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Carissimi amici lettori di Cartusialover e devoti di San Bruno, ecco per voi un documento video davvero eccezionale, oserei dire la testimonianza di un momento storico. E’ con grande emozione che, condivido con voi tutti il video ed alcune foto realizzate dall’amico Bruno Tripodi, il quale ci aveva già regalato immagini del primo atto del restauro del busto reliquiario, del quale vi avevo relazionato in un articolo dello scorso otto ottobre.
In occasione del restauro del busto reliquiario di San Bruno eseguito dal Dottor Antonio Adducci, opera del 1516, realizzata a Napoli, lo scorso 18 ottobre 2021, alla presenza del Priore Dom Ignazio Iannizzotto ed alla comunità certosina, visibilmente emozionata, si è proceduto all’apertura del busto argenteo, alla ricognizione ed al prelievo della reliquia del Santo Patriarca San Bruno.
Assisteremo alle varie fasi del sistema di accesso alla reliquia, che ha inizio con l’apertura dello sportello sottostante mediante apposita chiave, dal quale si accede per poter raggiungere tre perni che tengono unita la testa al tronco. Una volta svitate queste tenute si può separare il volto dal cappuccio ed accedere così alla reliquia.
Per gentile concessione della Certosa pubblichiamo questo video di Bruno Tripodi, al fine di rendere fruibile un documento di rara importanza per la comunità tutta.
Buona visione
Grazie Bruno Tripodi, che ci hai regalato queste immagini molto emozionanti!
E soprattutto GRAZIE alla espressa volontà del padre Priore Priore della Certosa calabrese Dom Ignazio Iannizzotto, per cui è stato possibile documentare l’apertura del busto argenteo che custodisce i resti del fondatore dell’Ordine. Ecco per voi il video e le foto, mentre per l’approfondimento storico sulle reliquie vi rimando all’articolo degli amici de “Il Vizzaro”.
Cari amici, oggi ricorre l’anniversario della traslazione delle reliquie del nostro amato San Bruno, dalla chiesa Matrice di Serra alla Certosa avvenuta il 30 maggio 1857.
Dopo il terremoto del 1783 vi fu un fallito tentativo di ripristino della Certosa nel periodo 1840-1844, la comunità certosina si era poi finalmente nuovamente insediata nel complesso monastico di Serra il 4 ottobre del 1856. Il successivo 30 maggio, le reliquie di San Bruno, conservate dopo il sisma nella Chiesa Matrice, rientrarono solennemente nella Certosa.
Attraverso il testo di un documento ex manuscripto trovato negli archivi della certosa di Trisulti, vi riporterò fedelmente quanto avvenne.
Documento 6
Traslazione reliquie di San Bruno 1857
ex Manuscripto Trisulti
Il giorno 30 maggio in Serra 1857 La storia dei nostri giorni, la quale registra tanti e si svariatiavvenimenti, onde raccomandarli alla memoria dei posteri, non deve passar sotto silenzio, una cronica religiosa, i di cui fatti accaduti nel giorno 30 Maggio in una città della Calabria offrono senza dubbio un vero interesse per coloro che in tanto smarrimento di uomini e cose, prendono di mira segnatamente i gloriosi progressi della Santa Religione nostra. Quel giorno festa civile di tutto il popolo delle due Sicilie per l’onomastica solennità del più magnanimo e munificente dei Monarchi il glorioso Ferdinando II, fu doppiamente festività per i cittadini di Serra, per la ricorrenza della solenne traslazione delle Reliquie del loro principale patrono S. Brunone, nell’antica e tanto celebrata Certosa dei Santi Stefano e Bruno del bosco, testé ripristinata dell’inesauribile pietà del nostro Sovrano. Erano scorsi 90 anni da che le sacre ossa di quel gloriosissimo Eroe del Cristianesimo fondatore dell’illustre Ordine monastico dei Certosini, non formavano più il sacro deposito in quel venerando Santuario, eretto vivendo il Santo, or sono otto secoli da Ruggiero il Normanno, prima conte di Sicilia e di Calabria. L’ire sacrileghe della straniera invasione, l’avevano scacciate dalla loro sede, che restò vedova dei suoi abitatori; ed abbandonata al furore del saccheggio e delle rapine. I Serresi raccolsero in Ospizio il simulacro del Santo, coll’urna delle sue reliquie, e ne difesero con ingegnose premure il possesso contro gli attentati di una genía depredatrice. Ripristinata la Certosa con Reale rescritto del 22 giugno 1856, mercé l’infaticabile sollecitudine del tanto benemerito Padre Priore D. Vittore Felicissimo Francesco Nabantino. Questi solerte sempre più nel volere conseguire la sua santa impresa, dopo di aver preso possesso della casa nel dì 4 ottobre ultimo, sotto gli auspici di S.M.R. Duca di Calabria Principe Ereditario, rivolse tutte le sue