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Il prodigioso solstizio alla certosa di Miraflores

retablo con luz

Oggi, come ogni anno, in questa data con il “solstizio d’inverno”, comincia l’inverno astronomico che si concluderà il 21 marzo. Nel solstizio d’inverno, vi è la notte più lunga ed il giorno più corto dell’anno.

Come sapete cari amici, lo scorrere del tempo ed il relativo studio per la misurazione dello stesso, è stato da sempre un elemento essenziale dei padri certosini. Essi infatti dedicavano molto tempo alla scienza della gnomonica, al fine di realizzare strumenti che consentissero loro di misurare il tempo con la luce del sole. In passato vi ho proposto vari esempi di meridiane ed altri orologi solari in varie certose, oggi vi voglio parlare di ciò che accade nella certosa di Miraflores, a Burgos nel giorno del solstizio d’inverno.

Da 523 anni, quando arriva il giorno o il periodo del solstizio d’inverno, ovvero il 21 dicembre, nella chiesa della certosa di Miraflores, un fenomeno astronomico può essere osservato, ma di cosa si tratta esattamente?

Il fenomeno astronomico

Intorno al 21 dicembre e poco prima del tramonto, tra le 16:45 e le 17:15, un raggio di sole penetra attraverso il grande oculo che presiede la facciata del tempio e attraversa diagonalmente l’intera superficie del tempio. Il raggio di sole sale lentamente da sinistra a destra e, per alcuni istanti, si ferma alla grande ruota centrale degli angeli che presiede la pala d’altare.

Bisogna fare una premessa necessaria per poter comprendere del tutto quanto avviene e perchè. Innanzitutto soffermiamoci sugli elementi

Il grande oculo

La chiesa della certosa di Miraflores, fu costruita dall’architetto tedesco Juan de Colonia tra il 1454 e il 1484, anche se fu suo figlio Simón a completare i lavori nel 1488. Questi è considerato uno dei grandi geni dell’arte castigliana, artefice quindi anche dell’oculo della facciata anteriore della chiesa elemento importante del fenomeno in oggetto.

Il Retablo

Il sole, come dicevo, entrando dall’oculo attraversa, con i suoi raggi, l’intera chiesa per giungere ad illuminare per pochi minuti un punto preciso dell’altare maggiore.

Il cerchio di angeli (ruota angelica) che circonda il Cristo crocifisso della pala d’altare maggiore, il “retablo” capolavoro dello scultore Gil de Siloè e con policromia e doratura del pittore Diego de la Cruz, il quale utilizzò parte della prima spedizione d’oro che arrivava dall’America! In esso viene rappresenta la vita di Cristo, che viene mostrato crocifisso sulla grande ruota centrale circondato da angeli, da Dio, dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria. In cima alla croce c’è una figura peculiare, un pellicano, un uccello che metaforizza il sacrificio eucaristico perché in passato si credeva che nutrisse i suoi piccoli con ferite autoinflitte. Il tema di questa pala d’altare, commissionata dai monaci, è quindi la celebrazione dell’esaltazione eucaristica e redentrice.

La congiunzione degli elementi

Per ottenere la precisa congiunzione degli elementi che fanno funzionare questo meraviglioso fenomeno astronomico, ovvero il sole, la data e la posizione dell’apertura (oculo) attraverso il quale entra il raggio di luce che illumina il centro della pala d’altare al solstizio d’inverno, vi è stato uno studio approfondito ed un’innegabile complicità artistica tra l’architetto del tempio, Simón de Colonia, e lo scultore della pala d’altare, Gil de Siloè. Ovviamente alla base di ciò l’imprescindibile committenza monastica certosina, custode della evidente intenzionalità teologica di questo straordinario fenomeno astronomico.

Un altro dato importante è, che la pala d’altare fu inaugurata alla fine di dicembre 1499, in coincidenza con il tempo del solstizio, che ne indica il chiaro intento celebrativo. Il costo totale della pala d’altare, compresa la doratura e la policromia di Diego de la Cruz, ammontava a 1.015.613 maravedí, un costo molto alto per l’epoca!

L’osservazione

E’ possibile accedere nella certosa per poter ammirare questo fenomeno poichè nel 1923, la certosa venne dichiarato Monumento Storico Nazionale. Un vero Pantheon Reale a causa dell’imponente altare maggiore ed il sontuoso sepolcro di alabastro che custodisce le spoglie dei fondatori, Giovanni II di Castiglia e di Isabella di Portogallo e del figlio l’infante Alfonso. L’attività monastica ha saputo coesistere egregiamente con questo luogo di interesse storico e artistico, che risulta essere uno dei principali monumenti di Spagna, consentendo l’accesso ai visitatori nella Navata centrale della chiesa ed al chiostro i quali possono essere liberamente visitati.

