CAPITOLO 15
La vita comune
1 Nelle celle o nelle obbedienze, mentre conduciamo la vita solitaria, il nostro cuore può infiammarsi e poi dilatarsi nel fuoco dell’amore divino, e questo, che è vincolo di perfezione, ci unisce come membra di un corpo. Questo amore che abbiamo gli uni per gli altri, lo esprimiamo negli incontri conventuali: dicendo e manifestando la nostra gioia di stare con le nostre sorelle, rinunciando volentieri a noi stessi per loro. (St 22,1)
2 La santa liturgia è la parte più nobile della vita comunitaria, per la qualità della comunione che stabilisce tra di noi. Quando ne partecipiamo insieme ogni giorno, ci dona la vita attraverso il Sangue di Cristo e tiene uniti i nostri cuori alla presenza di Dio. (St 22,2)
3 Il capitolo della casa è un luogo particolarmente degno: ognuna di noi è stata accolta lì come il più umile servitore di tutti; riconosce lì davanti alle sue sorelle le colpe commesse da allora; là ascoltiamo letture sante, e anche là riflettiamo su questioni relative al bene comune. (St 22,3)
4 In alcune feste, tutta la comunità si riunisce per ascoltare una predica. Nelle domeniche e nei giorni solenni (tranne Natale, Pasqua, Pentecoste e solennità che cadono nei giorni feriali durante la Quaresima) dopo la Nona, si va al capitolo per ascoltare la lettura del Vangelo o degli Statuti. Ogni due settimane, o una volta al mese se è possibile farlo con più verità, riconosciamo pubblicamente le nostre colpe. Ciascuna può liberamente accusare le mancanze commesse contro le sue sorelle, contro gli Statuti o contro le principali esigenze della nostra vita al servizio di Dio. E poiché la solitudine del cuore può essere custodita solo dal muro del silenzio, coloro che hanno fallito nel silenzio devono sempre riconoscerla e ricevere la consueta pubblica penitenza. Dopo l’accusa, la priora può dare ammonizioni, se del caso. A seconda dell’uso delle case, le converse e le donate possono riconoscere i loro peccati in un altro momento, o altrove. (St 22.4)
5 Se è necessario deliberare, o se la priora vuole consultare la comunità, le monache, su richiesta della priora, si riuniscono nel capitolo. (St 22,6)
6 Nelle domeniche e nelle solennità si pranza insieme in refettorio: in questi giorni sono più frequenti le riunioni comuni e si dà più spazio al conforto che la vita familiare porta. Il refettorio, dove entriamo dopo aver celebrato l’Ufficio in chiesa, ci evoca il pasto che Cristo ha fatto mistero sacro; le mense sono benedette dalla suora settimanale, e mentre il corpo riceve il suo ristoro, l’anima si nutre di una lettura spirituale. (St 22,7)
7 Il tempo libero e lo spazio si realizzano secondo le necessità della comunità, sotto il controllo del Capitolo Generale o del Reverendo Padre. Non ce ne sono mai a Natale, Pasqua, Pentecoste, gli ultimi tre giorni della Settimana Santa, né nei giorni di astinenza o di sepoltura. Le monache di clausura, le sorelle converse e le novizie hanno i propri regimi di ricreazione e di spazio. A giudizio della priora, questi incontri fraterni possono aver luogo sia in comune che separatamente. Tutte le suore vorranno prendervi parte. Nessuno si asterrà senza il permesso della priora, che sarà concesso solo per gravissimi motivi.
8 Lo scopo della ricreazione essendo quello di sviluppare uno spirito di comunione tra noi, tutti si sforzano di prendervi parte sinceramente, senza restare in disparte. Non parliamo da nessuna parte se non dove si trovano gli altri, se non per dire qualche parola. In questi incontri fraterni, ricordiamo il consiglio dell’Apostolo: Rallegriamoci, stiamo insieme, manteniamo la pace, perché il Dio della pace e dell’amore rimanga con noi. (St 22,9) I giochi da tavolo non sono adatti alla nostra vocazione. (St 28,9)
9 Come dice san Bruno, quando l’animo troppo fragile è affaticato dall’austerità della regola e dall’applicazione spirituale, spesso il fascino del deserto o la bellezza delle campagne sono per lui un sollievo e un rinvigorire. Per questo nei giorni fissi avviene lo spaziamento. Questo avviene all’interno o all’esterno del recinto, ma sempre in modo da garantire un sufficiente relax. (St 22,10)
10 Secondo un’antica usanza dell’Ordine, ogni anno viene concesso uno spaziamento più lungo. In questo giorno è consentito superare i limiti di spaziamento fissati dal Capitolo generale. Possiamo prendere delle provviste, ma osserviamo la sobrietà certosina e mangiamo lontano dagli estranei. La priora può concedere un secondo distanziamento annuale della stessa specie, ma dove non vi sia cibo. (St 22,11)
11 Le nostre separazioni devono favorire l’unione delle anime e il loro fiorire soprannaturale. Affinché ciascuno possa parlare a turno con gli altri, viaggeranno tutti allo stesso tempo e per la stessa rotta, a meno che un motivo ragionevole non consigli di formare due gruppi, o tre. Se si deve necessariamente passare per qualche villaggio nelle vicinanze, ci si accontenterà di attraversarlo, osservando una grande riserva; le case dei laici non saranno mai penetrate. Non si dovrebbe intrattenere conversazioni con estranei, né distribuire regali. Durante il viaggio non si mangia né si beve nulla, tranne l’acqua delle sorgenti incontrate lungo il percorso. (St 22.12)
12 Le nostre conversazioni hanno lo scopo di coltivare l’affetto reciproco e di aiutarci a vivere in solitudine. Evitiamo quindi verbosità, pianti o risate sconvenienti; che le nostre parole rimangano religiose, non vane e laiche; proviamo orrore per la minima forma di detrazione o mormorio. Se ci capita di dissentire con una sorella, sappiamo ascoltarla e sforzarci di capire il suo punto di vista, affinché in ogni caso si rafforzino i legami di carità tra di noi. (St 22.13)
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