cure a ripristinare in mezzo ai ruderi della Certosa delle abitazioni per prendervi stanza la famiglia certosina; ed edificare insieme una cappella ove potessero essere collocate decentemente le Sacre Reliquie del Santo Patriarca. Nessun altro giorno potea esser prescelto per la solenne cerimonia della traslazione delle Reliquie, che il giorno onomastico dell’augusto e pio Monarca, il quale mercé il suo provvido decreto della ripristinazione della Certosa, restituiva nella sua vetusta e gloriosa dimora, l’Esule illustre che era stato bandito in tempi calamitosi. Nulla si è trascurato perché la cerimonia riuscisse degna del Santo al di cui culto era destinata, e per la volontà del giorno in cui doveva celebrarsi. Il fasto e la pompa dei riti religiosi accompagnati dalle manifestazioni di giubilo d’un popolo immenso formavano un concorso di quelle circostanze felici che rappresentano la vera idea di una festa nel più alto senso della parola, in tutto il suo apparato brillante, in tutta la corrispondenza degli affetti che destano le più care e tenere commozioni del cuore, ed alleviano lo spirito con la seducente prospettiva dei più sublimi pensieri. Alcune copie del programma concernente la festa, sparse per dintorni, incitavano gran numero di forestieri ad assistervi, e nel mattino del giorno memorando le piazze e le strade di Serra riboccavano di una folla innumerevole di devoti, tra cui molti infermi venuti appositamente ad acquistare la guarigione. Accresceva la pompa della festa la presenza di Monsignor Vescovo di Squillace l’illustre fu Concezio Pasquini, il quale non dissimile di quel suo antico predecessore, tanto largo di riverenza e di affetto verso S. Brunone mentre viveva lasciò la sua Sede Vescovile, seguito da Reverendi Canonici, e da numeroso clero, per compiere anch’esso un tributo della sua speciale ed ereditata venerazione per il Santo Anacoreta, con quella esuberanza di cuore che tanto caratterizza il Venerando prelato. Altri distinti personaggi e soprattutto gli ufficiali della Colonia Militare di Mongiana, con alla testa l’egregio Comandante Tenente Colonnello Cav. Raffaele Malograni, accompagnato dalle Reali truppe di presidio di quel Opificio metallurgico vollero anch’essi decorare la festa con la loro dignitosa presenza e nello sfarzo delle splendide divise, far palese il comune entusiasmo di sentimenti religiosi e civili, così potentemente ispirati dalla nobile circostanza. Dopo un solenne triduo celebrato con luminarie per tutta la città con sparo di mortaletti, concerti musicali e suoni prolungati di campane, spuntava l’alba di quel giorno salutata da Salve, dall’acclamazioni e dalle grida di plausa di un popolo immenso che riempiva la navata della Chiesa Madre, già sontuosamente addobbata e risplendente di mille ceri accesi in bella mostra dinanzi al simulacro del Santo, con l’urna delle Reliquie adorna di rabeschi ricamati in oro e di ghirlande come ancora dinanzi all’augusta effige del Re esposta tra ricchi fregi e festoni. Non tardava a sopraggiungere Monsignor Vescovo in compagnia della famiglia certosina, di numeroso clero e di tutte le autorità amministrative, giudiziarie e militari, che presero luogo nei posti appositamente preparati. Tosto la cerimonia incomincia. La Messa pontificata dal Vescovo, con accompagnamento di canto e di concerti musicali e immediatamente seguita da un’orazione panegirica pronunziata dal molto R.do P.dre F. Geremia da Rocca Scalogna. Quest’orazione ricca di tutti i pregi della Sacra eloquenza e profondamente sublime in quel valentissimo Oratore, e molto più toccante per le peculiari circostanze di cui era scopo, destava un entusiasmo indicibile nell’uditorio che non tardò a manifestarla armonizzando ad una voce le note di un solenne Te Deum cantato con tutta la religiosa esultanza dai tanti cuori intimamente commossi dai più vivi sensi di amore e di gratitudine. Già si apprestava l’istante della Processione che era disposta in questo modo. Un plotone di soldati doveva aprire la marcia, dietro a cui venivano a lunga e doppia fila le tre Confraternite della città con i loro stendardi spiegati e vestiti in abito da cerimonia, e con ceri accesi in mano. In seguito gli Ufficiali di Mongiana in uniforme, quindi una banda musicale dietro di cui seguivano il Clero con la Croce inalberata, vestiti dei più ricchi paramenti sacri, in compagnia di Monsignor Vescovo in abiti pontificali. Immediatamente l’urna delle Reliquie sostenuta dai PP. Certosini sotto ricco baldacchino portato da quattro decurioni, e fiancheggiato da doppia fila di soldati, seguiva