Nel 1817 a seguito di una grande siccità che ne comprometteva i raccolti, gli abitanti di Lorgues si recarono in pellegrinaggio alla tomba della Santa per implorare il suo aiuto, la loro richiesta fu esaudita da un’abbondante pioggia.
Su un altro ex voto, vediamo un uomo ferito a seguito di una caduta, che supplicava santa Rosellina di aiutarlo.
A seguire un video di una recente processione in suo onore
Festa di Sainte Roseline a Les Arcsil 17 gennaio 2016 – Processione d’ingresso
Oggi voglio raccontarvi un aneddoto accaduto a Dionigi il certosino, un altra testimonianza del rapporto che egli ebbe con il Purgatorio. Si narra, che il doctor extaticus assistette ad un episodio prodigioso che ora vi racconto. Giovanni van Loewen, prevosto di San Vittore a Xanten, fu un uomo molto caritatevole ed aveva fatto grandi lasciti e doni alla certosa di Roermond, dove in quel tempo era Priore Dionigi. Giovanni era altresì un personaggio molto importante e potente, egli aveva accumulato molti privilegi e prebende. Alla sua morte avvenuta il 23 dicembre del 1438, egli fu sepolto secondo la sua espressa volontà nella certosa di Roermond, il suo intento era quello di continuare a godere della compagnia di quei santi monaci ed usufruire delle loro preghiere.
Ma la sua anima fu condannata ad una dolorossissima pena in Purgatorio, come Dionigi scoprì.
Infatti il giorno stesso del solenne funerale, svoltosi in certosa, il Priore certosino assistette ad un fenomeno prodigioso. Dal catafalco del prelato uscivano terribili lingue di fuoco! Sgomento Dionigi chiese ad un confratello se anche lui vedeva siffatto fenomeno, ma il giovane asserì di non vedere nulla. A quel punto Dionigi colpito per quella visione dedusse che il defunto era in preda a pene pesanti, gli assicurò continue preghiere per la salvezza dell’anima. Nel primo anniversario della morte di Giovanni van Loewen, durante il canto delle Lodi, giunti al ” Benedictus”, Dionigi vide levarsi dalla tomba flebili fiammelle che rivelavano quanto le pene si stessero riducendo, ma non erano terminate e pertanto le preghiere divennero assidue.
In occasione del secondo anniversario Dionigi, in assenza di quel fenomeno ebbe la rivelazione che la liberazione del defunto dal Purgatorio era ormai giunta.
Le preghiere avevano dunque assolto il compito di liberare quella anima tormentata.
Madonna del Rosario adorata dai certosini , Francisco de Zurbarán, circa. 1638-1639
In omaggio alla giornata dedicata alla Madonna del Rosario, vi offro questo racconto tratto dalle cronache delle tradizioni certosine.
Si narra che un fratello converso dell’Ordine dei certosini, non sapeva nè leggere nè scrivere, cosicchè non poteva cantare i Salmi in latino, come era in uso nei monasteri del tempo. Tutti i giorni, quando alla sera terminava il suo lavoro, (da portinaio, da addetto alle pulizie, da giardiniere, ecc) andava nella cappella del monastero, si poneva in ginocchio difronte all’immagine della Vergine Maria, e recitava per 150 volte l’Ave Maria 150 così come il numero dei salmi, mentre i monaci pregavano il Breviario in latino. Poi si ritirava, come gli altri monaci, nella sua cella.
Al mattino, mezzanotte per il mattutino, la sera per i Vespri arrivava sempre prima di tutti i suoi fratelli e si dirigeva alla cappella per ripetere, come al solito, il suo saluto alla Vergine con le sue 150 Ave Maria mentre i sacerdoti cantavano l’Ufficio divino in latino.
Il Padre Priore notava con stupore che ogni giorno quando il devoto converso entrava nella chiesa per pregare la preghiera nel Coro con tutti i monaci, c’era un delizioso ed intenso profumo di rose, come se fossero state appena tagliate … e ciò era curioso!
Ha per questo chiesto ai monaci incaricati di prendersi cura di adornare l’altare della Vergine se dipendesse dalla loro attività, ma essi risposero che in quella stagione non vi erano rose nei roseti dei loro giardini!