Non è ancora molto diffusa la conoscenza di questo spettacolare fenomeno, in questo luogo, ma sempre in numero più crescente decine di visitatori si accalcano armati di smartphone o di reflex cercando di catturare, per godere e fotografare, lo straordinario momento in cui un raggio di sole della sera, penetrando attraverso la finestra circolare della facciata della certosa, illumina il Retablo per pochi minuti, regalando ai presenti una suggestiva e magica atmosfera.

retablo 2

Va detto, che recenti studi, sviluppati dalla Università Complutense di Madrid hanno rilevato che anche nel periodo del solstizio d’estate, il 21 giugno, si sviluppano particolari giochi di luce intorno al sepolcro reale. Con l’avanzare del sole al mattino, si accendono le figure dei quattro evangelisti che circondano la tomba a forma di stella a otto punte. Questo fenomeno raggiunge il suo apice, in coincidenza con il giorno di San Giovanni 24 giugno, patrono del monarca. L’intensità della luce permette in quei momenti una visione privilegiata di questo sublime complesso scultoreo gotico.

Le immagini che seguono, ed un breve video spero saranno eloquenti e compendiose di quanto vi ho descritto.

luce oculo

luce oculo 2

luce oculo 3

luce oculo 4

retablo con luz

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Un miracolo di S. Antelmo

miracolo s. Antelmo

Oggi 26 giugno ricorre la celebrazione di un santo certosino, Antelmo di Chignin, Vescovo di Belley. Di questo illustre personaggio dell’Ordine certosino vi ho già parlato in precedenti articoli, ma lo spunto per riparlarne mi viene offerto da un dipinto. La tela in oggetto, fu realizzata dal pittore Giacomo Cavedone, allievo di Annibale Carracci, il quale la realizzò tra il 1613 ed il1614 su commissione dei certosini della certosa di Bologna, per adornare una parete di una cappelletta della chiesa. Oggi il dipinto è esposto alla Pinacoteca Nazionale di Bologna.

Il pittore volle raffigurare Antelmo in uno dei due miracoli attribuitigli, e più precisamente la guarigione di un uomo morso da serpente.

L’ambientazione lascia percepire che la scena si svolge in un ambito rurale per via degli arnesi sparsi intorno al giovane, il quale è posto al centro della tela. La gamba destra del malcapitato evidenzia una ferita da morso di rettile, che sanguina copiosamente, colui che lo sostiene pare mostrare al santo certosino le gravi condizioni in cui versa la vittima. Questi, disteso pare privo di sensi, esanime, ma alla vista di Antelmo sembra rapito dallo sguardo magnetico del santo, il quale fissandolo negli occhi gli impartisce una solenne benedizione, al fine di ottenerne una prodigiosa guarigione. Sullo sfondo vengono raffigurati due fratelli conversi ed un cavallo che accompagnavano Antelmo, ed i quali assistono meravigliati alla scena.

La fama quando era in vita,  ed il culto e la devozione, dopo la morte, verso questo pio certosino crebbe a dismisura, basti pensare che la città di Belley di cui era stato vescovo per diversi anni venne ribattezzata in onore del santo vescovo certosino Antelmopoli.

Rinnoviamo una prece per la sua memoria

Antelmo

PREGHIERA

Signore, tu che ami l’unità e la pace,
donaci per intercessione di San Antelmo,
di cercare sempre, insieme, la tua volontà e
lode con una sola voce, ed un solo cuore.

Amen

La “croce dei ladri”, tra realtà e leggenda

cruz2

Cari amici, il titolo dell’articolo che oggi vi propongo si riferisce ad una scultura, oggetto di un episodio che oscilla tra storia e leggenda. Proverò ad esporvelo ed a comprendere ciò che accadde.

Si narra, che nei dintorni della certosa di Santa Maria de Las Cuevas, a nord in località Triana, tra i propri campi di proprietà i monaci avevano eretto una colonna con al di sopra una croce in marmo. Alla base del crocifisso, vi era una scultura che riproduceva la Vergine con il corpo del Cristo morto tenuto tra le braccia e poggiato sulle sue gambe: la pietà.

cruz

Ma come ogni elemento voluto dai certosini, essa era stata posizionata in quel punto non a caso, e nemmeno senza avere una funzione specifica.

Ma quale era la sua funzione vi starete chiedendo?

Ebbene questa croce eretta su di una colonna era visibile anche da lontano, ed era rivolta a tutti i malintenzionati dediti ai furti nelle proprietà monastiche, per dissuaderli da ogni intenzione furtiva. La “cruz de los ladrones”, dunque era una sorta di dissuasore per i malintenzionati, anche perchè i monaci la cui certosa era situata distante dalla città di Siviglia, in una zona isolata e dall’altra parte del fiume Guadalquivir, erano spesso oggetto di furti e rapine. Ma oltre a questo fatto reale, esiste una leggenda molto diffusa a Siviglia, secondo la quale avvenne un accadimento prodigioso legato a questa croce.