pure la statua in argento di S. Bruno sostenuta da fratelli Certosini. Procedeva dietro alla statua il Padre Priore D. Vittore Nabantino vestito con la cocolla ecclesiastica, portando egli in mano una Reliquia di S. Stefano, ed un’altra di S. Brunone, incastonata in ricca teca d’argento. Dopo di lui le Autorità Amministrative e giudiziarie ed altre distinte persone, e quindi un’altra banda musicale ed un plotone di Gendarmi e di soldati chiudevano la marcia. Un popolo immenso accompagnava il corteo. Le prolungate salve dei mortaletti, le campane suonanti a distesa, i concerti musicali annunziavano il momento in cui il Santo abbandonava il suo domicilio provvisorio, ritornava nella pompa del trionfo nella sua casa prediletta e santificata delle sue virtù: risuonavano i canti religiosi, ed il corteo incominciava a procedere in mezzo alle vie stipate di gente, adorne di archi trionfali, e con le pareti delle case fiancheggianti adorne anch’esse di fiocchi di seta e di rabeschi di diversi colori ed iscrizioni allusive alla circostanza. Già il simulacro del Santo appariva fuori il vestibolo del tempio. Fu un istante in cui la folla alla vista del Santo trasportato dai figli suoi esultanti di tanta gioia per aver avuta la sorte avventurosa di sostenere quel caro peso cessò dai suoi canti per dare sfogo ad un irresistibile sentimento di tenerezza che costringeva a versare stille di dolce pianto. Era quello uno spettacolo sublime, la Religione nostra solamente poteva effettuarlo! Un temuto incidente interruppe la cerimonia, la pioggia incominciò a cadere a rovescio ed ostinatamente durava fin dopo le tre p.m. Ma la folla non si era dispersa per questo, quantunque fu fatta arrestare la processione. Nel frattempo che si stava aspettando che la pioggia cessava, ebbero luogo trattenimenti, furono tirati a sorte diversi maritaggi per povere donzelle e fatte copiose largizioni ai poveri ed ai carcerati. Finalmente parve che le nubi si diradassero e la processione si pose in marcia. Dopo poco giunse alle mura della Certosa, ed era uno spettacolo meraviglioso ed importante il contemplare quella calca di popolo immenso che copriva il lungo viale che da Serra mena al Cenobio. Altre salve ed appositi concerti in musica salutavano l’arrivo e l’ingresso del Santo nella sua propria casa, la quale sebbene coperta di rovine e frantumi, pure sembrava sorridere alla presenza del Santo Patriarca il di cui simulacro attraversava i chiostri e le volte infrante, quasi che presentasse l’influenza benefica di un più felice destino per il ritorno del suo fondatore le cui gloriose Reliquie sono novellamente il palladio di quella solitudine. Un ultimo salve ed il canto di un altro Te Deum annunciava che S. Brunone prendeva possesso della sua Certosa, e che la sua urna veniva collocata nel luogo destinato per il suo deposito. Era compiuta la cerimonia, ma la folla non si dissipava ancora, si voleva vedere un’altra volta le venerate sembianze del Santo Protettore. Il Padre Priore Nabantino commosso nel più profondo del cuore, cercò di soddisfare subito questo desiderio mostrando il simulacro del Santo dall’alto di una loggia ed aggiungendo la benedizione con la Reliquia. Questa benedizione fu accolta da tutti genuflessi tra lacrime di gioia e di tenerezza e grida fragorose di plausa in onore del Santo e dell’augusto Monarca, e queste grida festive risuonavano lungamente intorno, accresciute dall’eco delle rovine e dei silenzi delle selve circostanti. Il giorno terminava infine con una solenne Accademia poetica tenuta in un vasto salone all’uopo apparecchiato con l’intervento di nobili e con molte persone che tributarono ben meritati applausi di lodi a quella eletta schiera di giovani che caldi di generosi sentimenti fecero pompa con le loro ispirate poesie di quel nobile entusiasmo di cui riboccavano i loro cuori nella solennità di un giorno sacro al trionfo di S. Brunone ed al nome glorioso dell’immortale Ferdinando II. Oh qual giorno sarà scritto in bianca pietra dai cittadini di Serra ed incancellabilmente stampato sul frontespizio del libro dei fasti della ripristinata Certosa dei Santi, di quel Santuario che è tuttora il primo monumento religioso della Calabria.
Il Canonico Don Bruno M. Tedeschi
di Serra in Calabria alla Certosa di S. Stefano e Bruno del bosco
Dopo questa breve precisazione, voglio parlarvi in questo articolo a lei dedicato dei suoi ultimi attimi di vita e dei suoi molteplici miracoli, che si associano ai più noti, da me già menzionati. Proverò inoltre a rispondere ad alcuni interrogativi, celebrandone la sua memoria.