Un giorno, il fratello converso si ammalò gravemente; gli altri monaci notarono che l’altare della Vergine non emanava il solito odore e dedussero che era a causa dell’assenza ai piedi della Vergine del pio fratello che sostava pregando con estrema intensità …
Ma come? Nessuno lo aveva mai visto tagliare una rosa nel monastero, né lo aveva visto abbandonare i suoi lavori quotidiani.
Una bella mattina erano sorpresi che pur essendosi alzato, nessuno riusciva a trovarlo da nessuna parte nella certosa, in nessuna “obbedienza” dei Fratelli. Hanno fatto suonare la campana e tutti si sono riuniti nella chiesa: ogni monaco entrando rimase basito, perché intravide il fratello laico in ginocchio davanti alla immagine della Vergine recitando estasiato le sue Ave Maria ed a balbettare con le labbra ogni preghiera rivolta alla signora. Ad ogni Ave Maria, una rosa appariva prodigiosamente sulle fioriere poste sull’altare … Cosicchè, alla fine dei 150 saluti, cadde morto ai piedi della Vergine con un sorriso unico!
Da allora i monaci certosini, non smisero mai di pregare le 150 Ave Maria, seguendo l’esempio del santo fratello converso, convinti che il “Salterio di Ave Maria” o “Rosario” è il più bel regalo e tributo che avrebbero potuto offrire alla Madre di Dio !
Oggi per la ricorrenza del Corpus Domini, ecco a voi una breve narrazione di una “vita esemplare“di un fratello converso certosino, vita vissuta, come vedremo, in odore di santità.
Questo buon fratello era professo della Grande Chartreuse e rinnovò i suoi voti a Scala Dei, dove arrivò lì come un ospite.
Fu un uomo di grande virtù, un santo in ogni senso della parola. Non è per caso che registriamo qui questa nota, in sua lode. In essa non c’è nulla di esagerato. Due o tre fatti lo dimostreranno.
Un giorno, mentre si dirigeva ad un’altra camera, un mucchio di demoni in forma di allegri bambini, corsero al suo incontro gridando con tutte le loro forze: «Oh! santo, santo! Venite a vedere il santo!» Arrivando alla cella, il buon Fratello prese una catena di ferro e si flagellò fino il sanguinamento. “I santi! Ecco quel che fanno i santi. Ricetta infallibile contro la superbia”.
Quando era responsabile dell’obbedienza della cucina, aveva l’abitudine di scappare ogni mattina durante la Messa conventuale. Ma dove egli correva? Andava in chiesa al suono della campana del ‘Sanctus’, per adorare la Divina Eucaristia nelle mani del sacerdote. Dalla porta del coro dei fratelli dove si manteneva in ginocchio, non essendo in grado di vedere l’altare, fu più di una volta sollevato dagli angeli.
Un giorno in cui il lavoro lo teneva in cucina, si prostrò al momento della consacrazione e vide distintamente l’ostia santa sull’altare.
La sua morte fu come quelle che ogni religioso può invidiare. Essa arrivò il 24 Aprile 1439.
Una struggente storia legata alla vita esemplare di un poco noto fratello converso, ed al suo prodigioso momento del trapasso.
Non sappiamo per quali circostanze Pedro Roger, di origine parigina, raggiunse i confini dell’Austria e decise di entrare nella Certosa di Seitz, dove prese l’abito di converso. Ma quello che sappiamo è che visse ben presto un modello di pietà, di regolarità e, soprattutto, di pazienza. Affetto, ancora giovane, da un tremito nervoso quasi costante, passava le giornate e le notti seduto su una sedia. Era incapace di camminare senza sostegno. Un uomo robusto che aveva bisogno di tenere i piedi a riposo. La rassegnazione del povero Fratello si confermava in ogni momento. Lo chiamavano “il marmo”, perché era decisamente impassibile. Noi non sapremo mai fino a che punto la sua natura effervescente fu provata da questo stato di impotenza fisica. Non gli mancavano le cure. Alcuni palliativi furono usati fino alla sazietà. Il migliore, se non l’unico calmante, erano i sacri nomi di Gesù e di Maria. Li aveva sempre sulle labbra e con accentuata fede, li pronunciava!