A metà del XV° secolo, una banda di ladri riuscì ad intrufolarsi all’interno della certosa, trafugando oggetti di valore. Il furto avvenne di notte, ed i ladri fuggirono dileguandosi, ma nel corso di questa fuga nei campi, essi persero l’orientamento. Vagarono per tutta la notte, ed esausti si ritrovarono all’alba sotto alla “croce dei ladri”, si resero conto che tutti i tentativi di fuga erano stati vani. Spaventati ed attoniti di quanto accaduto, decisero di restituire ai monaci quanto avevano rubato!

L’eco di questo episodio accrebbe la fama di questa croce.

Alcuni anni fa, la “croce dei ladri” è stata collocata all’interno del complesso monastico, e più precisamente, oggi è stata collocata nell’atrio che precede la cappella di S. Anna. Sul muro di destra, vi è una nicchia dove è stata alloggiata la famigerata croce. Lo stelo della colonna è stato tagliato, per consentire di ammirare la prodigiosa scultura.

Tra realtà e leggenda, questa scultura ha svolto una sua funzione nel corso dei secoli, ed oggi la si può ammirare, percependone ancora la sua aura di prodigiosità.

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Mercoledi delle ceneri e le “sette stelle”

-Sant'Ugo nel Refettorio (F.Zurbaran, Museo Belle Arti Siviglia)

In questo Mercoledi delle ceneri, attraverso la lettura di un dipinto, voglio narrarvi ciò che accadde di prodigioso alle “sette stelle”, ovvero ai primi certosini.

Questo bellissimo dipinto dello spagnolo Francisco de Zurbaran, ci mostra il vecchio vescovo di Grenoble Ugo nel refettorio dei certosini. Esso è lo spunto per narrarvi del miracolo in esso raffigurato. Si narra che Ugo inizialmente, era colui che portava, generosamente, il cibo a i primi sette eremiti. La domenica prima del mercoledì delle ceneri, il vescovo di Grenoble inviò loro della carne, alimento che essi non consumavano, ma ciò stimolò in loro una discussione circa la pratica della ferrea astinenza. La leggenda vuole che mentre essi discutevano caddero, per intervento divino, in un sonno profondo, che durò quarantacinque giorni, ovvero per tutta la Quaresima. Ugo impegnato nell’attività episcopale, si recò a far visita ai sette anacoreti solo il mercoledì santo, scorgendoli prodigiosamente ancora a tavola, ma intenti a svegliarsi dal sonno ed increduli sul tempo trascorso.

Il vescovo potè scorgere, con stupore, che la carne da lui inviata che era nei piatti, si era trasformata in cenere, questo prodigio confermò l’approvazione Divina della pratica dell’astinenza dalla carne da parte dei pii eremiti. Questo miracolo occorso ai primi sette certosini è dunque all’origine della pratica, ancora attuale, della loro astinenza perpetua della carne.

La composizione pittorica è strutturata su tre piani. Nel primo, S. Ugo, a destra, curvo e che si, appoggia ad un bastone e tocca la carne trasformatasi in cenere, ed il suo paggio, al centro della scena, a constatare l’accaduto. Sullo sfondo, il tavolo come una natura morta con ceramiche bianche e blu di Talavera, con gli scudi del vescovo e dell’Ordine, coltelli, ciotole e pane. Nel terzo piano, San Bruno, che guarda colui che osserva il dipinto e sei monaci, quattro Padri con il cappuccio, e due Fratelli con il capo scoperto.con sguardo rivolto verso il basso. I primi sette certosini, ovvero le “sette stelle” I volti di San Bruno e dei suoi confratelli sono emaciati dal prolungato digiuno.

Il refettorio si mostra austero. L’unica decorazione è il dipinto sul muro in cui appaiono la Vergine e San Giovanni Battista, protettori dell’Ordine certosino.

L’unico squarcio sul paesaggio è la chiesa certosina che si vede attraverso un arco aperto sul lato destro del muro del refettorio.

Il dipinto è egregiamente raffigurato dal pittore spagnolo Francisco de Zurbaran, che realizzò questo dipinto tra il 1630 ed il 1635 per la Sagrestia della certosa di Siviglia. Oggi l’opera è invece esposta al Museo Provinciale di Belle Arti di Siviglia. Zurbarán fa sfoggio delle sue famose gradazioni di bianco, colore per il quale si narra realizzò fino a cento tonalità diverse.