A Santa Rosellina, difatti vengono attribuiti prodigi accaduti sia quando era ancora in vita che successivi alla sua morte.
Si narra che nel 1310, quando era ancora in vita operò un leggendario prodigio liberando il fratello Hélion, Comandante dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, prigioniero dei Saraceni sull’isola di Rodi, pare che sia stato miracolosamente liberato dalle catene e trasportato in Provenza! Riferì di aver avuto una visione di sua sorella che gli apparve in una nuvola di rose.
Ma veniamo alla descrizione del suo ultimo giorno di vita terrena.
Rosellina aveva nel 1328 abbandonato il suo incarico da Priora, a causa delle sue debilitate condizioni fisiche, e difatti nel mese di gennaio del 1329 si aggravò. Le cronache narrano che in una fredda mattina del 17 gennaio, fu colta da una febbre violenta e che, nonostante la sua leggendaria energia, non riuscì a reggersi in piedi. Rimase dunque distesa sul suo letto di paglia e chiese di poter ricevere l’Eucaristia, tra le consorelle raccoltesi intorno a lei. Queste, non vollero credere che l’ora della sua fine era vicina, e si ritirarono per svolgere le loro solite occupazioni. Rimase vicino a sè la sola sorella Marguerite che sentì mormorare Rosellina con una flebile voce: “Addio, sorella mia, vado dal mio Creatore” e chiuse gli occhi per sempre!
La narrazione prosegue, indicando che nella cella si diffuse una luce soffusa, ed al contempo si udirono suoni soprannaturali, come il suono delle campane percepite in lontananza. Sorella Marguerite vide comparire in un alone i tre santi dell’Ordine certosino: san Bruno, il fondatore, sant’Ugo di Grenoble e sant’Ugo di Lincoln, tutti e tre con in mano un turibolo. Queste tre figure erano sovrastate dall’apparizione della Vergine, che aveva tra le braccia il bambino Gesù.
Estasiata da questa prodigiosa visione, sorella Marguerite rivolse lo sguardo a Rosellina e la vide alzarsi sul letto, stendere le braccia verso quelle figure, per poi ricadere lentamente esanime. All’età di 66 anni la sua vita terrena caratterizzata da un costante sacrificio, da digiuni, veglie ed austerità, si concluse.
San Bruno, il fondatore, Sant’Ugo di Grenoble e Sant’Ugo di Lincoln, tutti e tre con in mano un incensiere e la Vergine Maria, portando il bambino Gesù tra le braccia (Dipinto di Valère Bernard)
Rosellina sembrava riposasse, il suo viso così radioso, i suoi occhi così luminosi che tutti, prostrandosi, non poterono fare a meno di renderle omaggio come una persona privilegiata dal cielo. Il corpo mantenne la sua flessibilità, le pupille la loro luminosità e chiarezza. Santa Rosellina rimase così per giorni, contemplata con rispetto non solo dalle sue consorelle, ma da tutta la popolazione dei dintorni che era accorsa alla notizia della sua morte. Tutti volevano rendere un ultimo tributo alla loro benefattrice, soprattutto gli sfortunati ed i derelitti che lei aveva sempre aiutato. Pellegrinaggi formati da tutti i paesi vicini, da Les Arcs, Trans, Flayoscs, Draguignan, da Muy e persino da Fréjus si diressero presso la certosa a La-Celle-Roubaud. Per tre giorni una pio corteo composto da uomini, donne, infermi, ammalati, anziani e bambini entrò in certosa. Nonostante il freddo, la pioggia, la stanchezza, i pellegrini volevano vedere Rosellina un’ultima volta. Davanti alle spoglie miracolosamente conservate, i malati e gli infermi, innalzati dalla fede, osarono avvicinarsi, toccare le mani della Santa, contemplare i suoi occhi, implorare la loro guarigione.
I prodigi
I miracoli ebbero luogo nella cella. I malati furono liberati dai loro malanni, i paralitici riacquistarono la libertà di movimento, i ciechi riacquistarono la vista. L’ esaltazione collettiva durò fino all’ora in cui la santa fu portata nel chiostro dove sarebbe stata sepolta nel cimitero.
Qualche tempo dopo dal luogo della sepoltura avvenne quello che viene chiamato “l’odore di santità” difatti un dolce e potente profumo di rose si diffondeva prodigiosamente, pertanto le monache attonite lo condivisero con le massime autorità religiose.