Tuttavia, il Priore di Seitz, Dom Vian Gravel, fu invitato a ricevere il premio della sua vita spesa come buon servo e cristiano fedele.
Appresa la notizia, il Fratello Pedro Roger, chiese al Vicario il permesso di partecipare alla cerimonia funebre. Al tempo fissato, i confratelli lo trasportarono in chiesa. Immediatamente sentì una voce che gli disse: «non è qui; è al bordo della tomba del Priore che recupererai l’utilizzo delle tue membra». Appena entrò nel cimitero, qualcosa di strano accadde in lui. Si sentì sollevato, si alzò e camminò senza l’aiuto di nessuno.
Alla vigilia della sua morte, dopo aver ricevuto il viatico e l’estrema unzione con piena consapevolezza, il Fratello Pedro vide il cielo aperto e vide Dom Gravel rivestito con i paramenti sacerdotali, assistito da due santi conversi deceduti nell’anno precedente. Tutti i tre monaci avanzavano verso di lui e lo invitavano ad accompagnare loro al palazzo degli eletti. Il morente raccontò la sua visione alla comunità ed al Vicario che presiedeva la cerimonia, perché si credé nel dovere di seguire il suo amato Padre. Il diavolo tentò invano di turbare questa scena toccante. Pochi istanti dopo, il servo di Dio prese fiducioso il cammino verso la patria celeste (24 febbraio 1626).
João Fontana, di origine spagnola, entrò nell’anno 1419 nella Certosa di Porta Coeli, nella diocesi di Valencia, per indossare l’abito di converso.
Era un uomo semplice, stimolato da una pietà solida, guidato da un notevole spirito di fede. Una preghiera, in particolare il Padre Nostro, che compone con l’Ave Maria l’Ufficio dei nostri Fratelli, lo metteva in uno stato d’animo vicino all’estasi. Appena pronunciava la prima parola della preghiera di domenica, immediatamente si fermava. Era il rispetto dovuto alla presenza della maestà divina che paralizzava le sue labbra? La sua anima si scioglieva di amore e di fiducia con questa sola parola: Padre Nostro, Padre mio? Il sant’uomo sempre ripeteva a sazietà: Padre Nostro che sei nei cieli. Poi, premuto per tempo, continuava senza interruzioni, in modo che aveva tutto il tempo del mondo per recitare i suoi Padre Nostro e Ave Maria.
I superiori, apprezzando le eccellenti qualità del fratello João, gli affidarono un’ obbedienza delicata: andare ai fornitori della Città. Lui prese questo compito con cura, senza mai separarsi della serietà che spetta ai religiosi. Lungi dall’essere distratto, il rumore e la confusione della strada ravvivava la sua pietà, lo faceva stimare ancora di più il prezzo della sua vocazione. Se si fermava davanti a una Chiesa, lui entrava ad adorare l’ospite dei Tabernacoli. Ma questo sempre fugacemente maiper un tempo prolungato, perché altrimenti avrebbe dovuto rimproverare se stesso per aver sacrificato il dovere per le attrazioni della devozione.
Una volta, però dimenticò se stesso nel convento di Roqueta, situato in un quartiere lontano da Valencia. Sopraffatto dalla stanchezza, sentì che non sarebbe arrivato in Certosa prima di sera. Ed eccolo in preda alla disperazione. Che inquietudini causate da questo ritardo! Che impressione sgradevole produrrà nella comunità questo reato così grave? (Il primo di cui era consapevole). Ed il povero Fratello cominciò ad urlare ad alta voce: «Oh buon Gesù! Abbi pietà del tuo servo. È in tuo potere guidarmi a casa prima del momento del grande silenzio. Non rifiutarmi questa grazia.» E poi subito, prodigiosamente, fu trasportato, come senza sapere, alla porta del monastero.