Maggio il mese di Maria

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Cari amici lettori, cominciamo questo mese di maggio nel quale vi saranno articoli prevalentemente dedicati alla Vergine Maria, alla quale chiediamo insieme opportuna protezione. Pertanto…

Sub Tumm praesidium confugimus, Sancta Dei Genitrice, Nostra deprecationes despicias ne in necessitatibus, Sed un periculis cunctis Libera nos sempre, Vergine gloriosa et Benedicta.

(Sotto la tua protezione fuggiamo, santa Madre di Dio; Non disprezzare le suppliche di noi che, ma liberaci sempre da tutti i pericoli, o Vergine gloriosa e benedetta).

Intendo parlarvi dell’origine della devozione particolare alla Vergine Maria dei monaci certosini. Mi avvarrò per la descrizione di ciò, di un dipinto di Vicente Carducho che brillantemente raffigura tale episodio.

La tela, difatti, ci riferisce di ciò che avvenne qualche tempo dopo che san Bruno (febbraio 1090) dovette lasciare la sua comunità, per recarsi a Roma su richiesta del pontefice Urbano II. I suoi primi confratelli, erano profondamente sconfortati per la perdita della loro guida spirituale, che amavano tanto. E nonostante la presenza di Landuino, che guidava i certosini rimasti, ebbero sbandamenti e tentazioni che fecero vacillare la loro fermezza in quegli ideali eremitici. Accortosi di ciò Maestro Landuino invitò quei confusi confratelli, ad unirsi in preghiera per recitare inni e lodi alla Beatissima Vergine. Nel mentre i religiosi erano intenti alla preghiera, il cielo notturno, sullo sfondo del dipinto raffigurato con il nero, venne squarciato da una nube luminosissima che presto dileguò le tenebre illuminando a giorno la notte!

Sorpresi da tale prodigioso fenomeno, i pii religiosi alzarono contemporaneamente lo sguardo verso il cielo, scorgendo una figura di anziano con un vaporoso e ricco mantello. Riconobbero in quella sagoma San Pietro, portatore di un messaggio di pace e di conforto, il quale invitò i monaci a perseguire nel loro intento, essendo quella la via della Croce che volge al Paradiso. Oltre ad esortarli a perseverare nel rigore di vita certosina, Pietro affidò i loro turbamenti incitandoli alla devozione alla Vergine Maria, che appare nella parte alta del dipinto.

Ogni giorno le comunità monastiche certosine dovranno recitare l’officio alla Madonna, e riferì loro quanto detto da Maria: “il vostro Ordine durerà quanto durerà il mondo!

A seguito di questo evento, i certosini rinfrancati e tranquillizzati provvidero ad elevare come protettrice dell’Ordine la Gloriosissima Regina del Cielo.Santa Maria de Casalibus, fu infatti la prima intestazione del primo insediamento certosino.

Questa è quindi l’origine della devozione mariana, che si compie quotidianamente in ogni certosa da oltre nove secoli. Oltre all’ufficio divino, i monaci certosini recitano ogni giorno in cella l’ufficio della Vergine Maria, inoltre quasi tutti i giorni un sacerdote del monastero celebra una messa in onore di Maria, e tutti i sabati, se non ricorre una festa, la messa conventuale è una messa celebrata in onore alla Santa Vergine.