Ottenuto il permesso di riesumare la salma fu fissata la data della cerimonia nell’11 giugno 1334, prima domenica dopo Pentecoste. Questa cerimonia di esumazione rivelò un grande miracolo. Dopo 5 anni trascorsi sotto terra, il corpo di santa Rosellina apparve intatto come nel giorno del suo funerale. Gli occhi azzurri in particolare, invece di essere stati spenti dalla morte, avevano conservato tutto il loro splendore e sembravano fissare gli astanti sbalorditi.
Fu allora che EIzéar de Villeneuve, nipote di Rosellina, che presiedeva la cerimonia in qualità di vescovo di Digne, ebbe l’idea di estrarre questi straordinari occhi dalle loro orbite e raccoglierli in un reliquiario per meglio esporli alla venerazione dei fedeli. Dalla sua riesumazione nel 1334 però vi sarà un vuoto di 280 anni, dove non si trovano più scritti riguardanti queste reliquie. Le vicende della certosa di la Celle Roubaud tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo narrano di un decadimento della disciplina da parte delle monache, che furono soppresse dal capitolo generale certosino nel 1420. La struttura ospitò vari ordini religiosi che si avvicendarono fino al 1504, quando la famiglia Villeneuve vi insediò una comunità francescana che sopravvisse fino alla rivoluzione francese. Verosimilmente, il corpo di Santa Rosellina in questi tempi travagliati fu cautamente nascosto nei sotterranei. Il corpo della santa riapparve solo nel 1614, è ancora interamente conservato, ad eccezione delle labbra, la cui carne cominciò a seccarsi.
Uno dei due occhi, ancora oggi visibili in un reliquiario datato 1883, non ha però più il suo aspetto naturale, ma perchè?
La colpa è di Luigi XIV, o almeno del suo medico personale, Antoine Vallot. Era il 1660. Il re si recava a Cotignac in compagnia di sua madre, Anna d’Austria. Non avendo il tempo di recarsi personalmente a Les Arcs, ma avendo sentito parlare del meraviglioso stato in cui era stato conservato il corpo di Santa Rosellina, mandò Vallot ad accertare la realtà di tutto ciò che veniva detto su questo argomento. Messo in presenza di occhi miracolosi, Antoine Vallot, per assicurarsi che non ci fosse inganno, non trovò niente di meglio che infilare un ago nei due angoli dell’occhio sinistro. Il risultato fu immediato: il miscredente rimase sbalordito. Il medico del re, a costo di quello che ancora oggi sembra un sacrilegio, ebbe la prova che gli occhi erano naturali e vivi 331 anni dopo essere stati rimossi dal corpo!
Nel corso dei secoli, i Bollandisti riferiscono di un marinaio di nome Blaise Blanc che per intercessione di Rosellina nel 1671 si salva dall’affondamento della sua nave nel Mar Ionio. Oppure della guarigione della bambina cieca di Jean Mayol, a Les Arcs,e riferiscono inoltre di un taglialegna di Callian, trascinato lungo un torrente da un albero caduto, e scampato prodigiosamente all’annegamento, invocando la pia certosina.
Tutti questi miracoli hanno fatto crescere nel tempo la devozione per santa Roselina, al punto che ancora oggi si svolgono delle processioni, le principali delle quali si svolgono il 17 gennaio per la festa della santa, la prima domenica di agosto e il 16 ottobre.
Ma quando fu canonizzata Rosellina?
Pare che avvenne già nel 1360, da papa Innocenzo VI ad Avignone, ma non fu mai ratificata da Roma, pertanto furono i certosini ad ottenere, l’autorizzazione al culto diocesano, masoltanto nel 1851, A seguito di ciò, l’Ordine chiese l’approvazione di questo culto in tutte le certose, e l’iscrizione della festa corrispondente nel calendario ordinario del loro rito particolare.
Il decreto di questa concessione fu firmato a Roma il 17 settembre 1857 dal cardinale Patrizi, presidente della Congregazione dei Riti.
Due anni dopo, il 27 settembre 1859, fu concessa l’indulgenza plenaria a chi visitava una chiesa certosina nel giorno della festa della Santa fissata per il 17 gennaio.
Cappella Santa Rosellina
Il corpo incorrotto della santa è oggi esposto alla vista dei fedeli e dei turisti nell’antica cappella della certosa di Celle Roubaud, divenuta Chappelle Sainte Roseline. Questa deliziosa cappella che ha un arredamento molto ricco tra cui stalli rinascimentali e stalli del coro datati 1635, vi sono inoltre statue lignee che raffigurano la certosina.
Fuori dal coro, sulla destra, la teca di cristallo in cui giace il corpo della santa miracolosamente conservato e il reliquiario dei suoi occhi (1883). Il mosaico di Marc Chagall, e le vetrate di Jean Bazaine e Raoul Ubac e un leggio in bronzo di Diego Giacometti che adornano questa cappella.