João Fontana, anche se era in buona salute, ebbe la sensazione che la sua fine era vicina. Aveva l’abitudine, quando andava in città, di fermarsi alla casa delle Suore di San Giuliano, la cui madre superiora era una sua parente. Un giorno, contro la sua abitudine, proseguì. La sorella portinaia lo vide per caso, giudicò che aveva qualche dimenticanza da parte sua. «Mio buono fratello, lei gli disse, non entrerà nel salotto? – No, mia sorella, rispose. Saluta per me la sua buona Madre e dille, per favore, che non ci torneremo a vedere più in questo mondo». Appena arrivò in Certosa, il caro Fratello si ammalò gravemente, e dopo qualche settimana si addormentò nel sonno del giusto (1 Feb 1464). Egli ha vissuto questa santa vita per ben 45 anni nell’Ordine!
In concomitanza con il giorno dedicato alla celebrazione della beata certosina, voglio narrarvi la storia di un miracolo compiuto da Beatrice de Ornacieux. Ad essa infatti viene attribuito il seguente evento prodigioso che vado a spiegarvi. A causa delle sue continue e prolungate penitenze, caratterizzate da lunghi digiuni che minavano profondamente la sua integrità fisica, spesso Beatrice era stremata. Una volta accadde che in concomitanza con il periodo della Quaresima, la Priora vedendo lo stato di estrema prostrazione di Beatrice, decise di assegnarle una compagna di cella. La consorella avrebbe dovuto assisterla ed evitare questi eccessi di penitenza a cui la beata si sottoponeva. Ben presto la Divina Provvidenza volle però mostrare quanto fossero gradite tali compunzioni. Un Venerdi Santo, all’ora del Mattutino la inusuale compagna di cella di Beatrice accortasi che quest’ultima era particolarmente debilitata, la scorse finalmente addormentata dopo una notte insonne trascorsa ad infliggersi penitenze, decise di lasciarla riposare. Ritenne opportuno rinchiuderla in cella, e recarsi da sola in chiesa per la recita dell’ufficio notturno. Ma poco dopo, Beatrice risvegliatasi udendo in lontananza il salmodiare proveniente dal coro, si rese conto di essere rinchiusa e rivolse subito una implorazione alla Vergine “Madre mia fammi raggiungere le mie consorelle, non farmi restare inutilmente qui da sola in cella”. Nel buio della notte, le monache certosine sedute nel coro ed intente a salmodiare videro il posto solitamente assegnato a Beatrice, che fino a quel momento era vuoto, occuparsi prodigiosamente dalla beata.
Lo stupore della Priora e dell’intera comunità, fu immenso.
Finito il Mattutino le consorelle andarono a verificare se la serratura della cella fosse stata forzata, ed invece constatarono con incredulità che non vi erano segni di effrazione. Beatrice, successivamente interpellata, potè spiegare alla Priora ed al Padre Vicario che la sua disperazione nel non poter partecipare alla funzione, a cui fece seguito la supplica alla Vergine, rese possibile tale prodigio.
Beatrice fu ricompensata, nel corso della sua esistenza, di questa vita condotta all’insegna della preghiera e della costante penitenza, ricevendo molti doni e carismi straordinari. Nel ricordarne la memoria, recitiamo questa preghiera.
Preghiera
Per l’imitazione della passione di Cristo hai fatto,
Signore, della beata Beatrice, vergine, una vittima del
tuo amore, fa ‘che attraverso la sua intercessione e l’esempio,
condivida qui sulla terra le sofferenze di tuo Figlio
per partecipare un giorno alla gloria in Cielo.
Il dipinto della serie certosina di Vicente Carducho, che oggi vi propongo riguarda un personaggio certosino di alto spessore. Dom Jean Birel (o Birelle).
Di egli mi sono già interessato, raccontandovi le sue doti e nobili qualità, che lo portarono ad un passo dall’essere eletto pontefice. Vi rimando per questo approfondimento all’articolo di riferimento. Vengo ora, invece a descrivervi il soggetto del dipinto, che è appunto il pio certosino immortalato da Carducho in una estasi. Difatti, Dom Jean Birel spesso durante estasi mistiche, riusciva ad elevarsi non solo spiritualmente, ma come da testimonianza di suoi confratelli anche fisicamente!!!