Il certosino inquisitore

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Nell’articolo odierno vi proporrò la storia di un certosino spagnolo: Dom Luis Mercader Escolano, il certosino inquisitore.
Luis nacque a Murviedro nei pressi di Valencia, nel 1444, da una nobile famiglia locale i Conti di Buñol. Sin da piccolo ebbe propensione per lo studio, e dapprima studiò dottrine umanistiche a Valencia e in seguito si recò a Salamanca dove si dedicò allo studio di matematica arte e teologia, giovanissimo divenne dottore in utroque. A soli ventiquattro anni, nel 1468, decise di entrare nella certosa di Val de Cristo e diventare monaco certosino. Date le sue doti, divenne maestro dei novizi e nel 1476 procuratore. Questo incaricò lo svolgeva a malincuore e diverse volte ne chiese misericordia, ma solo nel 1488 il Capitolo Generale dell’Ordine lo nomina Priore della certosa di Porta Coeli. Ma il 24 giugno del 1489 viene eletto all’unanimità Priore della sua certosa, e pertanto svolgerà tale mansione a Val de Cristo, non solo, l’anno seguente viene nominato Visitatore della Provincia cartusiana di Catalogna.
Ancora una volta Dom Luis con questo incarico vedeva turbata la sua vocazione alla solitudine ed alla quiete della cella! Fu così accolta la sua richiesta di misericordia anche per questo compito, e il 14 ottobre del 1491 fu deposto, ma il 9 gennaio del 1494 fu nuovamente eletto all’unanimità priore alla certosa di Val de Cristo. La sua personalità era davvero forte al punto che fu scelto dal re Ferdinando il Cattolico come suo confessore ed ambasciatore personale presso il Papa. Questo incarico condusse Dom Mercader a fare visite diplomatiche all’Imperatore Massimiliano I d’Asburgo, al re Ladislao d’Ungheria e sul soglio pontificio retto da Alessandro VI. Questa sua attività diplomatica non fu gradita al capitolo Generale dell’Ordine, che nel 1511 intimava Dom Luis di ritirasi a vita claustrale. Il re Ferdinando difese questa censura ricevuta dall’ Ordine certosino, ma ne approfittò per nominare, il 13 gennaio del 1514, Dom Mercader vescovo di Tortosa ed investendolo anche del titolo di Presidente del Tribunale dell’inquisizione di Navarra e Aragon!
Quest’ultimo titolo scosse emotivamente Dom Luis, che svolse questa mansione in maniera estremamente mite, come fu la sua condotta episcopale secondo le virtù apprese tra i certosini. Continuò a praticare l’astinenza dalla carne ed un regime di vita severo. Il 9 giugno del 1516, a settantadue anni di età di ritorno da corte a Buñol, la sua anima salì al cielo. Il suo corpo fu seppellito nella Cappella della Maddalena nella sua amata certosa di Vall de Cristo. Durante il suo priorato infatti egli aveva disposto la costruzione di questa cappella, dove fu poi interrato tra la commozione dei suoi confratelli. Si spense con la fama santità, fu apprezzato come uomo saggio e ricco di rare virtù. Dopo la sua morte, e trascorsi 83 anni, da quell’infausto giorno, i monaci aprirono la cripta per pulire le reliquie del santo confratello, ma fu con grande stupore che assistettero ad un vero prodigio.
Le spoglie mortali di Dom Luis Mercader erano incorrotte!
L’aspetto fisico era identico al momento in cui era morto, aveva una folta barba rossiccia e l’abito monastico intonso e non vi era traccia di cattivo odore. I certosini, ringraziarono Dio per tale prodigio e benedissero le spoglie, seppellendole nuovamente. Nelle cronache della certosa di Val de Cristo, vi è notizia di un altro tentativo di indagine effettuato su queste spoglie. Difatti trascorsi altri cinquanta anni, ovvero centotrentaquattro dalla dipartita di Dom Luis, altri suoi confratelli aprirono la cripta. Lo stupore fu estremo nel vedere le venerabili reliquie ancora intatte. Dal corpo del loro confratello defunto emanava inoltre un soave profumo, segnale della sua santità. I monaci provarono ad estrarre un dente come reliquia da venerare, ma fu impossibile poichè esso era attaccato alla arcata dentaria come se fosse vivo!
Decisero così di chiudere la cripta e lasciar riposare il loro confratello in quell’aura di santità.
Su di lui scrissero: “Fu molto dedito allo studio della matematica, fu per questo che ebbe nella sua cella molti astrolabi e orologi che lo hanno aiutato l’uno a salire su nel cielo con la contemplazione; e l’altro a piombare e strisciare sul pavimento, prostrandosi e ricordando la brevità della vita

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Dom Luis Mercader offre lo scudo del suo casato a san Bruno

 

 

 

Fratello Jean de Pers (detto il Chierico)

Fratello Jean de Pers (detto il Chierico)

Abito Fratello Converso

Ancora una vita esemplare di un fratello converso certosino, stavolta della certosa parigina di Vauvert. L’episodio narrato ci illustra l’aura di santità di

Fratello João de Pers (detto il Chierico) Professo di Parigi

Trovare tra i fratelli un uomo solidamente stabilito nelle vie soprannaturali, un vero contemplativo, non è raro, grazie a Dio. Ma che, in questa condizione modesta, un uomo colto si unisca al contemplativo, ecco questa cosa è meno comune.

João de Pers ci offre nella sua persona uno di questi fenomeni curiosi. Hanno conservato a lungo nella Certosa di Parigi, la sua casa di professione, diversi trattati notevoli sulla perfezione e la mistica. Aveva una condizione: una intelligenza superiore ed un ricco sfondo di pietà. Ciò non sarebbe stato sufficiente a fare di lui uno scrittore di meriti. È stato grazie alle luci soprannaturali che si elevò sopra la media.

Un fatto singolare edificherà il lettore circa la qualità di questo buon Fratello. Egli lavorava un giorno in una proprietà rurale della Certosa. Era la Vigilia della festa di Corpus Christi – come si diceva a quel tempo. Gli venne l’idea di andare alla vicina Chiesa per i primi vespri. Che cosa successe? Appena passò all’ingresso della Chiesa e vide l’altare dove abita l’ospite del tabernacolo, sentì una scossa nel cuore, accompagnato da forti nausee. Dovrò avanzare? Non sarebbe prudente ritirarmi? Ma egli decise di avvicinarsi del santuario. Lungi dal diminuire, il disagio aumenta. Ed invano cerca di stimolare la sua devozione. Quanto più egli prega, meno fervore sente.