Nella cappella sono collocati anche alcuni ex voto dipinti, che testimoniano la fede degli abitanti in santa Rosellina e testimoniano i loro desideri che sono stati esauditi. Nel 1817 a seguito di una grande siccità che ne comprometteva i raccolti, gli abitanti di Lorgues si recarono in pellegrinaggio alla tomba della Santa per implorare il suo aiuto, la loro richiesta fu esaudita da un’abbondante pioggia.
Su un altro ex voto, vediamo un uomo ferito a seguito di una caduta, che supplicava santa Rosellina di aiutarlo.
A seguire un video di una recente processione in suo onore
Festa di Sainte Roseline a Les Arcsil 17 gennaio 2016 – Processione d’ingresso
Oggi 17 novembre si celebra la memoria liturgica di S. Ugo vescovo di Lincoln, di questo celebre certosino vi ho ampiamente parlato nel corso degli anni. L’articolo odierno vuole raccontare, altri particolari sul vescovo certosino, attraverso qualche aneddoto estratto da “La vita di Ugo”, scritto e composto dal suo cappellano Adamo di Eynsham, un monaco benedettino suo costante collaboratore, che è oggi conservata in forma manoscritta nella Bodleian Library di Oxford.
Sulla personalità:
Un aneddoto ci illustra il rapporto di Ugo con la preghiera e la politica. Un giorno di festa in cui Ugo, vescovo di Lincoln, e un altro Ugo, vescovo di Coventry, erano attesi in udienza con il re Enrico II, i fratelli vescovi si ritrovarono insieme in coro a una messa conventuale. Il vescovo di Coventry omise i toni solenni propri del giorno e cominciò a salmodiare l’Introito. Il santo vescovo di Lincoln lo interruppe, cantando fin dall’inizio l’Introito con la debita solennità. Quando il vescovo di Coventry lo ha contestato: “Dobbiamo affrettarci, perché il re ci aspetterà, e ha molta fretta”, il vescovo certosino ha ribattuto: “Non posso farci niente; dobbiamo prima rendere omaggio al Re dei re. Nessun lavoro secolare può dispensarci da ciò che Gli dobbiamo; e il nostro servizio oggi dovrebbe essere festoso, non irrequieto “.
Sui lebbrosi:
Come molti santi prima di lui, Ugo lavava, puliva, asciugava e poi baciava i piedi dei lebbrosi e degli emarginati. A quei tempi si credeva che il “bacio di San Martino” (il bacio di un re o di un sant’uomo) curasse la lebbra, quindi questo servizio era popolare, ma Ugo ha il merito di aver detto “Con me è il contrario, i baci dei lebbrosi guariscono la mia anima malata “. Egli amava particolarmente gli emarginati e gli oppressi. Da vescovo ha rivolto la sua azione caritatevole ai malati di lebbra, ai malati e ai poveri. Ugo lavava e asciugava i piedi ai lebbrosi, si sedeva con loro li confortava e li abbracciava e li baciava uno per uno.
Sugli ebrei
Quando il re Enrico morì e il famoso Riccardo Cuor di Leone salì al trono, ci fu un’ondata di rivolte antisemite, una a Lincoln. Un mercante di Lincoln di nome Aaron aveva prestato denaro all’Abbazia di St. Alban e quando lo voleva indietro una folla si ribellò e lo inseguì nella chiesa, intenzionata a bruciarlo. Ugo rimase fermo davanti all’altare e “mise il timore di Dio” nei rivoltosi in un senso molto letterale. Impauriti ed irretiti dal monito autorevole di Ugo fuggirono senza la loro vittima. In molte altre occasioni Ugo affrontò da solo una folla armata e arrabbiata e riuscì sempre a persuadere i rivoltosi che risparmiarono le loro vittime.
Il collezionista di ossa
Vi svelo ora il significato del titolo bizzarro che ho dato a questo articolo. Sempre il biografo, fedele cronista degli episodi e dei comportamenti del nostro amato S. Ugo, ci riporta moltissimi aneddoti riguardanti le reliquie. Ci narra che Ugo era un cultore delle reliquie in genere ed un “collezionista di ossa”. Il vescovo certosino si fece costruire uno speciale anello su quale fece incastonare un piccolo reliquiario contenente una trentina di frammenti ossei!
Inoltre riuscì ad ottenere un dente di san Benedetto che mise a contatto con delle pecette che distribuiva ai monaci che ne apprezzarono il valore di reliquia. La sua smodata passione per collezionare frammenti ossei, spinse Ugo a episodi che appaiono alquanto macabri a quanto ci riferisce il biografo Adamo di Eynsham. A Fècamp, staccò con i propri denti due frammenti dal braccio del corpo di Maria Maddalena, dopo aver provato invano a staccarlo con le dita, ciò avvenne sotto lo sguardo sorpreso e terrorizzato di alcuni monaci.