La scena raffigura Dom Birel al culmine della sua estasi, appare infatti con lo sguardo rapito verso l’alto, e nel raggiungimento di una levitazione!
Ciò avviene vicino lo ad una pala d’altare, raffigurante la Vergine con il bambino i quali sembrano compiacersi nell’assistere a tale prodigio. Inoltre il pittore, raffigura per terra un cappello cardinalizio ovvero quello offertogli da papa Innocenzo VI e rifiutato dal certosino il quale asserì “desidero crescere in virtù piuttosto che in rango”. Viene quindi stigmatizzata la distanza, il basso del cappello con l’alto raggiunto dal certosino. Eccellente inoltre l’ombra sotto al corpo in fase di ascensione corporale. Sullo sfondo di destra, il pittore inserisce un altro episodio attribuito a Dom Birel, lo si vede infatti intento a trattenere un giovane novizio intenzionato a lasciare la vita monastica certosina.
Dei prodigi oltre la morte del beato Pietro Petroni
Il santo che non smetteva di fare miracoli
Già in un precedente post, vi avevo documentato sull’osservanza certosina oltre la morte grazie ad un dipinto di Carducho che ci testimoniava un evento analogo a quello che sto per narrarvi.
Molti furono i prodigi e le profezie a lui ascritte nel corso della sua pia esistenza, contraddistinta da penitenze, mortificazioni e zelanti veglie ed estasi. Avverandosi la profezia sul giorno della sua morte Dom Pietro ascese al cielo tra l’amore dei suoi confratelli dopo il Mattutino, alle ore 6 del sabato 29 maggio del 1361, data la sua fama tra i senesi le sue spoglie furono velocemente inumate nel cimitero della certosa, per evitare eccessivo trambusto. La notizia, però, presto trapelò in città, anche a causa di sue apparizioni a religiose ed a suoi ferventi discepoli e amici. La fama ed il culto per questo prodigioso certosino si diffusero ed aumentarono ben presto nella città di Siena e nei paraggi. I pellegrini assiepavano la certosa di Maggiano per poter pregare sul luogo della sepoltura del beato, che dispensava prodigi anche dopo la sua dipartita. Per placare tale clamore il Priore della certosa decise di spostare le spoglie mortali di Dom Pietro in un altro luogo, che rimase ignoto ai pellegrini. Questa operazione di esumazione, avvenne nel 1421, dopo sessanta anni dalla sepoltura, ed il Priore chiamò oltre ai confratelli altri religiosi, tra cui Bernardino da Siena che fu testimone di un ennesimo prodigio. Difatti appena smosso il terreno da un operaio con una vanga, apparve il corpo miracolosamente incorrotto, e fra lo stupore generale tale meraviglia fu amplificata dall’incauta vangata dell’operaio, che colpendo una gamba del beato Dom Pietro vide l’arto cominciare a zampillare sangue vivo!!!
Fu a questo punto, che il Priore della certosa ordinò al santo certosino di non fare più miracoli e prodigi, per consentire il ritorno alla quiete dell’intera comunità monastica senese. Successivamente si provvide ad una nuova sepoltura, ai piedi del campanile poco distante dal cimitero monastico. Il celeberrimo testimone di quest’ultimo prodigio, Bernardino da Siena rimase fortemente colpito dalla spiritualità e dalla severa vita dei certosini, che volle a tutti i costi persuadere il Doge di Venezia Francesco Foscari a far insediare una comunità certosina su di un’isola della laguna. Fu così che nel 1422, sull’Isola di S. Andrea al Lido sorse la certosa di Venezia. Sebbene possono sembrare coincidenze casuali, si percepisce la mano della Provvidenza che per intercessione di Dom Pietro Petroni diresse e produsse tali eventi, concatenati tra loro.
Angeli musici suonano e cantano lodi udite dai confratelli provenire dalla cella del beato Petroni
Morte del beato, tra la disperazione ed il conforto sei suoi confratelli
Dissepoltura dopo sessant’anni dalla sua morte e prodigioso sanguinamento davanti a Bernardino da Siena ed i suoi confratelli