Subito il velo cade; il sant’uomo capì. Spinto da un movimento segreto, andò nella sagrestia e disse con tono modesto:

– Un dubbio mi ha assalito, disse al sacerdote, poi di un’impressione che ho sentito quando sono entrato in tua Chiesa. Lo dico in tutta semplicità. L’Ostia che hai esposto questa mattina alla adorazione dei fedeli, era consacrata?

– A cosa pensi mio caro Fratello? Risponde il sacerdote.

– Sì! Mi chiedo a me stesso, e mi permetto di chiederti senza mezzi termini.

– Chi ti hai impresso questa bizzarra idea?

– Non lo so. Tuttavia, il fatto è che io non posso allontanarla dal mio spirito. Ah! Se io avessi il coraggio di tradurre l’emozione dolorosa che è venuta su di me poco fa!

– Il Nostro Signore, vedo, mio buon Fratello, ti ha rivelato la profanazione orribile del quale sono diventato colpevole.

– Cosa intendi dire?

– Preoccupato, in momento di celebrare con i preparativi della festa, ho dimenticato di consacrare un’Ostia grande e, per evitare uno scandalo, ho esposto il pane che dovevo portare domani in processione. Ecco il mio crimine. Dio si degni di perdonarmi!

– Tu, credo, lo riparerai immediatamente.

– Come? È troppo tardi.

– No, non è.

E sotto il consiglio del Fratello, il sacerdote mise nell’ostensorio un’Ostia della “Santa Riserva”.

Il pio fratello converso mantenne fino alla fine questa ammirevole semplicità, allo stesso tempo il sentimento della sua umile condizione. Qualcosa di ancora più sorprendente, tutto in lui sembrava concorrere per mettere questo doppio virtù in pericolo: la sua vasta conoscenza e la sua meritata reputazione.

Alla fine della sua vita, in cui non riusciva a parlare più con gli uomini, parlava incessantemente con il cielo, non volendo sentire che le cose dell’altra vita. Ricevé gli ultimi sacramenti e rispose alle preghiere senza inquietudine né emozione. Dopo di che, avendo a portata di mano il vessillo della carità, gli occhi ed il cuore in Alto, il santo vecchio aspettava l’ora di Dio. Essa risuonò il 14 aprile 1624. Coraggio, servo buono e fedele, entra nelle gioie senza ombra del suo Maestro!

 

Un apparizione mariana

Un apparizione mariana

Virgen Protectora cartujos Porta Coeli

Nell’articolo odierno, voglio narrarvi un aneddoto dai contorni leggendari, ma che pare sia accaduto realmente. La notizia è tratta dal libro “De mirandis Deipara Virginis” e riferisce la storia di un anonimo giovane nato per intercessione della Vergine, cresciuto ed educato sotto la sua protezione. A vent’anni entrato nella certosa di Vauclaire, per affeto, per fervore e per adorazione della Vergine. La sua vita dedita alla severa regola certosina, fu caratterizzata da uno zelo particolare verso la preghiera e la disciplina monastica. Dopo qualche anno egli divenne Priore, ed a causa del suo ruolo era costretto ad abbandonare il monastero per intraprendere viaggi al fine di compiere commissioni e mandati. Si narra che in uno di questi viaggi, il religioso si trovò ad attraversare un bosco, che a sua insaputa era notoriamente infestato da malviventi, Questi loschi individui alla vista del bonario certosino, cominciarono a seguirlo attendendo il momento propizio per poterlo aggredire e derubare. Mentre il pedinamento si svolgeva, il Priore si rammentò di non aver ancora recitato il Rosario in quella giornata. Siccome era quasi tramontato il sole, decise così di assolvere a quel compito per il quale nutriva una smodata devozione. Si fermò accanto ad un albero e si pose in ginocchio come se fosse di fronte ad un altare, e cominciò a recitare la preghiera alla Vergine. I ladri appostati dietro ad alcuni rovi, assistevano con pazienza a quel rito, in attesa di fare il colpaccio, ma all’improvviso furono sorpresi nello scorgere accanto al pio certosino la figura di una donna di incomparabile bellezza ed eleganza. La figura femminile era intenta a cogliere delle belle e profumatissime rose, che in maniera prodigiosa uscivano dalla bocca del monaco in orazione, e che lei intrecciava formando una corona. Questa era formata da rose bianche, ed ogni dieci ve ne era una rosa rossa. Terminata la ghirlanda di splendide rose, tra lo stupore dei malviventi la leggiadra donna spiccò un volo scomparendo nel cielo!