Preghiera:
Sii la nostra luce nelle tenebre, o Signore, e nella tua grande misericordia difendici da tutti i pericoli ed insidie di questa notte; per l’amore del tuo unico Figlio, il nostro Salvatore Gesù Cristo.
Santo Dio, il nostro più grande tesoro, hai benedetto Ugo, vescovo di Lincoln, con saggia e gioiosa audacia per l’annuncio della tua Parola a ricchi e poveri allo stesso modo: concedi che tutti coloro che ministrano nel tuo nome possano servire con diligenza, disciplina e umiltà, non temendo altro che la tua perdita e attirando tutti a te per mezzo di Gesù Cristo nostro Salvatore; che vive e regna con te nella comunione dello Spirito Santo, un solo Dio, ora e sempre.
Cari amici lettori questo articolo è legato alla inedita trasmissione in streaming, andata in onda su Facebook lo scorso sabato 16 maggio. La ripropongo in versione integrale per tutti quegli amici lettori che non hanno potuto assistere alla diretta, e che me ne hanno fatto esplicita richiesta. La trasmissione in oggetto, è stata organizzata all’interno della rubrica “On the News”, ed è stata intitolata Speciale “San Bruno e la Pentecoste”. Alla diretta alla quale sono stato invitato a partecipare insieme agli amici ed esperti Antonio Cavallaro, Domenico Pisani e Marco Primerano, abbiamo discusso ed esposto i significati relativi alla Pentecoste ed a San Bruno. Un excursus storico molto interessante, con il racconto ed immagini assolutamente inedite. Un ringraziamento speciale da parte mia alla gradevole e competente conduzione degli amici serresi Antonio Zaffino e Biagio La Rizza. Va sottolineato che si è pensato a questa nuova forma di comunicazione sull’argomento Pentecoste, poichè a causa dell’emergenza Coronavirus, la rituale processione del busto di San Bruno che si sarebbe dovuta svolgere martedi 2 giugno, non si potrà effettuare per evitare rischiosi assembramenti. Gli amici serresi hanno perciò ideato questo gradevole programma nel tentativo di lenire la sofferenza e la mancanza del rito della processione molto sentito tra la popolazione di Serra San Bruno, del quale spesso vi ho riportato immagini e video.
Vi lascio alla interessante trasmissione, che spero vogliate gradire.
Concludo segnalandovi una singolare “coincidenza”, ci siamo ritrovati a parlare dell’avvenimento del 16 maggio 1505, sabato 16 maggio 2020. Spero sia un buon segnale della protezione di San Bruno, con l’augurio che possa esterdersi su tutti voi.
Cari amici lettori voglio relazionarvi in questo articolo odierno su una lodevole iniziativa, susseguita alla presentazione di un libro sul beato certosino Oddone da Novara.
Lo scorso 28 e 29 settembre a Tagliacozzo, in provincia de L’Aquila, si è svolta una due giorni interamente dedicata alla celebrazione della memoria del santo eremita.
Sulla vita di Oddone, fino ad oggi, vi erano scarne e frammentarie notizie fino a quando il prof. Lucio Meglio ha deciso di curarne ricerche e studi.
Grazie al ritrovamento di una copia seicentesca del rotolo processuale del 1240 sulla vita e le virtù di Oddone, avvenuto presso l’Archivio storico della Certosa di Trisulti, si è svelata la vicenda storica di questa figura tanto cara al popolo marsicano. Un lungo lavoro di ricerca, oserei dire certosino, consistito prevalentemente nella trascrizione del contenuto pergamenaceo di 2 metri e 86 cm di lunghezza e con l’intera traduzione italiana dal latino. Oltre a ciò si riportano documenti inediti conservati nell’Archivio della Congregazione delle Cause dei Santi. Oddone è così l’unico caso di santo certosino ad avere una considerevole mole di documenti storici coevi riferiti alla sua santità.
Le celebrazioni sono cominciate sabato 28 settembre, quando alle ore 16 nella sala consiliare del comune è stato presentato il libro di Lucio Meglio “Vita, miracoli e culto del beato Oddone da Novara, monaco certosino”, Edizioni Kirke.
Da quasi un millennio le benedettine di Tagliacozzo custodiscono nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano il corpo del monaco certosino Oddone da Novara e da sempre ne hanno avuto cura di ravvivare e incrementare la fiamma della devozione che arde attorno alla sua figura. Le cerimonie sono proseguite domenica 29 settembre nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano dove, dopo anni, è stata esposta l’urna con i resti mortali del beato certosino. La messa solenne è stata officiata dal vescovo dei Marsi mons. Pietro Santoro, al termine della quale è stata benedetta la nuova nicchia dove è stato collocato il beato. La nicchia è composta dal sarcofago medievale che in passato conservava il corpo di Oddone e sul quale oggi sono state riposte le sue ossa. Accanto è stato posizionato il grande quadro settecentesco raffigurante il beato Oddone orante.