Dopo aver assistito a tale spettacolo prodigioso, videro il Priore certosino farsi il segno della croce, rialzarsi e riprendere il cammino, come se nulla fosse accaduto. Impietriti i furfanti si guardarono tra di loro ed all’unisono rincorsero il certosino per chiedere spiegazioni sul fenomeno a cui avevano assistito. Il certosino interpellato sull’accaduto, rispose che non aveva visto niente e nessuno e dietro le insistenti richieste, egli disse che aveva semplicemente recitato il Rosario alla Vergine Santissima come era sua abitudine farlo ogni giorno. Ascoltata tale spontanea risposta, i ladri rivelarono al monaco le loro malevoli intenzioni, e si resero conto che avevano assistito ad un’apparizione prodigiosa della Vergine. Si inginocchiarono ai piedi del Priore e chiedendo perdono per le loro malefatte, chiesero una benedizione giurando di abbandonare per sempre quella condotta di vita insana. Promisero inoltre di recitare ogni giorno il Rosario alla Vegine Maria.

La Madre singolare dei certosini aveva salvato il monaco in pericolo e redento anime peccatrici grazie alla recita del Rosario.

Santa Rosalia: La ragazza bionda innamorata di san Bruno

Santa Rosalia: La ragazza bionda innamorata di san Bruno

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Recentemente, sono stato attratto dal testo apparso su una rivista serrese e pubblicato dall’amico di Cartusialover Girolamo Onda, ve lo riporto per sua gentile concessione.

Santa Rosalia

-LA RAGAZZA BIONDA INNAMORATA DI SAN BRUNO-

Rosalia Sinibaldi (o di Sinibaldo) nacque a Palermo intorno al 1128; appartenne alla nobile famiglia dei Sinibaldi del XII secolo. Nel 1128 -siamo a due anni dell’incoronazione di Ruggero II- la Sicilia era ancora una Contea e Palermo stava per diventare capitale del Regno Normanno d’Italia meridionale.

In quel tempo, la certosa calabrese di Santo Stefano del Bosco in Serra San Bruno, era stata ultimata insieme con la prospiciente residenza estiva degli Altavilla; e questo grazie all’intervento della Contessa Adelaide e del figlio Ruggero II, i quali continuarono l’edificazione dell’opera intrapresa da Ruggero I. Rosalia, di famiglia nobile, da giovane visse in ricchezza presso la corte di re Ruggero II, suo padre era il conte Sinibaldo, signore della Quisquina e del monte delle Rose. Sua madre, Maria Guiscardi, era a sua volta di nobili origini e imparentata con la corte normanna.

Per meglio comprendere l’origine dell’attrazione della giovane Rosalia al mondo monastico certosino ed a san Bruno, bisogna raccontare un episodio, accaduto nell’estate del 1148, che risultò essere determinante per la vocazione della bella ragazza palermitana .

Si racconta che un tale conte Baldovino fu il protagonista del miracoloso salvataggio del re Ruggero II avvenuto durante una battuta di caccia sui monti calabresi nei pressi della certosa di Santo Stefano -dove Ruggero I aveva fatto costruire una sua residenza estiva-. La leggenda narra che durante una battuta di caccia Ruggero fu attaccato e ferito da una bestia feroce, divincolatosi si dette alla fuga inseguito dall’animale; fu allora che un albero si abbatté frapponendosi tra il re e la bestia che spaventata si dileguò nella foresta abbandonando la preda. Ruggero azzannato lievemente, fu prontamente soccorso da Baldovino, e  fu portato nella sua residenza dove fu immediatamente assistito e medicato nella vicina farmacia certosina. Rosalia, facente parte della corte di Ruggero II -che in quella occasione era al seguito del re- rimase molto impressionata quando da tutti, questo salvataggio fu attribuito all’aiuto miracoloso di san Bruno, fondatore di quell’eremo, invocato da re Ruggero. Per quel miracoloso salvataggio il Priore dell’epoca: Dom Andrea celebrò una solenne messa di ringraziamento durante la quale ricordò che Ruggero II era stato tenuto a battesimo dal monaco Brunone, e perciò particolarmente protetto dalla nascita! A seguito di questo episodio, Ruggero grato per il provvidenziale soccorso, volle ricompensare il giovane Baldovino esaudendo un suo desiderio, le offrì in sposa la giovane e bella Rosalia della quale il conte si era invaghito. Ma Rosalia dopo questo evento prodigioso, durante il soggiorno estivo, invece di partecipare agli svaghi di corte, preferiva seguire le pratiche religiose dei certosini. Chiusa nella sua stanza rispettava l’orario giornaliero dei monaci scandito dalla campana del vicino monastero. Fu così che Rosalia s’innamorò della vita ascetica dei certosini e del fondatore dell’Ordine. Infatti decise di abbracciare e donarsi a quell’ideale di regola monastica. Appresa con angoscia la notizia della proposta di matrimonio, ella si presentò alla corte del re con le bionde trecce tagliate, e rifiutò l’offerta di sposalizio. Successivamente, la ragazza, si rifugiò presso il monastero delle Basiliane a Palermo, nel tentativo di appagare il suo desiderio di vita eremitica. Ma non stette molto in quel luogo, non trovando che confacesse ai suoi ideali di vita ascetica, e decise di rifugiarsi presso una grotta nei possedimenti del padre per condurre la vita contemplativa nella preghiera e nel silenzio. In seguito abbandonò anche quella grotta, ritenuta poco idonea, e si trasferì in piena solitudine e lontana da qualsiasi affetto familiare in un altro luogo. Scelse come rifugio ideale una piccola caverna, oggi incorporata nell’eremo a lei dedicato, situato nel bosco della Quisquina oltre Bivona; a mezza costa di un dirupo di circa 900 mt che domina la necropoli di Realtavilla (AG). Fu lì che condusse una vita fatta di penitenze, preghiera e meditazione, isolata da tutti.  Il 4 settembre del 1165 venne trovata morta in quell’anfratto.

Secondo la tradizione cattolica la santa, nel 1624, salvò Palermo dalla peste e ne divenne la patrona. Oggi, santa Rosalia Sinibaldi, è venerata come santa vergine dalla Chiesa cattolica. I palermitani la onorano con una grande festa chiamata in gergo: “Fistinu”. Nel novero delle celebrazioni, che si protraggono per più giorni, le reliquie di santa Rosalia, contenute in una preziosa urna d’argento, vengono portate in processione per le principali vie della città.

Ringrazio l’amico Girolamo Onda che ha voluto offrirci questa preziosa “chicca”, che ci testimonia come all’origine della santità di santa Rosalia vi è una profonda ammirazione per san Bruno e la vita certosina.Da notare nei dipinti che ho scelto come immagine di quest’articolo, la similitudine dell’iconografia, la spelonca, il teschio, lo sguardo estatico che accomuna i due santi, rapiti dall’estasi.

Il protettore dei bambini

 Il protettore dei bambini

Jan-Erasmus QuellinusMiracle of Saint Hugh of Lincoln is painted in this year (KMSKA, Antwerp).

Nel giorno della ricorrenza di sant’Ugo vescovo di Lincoln, voglio descrivervi uno dei suoi miracoli. Premesso, che il cappellano personale del vescovo certosino fece un indagine approfondita sui prodigi compiuti da Ugo, archiviando come tali solo quelli fortemente documentati.

Tra i tanti, il più toccante ed eclatante di tutti fu di resuscitare un bambino, restituito a sua madre per intercessione di quello che viene considerato il protettore dei bambini. Per l’amore che dedicava loro. Guarigioni, azioni salvifiche, protezioni prodigiose per intercessione del santo certosino ve ne furono tante, ma questa è davvero singolare.

I fatti si svolsero nei paraggi di Lincoln, poco dopo la morte del santo vescovo, laddove una donna fu colpita dal dolore di vedere suo figlio spirare tra le sue braccia a seguito di una malattia durata quindici giorni. Il corpicino del bimbo divenne presto rigido e freddo come se fosse morto da tanto tempo. A quel punto una vicina della povera mamma con un gesto delle dita chiuse gli occhi del piccolino. Era notte. e la mamma piangeva a dirotto disperandosi fino al canto del gallo, quando l’alba schiarì il cielo. Dopo una notte di meditazione ed i preghiere, la povera donna esclamò con impeto :” Ebbene, prima che mio figlio sarà interrato Dio me lo renderà, grazie all’intercessione del prodigioso sant’Ugo” oltre a questa frase ella promise di accendere un cero sulla tomba del santo vescovo, alto quanto la statura del figlio morto. Proferite queste parole, prodigiosamente  apparve il santo certosino in abiti vescovili, che visto da molteplici testimoni, benedisse il piccolo bambino, ancora in braccio alla sua mamma, il quale ebbe un sobbalzo e cominciò a piangere come se fosse venuto in vita per la seconda volta!!!

Di fronte a questo prodigio ed alla iniziale incredulità  sfociata in gioia, tutti piansero e si recarono in processione sulla tomba del santo vescovo acclamandolo.

Questo è forse il più stupefacente miracolo, che fu ovviamente oggetto di rappresentazioni pittoriche legate all’iconografia di sant’Ugo, come ci testimoniano i dipinti che allego in questo articolo.

 S. Ugo resuscita un bambino - Napoli Certosa di San Martino