Va ricordato, che Tagliacozzo, come Serra San Bruno, è una delle poche città a venerare con grande culto e devozione un monaco certosino del quale si conservano i resti mortali e da oggi grazie al professore Meglio, anche tutta la documentazione storica. Lo scorso luglio l’autore ha avuto l’onore di presentare questo libro nella Certosa di Serra San Bruno, in Calabria, dietro invito del priore, trascorrendo tre giorni con i monaci certosini, dimorando nelle stanze che nel 1984 ospitarono Giovanni Paolo II e vivendo direttamente le loro liturgie, compreso il Notturno. Un raro e meritato privilegio. A seguire le immagini di questa due giorni suggestiva ed a tratti emozionante, che spero possa rinverdire il culto del beato certosino ed a cui voglia elevarsi la nostra breve preghiera.
PREGHIERA
Signore, concedi a tutti coloro che celebrano la festa del Beato Oddone, che hanno fisso lo sguardo dell’anima nella contemplazione della tua gloria, e che,dopo aver perseverato nella fede in questa vita, risplenda in noi la luce della tua presenza nella patria celeste.
Vi allego il link per poter acquistare il libro che vi invito a leggere
Lucio Meglio è docente di Sociologia presso l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, Ateneo dove dirige la Rivista “Annali di Storia Sociale ed Ecclesiastica”. È autore di oltre sessanta pubblicazioni nel campo della Storia sociale e della Sociologia delle religioni. È socio accademico della Società Internazionale di Studi Francescani e socio onorario della Pontificia Academia Mariana Internationalis.
Dopo avervi descritto nel precedente articolo, i particolari della tragedia del martirio dei certosini di Roermond, voglio descrivervi come anticipatovi la attuale collocazione delle loro sante reliquie.
Dopo l’eccidio, i corpi dei poveri martiri, orribilmente mutilati e straziati, furono dapprima esposti in piazza e vilipesi, poi interrati nel frutteto del complesso monastico. Solo tre anni dopo, le loro reliquie furono traslate in una cappella della chiesa, con un epitaffio voluto dal vescovo di Roermond Guglielmo Lindano. In una cappella della chiesa della certosa di Roermond, abbandonata dai monaci nel 1793, riposano ancora oggi le spoglie dei poveri monaci trucidati. A tal proposito voglio segnalarvi un dato davvero singolare, riguardante tele collocazione. Nel 1926, a seguito di lavori di consolidamento, sotto uno spesso strato di intonaco è venuto alla luce un affresco risalente al 1500, ovvero ad una data antecedente il saccheggio ed il martirio. L’affresco accuratamente restaurato pochi anni fa, raffigura “Il Giudizio Universale”, con la rappresentazione dei demoni e dell’inferno e con la figura di Cristo su di un arcobaleno che sovrasta la scena. Appare curioso tutto ciò, e sembra una bizzarra profezia sulla sorte futura dei poveri certosini. Il culto ed il ricordo dei martiri di Roermond, di recente è stato commemorato nella “Caroluskapel”, come oggi si chiama questa parte del complesso certosino. In occasione della ricorrenza del 23 luglio, si svolge una messa solenne di requiem ed una processione, a cui fa seguito una particolare benedizione con acqua santa ed incenso, negli armadi contenenti delle scatole di legno con le sacre spoglie, al fine di commemorare e rendere vivo il ricordo del sacrificio dei poveri certosini vittima della violenza protestante. Tali iniziative sono volte a far crescere il culto che potrebbe portare alla beatificazione mai avvenuta dei monaci brutalmente uccisi, ma anche come monito per i posteri affinché l’odio religioso non produca violenze inaudite come quelle che vi ho descritto.
Invito anche voi a celebrare i “dodici martiri di Roermond”, con la recita di questa umile preghiera:
Preghiera
Signore nostro Dio,
Nella vita e la morte dei martiri di Roermond
Tu ci hai dato un esempio
di intensa preghiera contemplativa e apostolica.
La loro dedizione e sacrificio
hanno aiutato le nostre regioni
per proclamare e conservare la fede cattolica
nei momenti difficili di apostasia e di persecuzione.
Preghiamo:
Il sangue di questi martiri
di essere fecondo anche ai nostri giorni.
Che anche noi siamo impegnati a sacrificare
per la proclamazione di fede
e approfondire la vita spirituale.
Vediamo attraverso la nostra preghiera e di apostolato
contribuire alla rinascita della fede nei nostri territori,
trovando il modo per riconquistare tuo Figlio
in unione con la sua Chiesa.